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venerdì 30 agosto 2019

"Scourge of Fate" Quando il protagonista è il Black Knight. Impersonare un villain



Vanik era solo un neonato sporco di sangue uterino quando suo padre cercò di sbattergli la testa contro il ghiaccio della capanna.
Ma Vanik si rivelò protetto dagli dei, perchè un demone comparve dal nulla, decapitando il padre infanticida con un singolo guizzo d'artiglio.
Quando la tribù barbara venne assalita dai lupi, Vanik non venne divorato, ma fu accolto nel loro branco e per due anni condivise carne e gloria con questi nobili animali.
Leggende, voci, racconti mormorati attorno al fuoco. Vanik non se ne cura, perché il suo sguardo è rivolto al futuro, divorato da un'eterna ambizione.
Nato in una tribù di barbari adoratori del Caos, il bambino è ora divenuto un condottiero, un flagello delle terre civilizzate. Un pellegrino nero, come ama definirsi, alla continua ricerca di potere e gloria. Mentre i suoi compagni in armi consacrano la propria vita a seguire un singolo dio del Caos, Vanik preferisce seguire la via del Caos Indiviso: sottrarre favori e attenzioni da tutte e quattro le divinità del pantheon, ma senza diventare una loro infame marionetta.
C'è un solo dio a cui Vanik vuole votarsi: Archaon il Prescelto Eterno, Archaon il Re dei Tre Occhi, Archaon il Rasoio del Mondo. Un dio che era un tempo un uomo, prima che la sua ambizione lo trasformasse nell'emblema stesso del Caos. E tra le schiere di Archaon, Vanik vuole diventare un cavaliere della Varanguard, la guardia personale di Archaon. Le truppe scelte tra le truppe scelte, la creme de la creme della cavalleria caotica.
Ma proprio per venire ammesso nella prestigiosa cerchia, Vanik dovrà compiere un'impossibile missione...

lunedì 2 aprile 2018

Quando Snowpiercer incontra La bussola d'oro: “Above The Timberline”, di Gregory Manchess


Quando iniziò a nevicare, continuò per millecinquecento anni
Lo spostamento dei Poli profetizzato dagli antichi climatologi finalmente avvenne e la topografia della Terra fu rivoltata come un guanto, il clima mutato per sempre. La Terra è ora ridotta a una palla di vetro con la neve dentro, un mondo dove la neve ricopre con il suo uniforme manto ogni cosa, raggiungendo in alcuni casi profondità sconosciute.

Le vecchie nazioni scomparse per sempre, la tecnologia perduta: l'uomo è sopravvissuto a stento, lentamente ricostruendo una civiltà ferma al 1920/30. Aerovascelli sorvolano distese di conifere e barriere di ghiaccio, tribù di inuit predano su carovane di automezzi blindati, aeroplani ad elica esplorano le nuove frontiere. Un nuovo mondo di scafandri per l'alta pressione, di piloti dai giubbotti di pelle, di tecno-nomadi amici con gli orsi polari.


venerdì 27 ottobre 2017

Nuova collaborazione con Heroic Fantasy Italia


Sono lieto di annunciare una nuova collaborazione a partire da questo venerdì con il sito Heroic Fantasy Italia gestito dall'Alessandro Iascy responsabile della collana True Fantasy della Watson Edizioni. Avevo recensito a marzo l'antologia della casa editrice – tra alti e bassi, ma nell'insieme divertendomi – Eroica! Sword&Sorcery all'italianaAlessandro è anche tra i responsabili della rivista cartacea Andromeda – tra le poche nel settore a presentare congrui contenuti, senza limitarsi a un paio di pagine e un racconto di circostanza. Il sito è stato creato recentemente, ma vanta già un buon numero di collaboratori, così come l'affiliazione al prestigioso Black Gate; tra i primi articoli troviamo il nostro Lorenzo Davia che spesso commenta qui sul blog, che ha redatto un articolo sui videogiochi Lovecraft(iani), così come divagazioni sull'antologia Zappa&Spada della Acheron e approfondimenti sui classici della Letteratura Fantasy, a partire da Jack Vance.

Una rara immagine di Andre Norton nel 1937, a bordo della nave Amor.
All'epoca scriveva romanzi di spionaggio.
Alessandro mi ha proposto di gestire una rubrica dedicata alla gigantessa del Fantasy Andre Alice Norton, opportunità che ho accolto volentieri dopo una breve riflessione: ricordavo d'aver letto qualcosina della Norton tra i vecchi Urania della biblioteca, ma volevo approfondire.
Sarebbe stato facile imbastire l'ennesima serie su Sapkowski, che sono stato tra i primi a trattare in Italia su Cronache Bizantine o su Alan Moore e Lovecraft, riciclando il lavoro sulle annotazioni. Sentivo però di voler approfondire un argomento inedito e in tal senso non sono rimasto deluso: la Norton è una scrittrice particolare, che come tante sue coetanee che scrivevano negli anni '60/'70 è stata lentamente mummificata nel santino proprio di quegli anni. Si veda in tal senso la riluttanza a rivedere e condannare un personaggio sgradevole e sopravvalutato come la Marion Zimmer Bradley, al cui confronto la Norton appare molto più originale, molto più capace e francamente molto più simpatica. 
Andre Norton, vivendo dal 1912 al 2005 permette di abbracciare interi periodi storici radicalmente diversi l'uno dall'altro: passiamo dal pulp degli anni '30 e '40 all'esplosione fantasy degli anni '60 e '70. La Andre Norton ha inoltre anticipato tanti dei meccanismi dell'editoria di massa affermatosi poi dagli anni '80 e ora polarizzatosi attorno a un ristretto gruppo di autori “famosi”, come Stephen King e George R.R. Martin: a partire dagli anni '50 consapevolmente mira a creare un suo “brand”, associato al nome della Norton. E' un aspetto sottovalutato dalle poche biografie che ho trovato al riguardo. Tuttavia, al contrario del twittare polemico e conformista di scrittrici come la Rowling, la Norton ha gestito nell'intero arco della sua esistenza una vasta corrispondenza, che ha permesso di “lanciare” tanti scrittori e scrittrici; la sua concezione inoltre dei setting e degli universi di sua invenzione è sempre stata “libera”, aperta a ogni collaborazione che si presentasse.


