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lunedì 4 gennaio 2016

La Signora del Lago di Andrzej Sapkowski, o come il Fantasy nell'Est Europa lo sanno scrivere


La Torre della Rondine si concludeva con l'autentica protagonista della saga, Ciri, la Fiamma di Cintra, in fuga dal cacciatore Leo Bonhart attraverso il portale di Tor Zirael. Un elfo intento a suonare un'allegra melodia accoglieva infatti una stranita Ciri all'arrivo, ingannando il lettore con la speranza che la sfortunata striga avesse incontrato un amico.
Se fossimo nel mondo di Tolkien, sarebbe probabilmente così, ma vivendo nel mondo di Sapkowski, Ciri scopre presto che la società di elfi che vive al di là del portale desidera solo tenerla prigioniera per avere da lei un figlio e permettere a questa razza di salvarsi dal non-luogo in cui sono esiliati. Più simili ad alieni che agli elfi tolkeniani, chiamano Ciri La Signora del Lago, e lasciano a intendere che non se ne andrà mai via di lì, se non incinta. Un suo figlio magico è l'unico lasciapassare permesso. Ma grazie alla magia instabile del mondo in cui è arrivata, Ciri progetta presto una fuga per suo conto...

Con l'arciera Milva, la prosperosa Angouleme, il rinnegato Cahir e il vampiro Regis, Geralt ormai dispone di una vera Compagnia Brancaleone, che nell'accompagnarlo alla ricerca di Ciri giunge al regno di Toussaint. Tanto piccolo quanto ignorato da tutti, Toussaint ricorda una provincia francese stereotipata, dove cavalieri erranti cacciano mostri tra filari di vigneti e dove ogni parola sembra richiedere perifrasi e cerimoniale normalmente sufficiente per un'incoronazione.
Stanco, malato e bloccato sia dall'inverno che dall'indecisione, Geralt decide di restare per un po' a Toussaint, ma come con La Signora del Lago di Ciri, è in realtà una prigionia dorata...

Intanto, la guerra espansionistica di Nilfgaard raggiunge il suo parossismo, mentre ogni genere di uomo, nano, elfo, mezzuomo e mercenario si getta nella mischia. 
Temeria e Redania adunano le loro forze, L'Imperatore si prepara allo scontro decisivo: per il popolino stesso questa sarà la guerra che terminerà tutte le guerre. Illusione sia storica che fantasy...

In occasione del Lucca Comics&Games del 2015 ho guardato molte interviste a Sapkowski, dove il baffuto polacco raccontava la genesi del suo personaggio, Geralt, dall'idea di una soluzione capitalista a come risolvere il vecchio problema delle fiabe: uccidere il mostro, orco o drago che sia. La soluzione realistica sarebbe stata, punzecchiava, pagare un professionistaCioè, uno witcher, uno strigo, un cacciatore di taglie a livello due punto zero. Geralt, appunto.
Inoltre, dopo quest'aneddoto, Sapkowski chiariva sempre come de La Signora del Lago non ricordasse assolutamente nulla. Non ricordava nulla della trama, dei personaggi, del tema. Certo, aveva ben presente il mondo di Geralt e si mostrava felice delle royalties garantite dalle vendite e dai videogiochi, ma chiariva bene come Geralt fosse una sua creazione del passato. In effetti, è innegabile: La Signora del Lago fu pubblicato appena nel 1999 e solo ora, nel 2015, possiamo leggerlo in italiano. Dopotutto, non dovremmo nemmeno lamentarci; la nostra editoria, assieme a quella spagnola è l'unica in assoluto ad aver tradotto il Maestro. Gli inglesi devono accontentarsi di una traduzione – piuttosto mediocre – delle raccolte di novelle. Possiamo andarne giustamente orgogliosi, per una volta. Probabilmente, nell'asfittico panorama delle grandi case editrici, l'epopea di Sapkowski è tra le poche davvero meritevoli di lettura, scogli di sangue e spade nel mare di Young Adult. Tuttavia, resta pur sempre il fatto che il libro che in questo momento tengo in mano fu pubblicato appena nel 1999 e bisognerebbe anche contestualizzarlo in quegli anni. In tal senso, le lamentele di già visto, o certi piagnucolii che parlano di ingenuità narrativa non dovrebbero davvero avere luogo.

domenica 13 maggio 2012

Cavaliere d'inverno



Il cavaliere errante giura fedeltà al sacro codice della cavalleria, imbraccia la lancia, corre a vendicare gli oppressi, a difendere le giovani vergini, a uccidere orribili mostri.

