martedì 15 gennaio 2013

Il cyberpunk polacco alla riscossa


" Che begli occhi! Dove li hai trovati? "
" Da Parts 'N Programs, nella sotterranea. Sono Kiroshis, naturalmente... "
Conversazione nel New Harbor Mallplex.


Ho sperimentato il mio periodo di letture cyberpunk fra terza e quarta superiore. Ignoro se corrispondesse a qualche ribellione intellettuale, o se più semplicemente adorassi l'estetica del cyberpunk; fatto sta che divorai ogni cosa che trovavo sia di Gibson che Sterling, arrivando anche a lambire " La macchina della realtà", che abbandonai alla prima lettura perchè all'epoca ancora disinteressato al periodo vittoriano.
Successivamente ho ripreso quest'estate l'opera, regalandomi devo ammettere grandi soddisfazioni, per l'estenuante – ma non per me – mole di dettagli. 
Nel cyberpunk ricordo, oltre al citatissimo Neuromante di Gibson, i vari saggi che Sterling già si dilettava a scrivere. Tutt'ora compila ogni anno un rapporto tanto simpatico quanto la carta vetrata sulle nuove tendenze di Hipster, subculture e mondo digitale. E in generale all'approccio con le nuove tecnologie. Credo sia il campo in cui meglio esprime se stesso, persino quando spara dubbi giudizi sulla politica italiana, arrogandosi un titolo di osservatore civilizzato in terra straniera, fornito dal suo quieto vivere a Torino.
Ma ripensandoci, quando scrive cose del genere:

"Gli italiani non sono secondi a nessuno in termini di "capitale sociale", il che è una delle ragioni fondamentali per cui il loro governo è così disfunzionale. L'Italia non è una "nazione" dotata di un "governo", è piuttosto un insieme di città-stato estremamente civili a cui è stato imposto un lifestyle nazionalistico negli anni '60 del diciannovesimo secolo. Se i predatori francesi e austriaci non avessero inventato l'idea del governo nazionale, dubito che gli italiani l'avrebbero mai sviluppata da soli. Oggi che il social network è entrato in questo mix, la cosa mi fa pensare. Non si tratta del governo o della società civile o del capitale sociale... I locali li adorano ovviamente, ma uno non può fare a meno di interrogarsi sugli effetti a lungo termine [dei social network]. Cosa dirà la gente tra venti o quarant'anni anni?"(riporto dal sempre interessante filosofo Bittanti)

Non è poi che abbia tutti i torti, se si riesce a mandar giù l'amaro boccone.
Ma sto divagando. Non esiste solo Sterling, e in quegli anni delle superiori c'era un manuale stampato di traforo dopo averlo scaricato dal mulo ronzinante che adoravo- e ditemi cosa c'è di più cyberpunk che scaricarsi il manuale di ruolo a sua volta di un gioco cyberpunk- ovvero:




venerdì 11 gennaio 2013

Moore, un po' di Lovecraft e un nuovo volume della LDSG: Nemo, Cuore di ghiaccio


O la leggenda degli uomini straordinari. O the league of extraordinary gentlemen, valenza inglese che preferisco per una sua intrinseca eleganza, rara nella lingua barbara delle isole britanniche.
In ogni caso, tenevo d'occhio la notizia con una certa costanza, prima che sia divenuto ufficiale: esce a febbraio un nuovo volume della saga della lega, Nemo: Heart of Ice.

Il nuovo volume sicuramente non è tre cose: primo, non è il seguito della LDSG, già degnamente conclusa sulle note dell'allucinato "2009"; secondo, non è nemmeno un volume "tipico" della saga, uno spin off qual'era lo strambo, ma apprezzabile "Black Dossier"; terzo, è un volume di "sole", 56 pagine, dunque un lavoro certo apprezzabilissimo, ma piuttosto contenuto.

La trama ruota attorno alle disavventure della figlia di Capitano Nemo, Janni Drakkar, che dopo i traumatici eventi di "1910", s'avventura in una decade di razzie e anarchica distruzione. In cerca di redenzione, desiderosa di riconquistare almeno un'esigua parte del consenso dell'Europa, intraprende una missione nella quale persino suo padre, Nemo, aveva fallito: esplorare l'Antartide, favoleggiata terra di ghiacci e tesori. 