Cum grano salis – anzi, con un sacco di sale, più che un granello – la rubrica dovrebbe avere un articolo ogni venerdì, al peggio ogni due. Questo non dovrebbe impattare sulle pubblicazioni del blog, che proseguirà as usual, forse concentrandosi maggiormente sulla prima parte della settimana.

lunedì 8 maggio 2017

Xpo Ferens. All'arrembaggio degli oceani Weird di Alessandro Forlani


XV secolo, al largo dei mari di sua maestà di Spagna. Cristoforo Colombo e suo fratello, Bartolomeo, sono di ritorno da una navigazione tanto difficile quanto infruttuosa. La notte non porta consiglio, ma l'attacco di pirati saraceni: la nave affonda, i marinai vengono trucidati e la coppia prigioniera è presentata al capitano, un arabo rinsecchito e tatuato, lo sguardo folle: è Abdul Alhazred, autore del lovecraftiano Necronomicon

Cristoforo e Bartolomeo sfuggono – a stento – naufragando sulle spiagge di un'isola sconosciuta, non segnata sulle carte. Qui le distanze si contorcono e mutano, il tempo non segue le leggi naturali: l'isola nasconde infatti un vascello alieno, una caravella che oggi definiremmo astronave. A bordo, un attonito Cristoforo vi scopre i portolani ingialliti per navigare al di là dell'oceano, verso una Tierra all'intersezione tra i mondi, un non-luogo di cosmica intensità. 
Pasticciando con i comandi, i due vengono teletrasportati in Spagna e per poco non vengono accoppati dall'Inquisizione: è solo l'intervento provvidenziale di Abdul a salvarli, offrendo loro come condizione di fuga proprio la navigazione verso quei lidi maledetti al di là dell'Atlantico che i due hanno appena scoperto. E' l'inizio di un allucinante viaggio per mare... 

Le ambientazioni tra '400 e '500 sono ancora poco sfruttate. Le imprese marittime dei portoghesi nel '400 meritano una storia a sé, tanto sono avventurose e sanguinose: non a caso nel XV secolo la “letteratura di naufragi” diventava un vero e proprio genere a sé stante, a significare l'estrema pericolosità dei viaggi dell'epoca. La scoperta dell'America, le avventure dei conquistadores, i perigli del mare aperto, le fantasticherie mostruose di dotti e profani dell'epoca: è ancora, gioco di parole inevitabile, terra inesplorata. Hic sunt dracones

mercoledì 28 dicembre 2016

The Shadow Planet: A nightmare in space!


Dopo il mistero del primo capitolo, A message from the dead, le vacanze natalizie ci regalano il secondo numero dell'avventura spaziale della saga Shadow Planet, A nightmare in space. 
Se non avete ricevuto l'email e siete tra i backers, si può scaricarlo dal sito, accedendo all'area riservata dopo adeguata registrazione.
L'esclamativo in calce a ogni titoletto, così come la scelta dell'inglese comunicano anche prima delle immagini il carattere -retrò del fumetto, mirato in modo esplicito a rileggere in chiave horror le avventure spaziali degli ingenui anni '50 e '60 (Pianeta Proibito, tra tutti). 


lunedì 3 ottobre 2016

The Shadow Planet: A message from the dead!


Nonostante nel caso dei fumetti i difensori della carta abbiano ogni diritto a preferire il volume da sfogliare all'asettico .cbr da tablet, anche il digitale può riservare sorprese. Il crowdfunding dovrebbe sempre includere, nella lista di offerte della campagna, un'opzione economica per chi non vuole sobbarcarsi il costo delle spedizioni e vuole solo i file nudi e crudi. Pur avendo qualche dubbio su certe scelte di marketing e di piattaforma (Indiegogo), ho sempre ammirato la scelta della Radium di offrire 5 euro a chi volesse avere tutte le puntate del fumetto. E' un'opzione estremamente allettante per chi non voglia rischiare o si ritrova, ahimè caso mio, sempre in ristrettezze economiche. 
Inoltre, permette di avere a tempo record la prima uscita!


E' il caso del primo numero di Shadow Planet, dei Blasteroid Bros.
Si tratta di un progetto Radium lanciato (nello spazio?) a giugno, su cui avevo scritto un'entusiasta raccomandazione, augurandomi che riuscisse a concretizzare quel miscuglio assurdo che prometteva nella pagina su Indiegogo: un brodo di atompunk anni '50, condito con un bel po' di Alien, una spolverata del Pianeta Proibito, un pizzico di Lovecraft e last, but not least una frittura nella disillusione -punk di chi tutte queste cose le ha vissute.

