lunedì 31 marzo 2014

Chiedo tanto?


Qualche anno fa, quando leggevo di dungeon master disperati perché non trovavano un luogo adatto per le sessioni di ruolo con i giocatori fellow, ridevo. Nel senso: trovavo che fosse un'esagerazione, che non si trovasse un luogo tranquillo dove giocare. Insomma, una città di medie dimensioni dovrebbe avere per forza un cazzo di luogo tranquillo dove starsene a leggere, scrivere o chiacchierare.

Devo invece ammettere che non è così. Io non sono un dungeon master, ma ultimamente quando devo trovare un luogo tranquillo dove scribacchiare in santa pace, sono sempre più in crisi (e non solo economica).

Andiamo con ordine.

Tutt'ora, scrivo a casa. Il mio portatile non è portatile affatto, se non “con grande dispendio di forze ed energia”. Di scrivere a mano non se ne parla: ritrascrivendo tutto sul computer stravolgo sempre come minimo l'ottanta per cento di quanto avevo già scritto a mano, impiegando come minimo il triplo di quanto normalmente starei a comporre. Uno spreco totale.
Il problema è che... A scrivere a casa, fra Parentame vario trovare la giusta concentrazione è praticamente impossibile. Non si può. Questo brutto articolo lo sto scrivendo in una pausa in cui (Alleluja!) si son levati tutti dai coglioni, e stranamente la casa è silenziosa. 
Ma normalmente c'è più chiasso qui che al mercato di Costantinopoli.



Passiamo al piano B: Biblioteche.
Scrivevo nella biblioteca popolare e tutto andava bene. Fino a qualche mese fa; quando cambiata gestione, scomparse le vecchie bibliotecarie che conoscevo le hanno rimpiazzate con grassone indolenti e inutili (tanto più che il prestito è ormai elettronico, ordunque hanno decisamente esaurito la loro già magra funzione). 
La fila di computeroni anni novanta style sono stati etichettati, catalogati, muniti di connessione Internet: per cui al momento è possibile accedervi solo dopo trafila burocratica che prevede registrazione, password, nuova registrazione e altre cazzate varie. Puoi restarci solo un ora, o giù di lì (una miseria, per chi scrive) e teoricamente puoi usarli solo per navigare su Internet. In alternativa, cinque computer sono stati riconvertiti per guardare film... E nient'altro. Ne ho acceso uno, ed ero lì che pacificamente correggevo un capitolo sanguinosissismo di Katherina quando una quarantenne obesa mi ha fatto segno che no, lì non potevo stare assolutamente perché sono computer solo per visione di video, e nient'altro. Faccio notare che altri tre computer erano liberi, ma la pervicacia teutonica di servire la legge evidentemente scorreva forte in lei.
Ah, per la cronaca: doveva guardare Twilight (sic).

Ho lo stesso carattere di un Nano fantasy di basso livello, compreso amore per l'oro e rancori che perdurano secoli e secoli per cui ho depennato la biblioteca dalla lista. Non ci andrò mai più.

Che resta?

venerdì 28 marzo 2014

Ultima, di Carlo Vicenzi - steampunk post apocalittico


Ultima è, letteralmente, l'Ultima città. 
In un futuro post apocalittico dove l'umanità è regredita a "bastoni e pietre" dopo un conflitto nucleare, una piccola città nel nucleo dello scarpone italico è sopravvissuta, formando una rozza caricatura di una società vittoriana. Classista, crudele, spinta da una tecnologia a vapore oliata più dal sangue che dall'olio di macchina. Ogni quartiere rappresenta un mondo a parte, in termini videoludici una gilda con le sue caratteristiche, le sue peculiarità e vantaggi... Ogni quartiere gareggia per avere il diritto di governare la città nel Palio delle Contrade, una competizione sportiva ultraviolenta che sancisce di anno in anno quale Contrada guiderà la città. Ma in questo fragile equilibrio qualcuno ha scelto di giocare più sporco del solito...

La scrittura di Carlo Vicenzi è incalzante. 
Dovessimo affrontare un testo proveniente dalla tradizione anglosassone, non calcherei più di tanto la mano su quest'aspetto: ma è per una volta bello affrontare un romanzo in italiano di una piccola casa editrice che presenta chiaramente una narrazione senza fronzoli eccessivi, metaforone o maledette catene di avverbi. Non so se sia merito di Carlo Vicenzi, o dell'editing di Mauro Saracino: in ogni caso il romanzo è fluido, senza scarti, con qualche lungaggine di troppo solo nel finale eccessivamente strascicato.

