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venerdì 17 febbraio 2017

The Wall 6/6 (racconto)

... e siamo arrivati al finale, come sempre pareri&commenti sono i benvenuti ^^


The Wall 6/6 

mercoledì 15 febbraio 2017

The Wall 4/6 (racconto)


Come vi sembra, finora? A rileggerlo a un anno di distanza trovo che ci sia un certo conflitto tra le idee e i riferimenti (anche linguistici) che volevo inserire e la storia vera e propria. I due non sembrano fondersi come dovrebbero, ma forse è solo un'impressione mia.
The Wall 4/6

martedì 14 febbraio 2017

The Wall 3/6 (racconto)


Continua la svolta action/horror per uscire dalla monotonia dei dialoghi precedenti...


The Wall 3/6

venerdì 10 febbraio 2017

The Wall 1/6 (racconto)

Al momento sto ancora sbrogliando la sessione di esami invernale, che mi sta impegnando decisamente più del previsto. Non so se sia stata anche la vostra impressione, ma gennaio è sembrato durare un'eternità... quasi un anno intero compresso nel formato .rar di un mese.

Ho scritto il racconto in questione un anno fa, a febbraio/marzo 2016 e come promesso ve lo propongo dopo i risultati del concorso ;-)

The Wall 1/6


mercoledì 23 marzo 2016

Anatomia di un racconto


Ultimamente, in attesa delle istruzioni per un'antologia di racconti, mi sono impuntato a voler partecipare a un concorso di cui ho trovato il bando sulla bacheca della biblioteca universitaria.
Quel genere di concorsi letterari su temi di attualità, in questo caso frutto della collaborazione di enti sia italiani che sloveni, che croati.
E' chiaramente impossibile che vinca, per il semplice fatto che ho scelto di scrivere una storia di fantascienza e di solito in questo genere di concorsi vince sempre l'opera mainstream che parla di “cose vere”. Tuttavia, mai lamentarsi: il premio è consistente, l'argomento piuttosto libero, la partecipazione gratuita. Magari ne leggessi più spesso negli avvisi dell'Università!

Inoltre, il processo di scrittura del racconto stavolta è stato anche più fluido del solito e ne sono rimasto molto soddisfatto. Non del contenuto, o della qualità del racconto inviato, ma del modo con cui l'ho redatto, rispettando le scadenze da me imposte. Il processo ha seguito delle tappe talmente scandite da sembrare un orologio svizzero. Le riporto nel caso vi possano interessare, o nel caso ne possiate trarre consigli utili. Ci tengo a puntualizzare che ho scritto l'intero racconto controvoglia, odiandone ogni passaggio e senza la benché minima scintilla di ispirazione; eppure se confronto un passaggio di questo racconto con un altro in cui mi sentivo divinamente ispirato ne io, ne il mio paio di lettori beta riusciamo a spiegarvi la differenza. Traetene le conseguenze che volete...



giovedì 28 febbraio 2013

Buoni propositi: 500 parole al giorno


Lo scrittore è ossessionato dal ritmo. Non dal ritmo del romanzo, ma dal ritmo di scrittura.
Caratteri e parole assumono velocemente un significato magico, se non taumaturgico ai suoi occhi.

Oggi ho scritto 1000 parole. Oh scusa, intendevo 1000 caratteri, spazi compresi.

Oggi ho scritto cinque parole, ma erano le conclusive del mio racconto.

Oggi ho scritto 452 parole, me ne mancano ancora 8 per concludere la mia tassa giornaliera!
E così via.

Come osservava lo chic Murakami nel romanzo autobiografico " L'arte di correre", la scrittura ha molti punti in contatto con la corsa.
Più ti alleni, più corri fluido. 
Più scrivi, più diventa facile organizzare capitoli e personaggi, collocare ognuno al proprio posto, avere con le parole sempre maggiore dimestichezza. 
Tuttavia, solo gli scrittori più validi possono ambire alla maratona. 
O meglio, al famigerato Nanowrimo.
Ne vogliamo parlare? Dei tantissimi- perché sono tanti- blogger che dichiarano che proveranno a scrivere il romanzo "nel cassetto" nel giro di un mese, per poi soccombere a metà strada, o esalare l'ultimo respiro nelle ultime settimane. Relitti impreparati, dal fiato boccheggiante.

Personalmente, non ho mai sento la necessità d'affrontare una maratona di scrittura. 
In parte perché consapevole dei miei onesti limiti, non solo nella scrittura, ma nel tempo vero e proprio a disposizione. Dall'altro, non credo che i risultati valgano lo sforzo. 
Non serve scrivere mille parole al giorno (stupido King docet) se poi si rivelano foriere di una marea di cattive abitudini scrittevoli, trasformando lo scrittore in un essere scimmiesco che pesta tasti a caso sulla tastiera per raggiungere sta benedetta quota prefissata.

A ragionare in questo modo, si finisce sempre per barare.
A scrivere muri di pov omnisciente (gulp!)
O paragrafi di continuo mieloso infodpump (doppio gulp!)
O a drogare i protagonisti di cattiva letteratura per farli finire dove vuoi, per meglio affrettare questo romanzo che sta rapidamente diventando un tormento...

Tuttavia...
Guardando un vecchio racconto fan fiction che mi trascino da oltre due anni su un forum, con commentatori che implorino che aggiorni dopo oltre cinque mesi d'assenza...
Considerando che "Donne, dirigibili e brutti contadini" si è arenato sulla sua scaletta iniziale, che all'entusiasmo dei primi mesi è subentrato un ritmo tanto lento quanto scarso...
Occhieggiando con vago timore la patina di polvere sui progetti iniziati e mai finiti, abbandonati a metà costruzione, come titanic trasformati in pescherecci arrugginiti...

Forse imporsi un tetto minimo di parole da scrivere al giorno, assicurandosi così di terminare tanti ambiziosi progetti non è forse un'idea così malvagia. Destino vuole, che in questi giorni finissi sulle
strategie evolutive del buon Mana. Che leggendo questo post sbirciassi il blog dell'istrionico Chuck Wending, infernale scrittore che all'appello ha parecchi saggi sull'arte di scrivere, o più prosaicamente, su come costringersi a scrivere. Opere in realtà raccolta degli articoli sul suo blog, che basta visitare alla seconda pagina per ottenere un primo consiglio.


domenica 13 maggio 2012

Cavaliere d'inverno



Il cavaliere errante giura fedeltà al sacro codice della cavalleria, imbraccia la lancia, corre a vendicare gli oppressi, a difendere le giovani vergini, a uccidere orribili mostri.