Secondo le poche informazioni a nostra disposizione incontrerà nel suo percorso tre geniali inventori americani (?), assoldati da un famoso magnate (Charles Foster Kane?) per rintracciare e recuperare le spoglie di una regina africana, congelate nella morte bianca del Polo. Ma oltre a questo, basta un'attenta sbirciata alla cover, per scoprire la fonte principale d'ispirazione: Lovecraft. E più nello specifico il racconto-romanzo a cui forse Lovecraft teneva di più, ovvero " Alle montagne della Follia".
Alan Moore contro Lovecraft, ancora una volta?
Un'eroina dal cuore di ghiaccio- Janni- i classici eroi pulp gettati a combattere nel crudo mondo reale, e infine- dulcis in fundo! - mostri Cthuloidi?

You sold it, Alan Moore. You sold it.

giovedì 10 gennaio 2013

Aletheia (2/2)



Aletheia (2/2)

Nulla da vedere in televisione, stasera. Un deserto elettrico di reboot, sequel&triti documentary senza sostanza. Mi afferro la fronte fra le mani, chiudo gli occhi. Le pupille pulsano, sotto i polpastrelli. Lampi rossi nella testa. Quell'idea, quel pensiero. L'intero pomeriggio la inseguo, senza sosta. A tratti, in frammenti di lucida consapevolezza sento che si avvicina, che manca un niente, affinchè mi ritorni alla memoria. Ogni tanto ritorna, come quel pizzicare dell'uomo ragno nei vecchi fumetti marvel. Lambire con dita troppo sudate per afferrare, qualcosa che da tempo stai rincorrendo. Spengo la televisione con le viscere annodate dal troppo cercare. E dai resti della pizza surgelata.

Aletheia sente il naso schiacciato dalla canna della pistola. Il contatto osceno di un'appendice di metallo sporca d'olio, fredda. Avverte confusa, nella cortina di sangue e lacrime, il cavaliere-scatola blaterare un ultimo discorso, prima di flettere l'indice sul grilletto. Poi, nell'istante che precede l'accensione della polvere da sparo nel proiettile, l'uomo scompare. Si disgrega quasi, in un sibilo di ozono e gomma bruciata. La scatola al posto della testa vomita una babele di luci e rumori, poi esplode dall'interno, disseminando il deserto di frammenti di vetro e plastica.

Pancia sul divano, mi gratto i capelli sporchi, prima di guardare dal cellulare il mio profilo twitter. Amori spezzati, giochi di parole, link pubblicitari: il solito schifo. Clicco una volta, poi due sul simbolo esc. Dannato schermo touch, non imparerò mai a usarlo...

Aletheia trascina la gamba ferita, si appoggia ai battenti in bronzo del tempio. Guarda con il coraggio che solo la stanchezza può dare il cavaliere canarino sollevare lo shotugun, prendere la mira. Nota la pistola dell'uomo-scatola ai suoi piedi, ma al tempo stesso si rende conto che non riuscirebbe mai ad afferrarla prima che l'impatto del proiettile la spappoli come un fiore calpestato. Si aggrappa alla porta del tempio, spinge in avanti. Allargare la fessura. Entrare. Mettersi in salvo. L'uomo canarino spara. Un boato ravvicinato, un'esplosione. Aletheia per la seconda volta nel giro di pochi secondi chiude gli occhi, li riapre. Il cavaliere azzurro si rotola nella sabbia, cerca disperato di spegnere le fiamme che divorano le sue piume colorate. Quel becco da cartooon è sporco di sangue, spezzato. Un occhio dell'uccello pende dall'orbita, ondeggia per il nervo che ancora lo trattiene. Aletheia si avvicina, inciampa nello shotgun. La canna è deforme, dilaniata dall'interno. Schegge ovunque. " Gli è esploso in faccia! " Esulta, prima che il terzo cavaliere l'accoltelli alla schiena con un affilato bisturi.

mercoledì 9 gennaio 2013

Aletheia (1/2)


Racconto scritto questo Natale, vagamente allegorico. Come fonte dominante, c'è il capolavoro, molto sopravvalutato a mio avviso, di Neil Gailman, American Gods. E conseguentemente, uno dei Tropes che più amo, cioè All Myths Are True. Stupido, ma divertente. Da quanto ricordo, con Gailman gli dei si fermano a Internet, rappresentata- banalissimamente, e in modo parecchio retrogrado- come un bambino grasso e disadattato. Vabbè.
Ho pensato di portare questo concetto avanti, e trasporre lo status di divinità ai social network stessi. Dopotutto, nell'era attuale, non è raro trovare gente che considera la visita giornaliera a Faccialibro ai pari di una preghiera, o che avverte una sincera perdita di fede, quando salta la connessione internet. E già trascuro gli hipster che fotografano ogni cosa che si muove, o gli evangelisti twitteriani, impegnati in feroci crociate contro gli araldi del bianco&blu.
Non è questo, "un mondo che ha perso la fede".