L'incipit parte con il protagonista Demetrio Deisanti che nel corso dell'ultimo palio giunge a ferire mortalmente un suo contendente: qualcuno ha manomesso la sua asta, sabotandola con una lama celata. Condannato già nel primissimo paragrafo, torturato, esiliato dalla cerchia di appartenenza: un reietto, insomma.
"Appena le ferite si chiusero venni gettato in strada, come spazzatura. I miei vestiti erano ridotti a stracci, le gambe non mi sostenevano. Usai un'asse di legno trovata in un vicolo per camminare, diretto al rione dell'ovest. Per strada, la gente non aveva pietà per me, solo disprezzo.
I marciapiedi in marmo della grande strada maestra erano calpestati da migliaia di persone, mentre al centro si muovevano eleganti carrozze a vapore. La città era attraversata da rotaie su cui transitavano grossi mezzi pubblici carichi di lavoratori e cittadini. Zoppicai fino a una fermata e cercai di salire su un vagone.
Un ragazzo di non più di vent'anni mi si parò davanti.
<< Tu non puoi salire, merda Senza Cerchia. >>
Con uno spintone mi fece cadere a terra, tra i passanti. Il mezzo partì sbuffando, allontanando le risate di quel figlio di puttana. Non avevo nemmeno fatto in tempo a vedere a che Contrada appartenesse."

martedì 25 marzo 2014

Medicina in Giappone dal X secolo al Periodo Edo



La medicina è una scienza utile, ma per quanto sia evidente anche a un masochista quanto sia fondamentale, ha avuto una storia dura. Capire come funziona il corpo umano non è cosa da videocassetta, specie se vivevi nel Giappone medievale.

Il più antico trattato di medicina giapponese è Ishinho: scritto da Yasuyori Tamba nel 982 d.C. è lungo trenta pagine ricche d' informazioni su malattie e relativi trattamenti. Gran parte delle conoscenze elencate sono già presenti in testi cinesi precedenti: le illustrazioni che presento provengono invece da una copia del libro effettuata nel 1860.

  Ma quant'è bello avere un figlio!  ♪ ♫


Nel quattordicesimo secolo il monaco Majima Seigan ebbe un terribile sogno in cui Buddha gli rivelava come curare le malattie agli occhi. Quando si svegliò la mattina seguente, Majima vagò fino alla statua di un Buddha in un tempio, dove trovò un libro misterioso pieno di rimedi per curare gli occhi: il primo manuale di Oftalmologia giapponese, recapitato dai droni di Amazon da Buddha in persona. Il monaco si diede alla medicina itinerante da quell'episodio. Molte copie del suo trattato risalgono al XVII secolo.

 

venerdì 21 marzo 2014

Il battesimo del fuoco, di Andrzej Sapkowski - Finalmente il seguito!


In Italia, il nome di Sapkowski è indissolubilmente legato al successo del primo videogioco polacco di ruolo, The Witcher, che riprendeva e approfondiva una delle tante storie di questo cacciatore di mostri, il Witcher, appunto, Geralt di Rivia. La traduzione dal polacco è partita con il Guardiano degli Innocenti nell'ormai lontano 2010, proseguendo con la Spada del Destino, che raccoglieva forse i suoi migliori racconti per inaugurare poi una serie di lungo respiro, che inserisce Geralt di Rivia in un contesto socio-politico che porta a domandarsi se il mostro sia il Drago o il Politico.
La risposa è ovviamente scontata.

Il battesimo del fuoco
Ne Il tempo della Guerra, Geralt aveva fallito: Ciri, ragazzina dai grandi poteri magici cardine di una profezia elfica e ultima erede del trono di Cintra è scomparsa, dispersa a Nilfgaard, mentre l'imperatore di questo regno del male usa una bambina fantoccio per affermare la supremazia.
Geralt, profondamente mutilato dallo scontro sanguinoso a Thanedd, guarisce le sue ferite nel bosco delle driadi, Brokilon. Continui incubi che attentano alla vita di Ciri gli impediscono di darsi pace, fino a quando, zoppicante e aiutato da Milva, un'arciera umana allevata dalle driadi, Dandelion Ranuncolo e altri pittoreschi personaggi, decide che è tempo di una missione di salvataggio.

Sotto molti aspetti Il battesimo del fuoco è un balzo in avanti, rispetto al Tempo della Guerra, che nonostante fosse una piacevole lettura, decisamente in alcuni tratti arrancava. 
In primo luogo, Nilfgaard, potenza che Sapkowski stesso ha definito nazistoide, muove all'assalto dei divisi regni del nord. Il viaggio di Geralt verso Ciri diventa pertanto un'avventura in una terra di nessuno flagellata da eserciti in conflitto.
Il clima di fragilità, violenza e disordine è reso efficacemente, anzi; domina la storia. Scorribande, conflitti occasionali e saccheggi sono un'utile trovata narrativa che mantengono il romanzo sempre sul filo del rasoio. Non c'è svolgimento lineare e dietro ogni angolo, ogni voltare di pagina c'è l'ombra di un combattimento. 
Il tasso di azione, di eventi casuali, aumenta.