Lo stadio successivo in ogni fantasy che si rispetti è il cavaliere della cerca; l'intrepido eroe che viaggia alla disperata ricerca del Graal, guidato dalle (poco) affidabili visioni della Dama del Lago

E' facile comprendere come il cavaliere della cerca sia un personaggio miiiille volte più interessante, pur nei ristretti stereotipi del medioevo fantasy. Il percorso verso il Graal è lastricato di continue sfide, dilemmi morali e inganni che mettono a dura prova.
Il cavaliere dalla scintillante armatura si sporca, deve scendere a difficili compromessi, esce dal zuccheroso mondo delle fiabe. Matura. A volte fallisce, e il suo scheletro dilaniato giace in qualche tomba dimenticata.
Altre volte ancora sprofonda nella follia, corrotto dai poteri oscuri, consumato dal preghiere e privazioni.
In rari casi riesce, ma nel momento in cui poggia le labbra sul Graal tutto quello che sente è la cenere del rimpianto e del dolore per gli amici perduti. 

E poi ovviamente c'è la Dama del Lago. Questa... Dea le cui visioni, le cui apparizioni dovrebbero condurre il cavaliere all'immortalità. Una dea beffarda, che gioca col suo cavaliere come una marionetta di latta, che spesso lo conduce alla pazzia. 

Ammetto spesso di sentirmi come un Cavaliere della cerca, intrappolato in un'infinita quest senza senso.
Con la fondamentale differenza che con i mostri nell'ipocrita 21 secolo ci devo convivere e con stretta al cuore stringerci la mano e dialogare civilmente, mentre al mio fianco sfilano Dee indifferenti, dalle visioni beffarde. Troverò prima o poi la dama del lago?  ^__^

Questo racconto sarebbe parte di un mio vecchio progetto, una quadrilogia che includa quattro racconti, ognuno attorno al tema del cavaliere alla ricerca del graal. Ogni racconto sarebbe legato ad una diversa stagione. Gelida primavera è il primo, Cavaliere d'inverno il secondo. 
In attesa che la morsa degli esami si allenti almeno un pochino vi propongo la prima parte, ovviamente ancora da rivedere.



sabato 5 maggio 2012

Una vecchia conoscenza

Donne, dirigibili e brutti contadini: X

Capitolo trashosissimo a dir poco.

- Ora di sveglia, piccola!-
Una voce mielata le strillava nelle orecchie. Katherina aprì gli occhi, incrociando lo sguardo meravigliato di una donna grassoccia, dal viso incorniciato in una cuffia da infermiera.
- Ehi! Ma che diamine!- Disse la donna, ridacchiando.- Ti sei svegliata davvero!-
Katherina provò a mormorare qualcosa, per poco non si strozzò. L'infermiera rise di nuovo- Smettila, stronza pensò il capitano- le porse un bicchiere in legno, ricolmo di liquido scuro, a cui  Katherina si abbeverò con cautela. 
"Vino. Con una punta di cannella. E con diversi grammi d'oppio".

sabato 28 aprile 2012

Gioco di specchi


I vantaggi della scrittura risiedono senza dubbio nella gratificazione immensa che ti si spalanca quando alla domanda "Cosa fai nella vita?" rispondi con aristocratico sussiego " Scrivo".
Se siete in un bar, col gomito poggiato sul bancone, un calice di vino in mano e una ragazza leggermente brilla che vi fissa adorante non esiste risposta migliore.
Ed ecco palesarsi l'immagine di questo scrittore che fra mille tormenti scrivendo di notte su un'antiquata macchina da scrivere forgia un magnifico romanzo.
Magnifico! Magnifico!
- E di te cosa posso leggere?-
E qui casca il palco, e con gran fragore. Perchè, ti rimprovera la coscienza non hai ancora pubblicato nulla, nel vasto mondo cartaceo. E quanto al tuo microcosmo di racconti e abbozzi di romanzo? Cosa far leggere? Forse il lungo racconto di una capitanA piscopatica in una sfilacciata ambientazione dal sapore vagamente ottocentesco? Diverse strambe e grottesche fan fiction ambientate in un mondo fantasy che sarebbe decisamente troppo nerd nominare?
Serve a questo punto un racconto portfolio.
Il racconto portfolio (definizione del buon Forlani) deve rispondere ai seguenti requisiti:
  • Relativamente breve... Il lettore casuale fatica a leggere su schermo di pc/ prova un istintivo timore a stampare qualsiasi documento sputacchi internet, anche se consigliato.
  • Complesso quel tanto affinchè avvinca il lettore; preferibilmente la tematica deve contenere traccia di poesia, riflessione sulla scrittura stessa (opzionale) temi intimisti/ pseudofilosofici/ strappalacrime; questo perchè indifferente quanto sia infondata come diceria fantascienza e fantasy sono dalla larga maggioranza considerati, la prima argomento ammuffito fermo ad Asimov, la seconda "roba poco seria" buona per bimbetti e ragazzotti non troppo svegli.
  • Offire comunque un buon esempio di stile e tematiche che ci sono care, pur ringhiando di fronte alla necessità di mantenersi nei limiti dell'angusto politically correct.
Insomma ho quest'idea di un racconto che vada bene per tutti, fratelli, nonne, vecchi professori in pensione, amici, compagni di corso universitario, fratelli di bevute, ecc ecc
Da parte mia avevo recentemente partorito "Gioco di specchi". Compare la tematica- assai abbozzata per essere sinceri- dell'artista che incontra la propria opera d'arte; la protagonista è femminile e soffre di vaghe psicosi/ turbe asociali (un mio classico); inizia in media res, tanto per uncinare il lettore nella narrazione; le forze dell'ordine appaiono spietati carnefici (ah la cara vecchia paranoia! xD)
Volete la verità? Trovo sia dannatamente banale come scritto, e pure pretenzioso. Però dovunque lo posto piace, per cui il mio personale racconto portfolio devo averlo azzeccato.
E voi? Qual'è il vostro racconto "tipo"?