Lo stadio successivo in ogni fantasy che si rispetti è il cavaliere della cerca; l'intrepido eroe che viaggia alla disperata ricerca del Graal, guidato dalle (poco) affidabili visioni della Dama del Lago

E' facile comprendere come il cavaliere della cerca sia un personaggio miiiille volte più interessante, pur nei ristretti stereotipi del medioevo fantasy. Il percorso verso il Graal è lastricato di continue sfide, dilemmi morali e inganni che mettono a dura prova.
Il cavaliere dalla scintillante armatura si sporca, deve scendere a difficili compromessi, esce dal zuccheroso mondo delle fiabe. Matura. A volte fallisce, e il suo scheletro dilaniato giace in qualche tomba dimenticata.
Altre volte ancora sprofonda nella follia, corrotto dai poteri oscuri, consumato dal preghiere e privazioni.
In rari casi riesce, ma nel momento in cui poggia le labbra sul Graal tutto quello che sente è la cenere del rimpianto e del dolore per gli amici perduti. 

E poi ovviamente c'è la Dama del Lago. Questa... Dea le cui visioni, le cui apparizioni dovrebbero condurre il cavaliere all'immortalità. Una dea beffarda, che gioca col suo cavaliere come una marionetta di latta, che spesso lo conduce alla pazzia. 

Ammetto spesso di sentirmi come un Cavaliere della cerca, intrappolato in un'infinita quest senza senso.
Con la fondamentale differenza che con i mostri nell'ipocrita 21 secolo ci devo convivere e con stretta al cuore stringerci la mano e dialogare civilmente, mentre al mio fianco sfilano Dee indifferenti, dalle visioni beffarde. Troverò prima o poi la dama del lago?  ^__^

Questo racconto sarebbe parte di un mio vecchio progetto, una quadrilogia che includa quattro racconti, ognuno attorno al tema del cavaliere alla ricerca del graal. Ogni racconto sarebbe legato ad una diversa stagione. Gelida primavera è il primo, Cavaliere d'inverno il secondo. 
In attesa che la morsa degli esami si allenti almeno un pochino vi propongo la prima parte, ovviamente ancora da rivedere.



sabato 1 ottobre 2011

Gelida primavera


Inizio di racconto fantasy scritto qualche settimana addietro.
In attesa di limare e aggiustare la continuazione di "donne, dirigibili e brutti contadini" lo posto così integro ed essenziale.
L'ambientazione è la Bretonnia di warhammer fantasy, http://it.wikipedia.org/wiki/Bretonnia, non troppo dissimile dalla tradizionale ambientazione high fantasy.

la fin troppo gnocca emh scusate divina dama del lago^^

Gelida primavera



Giaccio, rinchiuso in questa fredda pelle di metallo.
Mi ricopre gelida in un manto d’impenetrabile acciaio.

Il respiro filtra dalla celata ornata di brina, effimero riflesso di una vita spenta.
Un fioco colpo di tosse, un sussulto del corpo torturato mi strappano dal sonno.
Serro le palpebre, contraggo i muscoli irrigiditi, costringo le vecchie articolazioni a muoversi.
L’alba illumina di un chiaro candore le cime dei pioppi, carezzando la foresta in lento risveglio, giocando strani riflessi nella vicina cascata. 


Cammino verso la cappella in rovina, le ossa che gemono sotto il peso dell’acciaio.

Il sole non riscalda, non fornisce il minimo ristoro.


Sotto le piastre sporche di verde e la cotta arrugginita il freddo continua a tormentarmi.

Custodisco la cappella da tempo interminabile.
Avevo forse vent’anni quando ebbro di gloria abbandonai terre e titoli, imbarcandomi nella sacra cerca.
Segni, presagi. Non mancarono certo. Chiari erano gli intenti della Dama, sublime la sua vista.
Di visione in delirio mi condusse alla sacra cappella. Muri scrostati dall’incuria, travi marce, paglia maleodorante.
Effigi di purezza e valore dimenticate da tempo, seppellite da ciarpame, strangolate dalla vegetazione.
Niente di più che un relitto risputato da madre natura.


Eppure chiari erano gli intenti della Dama: custodiscilo, mi ammonì più volte. 

Difendilo dalle crudeli creature del bosco. Questa sarà la tua cerca.
Per vent’anni ho custodito questo sacro luogo. 

Vent’anni di totale abnegazione, vent’anni di digiuni e preghiere.