"Erano diretti a est, tra il fuoco e il fumo, tra la pioggerella e la nebbia, e davanti ai loro occhi si dispiegava l'arazzo della guerra. Quadri.
Il quadro dell'asta di un pozzo che sporgeva come un grosso frego nero tra le rovine di un villaggio incendiato. All'asta era appeso un cadavere nudo. A testa in giù. Il sangue uscito dall'inguine e dal ventre massacrati gli era colato sul petto e sul viso, e ormai rappreso, gli pendeva dai capelli come tanti ghiaccioli. Sulla schiena del cadavere si vedeva la runa ard. Tracciata con un coltello.
<< Un an'givare >>, disse Milva allontanando i capelli bagnati dalla nuca. << Gli Scoiattoli sono passati di qui. >>
<< Che cosa significa an'givare? >>
<< Delatore. >> "


lunedì 17 marzo 2014

37 Days- In corsa verso la catastrofe della Grande Guerra


37 Days, letteralmente 37 Giorni, è una serie tv della BBC che comprende tre episodi della lunghezza di un'ora ciascuno, articolati in un più ampio progetto volto a sensibilizzare la popolazione a interessarsi ai retroscena della prima guerra mondiale, nel contesto del centenario 1914-2014.
Abbiamo bombardato la Libia nel 1912 e siamo tornati a bombardarla nel 2012, una guerra europea è scoppiata nel 1914 e ora nel 2014 un nuovo Tzar muove i suoi soldatini di piombo. Se dovessimo credere alla storia che ripete sé stessa del filone revisionista di Furet, si direbbe che il 1917 Oops il 2017 sarà un anno molto, molto interessante... Ma sto divagando.

Il poco simpatico Gavrilo Princip
37 Days si propone dunque di concentrare la lente focale su questo maledetto problema delle cause e vuole mettere in luce gli aspetti finora considerati di minor interesse cinematografico: rapporti diplomatici, burocrazia, intrallazzi fra politici e parlamentari.
L'azione segue le spalle di un giovane assistente del diplomatico inglese Edward Grey, incaricato di dover sostenere il ruolo dell'Inghilterra dapprima nell'assassino dell'Arciduca Francesco Ferdinando, in seguito costretto negli ingranaggi sempre più intrincati della Triplice Alleanza e della Triplice Intesa, che lentamente lo stritoleranno portandolo a supportare la Francia in una piena guerra contro la Germania.

Il secondo protagonista si trova invece sull'altro fronte; è un giovane assistente del Cancelliere Bethmann-Hollwegg che fedelmente accompagnerà l'entrata in guerra del Kaiser, inizialmente interessato più a una guerra contro la Russia che contro la Francia e in seguito incoraggiato da Moltke e dal suo pallino per “La guerra totale”.

Chiariamo fin da subito: non è la serie migliore della BBC.
Riesce nell'intento di raffigurare il caos di misunderstandings, piccole rivalità e orgogli provinciali che portarono allo scoppio della guerra. Paradossalmente riesce a mostrare quanto la nozione di “causa” in storia sia eccezionalmente sopravvalutata. Non c'è un singolo personaggi che non sia pedina di una catena inarrestabile di eventi che lo costringono in un angolo, generando di fatto scelte obbligate, in cui Onore e Raziocinio centrano ben poco. Il laccio si chiude e nella fine del terzo episodio un pacifista convinto quale Edward Grey diventa il più convinto sostenitore del conflitto. Non c'è altra scelta, se non rifiutare la scelta stessa, e dimettersi dall'incarico, come faranno altri membri del Cabinet.

Ian McDiarmuid.
You know, Crowe, you should really take up cricket.
It teaches one an awful lot about life!
La parte “inglese” della serie funziona bene, mescolando dialoghi ben scritti a un'ambiguità di fondo che di tratto in tratto viene lasciata riaffiorare. La Serbia oppressa? Una tragedia, ma in fondo tanto diversa dall'Irlanda? In entrambi i casi abbiamo un impero che opprime: l'Austria/ Impero Britannico. E una nazione ingiustamente oppressa: Serbia/Irlanda. Viene inoltre colta molto bene quanto poco “Europea” venisse sentita la Russia: lo Tzar è una figura minacciosa per tutti, Nemici&Alleati, un Tiranno con a disposizione migliaia su migliaia di uomini, letteralmente milioni da gettare all'attacco. E' quanto sbaglia chi scrive Steampunk: il Kattivone se volete davvero restare fedeli alla mentalità vittoriana dev'essere la Russia. Nonostante fosse in realtà molto più debole di quanto all'epoca si ritenesse, era la Russia la potenza che nel passaggio di secolo si temeva “dominatrice”.
I prussiani d'accordo, pericolosi, industriosi: ma erano i cosacchi l'autentico terrore.

martedì 11 marzo 2014

Cara oggi niente Van Gogh per pranzo, che dopo mi resta sullo stomaco...