La sciarpa! La sciarpa!

sabato 21 aprile 2012

Duello nelle tenebre

Donne, dirigibili e brutti contadini IX

Come sempre, se vi sono passaggi che risultano poco chiari commentate. I combattimenti in questo senso risultano spesso un delirio.

Il buio avvolgeva le strade, tranne per l'ordinata illuminazione dei lampioni a gas e l'occasionale baluginio degli occhi di qualche gatto randagio. Katherina sostò presso la luce, ascoltando con smorfia all'angolo del viso i lamenti di un mendicante tormentato dal freddo.
"Troppa feccia, per le strade. Ma con simili pusillanimi al potere, non mi meraviglia che nessuno abbia il fegato di fare un po' di dannata pulizia". 

giovedì 22 marzo 2012

Automi e segretarie

Donne, dirigibili e brutti contadini VII parte

- Milady Katherina?-
Si voltò di scatto, le sfuggì un gemito di paura, subito soppresso dal ferreo autocontrollo dei denti stretti fino a far sanguinare le gengive. L'automa osò indietreggiare di un passo, accennò un aggraziato inchino con le braccia in caucciù.
- E tu chi...- una correzione- Cosa diavolo sei?- sputò Katherina cercando con la mano il fodero della pistola e trovandolo sgradevolmente vuoto. Peccato. Avrebbe tanto voluto fargli scoppiare quella testa piena di frivoli ingranaggi, quella maschera in rame sorridente e sornione. 

sabato 3 marzo 2012

Ingresso al municipio

Donne, dirigibili e brutti contadini VI parte

Aggiornamento di un racconto ancora in fase molto, molto beta.
Se vi va commentate le vostre impressioni, difetti certo non ne mancano :P

Il municipio era un edificio basso e sgraziato, un ammasso di mattoni anneriti dallo smog, ingentilito solo all'ingresso da due slanciate colonne doriche corrose dalla ruggine. Un soldato di guardia, viso annoiato e giornaletto lurido fra i polpastrelli grassocci, alzò il viso al bussare di Katherina al portone.
- Consegnare armi e documenti, prego-
- Sono un capitano di zeppelin, piantone. Le mie armi mi seguono dovunque vada -

giovedì 29 dicembre 2011

Teratogenesi

Donne, dirigibili e brutti contadini V parte
 
Se questo è il primo capitolo che leggete, consiglio d'iniziare dal primo, su 
Fumo denso come pece usciva dalle alte ciminiere che sormontavano la fila di stamberghe e capanne di lamiere e mattoni.

Katherina tossì un paio di volte, respirando quell'aria densa di cenere e polvere.
Come potesse la gente vivere a così stretto contatto con le industrie della città faticava a capirlo.
Camminò a fianco del sergente, guardandosi in giro, cogliendo immagine dopo immagine un quadro dei sobborghi della città.
Una banda di tre, quattro ragazzini pelle e ossa le tagliò la strada, inseguiti da un poliziotto dall'elmo in cuoio nero
e un manganello in mano, il viso paonazzo. Un mendicante dalle dita fratturate chiedeva la carità nel fango della strada,
le mani un groviglio di rami spezzati. Un giovane con bombetta e uno stretto panciotto malmesso, ma pulito chiaccherava
con una giovane coppietta di turisti, lui con bastone da passeggio placcato d'oro, lei con ombrellino parasole bianco crema,
grottesco nel nero della città. Mentre Katherina passava, il giovane già faceva scivolare la mano nelle tasche dell'uomo,
illustrando al contempo con fare teatrale le principali meraviglie architettoniche della città.
Il capitano dello zeppellin trattenne un sogghigno. Poveri idioti!
- Signora, signora, la prego un soldo per il mio bambino- piagnucolò una sedicenne dal viso scavato, in ginocchio nel fango,
come tutti i mendicanti. Nell'incavo formato dal braccio giaceva un bambino avvolto in fasce marroni tanto erano luride.
Katherina voltò la testa da un altra parte e affrettò il passo, ma l'adolescente si aggrappò con la forza della disperazione agli stivali.
Il capitano ne incrociò lo sguardo e rabbrividì violentemente. Una cataratta copriva l'occhio sinistro come una benda bianca,
umidiccia, dietro il cui velo qualche sinistro bagliore si agitava irrequieto.
Esattamente come l'occhio del prete ribelle a capo dei contadini. La sensazione, un insieme di vertigine e paura, era la stessa.
La voce del sergente, che la chiamava qualche metro lontano, riportò Katherina alla realtà e presto il disgusto superò ogni paura.
- Ma levati, disgraziata! -
- La prego signora! Lei è come un angelo di bontà, un – Il capitano scalciò con forza per liberarsi della presa e la punta dello stivale
fracassò la mandibola della donna che ricadde nel fango, un rivolo di sangue e qualche dente sparsi per terra.
Il bambino cadde nel fango e attaccò a piangere, con suono più acuto di una sirena d'emergenza.
Il capitano lo afferrò con la punta delle dita, cercando di non sporcare l'uniforme nuova-
questo lo affido a un orfanatrofio, non certo a una buona a nulla che vive mendicando!- e rabbrividì di violento disgusto.
Una crosta di sudore e lezzo rancido copriva il neonato, ma non era quello il peggio.
Il viso era strabico, un occhio grande il doppio del normale, la pupilla assente, un puntino nel bianco della sclera dilatata.
Katherina cominciò con uno dei guanti a togliere i bendaggi e sentì in bocca i primi sintomi di una forte nausea.
Qualcosa si agitava sotto le fasce sporche, qualcosa premeva per uscire e non erano certo i piedi o le mani già strette a pugno.
Con forte strattone strappò gran parte delle strisce di cotone attorno al petto. Un soldato urlò, un altro vomitò la colazione.
Tutt'intorno al petto del bambino, a raggiera come un anemone di mare, mostruosi tentacoli si agitavano incessanti.
In effetti Katherina stentava a distinguere dove terminasse la pelle del bambino e inizasse l'attaccatura del tentacolo.
Erano tanti, sottili e finissimi e si agitavano in modo incessante, protendendosi a tastare il polso della donna.
- Che cos'è questa... cosa?-
- E' mio figlio-
La mendicante s'era rialzata e prese il bambino, cominciando a coccolarlo come se niente fosse, il mento ancora sporco di sangue secco.
- E' mio figlio e gli Antichi l'hano benedetto con grandi doni-
I tentacoli s'avvinghirono al seno della donna e cominciarono a succhiare. La donna si morse il labbro. Non doveva essere piacevole.
- E io ne sono grata-
- Non è un bambino, è un aborto della natura-
Katherina estrasse la pistola dal fodero, l'armò con uno scatto del pollice, la puntò verso il neonato.
Tre fucili le vennero puntati alla tempia.
- Niente scherzi, capitano. Da queste parti non si uccidono bambini per qualche piccola mutazione dovuta a smog e veleni -.
- Crede davvero che un pò d'inquinamento possa far nascere simili mostriciattoli? E' ancora più stupido di quanto pensassi! -
- Non è un mostro! E' il prescelto degli dei, blasfemi!-
La donna aveva ripreso con le sue fastidiose assurdità.
- Verranno dal cielo e vi puniranno tutti!-
Katherina riconobbe con noioso deja vu i toni del prete. Una qualche setta religiosa pensò.
Se ne formavano in continuazione fra operai e contadini, promettendo rivoluzioni e riforme.
L'unica spiegazione possibile per insulti e maledizioni a tal punto elaborate.
- E questi dei.. - Aggiunse Katherina, che si sentiva d'improvviso ansiosissima d'indagare.
- Basta! Finitela entrambi! Tu donna- il sergente afferrò la mendicante per il braccio, la spinse via dalla strada.
- Vattene! Quanto a lei, milady, siamo in ritardo per l'appuntamento con il senatore!-
Prima di andarsene Katherina gettò un ultima occhiata al bambino e alla madre.
Dal buio del vicolo in cui erano state gettati madre e figlio ricambiarono lo sguardo e sorrisero con i denti spezzati.
Katherina si affrettò a distogliere lo sguardo.