Come sempre, se vi va commentate! Nella mia intenzione, i due differenti piani – prima persona maschile e terza persona femminile di Aletheia - in cui si svolge la vicenda avrebbero dovuto intersecarsi con maggiore chiarezza, ma come ho constatato dal silenzio dei forum di scrittura, in effetti la gente fatica a comprendere cos'ho scritto. Non forse sul piano dell'intelligibilità- fortunatamente! - quanto piuttosto nel fine stesso della vicenda. Il fatto stesso che abbia considerato necessario questo breve preambolo, è un segno che manca chiarezza nel racconto. ^.^

Aletheia (1/2)

Sospiro, mentre tazza di caffè nella sinistra e mano destra sul mouse, aguzzo gli occhi sulle nuove notifiche. I punticini rossi brillano sullo schermo blu. Clicco, clicco frenetico: assaporo con sogghigno sulle labbra la replica irata di un bimbetto caduto nella mia provocazione da troll, osservo con distaccato disinteresse la risposta negativa di un cesso con cui ci stavo provando e termino infine, postando un frammento di Heidegger, che a essere ben sincero non comprendo, ma che ah! Lì sulla bacheca mi trasforma presto, nell'intellettuale impegnato che vorrei sembrare.
Sbatto le palpebre, stropiccio l'occhio arrossato. Sono cinque ore, che chatto online. Cinque ore che batto sulla tastiera, mando email, e di tanto in tanto, compilo distratto gli appunti della nuova lezione che dovrei andare a preparare. La schiena arde al contatto con il cuoio nero della poltrona, le braccia dolgono. La mano destra? Metastasi del tunnel carpale. Sono stanco, ma non riesco... non riesco a smettere. C'è un pensiero che mi tormenta. Dalla pausa in cui bevevo il thè del primo pomeriggio, e guardavo distratto le gru del porto ondeggiare alle raffiche della tempesta a venire. Non è la prima volta che mi sovviene un'idea; e non è certo novità che l'idea in questione appaia come un lavoro geniale, un progetto fantastico, "qualcosa di mai visto prima". Ma nel caso in questione era diverso. Non avevo la chiara sensazione di scrivere il solito, delirante frankenstein d'idee rubate, storpiate, torturate per farle sembrare qualcosa di mio. Stavolta, per la prima volta dopo anni e anni sentivo che un pensiero nuovo aveva fatto capolino. Timido, sbirciava dietro l'angolo. Un po' come il gatto della mia vicina, sempre tanto riluttante alla carezza. O come quelle ragazze che non riesci mai a invitare da nessuna parte, perchè non appena parli, già le vedi indietreggiare, sparire dietro lo scaffale dell'ennesima biblioteca. E così l'ho persa quest'idea, questo pensiero nuovo e autentico. Impegnato in mille altre cose, ho lasciato che si smarrisse nei meandri della mia mente. Tolgo lentamente le cuffie, barcollo con le giunture che gridano vendetta alla finestra. Respiro l'aria carica di pioggia, che picchia in strada in uno scrosciante diluvio. Un'idea, un pensiero di libertà. Mi afferro la fronte fra pollice e indice. Chino il capo. La mia piccola creatura. Perduta!



Aletheia scivola per le dune di sabbia rovente, affonda i sandali in passi faticosi. Impreca, quando superato l'ennesimo dislivello, scruta l'orizzonte vuoto. Il gioco di un dio beffardo, quel mondo. Una distesa desolata di sassi e sabbia. Non una pianta, non un animale. Inclina il capo a fissare il cielo assolato, di un azzurro stinto, divorato da un globo infuocato che risulterebbe riduttivo, definire "sole". Apre le labbra screpolate. Invoca l'acqua, la pioggia. " E già che ci siamo, il mare, e pronta una cazzo di galea a salvarmi! " Chiude gli occhi, li riapre. " Stupida, stupida, stupida! " Si batte il pugno sul peplo, affonda le mani nella sabbia. Pietre. Sbriciolate, arse, trasformate in finissima polvere dorata.
" Dove sono? Dove cazzo sono? " Ricorda ancora le verdi distese dell'Olimpo, la folla di dei, semidei, eroi. A giocare, guerreggiare, schernirsi. Da Zeus ad Atena, alle muse e ai satiri. E poi loro, le mezze cartucce. Gli aborti. Non titani adorati da popolazioni festanti, o dei a cui massacrare cento e cento vergini. Gli dei feccia. Dionisio. Le Graie, le Erinni, le Muse. E poi lei, Aletheia! Nemmeno un dio, nel senso pieno del termine. Ma una parola, un segno. Un'idea nella testolina di un filosofo troppo occupato a pensare. " Siamo scarti " constata Aletheia. Relitti nel folle percorso della ragione. Gli scarti nelle guerre di generazioni e generazioni di filosofi. Difesi da eserciti di critiche e trattati, innalzati all'ultima soluzione, all'ultima verità. Solo per subire l'oltraggio di troppi rivoluzionari, troppi allievi che superano il maestro, troppa destructio spinta al suo spasimo. Non esiste Aletheia. Non esiste verità ultima.