Una navetta della Federazione, uscita dall'ibernazione per un rendez-vous con la flotta, capta una richiesta di soccorso dalla goletta scientifica E/Rico, secondo gli archivi del comando stellare ritenuta distrutta trent'anni prima. Ansiosi di sbrigare la seccatura, l'equipaggio scende sulla desolata palla di roccia nota come Gliese 667 a investigare. Si tratta della capitana Jenna, l'addetta alle comunicazioni Nikke e il secondo in comando Vargo. La capitana è una donna mascolina, dal caratteraccio sbrigativo, con un infelice affare con Vargo, Nikke una nervosa nevrotica e Vargo un imbranato cowboy dalla pistola fin troppo pronta. Seguono altri membri dell'equipaggio, chiaramente superflui in sede di sceneggiatura se non come carne da cannone.


La storia si sviluppa partendo, come da tradizione, con una sequenza onirica (Event Horizon, Aliens ecc ecc), cui segue un ritrovo generale dell'equipaggio, lo sbarco sul pianeta e l'investigazione. 
A livello di atmosfere, le prime tre pagine sono un incipit stratosferico, una sequenza d'immagini horror notevole, in particolare nel passaggio dalla vignetta col mostriciattolo al pozzo sacrificale che accompagna i titoli di testa. Successivamente la storia si sviluppa seguendo linee più tradizionali, approfondendo la conoscenza con l'equipaggio e iniziando a inserire indizi sul perchè rispondere a quella richiesta di soccorso non sia stata una così buona idea...
Dopo vignette dense di dialoghi, l'atterraggio e la prima esplorazione del relitto su Gliese 667 sono sequenze silenziose, di lunghi panorami. L'astronave abbandonata sfrutta i soliti giochini di luci e ombre, robot e scafandri; da quel momento in poi l'avventura accelera in uno slasher con un anticlimax alla fine piuttosto azzeccato (la “pala”).

E' troppo presto per giudicare la sceneggiatura, che al momento sembra funzionare alla grande; un po' scarsi i dialoghi, con delle battute e un turpiloquio che sembrano fuori posto. Complice anche i disegni, la caratterizzazione dei personaggi è marcata; inutile sottolineare come il mio preferito sia quell'amabile coglione trickster di Vargo.


Il design e il lavoro di worldbuilding sono invece diverse tacche sopra, siamo in un setting che non immaginavo così buono dall'introduzione su Indiegogo. Il modulo sferico per entrare nell'atmosfera con le zampe a papera; gli interni delle astronavi (tubi, tubi everywhere); il robot spilungone e contrapposto lo scafandro “obeso”; in generale un'atmosfera molto dark e molto poco “pulp”.

L'uso dei colori è da maestro, giocata sulla continua contrapposizione di colori “caldi”, terrosi a una vasta gamma di grigi e bluastri spenti. All'esterno, per la luminescenza dei pianeti e delle stelle troviamo un rosso acceso, l'arancione, il giallo; all'interno invece domina una palette di grigio, marroncino, verde bottiglia. Il rosso delle tute, scuro in rapporto all'esterno e acceso in rapporto all'interno, funge da tramite tra i due colori. Le tute, non si sa come, risultano credibili e ho apprezzato piccoli tocchi come i caschi di colore diverso a seconda della mansione.
Aspettiamo il secondo numero fiduciosi di un'escalation di mostri e gore e nichilismo cosmico (siamo nello spazio, dopotutto...)

martedì 7 giugno 2016

Atompunk in salsa lovecraftiana: Shadow Planet


Leggendo alcune riviste di fumetti alternativi degli anni sessanta/settanta – penso a Metal Hurlant o l'Heavy Metal Magazine, a seconda della lingua – rimango sempre colpito di come funzionassero sulla base di un'assenza, anziché di un eccesso.
Il senso di mistero proveniva dal formato breve, dalla psichedelia di quegli anni, dalla scelta di chiudere le storie ex abrupto, costretti dalla mancanza di ulteriori fondi. La conseguenza necessaria erano storie per forza oniriche, enigmatiche, chiuse in piccoli mondi autosufficienti.
La ricerca della sensazione, del dettaglio minuto, dell'orgia di colore contrapposta alla “prigione” dei dialoghi e delle sceneggiature a tavolino: si trattava di non-storie a tutti gli effetti, dove lo stile demoliva ogni necessità di seguire un “filo logico”.
Siamo ovviamente nel periodo di Moebius, le cui storie di quegli anni, da lui stesso definite “una eiaculazione” (1) risultano il paradigma per eccellenza di un disegno che supera il dialogo, Garage ermetico docet.

Ora, l'Indiegogo per il fumetto Shadow Planet non è certo Moebius. Eppure, rimane qualcosa di quel genere di fumetto nello stile, nel disegno, nell'argomento, fin quanto nella stessa presentazione della campagna.
La matita di Gianluca “Johnny” Pagliarani restituisce tavole che naufragano nel dettaglio, intricati mosaici di sassolini, tubature e finissimi ingranaggi. All'impressione “polverosa”, alle lande lunari come agli interni “alieni” il pensiero torna ai deserti e ai paesaggi minuziosi di certa sci fi del '60. Il colore di Alan Junior d'Amico, con una palette che ruota sul grigio e il rosso trasla il fumetto di dieci anni indietro, ponendolo dentro le tute super aderenti degli astronauti di celluloide degli anni '50.
Sebbene non sia possibile pronunciarsi sulla sceneggiatura, le parole chiave disperse qui e lì trasmettono i brividi: si va dal pulp, all'atompunk, al Lovecraft più casareccio.
Doverose strizzate d'occhio all'Alien del 1979, basti osservare la posizione dell'astronave nella presentazione, con l'inquadratura e lo “spiaggiamento” simile al ritrovamento nel film.