Com'è ormai tradizione, a te lettore che hai faticato per giungere fin qui, leggendo i mie scarabocchi, 
ecco una donnina in simil-corsetto per restare in tema vittoriano. Il giorno in cui la donna ha iniziato a vestire maglioni e jeans, 90% della sua sensualità è stata orribilmente cancellata :P






mercoledì 2 novembre 2011

Un incontro inatteso

Donne, dirigibili e brutti contadini IV parte

Donne, dirigibili e brutti contadini è un racconto che mi diverto a scrivere a intervalli irregolari.
(in pratica quando mi pare)
L' ambientazione è un blando fantasy steampunk, con protagonista una donna capitano di zeppelin, Katherina, coinvolta in un' oscura minaccia allo stato repubblicano in cui vive.
Link al primo capitolo: http://zenosaracino.blogspot.com/2011/09/ho-provato-buttar-giu-linizio-del.html

Avanzavano, il cielo bucato da una falange di baionette lucenti.
Bottoni dorati, uniforme nera, elmo d'acciaio in bella vista.
Katherina strizzò gli occhi, distinse il sergente dall'uniforme con le spalline dorate e la pancia da ubriacone. Fumò con una smorfia l'ennesima sigaretta, la gettò via, schiacciandola sotto il tacco dello stivale più e più volte . L'erba si sentiva appena, il fumo stentava a penetrare nei polmoni. Uno schifo.
Mentre la falange s'avvicinava a passo di marcia, diede un'occhiata a Enrico che, mascella serrata e mano contratta sull'elsa della sciabola, dava l'impressione di scoppiare da un momento all'altro.
- Problemi, sergente?- non resistette a punzecchiarlo.
- Non è nulla, grazie. Non sopporto tutta questa burocrazia, ecco tutto. Funzionari locali che si danno manie d'onnipotenza, la polizia che si crede chissà chi per l'occasione.-
- Sembrano piuttosto ben disciplinati- osservò distratta Katherina, guardando gli operai in una veste giallo sporco assicurare al suolo il suo prezioso zeppelin.
-Sono ridicoli. Grassi pavoni che non sanno combattere. Guarda le baionette ad esempio. Ferro così lucido non devono averlo mai usato davvero.-
Sbuffò.
- Probabile che non siano nemmeno affilate-.
Katherina non rispose, ma sorrise di sbieco.
-Il resto dell'equipaggio si sporgeva dal ponte con i pochi averi pronti in mano, mentre i più smaniosi, piloti e soldati, si accalcavano presso la scaletta.
Qualcuno stringeva fra le mani lo zaino, molti fotografie sbiadite o vecchi fazzoletti che avevano perso colore. Li sventolavano verso la piccola folla di donne che si accalcavano presso la scaletta, che strillavano nomi di ogni genere, più d'una con lacrime o attacchi d'ansia quando qualcuno rispondeva. Molte avevano superato la sessantina, altre più giovani, ma dal viso pallido e il corpo grassoccio delle casalinghe, stringevano le mani di bambini e figli. Altre ancora un pò in disparte fumavano qualche sigaretta, avvolte in vesti provocanti, ma piene di toppe, il trucco esagerato sul volto. Madri, fidanzate, puttane. Tutte in cerca dei loro amori. Beati loro, che non devono affrontare la burocrazia pensò Katherina, prima di lacerare il suo volto in un sorriso. Il sergente della falange ricambiò, con sorriso certo più largo e sincero, fermando la fila di soldati a un passo da Enrico e Katherina. Qualche metro lontano il macchinista e il primo pilota li fissavano, strascicando i piedi indolenziti. Tutto come prevedeva il maledetto protocollo, quindi perchè il sergente arrossiva e continuava a fare piccoli cenni con il capo?Con un sospiro Katherina accennò un inchino tanto rigido da sembrare che l'avessero spinta.
- Capitano Katherina?-
- Così dicono. Ne vede forse altre, di donne?-
Il viso dell'uomo si fece ancora più paonazzo. Il macchinista soffocò la risata nella barba fra continui singulti. Enrico ghignò. Il sergente si strofinò la guancia, vano tentativo di nascondere il rossore. Srotolò con la mano una lunga lettera arrotolata nell'ampia tasca del pastrano. Lesse le prime righe.
- In sostanza la devo scortare al Municipio, capitano. Ordine di massima priorità. In caso di necessità sono autorizzato all'uso della forza-
Katherina sbuffò di fronte all'espressione feroce del sergente.
- Sicuro di non aver sbagliato persona? -
- Niente affatto.- Porse la lettera, la donna gliela strappò di mano, la lesse con fronte sempre più corrucciata man mano che si addentrava nel testo.
-Allora?- incalzò Enrico.
-E' tutto vero.- ammise Katherina, a suo modo impressionata
 - Pensavo fosse un semplice controllo di routine e invece mi vogliono al municipio. Quattro chiacchere con niente di meno che un senatore in persona.
Nella lettera accennano a una missione, ma sono molto confusi in ogni punto-.
- Politichese, Katherina. La lingua dei politici. Non la capiscono nemmeno loro, figuriamoci noi- una pacca sulle spalle da parte di Enrico.
-Prenditi cura dello zeppelin, soldato! Ci si vede al pub, se dio lo vuole!- augurò Katherina, prima di scomparire fra un mare di divise nere.


