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lunedì 29 maggio 2017

Ritorno a Red Hook: La Ballata di Black Tom, di Victor LaValle


Charles Thomas Tester è uno squattrinato abitante di Harlem, il cui padre ex muratore passa il suo tempo a casa, il corpo distrutto dopo decenni di lavoro, mentre il figlio si arrangia con lavoretti più o meno loschi, nascosti dalla sagoma malandata di una vecchia chitarra

Tester si guadagna infatti da vivere con speciali commissioni nel campo dell'occulto, procurando e vendendo libri e oggettistica legati a pratiche settarie; per la sua ultima commissione in un ricco quartiere bianco, Tester strappa l'ultima pagina del grimorio che andava trafugando nel corpo della chitarra. E' una pagina del Nuovo Alfabeto, parole di potere con cui manipolare la realtà. 

Sulla via del ritorno per casa, il giovane afroamericano incontra un ossuto aristocratico di nome Robert Suydam: l'uomo gli domanda di getto se vorrebbe suonare a casa sua, in occasione di una speciale festa tra amici. Ha infatti intravisto, nelle scordate note di “Tommy”, un'affinità per la magia, il marchio dei prescelti. Per il giovane nero si tratta di un'offerta bizzarra, sospetta, ma sapendo che è difficile comprendere le imperscrutabili ragioni dei vecchi bianchi immediatamente accetta. 
Uno sgradevole incontro con due poliziotti, che subito “sequestrano” l'anticipo della paga di Robert Suydam, lo avverte che si sta cacciando dentro un bel guaio: un ispettore di origini irlandesi, un gigante gentile dal nome di Malone, gli raccomanda che Suydam è una persona sospetta, pedinato da tempo. Ma per un povero del ghetto, i soldi sono soldi e un'offerta come quella di Suydam non si può rifiutare...

venerdì 21 ottobre 2016

I miei due cent su Donald J. Trump


L'atteggiamento di Roosevelt nei confronti dell'Unione Sovietica era piuttosto arrendevole, questo lo sappiamo tutti. Stretto tra le due potenze, Churchill si sentiva come la Polonia in un conflitto globale. Come ogni politico abile, Roosevelt considerava l'Unione Sovietica uno stato con cui trattare, concludere accordi e poter ragionare: una potenza bruta, un po' stupida, sgradevole, ma dallo status diplomatico riconosciuto. Dall'opposizione politica all'opposizione ideologica si passa dapprima con Truman e non si tratta necessariamente di un passaggio obbligato. La guerra fredda non era inevitabile fino a quel punto; la tensione post conflitto avrebbe potuto allentarsi, pur con l'ipocrisia della realpolitik. Sono anni di ricostruzione post bellica e di finanziamenti ingenti all'Europa. A retrospezione, è incredibile quanto riuscisse a ottenere la Russia in popolarità con il minimo sforzo, e all'opposto quanto l'America faticasse a imporsi con le più esagerate elargizioni.
Il clima di continuo scontro con il gigante russo, la guerra ideologica per convincere il popolo americano che ci fosse un nemico ineliminabile, inumano e mostruoso al di là della cortina di ferro deve aver lasciato le sue belle cicatrici anche nelle generazioni più recenti. Il crollo del muro risale a neanche trent'anni fa, siamo ancora dentro generazioni su generazioni di menti addestrate a concepire l'est come un'orda mongola pronta a invaderli. Psicologicamente, in Europa, l'abitudine mentale a vedere nell'America la salvezza sempre e comunque rimane molto forte. L'immagine è positiva, magari incrinata dagli ultimi dieci anni di totale incompetenza, ma pur sempre positiva. Non mi sto riferendo a vegliardi, a reduci, a pensionati, ma semplicemente a persone che vivevano negli anni '70 e '80 la loro giovinezza.



lunedì 8 agosto 2016

Caffè freddo, come fare: una guida per caffeinomani frustrati dall'estate


Secondo il manuale che sto studiando e che ho deciso di non citare, perché filo-americano, il Sud degli Stati Uniti fu abitato in massa solo dagli anni '80, grazie alla diffusione dell'aria condizionata.
La migrazione dei bianchi dalle città “nere” e “liberal” verso i suburbs, la California e le terre del sole non sarebbe potuta avverarsi senza il refrigerio dell'aria condizionata, che rende possibili lavori da scrivania altrimenti difficili per lunghe ore, tra l'afa, ventilatori che ruotano lenti e rigagnoli di sudore. L'idea è affascinante, ma come tutte le teorie incentrate sulla tecnologia sembra dimenticare un gran numero di elementi culturali, economici e politici.
Magari bastasse l'aria condizionata, a elevare i ritmi di lavoro...

