lunedì 29 dicembre 2014

Lancia in resta verso il 2015!


Per i blogger il Natale è una gran festa di statistiche, resoconti dell'anno appena trascorso, masturbazioni sui migliori post dell'anno senza dimenticare i listoni nello stile del catalogo dell'Ikea su cosa comprare, su cosa evitare, su cosa boicottare, su cosa dovete-assolutamente-avere.
Per carità, è normale. 
E' normale voler tirare le somme, così com'è normale voler prendere posizione a tutti i costi su quello, o quell'altro argomento. Quindi via di post – non darei loro la dignità di articoli – sul perché il Natale è una festa consumista, sul perché non lo è, sul perché il Natale può essere festeggiato solo se sei 100% purissimo cattolico maschio bianco benestante. Senza dimenticare le consuete apologie del regalo, dal ricatto morale al rimprovero della povertà (sei tirchio, allora? Sei tirchio?? Sei tirchio???).

Un blog microscopico :(
Da giugno/luglio 2014 ho cambiato marcia al blog. 
I due migliori rappresentanti di questo cambiamento sono le due guide di Jess Nevins, tradotte e rielaborate per renderle un minimo comprensibili a tutti. Jess Nevins, nel suo ambito, è un uomo geniale. Tuttavia le sue guide sono brutte&scomode: niente più che annotazioni a margine redatte su un foglio bianco, arricchite e occasionalmente corrette da un grande stuolo di esperti e fan.
La pubblicazione della guida in occasione programmata con la pubblicazione dell'edizione italiana di Nemo, le rose di Berlino è stato un buon esempio di quel genere di serietà che mi piacerebbe replicare. Articoli scritti perché servano anche ai lettori, che non si limitino a un – sacrosanto, intendiamoci – catalogo di punti di forza e difetti. La traduzione dal tedesco delle vignette è stato linkato da due diversi forum di fumetti e in generale sono piuttosto soddisfatto dal risultato complessivo. Ringrazio a questo proposito Magoz, del forum comicus.forumfree.org. (Aggiornamento 30/12/2014 Sono riuscito a trovare anche il secondo Forum! E' www.dcleaguers.it/forum. Ringrazio l'utente "Paolo Papa" per il link). 
In agosto, mentre studiavo&sudavo sotto un sole cocente, mi sono messo sotto a programmare il blog per settembre/ottobre 2014. Abituato a pubblicare articoli “sul momento”, mi sembrava una cosa assurda, ma statistiche e commenti mi hanno smentito. L'articolo su Harry Potter è stato un buon colpo, sebbene sconfiggere la fan base della Rowling sia impresa degna di un Titano.
Ho anche ricevuto il mio primo commento trollone! ^___^



Le mie critiche a Harry Potter non sono tuttavia di carattere tecnico, ma squisitamente filosofico. Mi piacerebbe definirmi Mooriano, nel senso che alla rilettura delle avventure del quattr'occhi magico ho alternato la rilettura della lega degli straordinari gentlemen (2009) che mi ha decisamente influenzato in stesura di recensione. Ovviamente citare Alan Moore non va più di moda da quando ha dichiarato la sua avversione per i supereroi, quindi suppongo conti poco...
Per altro Harry Potter ha grandi pregi, che sarebbe stupido negare. “Demolire” un libro non era e non è nelle mie intenzioni, la demolizione lasciamola alle costruzioni in muratura...

L'articolo su Ufo Robot Goldrake è stato un altro gran bel successo. L'ho scritto in agosto, più volte riscritto e incredibilmente pur essendo un articolo lungo (orrore!), con poche immagini (doppio orrore!), con citazioni lunghe un braccio (triplo orrore!) ha raccolto 56 mi piace nei due giorni di pubblicazioni. Non mi era mai successo di vedere il pollice di Zuckenberg salire tanto velocemente.
Non l'ho spammato da nessuna parte e non conosco nessuno di quei 56 mi piace, per cui vi ringrazio, misteriosi condivisori. Per altro, alcuni mesi dopo l'articolo è stato anche citato come fonte affidabile da Riccardue in una discussione sul venerabile forum GoNagaiForumfree!

