mercoledì 23 marzo 2016

Anatomia di un racconto


Ultimamente, in attesa delle istruzioni per un'antologia di racconti, mi sono impuntato a voler partecipare a un concorso di cui ho trovato il bando sulla bacheca della biblioteca universitaria.
Quel genere di concorsi letterari su temi di attualità, in questo caso frutto della collaborazione di enti sia italiani che sloveni, che croati.
E' chiaramente impossibile che vinca, per il semplice fatto che ho scelto di scrivere una storia di fantascienza e di solito in questo genere di concorsi vince sempre l'opera mainstream che parla di “cose vere”. Tuttavia, mai lamentarsi: il premio è consistente, l'argomento piuttosto libero, la partecipazione gratuita. Magari ne leggessi più spesso negli avvisi dell'Università!

Inoltre, il processo di scrittura del racconto stavolta è stato anche più fluido del solito e ne sono rimasto molto soddisfatto. Non del contenuto, o della qualità del racconto inviato, ma del modo con cui l'ho redatto, rispettando le scadenze da me imposte. Il processo ha seguito delle tappe talmente scandite da sembrare un orologio svizzero. Le riporto nel caso vi possano interessare, o nel caso ne possiate trarre consigli utili. Ci tengo a puntualizzare che ho scritto l'intero racconto controvoglia, odiandone ogni passaggio e senza la benché minima scintilla di ispirazione; eppure se confronto un passaggio di questo racconto con un altro in cui mi sentivo divinamente ispirato ne io, ne il mio paio di lettori beta riusciamo a spiegarvi la differenza. Traetene le conseguenze che volete...



lunedì 21 marzo 2016

Bug Hunts!


La Osprey negli scorsi due anni, nonostante una certa opposizione dei vecchi barbogi, ha lanciato diverse nuove serie che la smarcano decisamente dall'ambito della storia militare e delle uniformi cui è di solito associata. Accanto al successo di Frostgrave, dimostrazione che c'è ancora spazio per giochi di schermaglie tradizionali sul modello del mai troppo compianto Mordheim, si è data da fare a promuovere sia giochi da tavolo in scatola che manuali per schermaglie con le miniature.
Tra i tanti progetti, di particolare interesse è la serie Dark Osprey, rivolta a quel genere di argomenti che si vorrebbe trattare scientificamente, ma che l'appassionato sa in fondo appartenere al campo speculativo più sfrenato.
La Osprey in tal senso ha commesso un'autentica eresia per chi odia il “fantastico”: nella serie Dark Osprey ha scelto infatti di trattare argomenti immaginari con uno stile, una documentazione e sopratutto delle immagini il più possibili realistiche; in altre parole, ha scelto di applicare la veridicità storica e gli strumenti essa correlati ad argomenti di cultura geek.
E' solo una mia intuizione, ma ritengo che i lettori delusi da queste scelte che definiscono “facile marketing”, siano gli stessi che criticano il fantasy e la fantascienza perché storie “inventate” rispetto al realismo del romanzo storico. Se non fosse che il romanzo di storia stesso è alla fine un'opera di finzione, poco importa quanto accurata e maniacale sia la ricostruzione in atto, protagonisti e vicende restano a ogni modo inventate, a meno che tu non rediga una biografia... Andrebbe anche aggiunto che non c'è alcuna barriera invisibile che impedisce di usare la metodologia delle discipline umanistiche per trattare argomenti di fantasia, o che ugualmente impedisca di sfruttare le proprie conoscenze scientifiche per scrivere hard sf. Quest'uso “giocoso” di quanto si è imparato può irritare, ma è non ne scorretto, ne illegale.
Ma come sempre, sto divagando...

lunedì 7 marzo 2016

J. R. R. Tolkien: Autore del secolo, di Tom Shippey.


Difendere Tolkien vuol spesso significare difendere il Medioevo: i critici favorevoli all'autore anglosassone se non percorrono il viottolo spicciolo dell'interpretazione cattolica, preferiscono il rurale, la campagna, quel medioevo certo così violento, eppure così incontaminato.
In realtà, è Tolkien stesso a specificare nel Signore degli Anelli il suo amore per gli oggetti creati dall'uomo, per le invenzioni belle, ma ingegnose, per l'artigianato così come per l'industria.
Gli anelli magici, che siano elfici, dei nani o degli uomini sono in primo luogo tecnologie, manufatti di artigianato che vengono creati e forgiati grazie all'abilità di un artista inventore, quale Celebrimbor.
In occasione del compleanno di Bilbo, i giocattoli dei nani sono considerati “meravigliosi”, al punto che i giovani hobbit “scordavano di mangiare”, perché sono oggetti di natura meccanica. Come chiaramente spiega il narratore onnisciente, la grande capacità ingegneristica dei nani permette giocattoli semoventi, parzialmente automatizzati.
Saruman, in tal senso, non è cattivo perchè usa la tecnologia; al contrario, perchè la usa eccessivamente, sfruttandola all'esagerazione, pervertendola allo solo scopo militarista.
E' l'(ab)uso della tecnica, l'incriminato per Tolkien.
Tom Shippey, in J. R. R. Tolkien autore del secolo (XX, si intende...) argomenta in modo magistrale questo punto:
La prima interpretazione è sicuramente l'ingegnosità meccanica, un artigianato che si trasforma in abilità ingegneristica. Barbalbero dice di Saruman che ha “un cervello fatto di metallo e ingranaggi”: i suoi orchi impiegano una specie di polvere da sparo al Fosso di Helm; e in seguito usa contro gli Ent qualcosa di molto simile al napalm, forse (secondo le memorie belliche di Tolkien) un Flammenwerfer. Dal punto di vista etico tutto questo potrebbe rimanere neutro, e Tolkien ha sempre avuto nella sua vita una forte simpatia per i comportamenti creativi (si pensi alla forgiatura dei Silmaril e “l'amore per le cose belle costruite dalla mano e dall'ingegnosità e dalla magia”, il “desiderio dei cuori dei nani” che Bilbo comprende per un istante ne Lo Hobbit).