Avete davvero letto tutto l'enorme malloppo? Bravi, ma ne dubito fermamente.
Per ricompensarvi, ecco qualche tetta :-D


Se siete donne considerate l'illuminante via del lesbismo ^^





lunedì 10 ottobre 2011

Risveglio

Donne, dirigibili e brutti contadini III capitolo

ho finalmente scritto un seguito del racconto. Su forum gw tilea sembra piacere, vedrò di continuarlo.
purtroppo continuano a mancarmi le informazioni tecniche necessarie!
Trovare libri su zeppelin e dirigibili continua a essere una ricerca vana e frustante!
Come fa la gente a NON adorare i dirigibili, non capisco. Dev'essere qualche oscuro complotto.

Sentiva il viso caldo, coperto di appiccicoso sudore. A fatica aprì gli occhi.
I raggi del sole a stento penetravano la fitta coltre di nuvole gialle.
Katherina tossì, sputando muco giallastro sul ponte.
Troppa erba? O forse erano le nuvole, gonfie degli umori dei gas asfissianti.
Si levò in piedi, strofinandosi le mani sporche di sangue secco sul vestito già sudicio. Doveva essersi addormentata sul ponte.
La pipa era rotolata poco lontano, e giaceva rotta, calpestata da qualche piede incauto.
Ne raccolse con cura i frammenti, mormorando qualche imprecazione.
Fosse stato possibile, avrebbe frustato i responsabili.
Mentre si piegava trattenne la nausea. A stento dominò il tremito alle mani brancolando per raccogliere ogni minima briciola della vecchia pipa. Maledetti bastardi...
Tentò di fumare lo stesso, sfruttando quello che restava del cannello di legno, ma il fumo si perdeva nel percorso, dissolvendosi in mille volute beffarde.
Gettò un' occhiata al suolo lontano. La terra era livida, un tappeto d'erba bruciata e annerita.
Piccole formiche nere che riconobbe dall'elmetto come soldati e operai trafficavano con cavi e catene, assicurando a terra un piccolo dirigibile rosso, dalle insegne mercantili.
Sterpi, radici divelte e crateri neri segnavano il passaggio alle terre selvagge.
Corone di filo spinato circondavano il perimetro, una striscia di terra gialla e avvizzita.
Colpa dei nuovi gas asfissianti? Pensò Katherina, con una smorfia.
- Ah il nostro capitano si è ripreso, vedo!-
La donna sospirò, riponendo in tasca i resti della pipa.
- Enrico! Efficente come sempre.-
Il sergente fece un sorrisetto compiaciuto, lisciando la giacca pulita e togliendo dalle spalline lucide inesistenti strati di polvere. Era mai possibile, pensò Katherina, esalando a stento un sospiro di sopportazione. Dovunque fosse, quell'uomo rimaneva impeccabile, racchiuso in un'uniforme di professionalità e sicurezza.
- Non è che hai una pipa di riserva, da prestare al tuo caro capitano?-
Il sorrisetto si spense.
- Fumare è sconsigliato da tutti i manuali, Katherina. Quanto a fumare erba sarebbe proibito.- Socchiuse le labbra in una severa linea di sottile intransigenza.
- Lo sai sul mio zeppelin cos'è proibito Enrico? L'imbecillità! Come il tuo caso.-
Il fiero cipiglio di Enrico divenne rosso dall'indignazione.
- Nel manuale del soldato della repubblica c'è scritto che...-
- C'è scritto che un soldato repubblicano dev'essere sincero, coraggioso, pronto a sacrificarsi anche quando è impossibile che vinca. Ah non dimentichiamo che non deve bere, fumare, scopare e un mucchio di simili altre fumanti caxxate-
Enrico strinse le mani che teneva appoggiate sul parapetto del ponte così forte che più di un'unghia si scheggiò a contatto con il legno levigato.
- Che c'è Enrico? Anche tu fumi, no? Cos'è questo improvviso rigore?-
- Sono stanco, capitano, esausto.- la voce era rabbiosa e Katherina alzò un sopraciglio perplesso al vedere il sergente così incupito.- Non capisci, perchè sei solo il capitano di questa nave, non comandi, addestri i soldati che mandi al macello.
Katherina alzò la mano e accennò qualche parola, ma Enrico rovesciava ormai un fiume in piena di parole.
- Li conoscevo quei soldati, uno a uno. Nome, carattere, storia, perfino cosa preferivano mangiare a mensa, dannazione. E tanto per cambiare li hai mandati a morire, fregandotene. E sarebbe bastato non giustiziare i prigionieri e forse la folla si sarebbe calmata, forse non avrei persò metà del plotone.-
- Ho fatto solo il mio dovere, nient'altro. E in ogni caso al porto ci forniranno nuove reclute per riempire i buchi, di che ti preoccupi? Soldatini di piombo da gettare allo sbaraglio ce ne sono sempre.-
Accennò una risata sarcastica.
Si voltò di colpo.
- Ma non capisci? Il resto del plotone è demoralizzato, con il morale a terra. Hanno perso, compagni, amici, e tu neanche una comparsata nella stiva a ringraziarli o a commemorare i caduti o...-
Katherina sospirò irritata.
- Non m'importa di fraternizzare con la truppa. Sono solo bruti senza cervello. Quanto al morale, mandali in qualche bordello di città e vedi come dimenticheranno tutto.-
- Sei come quei robot dell'Accademia. Senza emozioni.-
- Ti sbagli, invece. Se penso alla mia pipa rotta mi viene da piangere- Finse un'espressione addolorata, gli occhi sofferenti, le labbra piegate all'ingiù.
Enrico alzò gli occhi al cielo.
- Ti prego, evita la solita scenetta.-
- Dammi qualcosa con cui fumare e visiterò i tuoi uomini. Forse.-
Alla proposta Enrico sospirò prima di rovistare nelle tasche e passare alla donna vecchie carte di sigaretta d'arrotolare.
- Ehi! Avevo detto una pipa, sergente!-
- E io avevo chiesto un pò d'aiuto, non sarcasmo- ringhiò allontanandosi.
Che razza d'uomo rimuginò Katherina, tentando d'accendere una prima sigaretta. Da quando i contadini giocano al tiro a segno con catapulte costruite in casa? A questo ci aveva pensato?
Improbabile. La colpa era sempre sua, di Katherina, dell'insensibile capitano! Povero diavolo.

