Ultimamente la
saggistica mi interessa molto di più che la narrativa. Non
capisco da quando è successo; dopo aver infatti scritto la tesi mi
aspettavo un certo senso di disgusto all'idea di tornare a leggere
saggi di storia, ma al contrario ne ho ricavato uno sprone ad
approfondire sempre di più determinati argomenti di mio interesse.
Inoltre, per quanto suoni paradossale, trovo che i saggi in lingua
inglese siano molto più leggibili dei romanzi: certo, è in parte a
riprova di un livello molto basso della prosa universitaria
oltreoceano, però è così. Sempre più di frequente con molti
romanzi che nemmeno cito qui sul blog, sopravviene la noia. Non sono
scritti per forza male, o non sono mal costruiti: tuttavia
dover ogni volta leggere “del giovane protagonista”, contro
“l'antagonista”, con i colpi di scena presenti dove devono
esserci e il percorso di crescita dell'eroe, e il dialogone finale...
Non sono i difetti che mi fanno sbadigliare (quelli piuttosto mi
fanno incazzare...), è l'estrema prevedibilità della struttura
narrativa, con quel dato eroe, quel dato “nemico”, quel dato
svolgimento.
La serie di Providence,
di Alan Moore, mi ha finalmente riportato a una narrativa in grado di
combattere ad armi pari con la saggistica. Per la prima volta da
qualche mese ho avuto l'impressione di leggere un qualcosa che
di fronte alla saggistica non si rintanasse nei soliti schemi, ma
anzi le desse battaglia, senza perdere colpi. Providence, in tal
senso, mi ha soddisfatto: è una serie solida, incredibilmente
profonda e complessa, dove (finalmente!) trovo carne al fuoco su cui
discettare.
La serie (composta di
dodici capitoli) segue le vicissitudini di Robert Black, giornalista
del New York Herald nel 1919. Il nostro giovane protagonista,
emigrato a New York dalla cittadina di Milwaukee, indagando per conto
del suo giornale su alcuni fatti di cronaca, conosce il Dr Alvarez,
che in seguito ad alcune sue domande su un testo ritenuto maledetto,
Sous le Monde, gli rivela il primo gradino di un mondo sotterraneo e
nascosto, di testi antichi e strani rituali.
Black, ancora
traumatizzato dal suicidio del fidanzato Jonathan Russell, ne
approfitta per chiedere un permesso al direttore dell'Herald e
imbarcarsi in un'investigazione ai limiti del soprannaturale tra il
New England e il Massachusetts... il suo intento è di scrivere un
romanzo che documenti la storia del soprannaturale nell'America pre
moderna.
Alan Moore chiaramente
escogita Robert Black come una (voluta) confusione tra caratteri
antitetici di H.P. Lovecraft: da un lato, è un immigrato ebreo,
omosessuale; dall'altro però ricorda Lovecraft perchè è un giovane
scrittore insicuro, timido, fobico, con ambizioni di romanziere
“impegnato” che non riesce però a concretizzare niente al di là
della narrativa breve.
A questo personaggio
già in contraddizione, Moore aggiunge un'ambientazione e una storia
che gioca abilmente con i racconti brevi di Lovecraft senza però
riconoscervene il canone, ma anzi citandolo con lievi correzioni che
in apparenza innocue distorcono l'edificio “classico”
lovecraftiano fino a farlo crollare. Un po' come quando rimuoviamo un
sassolino da una montagna e la vediamo crollare in una valanga di
schegge e sassi. Come se non bastasse, il sassolino tolto è dato
proprio da quegli elementi che in Lovecraft sono sempre stati più
controversi: nei quattro episodi finora tradotti compaiono infatti il
meticciato e la purezza di sangue, gli immigrati, l'occulto e
sopratutto il “rimosso”, cioè il sesso, le donne e nel caso del
protagonista stesso, l'elemento antisemita.
Fare leva su questi
elementi per atteggiarsi ad autore rivoluzionario nel frattempo
confezionando l'ennesima opera becera e banale è già stato fatto
tante volte. Sedicenti liberal ansiosi di dimostrare la loro
(inesistente) superiorità di vedute rispetto a quel brutto razzista
di Lovecraft hanno tante volte inserito a forza gli elementi che
reputavano “mancassero”. Il risultato è sempre stato rozzo,
un'operazione di chirurgia che degenerava in un macello. Perchè al
di là di una non specificata “superiorità culturale”, non c'è
alcun lavoro ne di documentazione, ne di analisi del corpus di testi
su cui si vorrebbe operare. E il risultato è sempre bambinesco.
Non così con
Providence.
Sarebbe superfluo citare il lavoro di documentazione, che
costituirebbe già una storia a sé. Sopratutto, però, è magistrale
come Moore sappia creare un'opera fobica, che sembra concentrare in
vignette calme e lente una terribile ansia. Providence può venir
letto sia come sovversione del canone lovecraftiano, sia
paradossalmente come una sua dimostrazione. Questo perchè il fumetto
giunge a incarnare tutte le fobie che Lovecraft aveva, concentrandole
nel nevrastenico protagonista, che è in tal senso un vero
intellettuale nella tradizione dei Miti. Se nel Neonomicon c'era una
violenza di fondo, una forzatura rispetto ai testi di Lovecraft, qui
in Providence la forzatura c'è, ma non si vede: proseguendo con
l'analogia Moore ha scassinato il canone lovecraftiano senza lasciare
la minima traccia, nel più assoluto silenzio.
E nella casa/canone che
ha scassinato ha lasciato però un vero casino di mobili spaccati,
materassi svuotati e insomma un canone completamente rivoltato a
metà. Ma il modo in cui l'ha fatto! Ah, un furto con scasso
raffinatissimo, poco da dire.
L'edizione della Panini Comics raggruppa le prime quattro puntate.
Considerando che altre
case editrici per l'identico prezzo avrebbero avuto la faccia tosta
di proporre un volume in formato piccolo, ritengo che tutto sommato
ci è andata bene. La copertina è solida, le pagine ampie e spaziose
danno modo di mostrare i dettagli delle vignette, invero minuziosi.
In coda al fumetto, ci sono le pagine con le copertine alternative,
così come un breve saggio di Antonio Solinas, davvero ben fatto
rispetto alla media del genere.
Le note che seguono
sono in parte mie, in parte tradotte dall'ottimo sito Facts in the case of Alan Moore's Providence. Mi sono limitato alle annotazioni ufficiali ufficiali,
evitando di tradurre le annotazioni relative ai testi in appendice a
ogni singolo numero (Il Common Place Book, di Robert Black). Se volete
davvero scendere in profondità vi consiglio il sito in lingua
inglese e se volete proprio perdervi nella Tana del Bianconiglio, i
commenti deliranti in calce a ogni articolo.
La traduzione della
Panini Comics ha mescolato parole inglesi e italiane, con rese
alterne. Avrei infatti preferito che si traducesse il titolo ad
esempio, The Yellow Sign, così come alcuni degli slang newyorkesi
risultano va da sé traducibili solo perdendo la connotazione locale.
Vedremo come va con i numeri 5-8.
L'idea è di compilare,
come avevo fatto con Nemo, delle note a piè di pagina per tutti e
quattro i capitoli presenti in questa prima raccolta. Fatemi sapere
che vi sembra e se l'idea suscita interesse, è un lavoraccio...