Ma forse l'articolo che stranamente più mi ha soddisfatto quest'anno è stata la recensione dell'ottimo saggio su Bioshock di Filippo Zanoli. Senza dubbio devo recuperare altra saggistica videoludica dalla collana Ludologica – per il momento quello che ho letto mi ha soddisfatto molto.
L'articolo è stato segnalato sul sito ufficiale dal Bittanti (“un blogger triestino”), segnalazione che assolutamente non mi aspettavo, ma che mi ha fatto molto piacere. Per chi legge il blog da un po' il mio fanboyismo per il Bittanti non è certo una novità, quindi capirete la mia soddisfazione.

Pensando alle letture dell'anno appena trascorso mi viene da dire che il livello si è mantenuto sulla media. Di romanzi fantasy e di fantascienza ho letto tanta bella roba, nulla tuttavia di eccezionale. Questo non dev'essere per forza un male; preferisco leggere tre libri buoni e un libro brutto, che tre libri brutti e un capolavoro. Non so se rendo l'idea. Certo, nulla vieta di leggere quattro capolavori e nessun libro brutto, ma in quel caso vi auguro tanta fortuna. 
Di fantasy continuo ad apprezzare la traduzione di Sapkowski, che ricordiamocelo prima di criticarlo a testa bassa, è disponibile altrimenti solo in polacco. Dunque prima di azzoppare le vendite recensendolo negativamente solo per sentirsi “fighi” pensateci un attimo, grazie. Se negli ultimi libri il fascino del folklore polacco è scomparso a favore degli intrighi politici alla Gheim ovv Tronss, il nuovo capitolo della serie dovrebbe ripristinare gli equilibri già dal titolo, La Torre Della Rondine.

Dovrebbe concludersi questa primavera – e se la Bao sarà veloce nella traduzione in estate per noi – la trilogia dei “libretti” di Janni Drakkar, la figlia di Nemo. Una piratessa anziana intraprende un ultima avventura in Amazzonia, tra nazisi Oops, intendevo Tomaniani! Secondo Moore sarà il fumetto avventuroso per eccellenza. Non credo sarà nulla di che, come non era nulla di che Nemo, le rose di Berlino, ma rimango terribilmente curioso.

Quest'anno ho provato pochissimi videogiochi. 
Mentirei se dicessi perchè troppo impegnato con lavoro o studio. La verità è che il salto generazionale delle nuove console ha definitivamente superato il mio portatile, che nel frattempo avrebbe anche bisogno di una nuova batteria e probabilmente di chissà quante altre cose. Di conseguenza sono riuscito a giocare solo roba indie, scoprendo tuttavia perle che non avrei altrimenti considerato. Ricordo con soddisfazione Banner Saga, Transistor e le diverse serie della Telltale. Il premio tuttavia lo do senza problemi a This War of Mine, che è un videogioco da evitare se depressi, ma da provare assolutamente se si vuole qualcosa di diverso. 
E' incredibile come con una semplice struttura da casa di bambole e un gestionale attento con luci e ombre gli sviluppatori siano riusciti a impattare emotivamente sul giocatore in maniera devastante. Stando ad alcuni articoli che ho letto, sia in Shadow of Mordor, sia in Watchdogs si è finalmente riusciti a togliere “l'anonimo” dal volto del nemico ucciso, che assume pertanto una sua (debole) personalità. L'uccisione del nemico così non si limita al superamento di livello, o alla ricompensa (quanti punti esperienza?) ma cerca di far capire al giocatore le conseguenze del suo atto. A mio parere è un punto importante, che non è detto sia per forza disgiunto dal videogioco. In This War of Mine il combattimento porta sempre al lutto e inevitabilmente alla tragedia. Eppure, si è costretti al combattimento... Se si vuole sopravvivere. Il gioco di conseguenza mostra chiaramente che non sopravvivono i buoni, ma i più adatti alla sopravvivenza, che spesso sono manipolatori, assassini, malviventi. La guerra sui civili di conseguenza diventa terribile non solo per i suoi effetti più banali – uccisioni, fame, bombardamenti – ma per quanto i civili sono costretti a fare per sopravvivere.