sabato 1 ottobre 2011

Gelida primavera


Inizio di racconto fantasy scritto qualche settimana addietro.
In attesa di limare e aggiustare la continuazione di "donne, dirigibili e brutti contadini" lo posto così integro ed essenziale.
L'ambientazione è la Bretonnia di warhammer fantasy, http://it.wikipedia.org/wiki/Bretonnia, non troppo dissimile dalla tradizionale ambientazione high fantasy.

la fin troppo gnocca emh scusate divina dama del lago^^

Gelida primavera



Giaccio, rinchiuso in questa fredda pelle di metallo.
Mi ricopre gelida in un manto d’impenetrabile acciaio.

Il respiro filtra dalla celata ornata di brina, effimero riflesso di una vita spenta.
Un fioco colpo di tosse, un sussulto del corpo torturato mi strappano dal sonno.
Serro le palpebre, contraggo i muscoli irrigiditi, costringo le vecchie articolazioni a muoversi.
L’alba illumina di un chiaro candore le cime dei pioppi, carezzando la foresta in lento risveglio, giocando strani riflessi nella vicina cascata. 


Cammino verso la cappella in rovina, le ossa che gemono sotto il peso dell’acciaio.

Il sole non riscalda, non fornisce il minimo ristoro.


Sotto le piastre sporche di verde e la cotta arrugginita il freddo continua a tormentarmi.

Custodisco la cappella da tempo interminabile.
Avevo forse vent’anni quando ebbro di gloria abbandonai terre e titoli, imbarcandomi nella sacra cerca.
Segni, presagi. Non mancarono certo. Chiari erano gli intenti della Dama, sublime la sua vista.
Di visione in delirio mi condusse alla sacra cappella. Muri scrostati dall’incuria, travi marce, paglia maleodorante.
Effigi di purezza e valore dimenticate da tempo, seppellite da ciarpame, strangolate dalla vegetazione.
Niente di più che un relitto risputato da madre natura.


Eppure chiari erano gli intenti della Dama: custodiscilo, mi ammonì più volte. 

Difendilo dalle crudeli creature del bosco. Questa sarà la tua cerca.
Per vent’anni ho custodito questo sacro luogo. 

Vent’anni di totale abnegazione, vent’anni di digiuni e preghiere.

Ho lottato contro mostri immondi più e più volte. Il mio corpo non è che un reticolo di cicatrici e muscoli nodosi.
Imprese gloriose a sufficienza per cento ballate ho compiuto. Qualcuno mai lo saprà? Ne dubito.
Non avrò figli, né nipoti che perpetuino la mia casata e allietino i miei ultimi giorni.
Nessun bardo commemorerà mai la mia scomparsa quando i corvi beccheranno il mio cadavere insepolto nel verde.
Vent’anni di automortificazione della carne, di feroce - nichilistica- autoreclusione.
Invano ho aspettato un segno, una visione, un’apparizione della Dama che mi mostrasse il passo successivo della mia gloriosa cerca.
Nient’altro se non il vecchio, beffardo insegnamento: custodisci la cappella, custodiscila con tutto te stesso.
E così ho fatto per oltre vent’anni, mentre lenta la giovinezza sfioriva e maturavano amarezza e triste rimpianto.
E dopo tanti anni non provo altro se non freddo rammarico.

Passi! Scalpiccio nella vegetazione umida.


Rumore di calzature ferrate, andatura da marcia.

A fatica mi sollevo dal pavimento su cui inginocchiato pregavo.


Dardeggio lo sguardo verso l’ingresso, mi affaccio con cautela.

Ancora nulla, devono essere lontani. 
Crack! Rumore di legna che si spezza, bestemmie soffocate.
Più vicini di quanto pensassi, dopotutto. Un lieve sorriso mi taglia la faccia.


Finalmente un po’ di sano divertimento.

Mano sulla spada, spalle e schiena rilassate, pronto a estrarre.

Scruto gli esili pioppi, aguzzo lo sguardo alla vana ricerca del nemico.

