Il penultimo capitolo della serie a fumetti di Providence, The Unnamable, compie ancora una volta il miracolo: posto dinanzi alla banalità di tante conclusioni insoddisfacenti e/o insolute di tante saghe, Moore preferisce piuttosto fornire risposte al lettore, anzi dargli di nascosto la chiave (d'argento?) per comprendere non solo Providence stessa, ma anche il Neonomicon. Gli accenni comparsi nei capitoli precedenti ritrovano in The Unnamabale il loro pieno completamento: ogni singola storia dei numeri precedenti trova in questo caso un finale che è nel contempo il finale dei racconti di Lovecraft corrispondenti e allo stesso tempo è un finale Mooriano, sovvertito nella sua stessa essenza.
All'elemento fittizio della narrativa del Solitario di Providence, si affiancano due altri filoni: la ricostruzione - ancora una volta fittizia e nel contempo reale - degli eventi storici che conducono al 2006 del Neonomicon, e la ricostruzione stavolta storica e ineccepibile della vite e delle tragiche conclusioni di tanti amici del circolo di Lovecraft e del Weird Tales: dal cervello esploso per un colpo di rivoltella di Howard, al suicidio per barbiturici di Barlow, alla lenta caduta nell'oblio di tanti scrittori dell'epoca, un dimenticare tanto più visibile quanto più lo scomparso Lovecraft s'ingigantisce fino a diventare l'attuale juggernaut della cultura pop.
Il cerchio, o meglio la forma circolare domina The Unnamable: dall'occhio di Black, che ha visto cose che la retina umana non potrebbe a ragione vedere, al disco a 45 giri che sceglie di ascoltare, alle ruote del bus che lo riconducono alla New York dove tutto era iniziato. Un cerchio che non è solo un motivo geometrico per tenere assieme il bric-a-brac di citazioni di Alan Moore, ma costituisce anche un simbolo di continuità e di rinascita, quell'eterno ritorno che banalizzato da Kundera trova qui una piena espressione fumettistica, un'incarnazione nietzschiana riverberata dal cavallo frustrato dal vetturino a Pagina 6, che ricorda l'abbraccio folle a Torino del filosofo dell'oltreuomo.
La carrellata di scrittori e letterati raffigurati dalla sempre abile mano di Burrows mi ha fatto riflettere su quanto Lovecraft mi sia stato utile in questi anni non solo come singolo scrittore e filosofo, ma come consigliere di letture e scrittori da scoprire e fare propri: troviamo qui ad esempio il Robert E. Howard di Conan, così come Frank Belknap Long, Derleth, Burroughs, Borges...
Vi sono scrittori auto conclusivi, il cui corpus letterario si chiude in sè stesso; nel caso tuttavia di Lovecraft, caso tanto più pregevole se consideriamo che è un autore di genere, il lettore è motivato a cercare altri testi, altri romanzi, altri racconti. E a rifletterci attentamente, sono davvero tanti gli scrittori a cui mi sono avvicinato perchè avevano collaborato con Lovecraft, o perchè avevano una sfumatura che mi pareva lovecraftiana. Spesso si critica Lovecraft perchè spendeva troppo tempo a scrivere lettere anziché dedicarsi ai suoi racconti e romanzi: tuttavia senza quegli scambi di pagine e pagine di consigli letterari, di riflessioni, di sincere amicizie non avremmo avuto quella base forte di scrittori dell'horror e weird che è poi compiutamente sbocciata tra gli anni '50 e '60.
Qual'è infatti una delle domande più frequenti nei gruppi e nei forum lovecraftiani?
Ragazzi, mi consigliate uno scrittore come Lovecraft?
Ragazzi, mi consigliate un bel romanzo lovecraftiano?
Il lettore, dopo aver letto Lovecraft, è naturalmente spinto a scoprire nuovi autori, nuove opere.
Non è un passaggio così ovvio, così naturale. Tanti lettori con la puzza sotto il naso, che leggono letteratura alta, rimangono legati a quei due autori in croce e raramente se ne distaccano.
E cosa dire degli altri autori fantasy? Non conosco un singolo appassionato della Rowling che chieda di leggere un romanzo rowlinghiano. Nessuno, nei gruppi di fan di Enrico il Vasaio, domanda altri romanzi di quel genere, altre saghe su scuole di magia e urban fantasy (e ce ne sono, eh? Anche migliori...). No, a differenza dei fan di Lovecraft con questi autori l'appassionato si adagia a rileggere ossessivamente i sette romanzi, a imparare a memoria nomi e luoghi, a masturbarsi reciprocamente con nostalgiche rievocazioni dei film e dei libri.
C'è un unico autore che mi sovviene avere una popolarità paragonabile a quella di Lovecraft...
J. R. R. Tolkien, naturalmente. Autori entrambi di mitologie, autori entrambi di opere che affamano chi le scopre di nuove letture, nuovi autori, all'interno di un percorso di crescita, di maturazione, non di rincoglionimento infantile...
As usual, commenti e osservazioni sono i benvenuti.