Ad ogni modo, qui in Italia il caldo da luglio ha colpito duro e le mie abitudini da bevitore di caffè ne hanno risentito. Badate, è possibile bere caffè caldo a luglio, esattamente come si può mangiare un gelato a gennaio: basta scegliere l'ora giusta. Se ci si sveglia presto, diciamo verso le sei, una bevanda bollente non è così terribile da trangugiare.
Tuttavia, blogger masochisti a parte, l'unico caffè veramente bevibile è il caffè freddo.
Ora, il caffè freddo dei bar non è, a differenza di quello che si può pensare, qualcosa d'impossibile da replicare. Anzi, con la ricetta che vi sto per proporre, mutuata dal solito The Coffeist Manifesto, vi ritroverete con un caffè anche migliore, certo più economico e sano.
Il caffè che vi spacciano come “freddo” nei bar non è che un semplice caffè amaro sparato sul ghiaccio e ulteriormente diluito con abbondanti dosi di acqua ghiacciata. Man mano che i cubetti si sciolgono, il sapore del caffè eccessivamente amaro diventa “sopportabile”, ma siamo lontani da un'idea intelligente di caffè freddo. E' caffè normale, diluito, troppo amaro, che perciò viene spesso affogato in creme, zucchero, panna e in definitiva qualunque cosa zuccherosa che possa mascherarne il gusto francamente un po' merdoso (o fangoso, se siete baristi e vi sentite offesi).
Ma perchè pagare per una roba del genere quando potete avere a casa un ottimo caffè freddo, in quantità e buono per giorni?

Il materiale che vi serve:

lunedì 29 giugno 2015

Siamo tutti neocon, ora


La sempre maggiore disponibilità di documenti pubblici e al contempo la sempre maggior facilità d'accesso ai suddetti documenti, rende il lavoro dello storico sempre più facile. Ad esempio, studiando storia della Francia, sono rimasto sorpreso di come intere annate di archivi e dibattiti parlamentari del periodo rivoluzionario siano state interamente scannerizzate e rese disponibili allo studio di esperti e (non) esperti, con tanto di motori di ricerca appositi (semantic web&compagnia).
Annotazioni d'incidenza di nomi, lessico e statistiche che normalmente avrebbero richiesto anni di lavoro nell'archivio vengono ora realizzati nell'arco di un pomeriggio. Gli stessi giornali, riviste normalmente disponibili solo attraverso una ricerca in loco possono venir consultate da chiunque abbia un minimo di accesso a Internet e un minimo di capacità di ricerca.
Senza drammatizzare, il passaggio dell'archivistica ( e della diplomatica, e della storiografia) al supporto digitale, sta permettendo passi da gigante. Magari ininfluenti per chi di storia o d'umanistica non s'interessa, ma comunque impressionanti. Un professore che conoscevo paragonava questo passaggio all'introduzione delle macchine tessili nell'industria inglese di fine 700' (regione del Lancashire, ad esempio) che permisero di centuplicare la produzione di tessuti fino ad allora realizzati a mano.
Come sa bene chiunque frequenti i blog di “storia” (obbligatorie le virgolette), tanta facilità d'accesso (1) non si traduce automaticamente in prodotti di qualità. Spesso la mancanza di metodo porta semplicemente a inseguire le proprie personali manie, nascondendole dietro la cortina fumogena di scan e vecchi documenti. Manca totalmente l'idea che un'esposizione dovrebbe procedere usando i dati con accortezza e inserendoli nel contesto, che si dovrebbe rispondere alle critiche argomentate con altre critiche argomentate e non appellandosi a un'inesistente superiorità di uno studio autodidatta rispetto al “politically correct” (?) studio universitario.
Questa facilità d'accesso, può tuttavia venire applicata senza problemi a documenti anche più recenti, potendo infatti disporre di maggior materiale su cui azzannare i denti. Trovo particolarmente interessanti i quotidiani e le riviste, specie degli anni ottanta e novanta, relativamente all'area americana. Le dichiarazioni e le riflessioni che vi sono dispiegate continuano a stupirmi per la loro ingenuità e candore; la concezione di geopolitica che vi si nutre è talmente netta, talmente semplicistica nel contrapporre il sistema americano (sempre nel giusto, nel buono, nel divertente, nel sacro) a qualunque altro sistema, automaticamente assimilato al male. Un male, va da sé, canaglia, inumano, a cui viene sempre negato lo status di nemico “onorevole”.