Il vento mi soccorre, portandomi odori di fumo e sudore rancido, carne marcia e feci.
Bestie, sogghigno, impugnando la spada e voltandomi in direzione del fumo.
Osceni mutanti, bestie degenerate che infestano i boschi incendiando i piccoli centri, minacciando le strade, assalendo viaggiatori e carrozze.
Pochi minuti dopo mi camminano davanti come bambini, sbucando da uno dei tanti sentieri nascosti nel sottobosco.
È un lampo di reciproco riconoscimento, un bagliore di sorpresa e pericolo.
Reagiamo all’unisono, in una mortale sincronia di spade e sangue. Mozzo la mano che vola disperata verso l’ascia in un tentativo di parata, accenno un fendente e con improvviso slancio squarcio la gola della bestia. Il gor che gli è dietro tenta d’impalarmi con una rozza lancia dalla punta in bronzo. Rido quando la punta si scheggia a contatto con l’armatura esplodendo in mille frammenti. Decapito con orribile risata il nemico e con una piroetta schivo il pesante fendente dell’ascia del terzo avversario, un robusto mutante che imbraccia una poderosa ascia a due mani.
Non c‘è tecnica nei miei colpi, né grazia. Solo desiderio di morte e annientamento.
Scivolo sul fango, vengo colpito alla spalla dall’ascia del mostro. L’impatto mi toglie il fiato, mentre lento il sangue comincia ad allargarsi sotto la cotta infranta. La vista è accecata dal sudore e da mille arcobaleni di dolore. Urlo e tento una stoccata alla cieca. La spada penetra nella carne, fuoriesce uccidendo la bestia sul colpo. 
Una mano sulla faccia, via il sudore, devo vedere l’ultima bestia, devo parare.
Arghhh... la mazza della bestia mi ferisce al petto, prima ancora che possa alzarmi, ancora inginocchiato nel fango e nel sangue.
Il pettorale attutisce il colpo, un paio di costole tremano all’impatto.
La spada, ancora incastrata nelle costole della bestia, che fare attento prova un fendente al capo, a quella distanza…
digrigno i denti e afferro l’uomobestia, gettandomi sul suo corpo, atterrandolo.
La creatura scalcia, estrae da non so dove un pugnale, lo fermo con il guanto in acciaio, la rozza arma penetra nel palmo, altro sangue, altra cicatrice, lo ignoro stringo ambo le mani attorno al collo del mostro e stringo, stringo, stringo, incurante quanto si dibatte con i suoi zoccoli, le sue urla così maledettamente umane…
Alcuni minuti e la creatura è morta, la gola nera con rivoli di bava rossa, quell'espressione di dolore così umana sul volto mostruoso.
La mia fredda armatura è lorda di sangue, umori, bava e immonde sostanze che colano dalle fenditure impregnando la cotta, i vestiti, la pelle.
Il viso è sporco di sangue nero, appiccicoso, appena sgorgato dai sacchi di sangue che ho appena forato.
E d’improvviso sento calore nel sangue che mi ricopre. Il freddo è andato, scacciato.
Il sangue è caldo e dolce al tocco e mai mi sento così vivo.