La saggistica si è rivelato quest'anno invece ricca di letture interessanti. Non credo d'aver mai letto per puro interesse personale così tanti saggi, pertanto raramente annoiandomi. Non dispongo ancora di sufficienti testi per buttar giù una personale bibliografia sull'Austria-Ungheria, ma ci vado vicino.
Scoperta singolarissima inoltre Alain de Benoist, sostanzialmente attraverso la segnalazione di un professore che ne ha parlato tanto male da spingermi a leggerlo. Quello che si dice un'azione controproducente! De Benoist è riuscito nell'impresa unica di spiazzarmi: è davvero difficile classificarlo in categorie precise. E' un filosofo interessato maggiormente alle idee che alla loro posizione culturale o politica. Una posizione che l'ha portato ad alcune fusioni singolari, che suonano “strane” culturalmente, ma che sono sensate sul piano razionale. Attualmente ad esempio è approdato su posizioni terzomondiste che l'hanno felicemente emarginato anche dagli ultimi conservatori che lo sostenevano – rimane nel suo limbo incompreso, allegramente citato a sproposito. 

Prendiamo ad esempio “Come si può essere pagani” il suo testo che finora mi è piaciuto di più. Scritto nel pieno del suo Nietschianesimo è un saggio formidabile intellettualmente, ma con cui a tutti gli effetti smerda un po' tutti: i neopagani vengono ridicolizzati, i liberali pure. Ma il testo assume una posizione antagonista proprio contro i cristiani – è un testo che Nietzsche approverebbe nel senso che pone l'uomo con le sue potenzialità al centro di tutto, rifiutandosi testardamente di sminuirlo, di togliervi potenza per darla a qualcun'altro, in quest'ovvio caso a un Unico Dio. Gli dei greci provenendo dal mondo non vi sono estranei, come non sono estranei all'uomo: sono dei umanizzati, che considerano l'uomo come una creazione che può liberamente giungere a eguagliarli, se non detronizzarli. Non c'è nessuna posizione fissa, ma un continuo scorrere di forze, come direbbe Eraclito. E' una mia idea che de Benoist con questo saggio si è dato la proverbiale zappa sui piedi, perchè s'è alienato le simpatie anche delle diverse fasce di tradizionalisti e conservatori, che da buoni cristiani non hanno gradito un testo tanto provocatorio. A completare il quadro, de Benoist riesce anche a separare il paganesimo dal semplice godere casereccio che spesso vi è assegnato, che si traduce spesso e volentieri in disordinate feste dionisiache o nel naturalismo esasperato di molte sette ambientaliste. Ah, senza dimenticare (ovviamente!) che punzecchia marxisti, tecno guru e filo-americani. Zero compromessi, zero salamalecchi. Non sono d'accordo con tutto, ma tanto di cappello per il rigore argomentativo.
E visto che la critica usuale a Come si può essere pagani è di voler formare “un'aristocrazia nazista” (LoL!) mi permetto di citare una porzione dell'intervista in calce al saggio:
La posizione di de Benoist a questo proposito mi sembra ben argomentata.

Alcuni critici del neopaganesimo, seguaci della reductio ad hitlerum, denunciata tempo addietro da Leo Strauss, sostengono che il nazismo può essere interpretato come un grande movimento pagano del XX secolo (diventando, i neopagani, improvvisamente neonazisti!). Qual'è esattamente il rapporto del nazismo con la religione?

La favola di un "paganesimo nazista" non ha cessato di essere alimentata da alcuni con palesi fini propagandistici. L'esaltazione degli "antichi Germani" sotto il III Reich sembrava convalidarla, mentre non aveva che un carattere puramente nazionalista e non aveva un significato più "pagano" dell'esaltazione di Vercingetorige sotto il regime di Vichy.
Il nazismo è innanzitutto un puro prodotto della modernità. (...) Il suo motto (Ein Reich, Ein Volk, Ein Fuhrer) con la sua insistenza sull'Uno deriva chiaramente dal "monoteismo" politico. Nato in Baviera, terra cattolica per eccellenza, il partito nazista, sebbene meno monolitico di quanto si potesse pensare (il Fuhrerstaat era sotto tanti aspetti una policrazia) secolarizza inoltre il concetto cattolico dell'istituzione. Si presenta come una Chiesa diretta da un papa debole (il Fuhrer), con il suo clero (i funzionari del partito), la sua elitè di "gesuiti" (la SS), le sue verità dogmatiche, le sue scomuniche, le sue persecuzioni contro gli "eretici".  