L'effetto risulta grottesco, specie quando si leggono e si guardano gli articoli e le trasmissioni tv che seguirono alla conquista dell'Iraq nel 2003 – dopo tre settimane vittoriose di guerra in aprile – in maggio si agitavano le bandierine della vittoria: un malvagio tiranno era caduto, un altro sistema si apriva al “buon” liberalismo, pa-pa-pa-ra! Viva Bush figlio, Viva il Bene Assoluto! Per noi che non siamo più nel 2003, e neppure nel 2006, ma nel 2015 inoltrato (!) leggere queste testimonianze lascia straniti: sembra di stare su un altro mondo.

Dopo una falsa partenza che lasciava sperare una conclusione rapida del conflitto, la “pulita” guerra in Iraq sarebbe degenerata in un conflitto di guerriglia confuso e sanguinoso, dove l'assoluto disinteresse Usa a studiare l'area, a procurarsi interlocutori che parlassero arabo, a sottovalutare i conflitti etnico-religiosi del paese avrebbe portato a una balcanizzazione dello stato, a un disastro sia monetario, che politico, che religioso. Con la conclusione nel 2011, la guerra in Iraq ha distrutto a tutti gli effetti la popolarità americana nel Medio Oriente, con l'unico fine raggiunto di aprire il paese al liberalismo occidentale... Mentre intanto l'area del Golfo Persico continua a bollire come un calderone infernale.

I seguenti estratti non hanno valenza di uno studio accurato, ma esplicitano con efficacia l'ubriacatura vittoriosa di quegli anni – che prendeva a calci chi si opponeva la guerra e proponeva come sempre una soluzione “concreta” e “pragmatica” a problemi che in realtà richiederebbero tutt'altre soluzioni che semplicistiche “crociate”.
Il Presidente incontra membri dell'equipaggio della nave USS Abraham Lincoln, dopo esser sbarcato sulla S-3B Viking. Annuncerà la fine della guerra in Iraq, dopo una guerra lampo per il possesso della capitale. 

lunedì 9 febbraio 2015

The Black Power Mixtape 1967 – 1975 (documentario)


Mi risulta sempre difficile scrivere di cinema, perchè in questo campo più che in altri avverto una forte mancanza professionale. Internet rigurgita di esperti e recensioni, ma trovare chi, tra questi, ne sappia davvero è un'impresa molto, molto difficile. Ogni canale Youtube contiene un aspirante cinefilo, ogni studente di cinema deve possedere la sua pagina, il suo blogghino di piccole opinioni.
Perfino nell'ambito delle bacheche e dei profili privati tutti, dal vicino di casa al postino, sembrano aver una laurea cum lode nelle più raffinate tecniche cinematografiche. Va da sé, che tolti i paroloni e smascherate certe mode, i veri esperti scompaiono all'improvviso.

Un recensore che sappia davvero recensire dovrebbe avere un set di valori e parametri tecnici cui attenersi, che mescolino abilità oggettive (saper riconoscere le inquadrature, i colori, la regia, gli effetti speciali, saper compiere le necessarie storiografie e cronologie...) e giudizi morali (laddove questa moralità non deve tramutarsi in moralismo, né sopraffare il giudizio tecnico).
E' preferibile leggere una recensione onesta, dove l'autore ammette il suo background culturale e le sue convinzioni, che l'ennesima trita&ritrita analisi pseudoggettiva, dove i pregiudizi del soggetto vengono mascherate da puntigli di carattere tecnico
A proposito ad esempio dell'ultimo trailer dei Fantastici Quattro, preferirei che i nerd che si lamentano del cambio di pelle dell'uomo torcia ammettano pacificamente che si tratta di un loro, personale pregiudizio. Lamentarsi della negritudine della Torcia Umana come insopportabile (?) tradimento del canone originale non è essere nerd, è “essere razzista”. 
D'altronde gli stessi recensori che piangono sui Fantastici Quattro hanno accolto con piacere la notizia che Motoko Kusanagi, la protagonista giapponese dell'anime giapponese (e in alcuni punti anti-americano) Ghost in The Shell, verrà interpretata da Scarlett Johansson. Perchè scegliere un'attrice bianca per interpretare un ruolo orientale in un film ambientato nella Tokyo cyberpunk anni novanta è qualcosa che francamente mi sfugge. Tanto più che il resto della squadra della Maggiore è a sua volta giapponese e sempre a sua volta agisce nelle tradizioni e nei costumi giapponesi. Questa violazione del canone ovviamente è stata accolta con favore, perchè permette di occidentalizzare una trama che altrimenti - poveri ciccioni americani - sarebbe troppo difficile da comprendere.
Un recensore dovrebbe dunque giudicare un film in totale astrazione, sulla base di una serie di parametri fissi che si è posto. In questo modo prescinderebbe sia dalle mode del momento, che giudicano un film a seconda dell'attenzione che vi riserva il pubblico, sia da un certo conservatorismo cinefilo, che automaticamente promuove un film sull'unica base dell'anzianità del regista. Big Eyes di Tim Burton, pellicola da consigliare solo agli insonni, diventa così un capolavoro... non sulla base di argomentazioni oggettive, ma solo perché l'ha girato Tim Burton!
E' dunque preferibile in questi casi leggere le recensioni di chi magari ammette senza problemi la sua ideologia e proprio per questo scrive con chiarezza e senza peli sulla lingua; le recensioni cattoliche di Frozen, o di Avatar sono pungenti, ma se non altro oneste. Sulla base di alcuni valori, si decide di rigettare il film. Tralasciamo che per me Frozen, con il merchandising e con la sua pubblicità esasperata rappresenta il peggio del turbocapitalismo disneyano... (1)