martedì 1 marzo 2016

Providence 02: The Hook, di Alan Moore. Annotazioni, analisi e traduzioni.


Sono da tre mesi che leggo Providence nella edizione in volume proposta dalla Panini Comics, che raccoglie le prime quattro storie di una serie di dodici tutt'ora in svolgimento.
E continuo a sorprendermi.
Sono come un minatore con una piccozza e una lanterna, che scoperto un filone continua a scavare, e scavare e scavare... all'infinito. Esagero, ma la quantità di materiale che è possibile trarre anche solo da questo secondo numero di Providence, The Hook, è incredibile.

L'elemento orrorifico, inteso come spavento puro e semplice del lettore, è presente: anche a una lettura sfogliata, disattenta, saltando qui e lì le nuvolette di dialogo, si fanno di certi balzi sulla sedia... Lo spavento non è confinato a un elemento splatter, che pure con Burrows funzionerebbe assai bene, ma attraverso l'uso delle vignette, i contorni (!) delle stesse, i giochi di luce, le inquadrature. 
A differenza di molti suoi colleghi, Moore semplifica (nella sua complessità) la sua composizione della tavola: vignette orizzontali, classiche, quattro per pagina nei momenti di “calma”; vignette verticali, squadrate, tre per pagina nei momenti di “inseguimento del mostro”.
Almeno a livello personale, trovo che ci sia tanto da imparare in una scenografia così attenta sommata però a una simile semplicità di vignette.

Ovviamente, giunto con grande difficoltà a redarre e tradurre dall'inglese questo secondo numero di Providence, The Hook, mi è difficile dire che Providence sia “facile”.
Certo che non lo è.
Richiede tanto dal lettore, sia in attenzione che in cultura.
Richiede, obbligatoriamente, di conoscere Lovecraft e i suoi racconti, per lo meno nella sua ultima versione pop degli ultimi anni.
Richiede, obbligatoriamente, di accettare un fumetto molto “verboso” che alterna paragrafi di pure spiegazioni a passaggi del tutto “visivi” senza nemmeno un'onomatopea.
Richiede, non è fondamentale ma quasi, di aver letto il racconto cui di volta in volta Alan Moore si basa per la sua avventura: nel caso di The Yellow Sign, Aria fredda, in questo The Hook, L'Orrore a Red Hook.
Richiede di fare qualche ricerca via Internet, o per lo meno di leggere le note dei fan inglesi, come per Jess Nevins e la Lega, a costo di avere dettagli della storia che restano insoluti.

Tuttavia, se queste condizioni sembrano restrittive, al contempo non c'è momento migliore per attuarle: la Rete permette di aggiornare le annotazioni e le osservazioni dei critici all'istante, gestendo un lavoro di gruppo da parte dei fan impensabile negli anni '80 e '90.
Inoltre, mai Lovecraft è stato così popolare: che un'occasione del genere si ripresenti è difficile, probabilmente siamo negli anni migliori per lanciare sul mercato un fumetto del genere (e di genere) e sperare venga recepito, compreso e apprezzato dal pubblico.

A proposito di questo secondo numero di Providence, The Hook, valgono le spiegazioni già date in The Yellow Sign, che se non avete letto vi consiglio di fare: le citazioni che traggo da Lovecraft provengono dai Grandi Tascabili Economici Newton, le annotazioni sono tradotte dall'incredibile sito di appassionati inglese, Facts in the case of Alan Moore's Providence
La numerazione delle pagine segue dalla copertina delle rispettive storie, in poi: la copertina di Hook è pagina 0, la pagina che segue pagina 1 e così via.
Se la guida vi è stata utile, condividetela e passatela a chi sta per leggere (o rileggere) Providence...
Se ci sono errori, commentate direttamente sotto, ho perso diversi Punti Follia per scrivere certi nomi “lovecraftiani”...


The Hook