E per il 2015
Il primo, prudente avviso è che partirò col freno a mano
Non aspettatevi tanti articoli per almeno i primi due mesi, gennaio e febbraio, perché sarò occupato a farmi macellare dal Leviatano Universitario. Farò del mio meglio, ma non prometto nulla. Preferisco un articolo ogni due settimane fatto bene a un articoletto inutile al giorno. Certo, nè i commentatori nè le statistiche sembrano saper distinguere tra le due tipologie, ma vabbè, io ci provo. 
Idealmente, rispettivamente per tematiche e tipologia ho le idee abbastanza chiare... Come sempre il vero dilemma è trovare il tempo per scrivere! Non mi azzardo pertanto come negli anni trascorsi a promettere articoli nello specifico. Piuttosto ho ripulito questa vecchia vignetta del mitico Heavy Metal e ho disegnato una lista, sia per tematiche (primo baloon) che per tipologia (secondo baloon).


Vediamo come andrà... Sono pessimista verso questo nuovo anno. 

martedì 16 dicembre 2014

Lo hobbit: guida alla lettura (cap. 12-19)


Siamo arrivati in extremis con l'uscita di domani de Lo hobbit - La Battaglia delle cinque armate - all'ultima lezione. Si tirano le fila dei temi trattati, si approfondiscono alcune filosofie e si scherza un po'. Non dimenticate di commentare che v'è sembrata questa guida e di condividere con chi interessato. :-)

La fuga è terminata. Malaticci e bagnati, i nani sono giunti a Pontelagolungo, dove vengono accolti dal Governatore con grandi feste. Tolkien lascia abilmente sottintendere come sia l'oro e la ricchezza dei vestiti di Thorin a convincere il Governatore più della sua effettiva fiducia nel compiersi della profezia.

« Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror, Re sotto la Montagna! » disse il nano a voce alta,pieno di maestà nonostante i vestiti laceri e il cappuccio infangato. L'oro gli brillava attorno
al collo e alla cintura; i suoi occhi erano scuri e profondi.

La profezia che ricorda Thorin è una leggenda popolare che ogni singolo uomo di Lago Lungo conosce e le reazioni all'idea che si avveri risultano frenetiche. L'ingenuità della gente è palese. Nessuno, tranne Bilbo e gli elfi, sembrano ricordarsi che prima di poter agguantare l'oro, sarà necessario uccidere Smaug... il Governatore in tutto ciò svolge il ruolo del sindaco affarista. che cerca di approfittare dell'occasione come meglio può, cavalcando da buon populista l'entusiasmo della folla. Non c'è la minima traccia dell'atmosfera Jacksoniana, inutilmente stiracchiata nel personaggio di Bard e nell'intromissione di Tauriel. I nani stessi si riprendono dopo una settimana di mangiate e bevute, pronti per dare l'assalto alla montagna.

Allora il Governatore esitò e rivolse lo sguardo dall'uno agli altri. Il re degli Elfi era molto
potente da quelle parti, e il Governatore non desiderava che ci fosse ostilità tra loro, né faceva gran conto delle vecchie canzoni, perché tutta la sua attenzione era rivolta al commercio e ai
pedaggi, ai carichi e all'oro, e proprio a questo doveva la sua posizione. Altri tuttavia erano di
diverso parere e la questione si risolse rapidamente senza di lui: la novità si era diffusa come
il fuoco dalle porte della sala per tutta la città. La gente gridava dentro e fuori, e le banchine
si riempirono in un baleno. Alcuni cominciarono a cantare ritornelli di vecchie canzoni che parlavano del ritorno del Re sotto la Montagna; che fosse ritornato il nipote di Thror e non
Thror in persona non li preoccupava minimamente. Altri si unirono al coro e il canto risuonò
alto e chiaro sopra il lago.

Paradossalmente colui che meno prende sul serio la profezia è proprio il Governatore, mentre persino gli elfi sono all'improvviso impauriti: com'è possibile che questi nani siano sfuggiti alle prigioni reali? E come mai la profezia non fa il minimo cenno a quell'essere chiamato Bilbo? Scherzi a parte, gli zatterieri di Thranduil sono gli unici che, assieme a Bilbo, capiscono il pericolo di risvegliare il drago Smaug.

Il racconto della profezia permette inoltre di tornare all'argomento “fortuna” (o fato, o progetto divino...) A Thorin basta presentarsi a Pontelagolungo e dichiarare di essere il re sotto la Montagna della profezia, perché le guardie del Governatore corrano fuori, a guardare incredule se l'oro cominci a scendere dalle montagne, mentre ogni abitante si dà all'improvviso alla baldoria. C'è un'immensa forzatura qui, come in altre parti del testo, nelle reazioni della gente. Per quanto popolare fosse la leggenda, non è realistico che gli uomini di Lagolungo “abbocchino” tanto facilmente.