Questi “attrezzi”, questi strumenti per recensire non li possiedo. Non guardo film a sufficienza per poter esprimere giudizi. Quello che posso fare, come in quest'articolo, è segnalare prodotti interessanti, che reputo criminalmente misconosciuti. E pur con questa premessa non voglio scusare mie eventuali gaffe o errori di ricerca, di cui mi scuso fin da subito con gli specialisti dell'argomento, o con chi di cinema ha studiato (buon per lui!).



In questo caso la segnalazione è Black Power Mixtape 1967 – 1975. E' un documentario. Quest'etichetta ovviamente peggiora le cose, perché evoca immediatamente tutte le sensazioni che siamo soliti associare ai documentari: savane, zebre e tigri, noiosi commentari di vecchi bacucchi sugli ecosistemi dell'africa subequatoriale... Il documentario come viene inoltre proposto di solito è associato all'istruzione e prevede un fine didattico che prevarica sul piacere dell'immagine. La tipica cosa che si fa quando si guarda un documentario è fare i compiti per l'ora di lezione successiva o in alternativa starsene a letto con la febbre. Non è questo il caso e vi posso citare almeno altri cinque documentari degli ultimi dieci anni che riscattano il genere sia sul profilo stilistico che contenutistico. In questo caso dunque non abbiamo l'ennesimo lacrimevole documentario sull'Africa nera, ma in un certo senso il collegamento sussiste, perché dal vecchio continente ci spostiamo nel nuovo e sono gli afroamericani degli anni sessanta i protagonisti, mentre il colore nero oscilla dall'esterno dei protagonisti, al nero (dentro) del marciume capitalista che proprio in quegli anni del Vietnam e di Nixon, comincia a rialzare la testa.

venerdì 21 febbraio 2014

Knights of Badassdom- Un film per veri nerd?


Knights of Badassdom
Per distrarsi dalla recente rottura con la fidanzata, il cantante heavy metal Joe si fa convincere dai suoi amici a partecipare ad un raduno di giocatori di ruolo dal vivo. Ma durante la "battaglia" il gruppo evoca accidentalmente una sanguinosa succube. Con in dotazione solo armi finte, il gruppo unisce le forze con altri giocatori di LARP per sconfiggere la creatura maligna che hanno liberato.

Nell'Americano convivono due anime piuttosto ben distinte, ma facilmente riconoscili in lungo e in largo. Nella prima anima, c'è il protestante puritano, l'anglicano, il rousseauiano per cui il successo nel lavoro non è altro che il simbolo della grazia divina, il raggio di luce che ci rivela come Dio ci abbia scelto nel novero degli eletti. Da quest'impostazione ultra-religiosa tipicamente calvinista derivano un'amore smodato per il lavoro, per il successo, per l'accumulare denaro solo per reinvestirlo, in quanto ricchezza e santità si identificano. Si pensi ai tanti racconti del self made man, che sorge dal nulla e armato di Bibbia e perseveranza giunge al successo. Guadagnare denaro per il gusto di guadagnare, per poi reinvestirlo ancora e ancora.