Ho lottato contro mostri immondi più e più volte. Il mio corpo non è che un reticolo di cicatrici e muscoli nodosi.
Imprese gloriose a sufficienza per cento ballate ho compiuto. Qualcuno mai lo saprà? Ne dubito.
Non avrò figli, né nipoti che perpetuino la mia casata e allietino i miei ultimi giorni.
Nessun bardo commemorerà mai la mia scomparsa quando i corvi beccheranno il mio cadavere insepolto nel verde.
Vent’anni di automortificazione della carne, di feroce - nichilistica- autoreclusione.
Invano ho aspettato un segno, una visione, un’apparizione della Dama che mi mostrasse il passo successivo della mia gloriosa cerca.
Nient’altro se non il vecchio, beffardo insegnamento: custodisci la cappella, custodiscila con tutto te stesso.
E così ho fatto per oltre vent’anni, mentre lenta la giovinezza sfioriva e maturavano amarezza e triste rimpianto.
E dopo tanti anni non provo altro se non freddo rammarico.

Passi! Scalpiccio nella vegetazione umida.


Rumore di calzature ferrate, andatura da marcia.

A fatica mi sollevo dal pavimento su cui inginocchiato pregavo.


Dardeggio lo sguardo verso l’ingresso, mi affaccio con cautela.

Ancora nulla, devono essere lontani. 
Crack! Rumore di legna che si spezza, bestemmie soffocate.
Più vicini di quanto pensassi, dopotutto. Un lieve sorriso mi taglia la faccia.


Finalmente un po’ di sano divertimento.

Mano sulla spada, spalle e schiena rilassate, pronto a estrarre.

Scruto gli esili pioppi, aguzzo lo sguardo alla vana ricerca del nemico.

Il vento mi soccorre, portandomi odori di fumo e sudore rancido, carne marcia e feci.
Bestie, sogghigno, impugnando la spada e voltandomi in direzione del fumo.
Osceni mutanti, bestie degenerate che infestano i boschi incendiando i piccoli centri, minacciando le strade, assalendo viaggiatori e carrozze.
Pochi minuti dopo mi camminano davanti come bambini, sbucando da uno dei tanti sentieri nascosti nel sottobosco.
È un lampo di reciproco riconoscimento, un bagliore di sorpresa e pericolo.
Reagiamo all’unisono, in una mortale sincronia di spade e sangue. Mozzo la mano che vola disperata verso l’ascia in un tentativo di parata, accenno un fendente e con improvviso slancio squarcio la gola della bestia. Il gor che gli è dietro tenta d’impalarmi con una rozza lancia dalla punta in bronzo. Rido quando la punta si scheggia a contatto con l’armatura esplodendo in mille frammenti. Decapito con orribile risata il nemico e con una piroetta schivo il pesante fendente dell’ascia del terzo avversario, un robusto mutante che imbraccia una poderosa ascia a due mani.
Non c‘è tecnica nei miei colpi, né grazia. Solo desiderio di morte e annientamento.
Scivolo sul fango, vengo colpito alla spalla dall’ascia del mostro. L’impatto mi toglie il fiato, mentre lento il sangue comincia ad allargarsi sotto la cotta infranta. La vista è accecata dal sudore e da mille arcobaleni di dolore. Urlo e tento una stoccata alla cieca. La spada penetra nella carne, fuoriesce uccidendo la bestia sul colpo. 
Una mano sulla faccia, via il sudore, devo vedere l’ultima bestia, devo parare.
Arghhh... la mazza della bestia mi ferisce al petto, prima ancora che possa alzarmi, ancora inginocchiato nel fango e nel sangue.
Il pettorale attutisce il colpo, un paio di costole tremano all’impatto.
La spada, ancora incastrata nelle costole della bestia, che fare attento prova un fendente al capo, a quella distanza…
digrigno i denti e afferro l’uomobestia, gettandomi sul suo corpo, atterrandolo.
La creatura scalcia, estrae da non so dove un pugnale, lo fermo con il guanto in acciaio, la rozza arma penetra nel palmo, altro sangue, altra cicatrice, lo ignoro stringo ambo le mani attorno al collo del mostro e stringo, stringo, stringo, incurante quanto si dibatte con i suoi zoccoli, le sue urla così maledettamente umane…
Alcuni minuti e la creatura è morta, la gola nera con rivoli di bava rossa, quell'espressione di dolore così umana sul volto mostruoso.
La mia fredda armatura è lorda di sangue, umori, bava e immonde sostanze che colano dalle fenditure impregnando la cotta, i vestiti, la pelle.
Il viso è sporco di sangue nero, appiccicoso, appena sgorgato dai sacchi di sangue che ho appena forato.
E d’improvviso sento calore nel sangue che mi ricopre. Il freddo è andato, scacciato.
Il sangue è caldo e dolce al tocco e mai mi sento così vivo.