L'iniziativa è partita dalla raccolta fondi della società inglese non-profit Art Fund, che ha lanciato il bando per il progetto Edible Masterpieces, letteralmente Capolavori che si possono mangiare, masticabili. 
L'idea è di costruire riproduzioni di opere d'arte in miniatura utilizzando materiale commestibile, alla base, in modo che all'occorrenza, dopo averli creati possano servire come deliziosi dessert. L'iniziativa non è originalissima, e come il sito Hyperallergic osserva, “pasti” del genere erano già popolari al Caffè Blue Bottle del museo di Arte Moderna di San Francisco.

In composizioni con miniature di piccoli visitatori a dare il senso delle dimensioni alcune di queste raffigurazioni valgono un'occhiata. Il dolcetto Pollock richiede

“splash[ing] the four colours [of icing] over the cake until you are satisfied that you have done Pollock justice, or maybe even out-done him.”

" schizzare i quattro colori sul tortino fino a quando non ti sembra d'aver fatto giustizia a Pollock, o addirittura ti sembra d'averlo superato in foga "

Un Pollock assai originale... :D

venerdì 7 marzo 2014

Giochiamo al piccolo cultista? - Kingsport Festival


In altri tempi, dichiarare il proprio amore per H.P. Lovecraft era un atto temerario.
Le reazioni erano principalmente due: la “scrollata di spalle” di chi non conosce e non vuole conoscere (Lovecraft! Chi era costui?) e nel caso peggiore il disprezzo del lettore intellettuale, che rifiuta di considerare qualsiasi cosa non sia puro mainstream (Lovecraft? Poe? Una lettura malata, di “genere”: per lettori imbambiniti cui piace alimentare perversioni malate).

Lovecraft nell'immaginario Pop americano è penetrato tuttavia da un pezzo, spinto da quell'irresistibile Gioco di ruolo che risultò essere Call of Cthulhu, diffondendosi poi su Internet a macchia d'olio, in forme sempre più stilizzate; slogan Cthuloidi condensabili in pochi elementi facilmente riconoscibili dai diversi “fan”.
In questo processo, un 80% dell'H.P. Lovecraft originario è andato desolatamente perso.
Cthulhu stesso è un amalgama riconosciutissimo di elementi che difficilmente erano tanto “dogmatici” nell'opera originaria: la silhouette a dinosauro, il barbaglio di tentacoli alla bocca, il colore verde squamoso della pelle. Sono elementi tanto codificati che metterli in discussione esporrebbe al ludibrio, eppure basti guardare agli anni ottanta, e più nello specifico allo Speciale Lovecraft dell'Ottobre 1979 dell'Heavy Metal Magazine per rintracciare una ricchezza e un'inventiva che vengono oggigiorno eliminate. 

Nei giochi da tavolo, o nel surrogato ora più diffuso, il videogioco, i Miti di Cthulhu hanno molto sofferto per quest'ambiguità di base, questa tensione fra il pessimismo dell'opera originaria e la tentazione del pastiche fracassone. Come analizza magistralmente Matteo Poropat nel saggio “I giochi di Cthulhu”, il genere più volte ha subito la furia unidirezionale dello Sparatutto classico e solo in rari casi, sono state sperimentate soluzioni in grado di calcolare Salute mentale e Paura del personaggio, dando bene l'impressione della “passività” del protagonista giocante di fronte alla minaccia aliena. E' il caso della Frictional Games, che aveva già un suo predecessore spirituale nell'ottimo Dark Corners of the Earth.

Un giro su Kickstarter evidenza bene l'attuale bipolarismo del gioco lovecraftiano attuale, continuamente preso da roboanti dichiarazioni di amore nei confronti dell'opera “originaria” ma sempre pronto a snaturarla con passo deciso, picchiando nell'unica direzione che garantisca un congruo numero di clienti: azione sfrenata, tanti dadi, eventi casuali. Sconfiggere Nazisti alleati con gli Uomini-pesce di Dagon, abbattere con raffica di missili teleguidati un Cthulhu-Godzilla che infuria a New York. Meccaniche soddisfacenti, dall'azione caciarona; ma sotto sotto giochi di una ripetitività straziante.

Così, quando l'occhio (il tentacolo?) mi è caduto su Kingsport Festival, ennesimo gioco da tavolo dall'ennesimo sfondo Cthuliano, non ero entusiasta. Fino alla sinossi, almeno (pagina facebook):