Nella seconda anima, c'è una forte tendenza nell'americano all'amore per i travestimenti. Non stiamo parlando dei cosplay e del Larp del film sopracitato, ma a livello più vasto del gusto infantile dell'Americano per i travestimenti, specie se vistosi, specie se variopinti. I pochi gruppi nazisti in America sembrano prediligere il nazismo per una pura questione di stile: le uniformi naziste sono cool. Protagonisti dei fumetti americani sono per l'appunto i supereroi; gente travestita, mascherata dal suo bravo mantello, dalla mascherina nera, dal vestito da pipistrello. L'uomo ragno non si traveste solo perché deve, ma perché si diverte. Si fa foto, ama il suo travestimento con tutto il cuore. E spostandoci alle piantagioni di cotone del caro, vecchio Sud? C'è davvero bisogno per Il Ku Klux Klan di vestirsi con quei ridicoli cappucci bianchi, così scomodi, come bene decostruisce Tarantino in Django? Ovvio che no. E' ancora una volta il gusto americano per il travestimento.

Fondamentalmente, se dovessi scegliere, preferirei la seconda anima dell'americano, forse più infantile, ma in fondo molto più sana, molto più feconda, specie sul versante artistico. La quantificazione che domina la prima anima è il motivo per cui in sostanza gli Stati Uniti sono tanto scarsi dal punto di vista artistico: se miri innanzitutto alla massimizzazione dei profitti, è difficile che t'impegnerai in un prodotti di qualità, considerando quanto ormai le masse divorino ogni merda che si produca, a patto che sia sbrillucicosa e bene pubblicizzata.

Il che ci porta indirettamente a Knights of Badassdom, che è dichiaratamente un film autoprodotto, in origine nel progetto iniziale molto più vasto di quant'è stato effettivamente realizzato. L'anima del travestimento domina infatti tutto il film, a partire da un protagonista che come in ogni classica nerd love story viene lasciato dalla fidanzata impegnata sulla via del successo, che non può sopportare un ragazzo “bambinone” che ama il metal e ha scelto di lavorare in un'officina pur possedendo una laurea più che prestigiosa. Insomma, anima del travestimento contrapposta all'anima calvinista del profitto. Drogato a tradimento, viene introdotto dai suoi amici a un gigantesco raduno Larp (Evermore), dove sperano dimentichi l'amore passato. Ma come annunciato nella sinossi, a causa di un finto incantesimo fin troppo ben riuscito, evocheranno una creatura infernale che metterà alla prova dell'acciaio le abilità D&d del gruppo di protagonisti.

Il rituale
In questa trama nell'insieme straccia e prevedibile, vengono tuttavia inseriti diversi elementi interessanti. 

martedì 15 ottobre 2013

Guerriere fantasy e uniformi americane



Brienne di Tarth
C'era un tempo in cui non si poteva accedere alla bloggosfera senza trovare qualche discussione (troppo seria) sulle donne guerriere nel fantasy. Fisica, scienza, storia; di tutto per giustificare l'improbabile immagine della tradizionale guerriera fantasy che gnocca e prosperosa mulina (il verbo stesso mi fa rabbrividire) gigantesche spade a due mani, che tira con archi lunghi, il tutto ovviamente a cavallo di un drago, in armatura pesante o completini fetish. 
Ora, intendiamoci: nell'immagine Heavy Metal Style della guerriera fantasy non c'è nulla di male. Ma giustificarlo come "realistico" pone qualche oggettiva difficoltà. Col senno di poi, la Brienne di Tarth di George rr Martin risolve facilmente la situazione: ma lo scrittore quattordicenne, Paoliniano, mi verrebbe da definirlo, non vuole un personaggio brutto e complesso psicologicamente. Vuole una fantasia sessuale, che alimentata da Mmorpg e D&d difficilmente sarà interessante. Questo per dire che non c'è nulla di male nemmeno nelle fantasie, se ahimè un minimo originali. Sulle vecchie enciclopedie di racconti della Marion Zimmer Bradley, molti scrittori erano maschi, ad esempio.
A voler distruggere definitivamente l'argomento, per avere un personaggio femminile carino e grazioso che combatta con l'abilità di un maschio basterebbe spostarsi nel 600, nel 700; fioretto e armi da fuoco e già (un minimo) di realismo l'abbiamo raggiunto. Ma ancora una volta Paolini lo scrittore quattordicenne, non vuole un fantasy originale: vuole il fantasy medievale, con la santa trinità di elfi, umani e nani. 
Eowyn nel cartone animato pre-Peter Jackson
Quest'idea, che basta vestire una donna da maschio per farla combattere come un maschio sembra aver investito l'esercito americano, che solo dopo dieci anni di conflitto s'è accorto che in effetti le uniformi di guerra maschili non andavano bene per le donne.