Non serve inoltre sottolineare l'immensa catena di coincidenze che permette loro di arrivare direttamente il giorno di Durin, in tempo perché la porticina incastonata nella montagna si apra secondo le istruzioni delle lettere lunari. Il tordo è, come Bilbo, uno strumento (benevolo e inconsapevole, beninteso) del Fato.


venerdì 12 dicembre 2014

Lo hobbit: guida alla lettura (cap. 8-11)


Per forza di cose nelle quattro lezioni a disposizione Corey Olsen forza il ritmo, spinge il pedale sull'acceleratore. Ecco allora alcuni capitoli trascurati a favore di altri, cercando d'inseguire il filo rosso di diversi temi portanti: il Fato, l'anello e il protagonista Bilbo. Per forza di cose dunque il mio riassunto può ritornare sui suoi passi o dare per scontati diversi passaggi della trama.
Spero che nell'insieme l'analisi non si confonda troppo...

Ancora prima che i nani entrino a Bosco Atro, sanno che è un luogo pericoloso, molto pericoloso. Non solo per gli avvertimenti di Gandalf, ma sopratutto per Beorn, i cui consigli suonano affatto rassicuranti:

« Ma la vostra strada attraverso Bosco Atro è scura, pericolosa e difficile » egli disse. « Non è facile trovarvi né acqua né cibo. Non è ancora la stagione delle noci - anche se in verità potrà essere arrivata e passata prima che arriviate dall'altra parte del bosco - e le noci sono più o meno le sole cose buone da mangiare che crescono là dentro: tutto il resto è selvaggio, oscuro, strano, feroce.»

L'interlocutore è Beorn! Un mutapelle mostruoso e violento, che non attacca la compagnia di nani solo per l'astuta tattica di Gandalf di far entrare i nani uno a uno, dosando il discorso man mano. Altrimenti avrebbe impalato le loro teste sulla staccionata, come puntualmente mostra di fare con il Grande Goblin e il leader dei Mannari. Insomma, Beorn, l'essenza della ferocia, è impaurito da Bosco Atro. Servono davvero altri avvertimenti?
Il pericolo è inoltre diverso perché insidioso, sottile. Lasciare il sentiero espone a seri rischi, ma contemporaneamente non si può non lasciare il sentiero a meno di morire di fame. Tra Bombur addormentato e allucinazioni varie, Bosco Atro gioca una sporca guerra psicologica sulla psiche dei tredici nani (e un hobbit!).


mercoledì 10 dicembre 2014

Lo hobbit: guida alla lettura (cap. 5-7)


Al momento di scrivere questa guida uso come riferimento cartaceo la mia edizione de Lo hobbit, l'Adelphi dell'ottobre del 2001. Presenta una traduzione nell'insieme datata se confrontata con la versione filmica, ma personalmente apprezzo certi tentativi di traduzione. Tranne che per noi maledetti nerd, la denominazione uomini neri rende molto più che il semplice troll. Mi sono anche accorto che chiama “orchi” quelli che ho chiamato goblin nell'episodio precedente, ma confido che la maggior parte dei lettori sia familiare con queste distinzioni. D'altronde che sia “Grande Orco” o “Grande Goblin” il senso è lo stesso. Se proprio vogliamo cercare le sottigliezze, “goblin” accentua l'aspetto scherzoso e dispettoso degli orchi delle Montagne Nebbiose, che sono minuscoli e gracili rispetto ai loro palestrati fratelli a Mordor. 
E dopo questo preambolo, via con la seconda lezione del nostro Olsen...

Prima di analizzare il dialogo tra Bilbo e Gollum con la susseguente gara di indovinelli, è interessante osservare Granburrone (o Rivendell, se preferite) com'è visto dalla prospettiva di Bilbo. Come spiega il professor Olsen, Lo hobbit è il diario di Bilbo letto da Frodo; il narratore intravede tutto da una prospettiva strettamente hobbit. Di conseguenza quello che a Bilbo, o nel Signore degli Aneli a Frodo, può sembrare ridicolo, per gli elfi può essere d'importanza fondamentale. D'altronde già nell'approssimarsi a Granburrone, Bilbo pensa:

<< Mmmm! Sento odore di elfi! >>

E dopo quest'indecoroso collegamento tra elfi e cibo, segue una canzoncina che difficilmente possiamo attribuire all'altera razza elfica che caratterizza il Silmarillion:

Dove andate, dove andate
con le barbe scarmigliate?
Come mai, vi domandate,
come mai vi ritrovate
Mister Baggins, Balin, Dwalin
nella valle
questa estate?
ahaha!
Qui restate o ve ne andate?
Spersi i pony, cosa fate?
Muore il dì, non progettate
di partir: sono mattate!
Tanto bello è se restate
ed attenti ci ascoltate,
fino all'ore più inoltrate,
a cantare le ballate!
ahaha!