Fucili a raggi, la presenza di un robot nelle vignette trapelate, l'enfasi su razzi e bulloni assicurano la fisicità del -punk nell'atompunk, con un'elettronica che non vada al di là dell'analogico:


Non a caso, la prima cosa a cui ho pensato dopo aver visto la folle Moonette, è all'automobile nelle prime pagine di Garage Ermetico:


La presentazione per la campagna su Indiegogo a sua volta si mostra come vicina ai lettori e lontana dalle formalità, anche per gli standard della Radium: non c'è un disegnatore, un colorista e uno sceneggiatore, ma i Blasteroid Bros, come non c'è la storia di tre astronauti alle prese con un orrore alieno, quanto Razzi-Bulloni-Mostri-Pistole a Raggi. I responsabili del (futuro) fumetto compaiono con armi dalla fallica gigantezza in mano e il tono sulla pagina Facebook è decisamente indovinato.

Infine, a questo cocktail -retro viene inoculato l'elemento moderno: anziché un equipaggio incolore di maschi bianchi degli anni '50, troviamo la comandate Jenna Scott, come la luogotenente Nikke Larsson e un unico maschio, l'efebo John Vargo, che al di fuori della sigaretta all'angolo della bocca ha un'acconciatura più curata delle sue stesse compagne di viaggio interstellare.
Ancora una volta evidente l'influenza dell'Alien(s), centrifugata però nello stile del pulp passato.

La campagna Indiegogo si avvicina all'ultima settimana, ma rispetto alle precedenti raccolte fondi mi sembra stia procedendo spedita, siamo a un punto eccellente.
Come da tradizione della Radium, le possibili opzioni prevedono cartonati, copertine alternative – consiglierei quella di Jacen Burrows – un diorama a edizione limitata e una pistola laser sospettosamente simile a una mauser modificata. La natura della storia vieta per una volta ogni comparsa/ opzione “trasformami in fumetto” che sembra a volte trasformare certi numeri in folle di comparsate. Il primo numero di Prussiani vs Alieni, ad esempio, sembra avere quasi più backers in forma di personaggi che personaggi stessi (!).
Sempre apprezzabile come vi sia un'opzione per gli indecisi o chi voglia spendere di meno: con soli cinque euro ci si porta a casa tutti e quattro i numeri in edizione digitale e con nove anche gli schizzi di lavorazione in esclusiva. Se siete tra chi aspetta “a lavoro finito” o “quando sarà pubblicato” perchè invece non contribuite con la cinquina direttamente disponibile, adesso?
Mi sembra il modo migliore per tastare il terreno senza perderci troppo denaro nel caso (improbabile) che Shadow Planet si riveli una delusione. Anche a uscita in negozio, i fumetti della Radium non stanno comunque avendo recensioni tali da poter giudicare se valgano o meno la pena, provare direttamente al momento della campagna è l'idea migliore.

(1) Si veda In Search of Moebius (BBC).

Fonti:
Pagina del progetto su Indiegogo.
Sito della Radium, pagina dedicata a Shadow Planet.
Pagina Facebook della Radium.

martedì 4 agosto 2015

1939 (racconto)


In questo periodo sto cercando di scrivere duemila parole al giorno per completare alcuni racconti lunghi, e mettendo a posto l'hard disk sono incappato in questo racconto trash/pulp scritto un annetto fa.
L'avevo mandato a un concorso in cui se ricordo bene occorreva ambientare l'intera vicenda nella stanza di un albergo, senza sfociare le 5000 parole o giù di lì. Il titolo del racconto doveva anche essere il nome della stanza. Un'idea originale, peccato sia stata abbandonata a sé stessa...
Nel mio caso, ho barato facendo sì che il numero della stanza corrispondesse all'anno in cui la vicenda è ambientata. Mi verrebbe da definirlo un racconto pulp (nazisti, donne naziste, Brasile, magia, donne naziste...) ma questo giudizio lo lascio a voi commentatori :-D

1939


Artista Earl Norem.

Kora colse con un'occhiata la forma della stanza, un ovale foderato con lunghe, bianche strisce di legno di acero invecchiato. Il colore chiarissimo ricordava una pelle invecchiata, lasciava aperti ampi squarci di intonaco rosso.
Il garzone, ragazzo esile dal torace scosso da spasmi di tisi, rovesciò sul letto l'ampia valigia di pelle. Accennò un inchino, protrasse infine la mano per una mancia.
Kora gli chiuse la porta in faccia, girò la chiave senza guardarlo.
Si stiracchiò le braccia intirizzite dalla pioggia lì fuori, poi afferrò la valigia e la sistemò sul letto. Con due giri di chiave, fece scattare la serratura. Velluto e colletto di tre camicie, cappellino, gonna lunga, gonna corta. Spazzolino, una capsula di cianuro. Passaporto timbrato dall'Asse. Una Luger oliata, che svolse dal panno rosso. Una cassetta in piombo, venti centimetri per venti, sigillata. Infilò la chiave che teneva appesa al collo. All'interno, un'ampolla di cristallo tanto minuscola da stare nel palmo di una mano. Girò l'interruttore, accese l'abat jour. Sottili filamenti di coriandoli dorati avvolgevano un nucleo pulsante di nero ossidiana. Bollicine salivano dal basso dell'ampolla assediando il tappo fuso nella ceralacca.
“Perché no? Perché a lui? Un goccio, nient'altro.”
Imballò nuovamente l'ampolla, seppellì la valigetta metallica sotto il materasso. Controllò che la pistola fosse carica, prima d'infilarla nel secondo cassetto del comodino. Strapazzò la brochure dell'Hotel poggiata sul letto.
“Accidenti. Gestori tedeschi. Dall'Austria. Dei miei compatrioti, insomma. Emigrati in questo buco del culo chiamato Brasile.”
Masticò qualche biscotto secco preso dalla borsa.
“Per una volta, potrei rischiare un pasto pubblico. Quei due segugi stelle e strisce si saranno stancati, con questa pioggia...”
Lenzuola pulite, cuscino morbido. Sulla radio, solo cicalecci confusi.
Si addormentò alla terza sigaretta.

