venerdì 27 aprile 2018

FantaTrieste, di Luigi R. Berto: quando la fantascienza è di casa


Mi sono sempre chiesto se certe caratteristiche, nel bene e nel male, degli autopubblicati siano veramente attribuibili alle edizioni elettroniche o semplicemente riflettano atteggiamenti di chi intraprende questa strada. 

Il libro in questione, “FantaTrieste” (1973), di Luigi R. Berto, è chiaramente un autopubblicato. 

Luigi R. Berto (1913-1983), a volte noto come “Giulio Bert”, è stato un grande scrittore della fantascienza triestina, oggigiorno completamente dimenticato. 
In seguito a una formazione in geologia e mineralogia, tra gli anni '50 e '60 si dedicò con passione all'astronautica e alla fantascienza, divenendo attivo divulgatore delle imprese dei pionieri dello spazio. Pubblicò sul “Piccolo” una storia della fantascienza a puntate, per attirare interesse verso il primo omonimo Festival a Trieste; in seguitò pubblicò numerosi racconti sulla rivista romana “Oltre il Cielo – Missili&Razzi”.
Fondatore per suo conto di un “Centro diffusione scienze astronautiche e tecnologie dello spazio”, intraprese poi la durissima strada dell'autopubblicazione cartacea pubblicando diversi racconti e antologie con lo ciclostile, in seguito inviati agli interessati per mezzo di posta. 
Forse il suo maggior successo di divulgatore fu una mostra organizzata al CCA di Trieste sullo Spazio, con fotografie e modellini, rivolta verso quanto ci si augurava il futuro dell'umanità. 

Negli ultimi mesi sono giunto a conoscenza con un gruppo di scrittori e blogger triestini di fantascienza, chiamato “FantaTrieste”, e nell'ambito di un progettino di scrittura che coltiviamo da tempo ci è sembrato benaugurante recuperare quest'antologia nostra omonima. Fabio Aloisio, finalista all'Urania Shorts 2017 e Robot 2018, è stato così gentile da prestarmi il volume consunto e non sono riuscito a trattenermi dal recensire quest'autentica capsula temporale dal 1973.

martedì 24 aprile 2018

Dungeons & Dragons non è mai esistito


Quando andavo alla scuola media, rimasi affascinato, nella sezione adulti della biblioteca popolare di Trieste, da una lunga fila di manuali riccamente illustrati e rilegati, ciascuno del peso di un dizionario di latino: si trattava dell'edizione del '2000 di Dungeons&Dragons 3.5, Wizards of the Coast
Una serie di titoli enigmatici: Manuale del Giocatore, Manuale dei Mostri, Guida del Dungeon Master.
Mi sono spesso chiesto quale utente della biblioteca abbia approfittato del sistema di richiesta dei libri per ordinare questi giochi di ruolo, oltre a D&D, un'estesa linea di volumi di vampiri e licantropi della White Wolf, “Mondo di tenebra”. 
Li presi a prestito – nonostante la disapprovazione della bibliotecaria – e ci trascorsi un interessante fine settimana. 
Avevo forse dodici? Tredici anni?
L'odore della carta, le illustrazioni, il layout con la pergamena in trasparenza... una quantità di particolari al limite dell'autismo, che tuttavia non detraeva dall'incomprensibilità delle regole.
Letteralmente non capivo come si giocava. 
Avevo afferrato il concetto: master come arbitro, manuale per i giocatori, mostri da cui attingere per i dungeon. Le meccaniche tuttavia erano confuse, si saltava da un argomento all'altro, non si capiva da dove iniziare. Dal semplice manuale non c'era una guida passo per passo, ma una sorta di confusa enciclopedia. Nello stesso periodo giocavo a Warhammer Fantasy VI edizione, ero abituato a tabelle, schemi, liste, punteggi... eppure questi manuali mi suonavano astrusi quanto il peggiore problema di matematica. 
Anni dopo, alle Superiori, giocai a D&D, anche se non sono mai stato un “vero” giocatore di ruolo, preferendo sempre i wargames con miniature, sebbene abbia sempre conservato del ruolo il nocciolo della storia e del background. 

mercoledì 11 aprile 2018

Fantasy senza fantasia, ovvero la maledizione del minimalismo


Due fattori fondamentali concorrono nella scrittura fantasy, accanto alle elementari norme dello stile e della storia: equilibrio e convinzione.