Risate e lazzi, nondimeno incastonate nella versione inglese dentro una struttura metrica formidabile. D'altronde il narratore-hobbit annota subito dopo:

Così ridevano e cantavano tra le fronde degli alberi; so bene che voi le giudicherete graziose sciocchezze. Non che gliene importerebbe; semplicemente, riderebbero ancora di più. Erano elfi, beninteso.

Elrond stesso, per quanto regale, svolge una particina di scarso rilievo nell'intero romanzo.
Vero, al termine del libro interviene e senza dubbio è la chiave per molti enigmi narrativi de Lo hobbit, ma se confrontato con la versione filmica è sminuito, relegato nei panni di un vecchio elfo saggio, che dispensa consigli in accordo con Gandalf.
Siamo anni luce distanti dall'eroe in armatura che affetta orchi su lupi (sic).

Granburrone secondo Ted Nasmith

lunedì 8 dicembre 2014

Lo hobbit: guida alla lettura (cap. 1-4)



Open Culture, il noto portale che offre contenuti legalmente scaricabili di filosofi, scrittori e in generale umanisti, ha un unico difetto, che d'abituale curioso sento molto: non esiste materiale intermedio tra lettore e autore. 
Prendiamo un filosofo quale Nietzsche. Complicato. Complesso. Indecifrabile, quasi. Affrontarlo senza il fuoco di supporto di manuali e guide di chi ne capisce – per forza di studi – più di te, è indispensabile. Un classico, che sia un tomo di filosofia o un testo cardine di un genere quale il Signore degli Anelli di Tolkien, non si può affrontare senza aiuto.
Chi giudica un filosofo dalla sola lettura dei suoi testi, senza un set di strumenti in grado di scassinarlo, interpretarlo e analizzarlo è uno sciocco. Finirà per trovare un'ingenua passione per filosofi che a naso sente “realisti” o “scientifici” o al contrario per citarli a sproposito, per trarne aforismi che sente misteriosi e densi di significato. Senza per altro che questo significato sappia spiegarlo.

The Tolkien Professor, di Corey Olsen sono una serie di lezioni tenute su Tolkien. 
Non hanno il valore d'un saggio critico, né di un corso professionale. E' tuttavia una confusa, ma appassionante analisi della poetica di Tolkien, narrata in una serie di podcast che sono registrazioni delle lezioni dal vivo. Olsen usa un inglese semplice e lineare, inframezza di battute le sue conversazioni e in generale è un oratore loquace e piacevole. L'analisi parte dal Silmarillion, per scendere a Lo hobbit e arrivare infine alla trilogia del Signore degli Anelli. 
Tuttavia, you know, è pur sempre inglese...

Ho pensato perciò in occasione dell'ultimo film di Jackson di trarre da queste lezioni una serie di articoli. Tolkien non è un filosofo, almeno non nel senso convenzionale del termine. E non c'è testo più facile e fluente de Lo hobbit. Nondimeno, penso che un'analisi attenta de Lo hobbit possa interessare i curiosi. La sfida in questo caso non è comprendere un romanzo che brilla proprio per la sua facilità d'accesso, ma piuttosto indagare i meccanismi che ne azionano le diverse componenti. Scoprire pertanto l'inganno di una semplicità tutt'altro che semplice.

Ovviamente eventuali errori sono dovuti al sottoscritto e non al professore. 
Non voglio in nessun modo sostituire eventuali “specialisti” (brutta parola!) della materia.