Freddo gelo in testa. Aprì gli occhi. Il buco nero di una rivoltella puntato alla fronte. Impugnato dal braccio nervoso di un trench imperlato di pioggia. Un odore acre di sudore, tabacco e cuoio bagnato aleggiava nell'aria.

- Che vuoi? – Domandò la donna, tentando di voltare la testa verso l'abat jour spento. Verso il comodino e il secondo cassetto.

“Una distrazione, nient'altro. E li secco in due secondi.”

- Che vogliamo piuttosto, signorina! -

Un secondo trench uscì dall'ombra, giocherellando con la fiamma di un accendino. L'uomo poggiò il cappello in feltro sul comodino, prima di sedersi sull'unica sedia dell'appartamento. Pescò un mozzicone di sigaretta dalla tasca, cominciò a masticarlo spento, prima di risputarne i resti sulla faccia di Kora.

- Agenti Pinkerton, suppongo – Sospirò la donna. - Cagnolini di pallemoscie Franklin Roosevelt -

- Supponi bene, donna. Dicci dov'è la fiala -

- La fiala di cianuro? Nella mia borsa. Con tutto il resto -

- Non quella fiala, piccola fanatica. Intendo il tesoro che avete rivenuto, l'acqua magica -

- Sei pazzo. Era una spedizione geografica, con scopi naturalistici. Nient'altro -

- Il Fuhrer ti ha mandato, stronzetta. - L'uomo estrasse una cartellina di fogli, li passò in rassegna, puntando l'indice verso continue file di cifre, di annotazioni, di timbri del Brasile.

- Avete assoldato una guida locale, venti servitori, tende e munizioni sufficienti per conquistare un impero azteco. Al ritorno, avete eliminato uno dopo l'altro guida e servitori. Li abbiamo trovati in fosse comuni scavate alla meglio, un proiettile a testa –

- Fatalità, americano. Bruti senza cervello. Muscoli al soldo. – La donna scrollò le spalle – Abbiamo sprecato un bel po' di munizioni, questo sì, che è uno spreco -

- Ma non li avete eliminati tutti, dì la verità. Non è così, forse? Ne abbiamo trovato ancora uno, delirante ma vivo -

Kora digrignò i denti e l'agente con la pistola puntata oscillò da un piede all'altro, nervoso.

- Delirante, ti ricordo. Delirante! - Soffiò la donna in un sussurro.

L'uomo si accese un secondo mozzicone, che stavolta consumò sovrappensiero.
– Ma non al punto da dimenticare quanto aveva passato – La faccia dell'agente s'illuminò di meraviglia – La fontana della giovinezza, non è così? Avete trovato la mitica fontana che tanto narrano le leggende dei conquistadores! Disseccata, ma ancora con un tenue flusso di goccioline. Che avete prontamente raccolto, fino a estinguere la sorgente alla foce. –

- Il Fuhrer desidera la vita eterna e noi assecondiamo il suo desiderio – acconsentì la donna – A ogni modo – Guardò verso l'armadio, spalancato. File di appendini erano state distrutte, calpestate. Avevano sventrato la valigia dalla manopola al fondo, insozzando il pavimento di biancheria e dentifricio. "Possibile che non abbiano ancora frugato nel materasso?" - Non avete ancora menzionato il sacerdote -

- Non... Stai mentendo, puttanella! -

- Il sacerdote azteco. Forse quell'indios subumano che avete interrogato è spirato prima che potesse raccontarvelo -

L'agente Pinkerton sollevò plateale un sopracciglio.

- Stai mentendo per salvarti la vita, non è così? -

Kora rise secca, la pistola ondeggiò sulla sua fronte bianca.

- Andiamo; pensate davvero che gli aztechi avrebbero mai lasciato qualcosa di così sacro, di così meraviglioso, incustodito? C'era un guardiano, ovviamente. Un vecchio sacerdote demente, l'ultima biascicante eredità di generazioni su generazioni corrotte nel sangue. Gli sparai in testa e il suo sangue nerastro mi sporcò le mani, scese gocciolando nella fontana. -

- Stai dicendo che in quella fiala c'è acqua e sangue? Che... –

- Sto dicendo che dovremmo prima testarla. Se come progettano i nostri scienziati agisce sulle singole cellule, è possibile che sangue vecchio e malato possa avere effetti... ecco... Indesiderati –

- Una montatura. Ci vuoi semplicemente dissuadere dal nostro obiettivo. –

- Se lo dici tu, bello. Il rischio è tutto vostro... –

L'uomo calpestò al suolo un terzo mozzicone, poi annuì all'agente silenzioso.