- Nasconditi! Nasconditi, sciocca! -

Una voce sottile, stridula. Aletheia alza il viso, inquadra la sottile silhouette di un airone in volo. L'uccello veleggia verso di lei, si ferma a mezz'aria, sbattendo le ali dai mille colori. Aletheia alza un sopracciglio, perplessa.

- Thot? Il dio della scrittura? Che ci fai...-

- Che ci faccio qui? – Gracchia, socchiude il becco affilato. Con gesto di nauseante autocompiacimento, s'appollaiola sulla spalla di Aletheia, che a stento si regge in piedi al peso gigante dell'airone.

- Sai – La dea stringe i denti, impreca – non sei proprio un leggero pappagallo...-

- E tu non sei solo un'umana sperduta, mia cara. Sei lo scarto della mente di un filosofo, quindi taci e ascolta chi è più vecchio, di te, chiaro? -

- Egizi, greci... Siamo più o meno lì, no? -

Thot chioccia una risata maligna. - Eravamo vecchi quando voi greci ancora vi massacravate con clave e pietre, Aletheia. - L'airone le strofina il becco nero sulla guancia, avvicina l'affilatissima punta all'occhio nero di Aletheia, che sbatte frenetica le palpebre. - Non provocarmi, puttanella -

La dea deglutisce amaro. Azzarda qualche nuovo passo sulla duna in salita. Scivola nella sabbia bollente.

- Parlavi di un pericolo...- Sospira – non è che sapresti dove sono, per le palle di Zeus? -

- Huhu – sibila Thot. - Una così dolce boccuccia che pronuncia parole tanto volgari! -

- Non lo sai, nemmeno tu, vero? - Sogghigna Aletheia. - Sei anche tu intrappolato in questo... Inferno! - 

- Err...- Thot gracchia, stringe gli artigli nel soffice peplo bianco di Aletheia. La ragazza resiste strenuamente all'impulso di grattarsi la spalla, dove macchie di sangue ormai macchiano il tessuto. - No! Va bene, non lo so! - il dio della scrittura sbatte le ali, schiaffeggia Aletheia. - Mi avrà intrappolato l'ennesimo scribacchino disperato, o il solito ragazzino appassionato di piramidi! -

- Quindi... Vorresti dire che siamo nella mente di un umano? Ma com'è...-

- Forse sì, forse no. Cioè, non lo so, Seth si fotta: non lo so! - Thot apre e chiude il becco, ticchetta frenetico – Può essere che siamo solo emanazioni, doppi, tripli della nostra autentica identità. Magari in quest'esatto momento, la vera Aletheia pasteggia nell'Olimpo, mentre la sua ombra bestemmia nel deserto. Chissà! Ma quanto conta, è che non siamo soli! -

- Altri dei? Come noi? Ma se...-

- Erano tre cavalieri, Aletheia. Ma ignoro se siano davvero dei, o cacciatori di questo deserto maledetto. Si muovono lenti, goffi. Gesticolano parolacce, grugniscono. Sono come infanti, bambini che non sanno ancora controllarsi. Ma possono fare male, se non stai attenta – Thot alza un'ala, espone una lacerazione fra le piume, un buco della forma di un cerchio perfetto, gocciolante inchiostro. - Hanno bastoni che tuonano, i bastardi -

- Ma siamo dei, no? Non possiamo morire? -

- E Afrodite, ferita al polso da Diomede, nella vostra ridicola guerra di Troia? E Ade, trafitto da una freccia di Eracle? Possibile che debba essere io, a ricordartelo? Ferire un dio, mutilarlo... E' sempre possibile. -