lunedì 19 settembre 2011

Una fuga imprevista

Donne, dirigibili e brutti contadini II parte


La donna indietreggiò di un paio di passi, quando alle ultime parole l'uomo si gettò in avanti con uno scatto bestiale, tentando di morderle la faccia, nonostante le corde che lo legavano. Ringhiava, sbavava. Un animale, nulla di diverso da un cane idrofobo. 
Ogni timore, inquietudine, paura, svanì all'istante, rimpiazzato da una smorfia di determinazione. Era un soldato, uno dei pochi aviatori di zeppelin, non una stupida contadina dalle tette grosse. 
Un colpo e della testa dell'uomo non rimase che un grottesco uovo sfondato.
I restanti prigionieri sussultarono, più d'uno vomitò. Nessuno, notò tuttavia Katherina sorpresa, invocava pietà. Peccato, schiavi per i lavori nelle città erano sempre necessari. Tuttavia...li osservò per un istante, gli occhi socchiusi: niente, si limitavano a chinare la testa, aspettando di essere uccisi, un pò come se qualcuno avesse in loro spento ogni scintilla vitale.
Maledettamente inquietante.
- Enrico? Raduna i soldati, giustizia i prigionieri e andiamocene-.
- E magari le preparo anche il tè, capitano?-
-Capito. Chi fa da sè – Puntò la pistola verso i quattro prigionieri, uccidendoli con pochi, sbrigativi, colpi.- fa per quattro-.
- Era proprio necessario? Potevamo abbandonarli quì, tanto il loro bavoso leader l'abbiamo neutralizzato!-
Un pugno scherzoso sulla spalla di Enrico.
- E' la legge, caro mio. Erano già morti quando hanno stupidamente deciso di ribellarsi-
Seguita dai soldati, cominciò a fendere quel mare di braccia e volti agitati. Già ai margini della piazza la donna notò i primi forconi e numerose mazze e randelli, che venivano fatti passare. Aumentarono il passo, sentendo le prime pietre fischiare nella loro direzione. Gli spari, le urla delle vittime...per quanto stupidi i contadini dovevano aver capito cosa stava succedendo ai loro ridicoli leader.
- Più veloci, maledizione!- Ringhiò Enrico, pestando braccia e costole con il lungo calcio in rovere del fucile. Gli altri si affrettarono ad imitarlo, la sagoma bombata dello zeppelin che ormai li sovrastava.
- Dovremo usare le scalette d'emergenza- imprecò il macchinista. La calca continuava a essere troppo fitta perchè venissero usati altri mezzi più veloci. Una decina di scale di corda caddero dallo zeppelin, i cui giri del motore nel frattempo aumentavano a dismisura, mentre il pilota tentava di avvicinarsi il più possibile al terreno.
Il macchinista e i primi soldati afferrarono le corde e cominciarono ad arrampicarsi sulle fragili scalette appena lanciate. Metri e metri nel vuoto, in una salita al cielo tanto vertiginosa quanto nauseante. Katherina ebbe appena il tempo di fissarli salire quando il soldato al suo fianco urlò e cadde in ginocchio, tentando d'artigliarsi la schiena. Fra le scapole, una freccia. Brutto bastardo, te l'avevo detto d'indossare l'armatura! Ma tu sempre a dire che no, non c'è rischio, che sono solo contadini, che pesa, che è solo un inutile fastidio.
L'uomo si accasciò a terra, tossendo sangue mentre l'attenzione del capitano volava già altrove, a setacciare con lo sguardo la folla urlante. Lì, sui tetti delle case...Delle piccole sagome nascoste nella paglia che ricopriva le casupole.
- Lì! Sparate sui tetti!-
Qualcuno dei soldati mirò e fece fuoco, ma la maggior parte o si stava arrampicando o lottava per non lasciarsi risucchiare dalla massa umana che premeva sulle uniformi blu.
- Non ce la faremo mai!- urlò Enrico, inastando la baionetta- Io ordino di sparare!-
Katherina strinse le mani a pugno, ma infine annuì con un vigoroso cenno del capo.
- Soldati!- un urlo cristallino- in cerchio! -
- Inastate le baionette! Forza!- la voce maschile di Enrico le fece eco.
Si strinsero attorno a un paio di scalette che oscillavano nel vento, un anello di uniformi strappate e baionette tirate a lucido.
La folla sembrò arretrare, le armi puntate sembrarono per qualche effimero secondo spaventarli.
Il macchinista e un soldato si affrettarono a salire, presto seguiti da un altra coppia.
Silenzio.
Tregua.
Una pioggia di frecce cadde dal cielo, uccidendo contadini e soldati.
Le frecce rimbalzarono sul ferro delle armature, scivolando e scalfendo gli elmi e le armature. Un paio di soldati vennero colpiti alle braccia, uno sfortunato fuciliere cadde con l'asticciola della freccia piantata nel sottogola. Un altro ancora mollò la presa dalla scaletta e si sfracellò a oltre dieci metri d'altezza al suolo, ad un passo dall'arrivare sullo zeppelin.
Katherina strinse i denti al punto da farli scricchiolare.
- Fuoco! Subito!-
I fucili eruttarono fumo nero quando con grida lancinanti la prima linea di assalitori rovinò nel fango, gambe, braccia, torsi falciati dalla scarica di pallettoni. La seconda linea non riuscì a frenare il proprio slancio e finì per impattare contro la falange di baionette. Al centro della formazione Katherina estrasse lo stocco e infilzò un primo nemico al collo. Calciò via il corpo del popolano, mulinò la lama e colpì un secondo contadino all'inguine, scavandogli un rosso sorriso sullo stomaco. L'uomo cadde in ginocchio e venne trafitto al petto con un vigoroso affondo.
Accanto a lei i soldati, ormai una decina scarsa, colpivano e affondavano, infilzando con le baionette in schemi d'attacco e fuga. Ridotta in brandelli la folla sembrò arretrare, lasciando decine di corpi a coltivare il fango.
- Forza, saliamo! Adesso mai più!-
Ormai a gruppi di due i soldati s'inerpicarono per le scale di corda, tentando i salire più in fretta che potevano. Più d'uno, nonostante le urla indignate di Katherina, abbandonò fucile e munizioni per non avere intralci.
Enrico aveva ormai un piede sulla scaletta e Katherina gli era dietro, mano e spada lordi di sangue, quando il mare di contadini si aprì in due grandi ali, la cui centro un mostruoso marchingegno delle dimensioni di una casa avanzava su rozze ruote di legno.
- Ma che cazzo...-
Mentre una vera e propria folla di scarafaggi umani lo circondava, spingendolo in avanti a forza di braccia, più di un popolano caricava quello che agli occhi di Katheirna sembrò un gigantesco cucchiaio.
- Non ci posso credere- Enrico boccheggiò, incredulo, il fucile che gli scivolava dalla mano, tanto era lo stupore.
-Hanno costruito una fottutissima catapulta, quelle scimmie...una...-
Katherina lo gettò a terra, schiacciandolo nel fango umido quando una gigantesca palla di fuoco li sorvolò rovente, incenerendo nell'esplosione metà delle scalette e sbalzando ad altezze folli i malcapitati che ancora vi si arrampicavano. Così maledettamente vicini...pensò attonita Katherina, il viso bianco dallo shock. Così vicini ad andarsene...sputò un boccone di fango gelido, tentò di rialzarsi, questa volta fu Enrico a schiacciarla al suolo.
Una seconda palla di fuoco aveva colpito, stavolta centrando in pieno il dirigibile. Il velivolo rollò, sbandando da un lato all'altro, ad un pelo dal suolo. Frammenti del proiettile vennero sparati tutto intorno, tizzoni roventi ustionarono i due soldati. Katherina chiuse gli occhi, si protesse il capo, in attesa che il dirigibile esplodesse.
Dieci secondi.
Trenta.
Alzò la testa, notando con un sospiro di sollievo come il rivestimento, nonostante apparisse annerito e dilaniato in più punti, avesse retto il colpo. Il pilota era riuscito a non schiantare lo zeppelin, ma volava ormai rasoterra. Male, molto male. Più di una freccia aveva colpito il pachiderma azzurro, e frotte di contadini sciamavano attorno alla catapulta, trasportando un'altra balla di fieno, lucida d'olio. L'ennesimo confetto di fuoco, bestemmiò Katherina. 
Ancora qualche colpo e dello zeppellin sarebbe rimasto solo un cratere infuocato.
- Ehi, capitano!- Una voce roca, non molto lontana. Aguzzò la vista verso i contadini, prima che Enrico la tirasse per la manica e le indicasse il cielo. Il macchinista gesticolava dallo zeppelin, urlando e srotolando una lunga matassa di corda nera d'emergenza. La donna l'afferrò e con una smorfia cominciò la scalata, a forza di braccia.
-Più in fretta, Katherina! Maledizione stanno per colpirci!-
Il macchinista cominciò a tirare la fune a sua volta, fra imprecazioni e grugniti di fatica.
I contadini stavano urlando, ineggiando a chissà quale dio, mentre Katherina saliva, tirandosi su a fatica. Una freccia la colpì alla spalla, scivolando sullo spallaccio decorato.
Per poco non mollò la presa, le mani sudate sulla corda. Un ultimo sforzo, un altro ancora.
Un paio di soldati si unirono al macchinista, mentre lo zeppelin saliva sempre più di quota.
Mancavano ancora pochi metri...Un metro...Due
Si gettò sul pavimento, ansimando pesantemente, i muscoli delle braccia puro dolore. Provò ad alzare la mano, girarsi sulla schiena, ogni gesto una fatica immensa.
Il pavimento levigato in larice rosso, la fastidiosa pressione della spada, le nuvole nel cielo...Sentì che stava per svenire e strofinandosi la testa si sforzò di sedersi, la schiena appoggiata al parapetto esterno.
- Un pò troppo intelligenti per dei bifolchi, non credi?- disse.
Enrico riposava poco lontano, una sigaretta arrotolata in fretta fra le dita sporche di terra e sangue.
Katherina a quella vista frugò in ricerca della pipa, senza rispondere.
- Hai un pò di erba?- arrivò infine a dire.
Lui tirò qualche boccata, osservandola affannarsi a cercare nelle tasche del corpetto.
- Abbiamo perso più di dieci uomini, capitano. E tu pensi all'erba-
Katherina trovò il pacchetto nascosto nella tasca destra e ne rovesciò con cautela la polvere rossastra nel caminetto della pipa. Tirò qualche boccata, evitando accuratamente di rispondere.
Lo zeppelin si allontanò nella luce del tramonto.