- D'accordo, non vuole dirci dov'è. Stupidamente prevedibile. John per favore, convinci la signorina con mezzi più... Più diretti, ecco –

L'agente silenzioso assentì, litigò goffamente con la cintura dei pantaloni continuando a tenere sotto grilletto Kora.

- Io vi ammazzo. Non so quando né come, ma siete carne morta -

- Bastano poche parole, Kora. Questione di scelta. -

Bussarono alla porta. Un mormorio soffocato, un tossicchiare convulso. Il garzone che trascinava le lenzuola. Pietrificato per un istante, l'agente chiacchierone si azzittì. Il bruto invece voltò la testa, puntò la pistola verso la porta. “Una sola parola, e se ne andrebbe immediatamente...” Kora strinse i denti, raccolse le forze per scattare come una molla sotto torsione. Non pronunciò parola.
La chiave girò nella serratura, il garzone entrò. Pistola nel cuscino, lo sparo risuonò come un educato colpo di tosse. Il garzone si fermò, fissando attonito l'inchiostro rosso che lentamente allagava lo sparato bianco della camicia. Kora rotolò come un gatto giù dal letto, afferrò dal comodino la Luger. Rimbombò uno sparo, uno sbuffo di fumo. L'omone della Pinkerton singhiozzò di dolore, la mano spappolata. Cartilagine insanguinata bagnava la moquette. La pistola dell'uomo rimbalzò a terra, scattò il grilletto nell'impatto. Il proiettile si conficcò nella spalla di Kora, che spostò la mira di qualche tacca e gli sparò una seconda volta, in testa.

- Fine della corsa, piccola – Ansimò l'agente della Pinkerton sopravvissuto. Si fronteggiarono con le pistole puntate l'uno alla testa dell'altro. Kora sentiva il proiettile nella spalla mordere la carne, mentre un lento flusso di sangue arrossava il grigio del vestito. Tremò, prima di cedere in ginocchio. Con un tonfo, le sfuggì la Luger dalle mani sempre più deboli.

- Ma guardati – Sogghignò l'agente. – Stai morendo dissanguata. Magari – Inclinò il capo – Se mi dicessi dov'è la fiala, potrei aiutarti... –

- Il materasso... –

La scatola era intatta, la fiala cullata nella paglia. Il Pinkerton la prese, guardandola da vicino, affascinato dal gioco di nero e oro del liquido nel vetro.

– Il vostro piccolo Fuhrer morirà come tutti gli esseri mortali, mia cara – proclamò trionfante.

Kora gli tirò un calcio da sotto il letto. L'uomo saltellò indietro, scivolò sulla moquette insanguinata. La fiala gli sfuggì di mano, s'infranse sul pavimento. Kora guardò perplessa l'uomo strisciare sul pavimento, lappare con la frenesia di un gatto succhia latte le poche gocce che filtravano dalla moquette. Deglutì con un gran sorriso e Kora sbottò, infastidita.

– Non eri un agente della Pinkerton, vero? –

L'uomo ridacchiò di gusto.

- Un americano, sì. Ammalato di cancro, per l'esattezza. Ma tutto il resto è vero; vi seguivo da un po'. – Si massaggiò la pancia – Sono un piccolo petroliere del sud del Texas. Secondo il mio medico non mi restava che un anno di vita. Ho fatto tutto quello che potevo, una volta giunto a sapere della vostra spedizione, Kora. Ma ora – Allargò le mani – Vivrò per sempre! –

A metà del gesto, ansimò prima di vomitare bile nerastra. Sotto l'occhio febbricitante di Kora, l'uomo tremava, si sformava come plastilina modellata da uno schizofrenico. Le guance s'incurvarono, scesero cascanti fino alle spalle prima di coprirsi di peli ispidi. Le narici del naso esplosero in un grugno di scrofa. In ginocchio, le mani s'innervarono nel muggito di sofferenza dell'uomo in un duro, resistente strato di pelle a scaglie. Dall'osso occipitale eruttò attraverso un'esplosione di visceri una lunga coda di lucertola. Gli occhi dilatati in un'espressione di orrore totale si allungarono, assunsero il colore stinto e miope delle pupille di un indios, di un sacerdote vecchio e ritardato.
“Quella fontana era inquinata!” comprese Kora “Coccodrilli, cinghiali, antilopi, indigeni: in quanti ci avranno bevuto, vomitato e pascolato?” Kora guardò quella confusa cellula di zoccoli e artigli, di scaglie verdi di coccodrilli infanti e pelle olivastra degli indigeni del luogo e per la prima volta sentì quella debolezza mortale che il Fuhrer definiva pietà.

martedì 31 marzo 2015

Basta supereroi, please


In origine Batman non era un supereroe, ma un investigatore. Proprio così, esatto.
Negli anni quaranta/cinquanta, le avventure di Batman erano dei gialli: occorreva trovare un colpevole sulla base d'un certo numero di indiziati, scovare gli indizi e infine scatenare una “sana” scazzottata. Certo, Batman era un investigatore con mantello, calzamaglia e orecchie da pipistrello. Ma pur sempre un supereroe investigativo. Se il furfante, o la malvagia mafia italiana, osava reagire a volte usava una pistola, o qualche primo “bat-aggeggio”.
Se non mi credete, prima di sputare sentenze leggetevi i fumetti dell'epoca, gratuitamente disponibili sul ComicBookPlus, come sul Open Culture. Scott McCloud, il noto decano del fumetto, sottolinea chiaramente nella monumentale opera “Reinventare il fumetto” le reali origini di Batman:




Le origini del nostro giustiziere mascherato sono dunque chiare: poliziotto vigilantes, sul fascistoide andante. Per l'epoca, tolte quella sospensione dell'incredulità per le orecchiette di gomma, è un normale eroe da fumetto. Non differisce significativamente dal tipico eroe pulp mascherato, quale gli anni quaranta e cinquanta continuavano a sfornare senza sosta. L'oracolo Jess Nevins ve ne saprebbe elencare molti altri, alcuni certo più intelligenti e interessanti del nostro Batman.
L'uomo pipistrello è figlio dunque d'un epoca diversa dalla nostra, quella degli anni cinquanta.
Maccartismo, americanismo rampante, guerra fredda, misoginia&tabagismo, colonialismo del dollaro oltreoceano... Una mentalità puritana che privilegia gli scontri Bene vs Male, dove il Bene è lo status quo e il Male micidiali concentrati di fobie socialiste.
Nulla di piacevole e nulla di particolarmente aggiornato ai giorni nostri.
L'americano dei primi anni cinquanta è una creatura profondamente diversa dall'americano della liberazione sessuale degli anni settanta; così come quest'ultimo inorridirebbe di fronte all'americano repubblicano dell'epoca di Reagan; e questi pure brontolerebbe più di un anatema al vedere la tanto decantata “fine della storia” smentita dal terrorismo dell'ultimo decennio.
Chi la storia la studia, si rende rapidamente conto quanto cambino gli uomini e quanto cambino usanze&società. Questi cambiamenti non si misurano in secoli, ma in decenni. Cercare un filo rosso comune alle vicende storiche o pretendere che, alla base, l'essere umano rimanga uguale è profondamente sbagliato. La storia non ripete sé stessa, non è maestra di vita. E' ingannevole immaginare che l'uomo con pipa e giornale degli anni cinquanta ragioni e agisca come l'uomo collo smartphone e la t-shirt del ventunesimo secolo.
Persone diverse, epoche diverse.
L'americano degli anni cinquanta non è l'americano d'oggi e allo stesso modo i supereroi degli anni cinquanta non possono essere i nostri.
Eppure, qui il meccanismo si inceppa.
Nonostante ci separi infatti un abisso in termini di mode&mentalità dal secondo dopoguerra, ci ostiniamo a leggere Batman. Nonostante ci separi un crepaccio inenarrabile dagli anni sessanta e dagli x-men, ci ostiniamo a leggere di Wolverine. E badate. Non è la distanza o l'interesse che spinge a leggere questi supereroi: non abbiamo con loro la distanza (il gusto?) mentale che abbiamo coi classici quali Dickens, Melville, Poe ecc ecc Non li leggiamo, perché li sentiamo capostipiti. Piuttosto, leggiamo Batman perché lo riteniamo un nostro eroe, un supereroe del nostro tempo. Ma non è del nostro! E' degli anni cinquanta. Un giustiziere mascherato da pipistrello non è un'idea moderna. Non potrà mai esserlo. Trascinati, costretti fuori dal loro naturale ambiente questi supereroi letteralmente impazziscono. Un pensionato vede il mondo cambiare e diventa un feroce reazionario, non per la direzione verso cui il mondo cambia, ma per la paura del cambiamento stesso.
Allo stesso modo, gli attuali supereroi sono pensionati; gli aggiornamenti si limitano a cambi di make up, di trucco e tecnologie, ma in nuce restano supereroi d'un altro secolo. Sono feroci, reazionari... Un po' frustrati, ammettiamolo. Il Batman filmico di Nolan è un Batman violentemente conservatore, come osservava Zizek; e questo non per voluta scelta di Nolan, ma perché un giustiziere del genere, nel ventunesimo secolo, con un'ideologia del genere, deve per forza essere reazionario. Se prendiamo i valori degli anni cinquanta e li trasportiamo nel ventunesimo secolo sembreranno tragicamente antiquati. L'unico modo per imporli risulterà la violenza. Il fascismo, non a caso, è il tentativo di fissare “per fermi” un set di valori e un modello patriarcale di società, pur mantenendo l'accelerazione tecnologica caratteristica della modernità. Batman fa proprio questo: si aggiorna nelle tecnologie, ma continua a venire dal lontano 1939. E li mantiene quei valori! Nonostante alcune opere geniali, come il Batman rincoglionito di Frank Miller e il Batman fiabesco e ingenuo di Burton, il supereroe della DC è risolutamente conservatore.




Vogliamo parlare della Marvel? 