La prima precisazione da fare concerne il diverso punto di vista che intercorre tra Silmarillion e Lo
hobbit. Il Silmarillion, come gli sventurati che l'hanno letto sanno bene, ha uno stile aulico e verboso. Al contrario, Lo hobbit presenta uno stile di scrittura morbido e semplice, adatto alla lettura dei più piccoli senza risultare lezioso.
Questa differenza di stile in realtà costituisce una spaccatura non soltanto per diverse esigenze editoriali, ma riflette il diverso Pov dei personaggi protagonisti. Coerentemente con gli elfi che lo popolano, il Silmarillion è narrato dalla prospettiva estetizzante e aliena di un eldar, pertanto seguendo gli stilemi dell'epica, con abbondanza - ahimè stancante - di nomi e titoli. 
Come lo definisce il professore, è un "elven document".
Lo hobbit invece possiede un narratore con prospettive, filosofia e sopratutto linguaggio assolutamente “hobbit”. Il punto di vista è legato alla creatura “hobbit”, pertanto a un bipede nano con abitudini e usanze tipiche della borghesia rurale ottocentesca inglese. Lo stile dunque non può che diluirsi, eliminando ogni parola difficile in favore di un modo di scrittura pianeggiante e tranquillo. Tolkien rifiuta di degradare l'epica del Silmarillion per accontentare i bambini. Al contrario, muta radicalmente il linguaggio per venire incontro alla prole e al contempo adeguarsi realisticamente al punto di vista di Bilbo, un semplice hobbit.
Il Silmarillion, dunque? Un documento elfico, una ballata epica.
Lo hobbit? Il diario di Bilbo, un giovane halfling della Contea.

Scompaiono dunque i riferimenti a Iluvatar e ai Valar che abbondavano nel Silmarillion, preferendo invece un approccio più terra terra, dove le avventure sono”brutte cose che fanno arrivare tardi a cena”. Bilbo non è un elfo: non adora la guerra. Al contrario rimpiange il bacon, l'erba-pipa, il thè. Non poteva esserci mutamento più radicale.

mercoledì 3 dicembre 2014

Codex Gilgamesh, di Uberto Ceretoli


Un genere letterario diventa un vero genere quando può vantare un'ampia e diversificata produzione. In altre parole, per annunciare magniloquente la nascita o, peggio l'invenzione! Di un nuovo genere occorre poter disporre di una gran numero di opere, che siano libri, fumetti o film.
Un singolo film, un romanzo occasionale non bastano per definire un genere. William Gibson non ha inventato il genere cyberpunk, ma è stato tra i primi e tanti che hanno contribuito a quel genere.
Non esiste alcun mitico Demiurgo che forgia nuovi generi letterari o artistici a seconda del periodo storico. La nascita di un genere è una complessa alchimia di circostanze storico-culturali, creatività eccezionalmente incanalata e gruppi di creatori/ivi all'opera.

Per quanto riguarda dunque il genere steampunk, preferisco trovare un gran numero di opere di bassa/media qualità piuttosto che un unico stupefacente capolavoro ogni dieci anni. Un genere è vivo quando produce a getto continuo un gran numero di opere, quand'anche siano mediocri. 
Se lo steampunk si fosse bloccato alla sperimentazione della Macchina della realtà, sarebbe solo rimasto un interessante esperimento ai margini.

Codex Gilgamesh di Uberto Ceretoli, rientra perfettamente in questa definizione.
E' un buon romanzo steampunk, dove l'ambientazione è storicamente documentata, il ritmo veloce e lo stile piacevole. Tuttavia, non è un capolavoro: è uno steampunk sui generis.

Si parte con Kentigern, un giovane scozzese appassionato di archeologia, ma costretto dal padre di famiglia a studiare ingegneria per fare onore al suo casato. E' un classico protagonista da shonen. Imbranato, costretto a prove impossibili, dall'abilità quantomeno rara di finire sempre tra le poppe della tsundera di turno. Uso il linguaggio degli anime perchè la caratterizzazione psicologica è quantomeno assente: due pennellate d'introspezione, un paio di dialoghi e via verso le scene d'azione.

La tsundera è Eudora, la classica protagonista da steampunk: un agente segreto bello e letale, la cui abilità nel duellare e sparare, misteriosamente non s'allarga all'abbottonare la camicetta scollata. L'autore prova, e questo gliene do atto, ad approfondire il carattere della protagonista verso la fine del romanzo, ma senza riuscire a emergere dallo stereotipo asfissiante della Uber Soldatessa che nonostante tutte le sue qualità in realtà è solo alla ricerca dell'uomo della sua vita (che indovinate? E' Kentigern! Che strano, eh?).