Sono convinto, in quanto blogger e lettore di lunga data, non scrittore, che la qualità di un'opera fantasy dipenda dall'abilità di giocoliere con la quale lo scrittore gestisce gli elementi fantasy al suo interno. Non solamente nell'effetto a catena secondo cui quanto più prevalente è il fantasy, quanto più diventa facile scadere nella contraddizione e nell'improbabile, ma anche nella misura in cui il fantasy viene gestito di per sé stesso. 
Ovvero: si può avere un elemento fantasy considerato seriamente (Tolkien) o a effetto comico (Pratchett). Si può scrivere un libro come Il Signore degli Anelli solo per avere un veicolo con il quale mostrare i propri studi linguistici, o si può procedere a creare un mondo fantasy per dimostrare la propria geniale verve satirica. Il secondo non è più improbabile del primo, né meno erudito. Tuttavia sono forme diverse di approccio al fantasy
Quindi, accanto all'elemento della qualità, andrebbe fatto risaltare il tono del fantasy, quale approccio prediligere. Si può disporre di un elemento fantastico mutuato dalla fantascienza, come con la narrativa di Andre Norton recensita su Heroic Fantasy Italia, o mutuato dalla mitologia, o ancora inventato da zero, o animato da un'ideologia politica di base (China Miéville).


mercoledì 4 aprile 2018

Il ritorno di Eisenhorn: "The Magos", di Dan Abnett


C'è chi desidera saper scrivere bene come Hemingway, saper scandagliare gli abissi dell'animo umano come Dostojevski, terrorizzare il lettore come Stephen King, guadagnare e diventare famoso quanto George RR Martin
Mirare ai grandi, che siano contemporanei o classici, è naturale per qualsiasi aspirante scrittore. 
Ci si forma sui propri autori preferiti, si cerca di imitarli, si desidera il loro successo, il loro riconoscimento. 
Siamo nani sulle spalle dei giganti, anche nell'ambivalenza propria del gigantismo: spesso, dopo anni, questi classici, questi “grandi”, appaiono meno originali e intelligenti di quanto si pensava in gioventù. 
Ad esempio, Neil Gaiman è un grande scrittore. Innegabile. Tuttavia è stato anche uno scrittore estremamente fortunato. Letteralmente, in seguito agli studi, ha trovato impiego come sceneggiatore in seguito alla conoscenza con il dio Alan Moore
Non ha faticato presso case editrici, non ha sputato sangue implorando visibilità, ha semplicemente avuto fortuna. 
Il suo lavoro era notevole, ma così lo erano tanti altri, che pure languono nell'oscurità dell'anonimato. 
Spesso, tra questi “giganti”, il fattore fortuna gioca un ruolo talmente cruciale da disarmare qualsiasi proposito d'imitazione. 
A volte si tratta semplicemente di essere uno scrittore negli anni '80/'90 in un paese in lingua inglese e di scrivere il genere che tutti desiderano leggere. 
Questo non sminuisce il valore di quanto si scrive, né sottovaluta i classici. 
Tuttavia mi domando se non sia il caso di prendere come modello scrittori “medi”, quelli che vengono definiti “mestieranti” e considerare con attenzione come sopravvivono e come scrivono. 
A meno di non essere assoluti geni, siamo più vicini a “loro” che a uno Shakespeare, un Dickens, un Asimov. 

lunedì 2 aprile 2018

Quando Snowpiercer incontra La bussola d'oro: “Above The Timberline”, di Gregory Manchess


Quando iniziò a nevicare, continuò per millecinquecento anni
Lo spostamento dei Poli profetizzato dagli antichi climatologi finalmente avvenne e la topografia della Terra fu rivoltata come un guanto, il clima mutato per sempre. La Terra è ora ridotta a una palla di vetro con la neve dentro, un mondo dove la neve ricopre con il suo uniforme manto ogni cosa, raggiungendo in alcuni casi profondità sconosciute.

Le vecchie nazioni scomparse per sempre, la tecnologia perduta: l'uomo è sopravvissuto a stento, lentamente ricostruendo una civiltà ferma al 1920/30. Aerovascelli sorvolano distese di conifere e barriere di ghiaccio, tribù di inuit predano su carovane di automezzi blindati, aeroplani ad elica esplorano le nuove frontiere. Un nuovo mondo di scafandri per l'alta pressione, di piloti dai giubbotti di pelle, di tecno-nomadi amici con gli orsi polari.