Gli x-men potrebbero sembrare un esempio positivo, ma non lo sono. Emarginati, incompresi e temuti dal normale essere umano, gli x-men vivono segregati dal mondo. Sono simbolo di tolleranza e nonostante l'odio che li circonda soccorrono sempre il “fratello uomo”. Tuttavia, ancora una volta la pervicacia di trasportare valori degli anni sessanta nel ventunesimo secolo ha prodotto risultati aberranti: chiarissimo ad esempio, come gli x-men sostanzialmente siano segregati. Una forma di apartheid durissima, dove non è consentito mescolarsi agli esseri umani. La scuola “speciale”, l'estraniarsi dal razzismo “umano” sono per il ventunesimo secolo sconfitte: perché significano che non c'è stata integrazione tra esseri umani e mutanti.
Gli x-men negano la possibilità di mescolare le razze, negano la possibilità – pure attualissima – di coesistenza tra persone diverse. Chi possiede handicap se ne deve filare. In un'altra classe, in un'altra scuola. Un'idea di tolleranza sì, ma degli anni sessanta!
Il discorso vale in generale sia per i film che per i fumetti. Il film ovviamente farà riferimento all'archetipo per eccellenza del supereroe in questione e per forza di cose ne reitererà i valori. Esistono certo eccezioni, il già citato Burton, e Sam Raimi per la trilogia di Spiderman. Tuttavia il passaggio alla celluloide ha sostanzialmente eliminato quei pochi progressi fatti negli anni; riportando tutto alle origini. Again.
Non voglio ovviamente suscitare sensi di colpa. Non c'è nulla di male nei fumetti di supereroi e c'è molto di buono nella produzione sia passata che attuale. Se il lettore “tipico” di supereroi è ostile per principio al nuovo non è perchè intrinsecamente cattivo.
E' perchè costretto a leggere avventure sorpassate di supereroi sorpassati.
E' perchè costretto a leggere avventure reazionarie in un universo immobile e stagnante.
E' perchè costretto a leggere solo fumetti di supereroi, come se il fumetto non possa essere altro... Se non era per i manga – che poi andrebbero chiamati fumetti giapponesi – anch'io avrei continuato a pensare che Fumetto = Supereroe.
Se ci pensate, Marvel&DCComics sopravvivono dal secondo dopoguerra.
Mezzo secolo di supereroi stantii. Non sarebbe ora di finirla?
Di dare alle nuove generazioni linfa vitale, senza per forza dover rivitalizzare il vecchio?
Siamo nel ventunesimo secolo, diamine. Dobbiamo superare quanto hanno fatto i nostri predecessori. La società, sia europea che americana attuale è tra le più complesse, delicate e mescolate siano mai state create. Non abbiamo più l'omogeneità etnica, sociale, politica che avevamo nella guerra fredda. E per quanto ci sforziamo, non l'avremo mai.
Come possiamo pretendere che supereroi tanto semplicistici riescano a catturare le masse?
Come possiamo pretendere di dar voce a società tanto complesse e delicate con adolescenti spara-ragnatele e uomini pipistrello?
Dobbiamo abbracciare la molteplice visione di culture e società che vengono oggi presentate. Abbracciarle e sfruttarle come un'opportunità più unica che rara di creare qualcosa di nuovo.
Nessuno vuole che il ventunesimo secolo sia un'imitazione da discount del ventesimo.
Credo meriti di meglio.
Un certo Alan Moore, nel lontano 2013, lo spiegò piuttosto chiaramente:

AM: Yeah, that was it. I was seven, seven or eight, something like that, and they were fine, they were brilliant entertainment for children of that age. But it seems to me that – surely the people of the 21st Century deserve something of their own, something that was actually crafted in their times, with their sensibilities in mind.I don’t really see – I mean, much as I would love to just recycle the 1960s forever – we need never have bothered with another decade, in my opinion, if we’d have just rerun it every ten years, that would have been great. But – that is actually what we’re doing, and I don’t think it’s very good.
I really don’t see that – why we should be rerunning variations upon the music of the sixties and seventies. Yeah, I loved it, but this is 2013, you know. It’s – that’s not good enough. This century needs its own music, it needs its own comics, it needs its own concepts, and I – I am also a little worried that perhaps – I mean, I have said that, in the 1980s, comics didn’t actually grow up. I know that there were all those newspaper articles that said ‘Bam! Sock! Pow! Comics have grown up,’ but actually Bam! Sock! Pow! No they haven’t. No, it’s – what they did was, I think, and this might be a controversial statement, but, I think they met the emotional age of the general public, coming the other way. It’s like – there has been a retreat, I think, in this century. I think that because of the burgeoning levels of complexity that assail the entirety of our culture – yes, this is understandable. It’s too much for a lot of people. We were not designed to take complexity like this, and no previous human generation has ever had to take complexity like this. I can understand why people would want to retreat from that. I could understand why they would perhaps be more comfortable with the things that they enjoyed when they were children in simpler times. I can understand all of this. I just don’t think that it is what is best, either for people individually, or for culture. And also, I really just hate to see people having a good time, and enjoying themselves. [audience laughter]


Questa frattura Supereroi Vs Realtà era magari accettabile negli anni ottanta, ma ora in un 2015 mai prima d'ora così complesso e variegato risulta grottesca. Certo, come osserva Moore, un mondo complesso richiede narrazioni complesse, e narrazioni complesse richiedono maggiore impegno dal lettore e dallo scrittore. E in un'epoca dove tutto cospira per privilegiare la doppietta velocità+semplicità, dove il passatempo preferito sembrano le serie tv e dove si continua ostinatamente a fingere di vivere negli anni ottanta (!) questo appello risulta fastidioso.
A scanso di equivoci: non sono contro i supereroi.
Sono contro personaggi vecchi e stravecchi, che provengono dal fondo dell'abisso stantio del fumetto americano e pervicacemente continuano a fare appello a una fascia di lettori sempre più chiusa.
Un vero supereroe del ventunesimo secolo dovrebbe rivolgersi in primo luogo alla sua prima fascia d'età, i bambini. E proporre supereroi adatti a chi è nato negli anni duemila. Non negli anni cinquanta, non negli anni sessanta, non nei stramaledetti anni ottanta. Per chi è nato adesso. Questo non impedirà a chi è adulto di apprezzarli comunque, come non cancellerà quanto di stupendo ha prodotto il fumetto americano nelle ultime decadi. Tuttavia, un cambiamento radicale è necessario.
La Marvel ci sta provando, a “rammodernare” il parco-macchine dei suoi supereroi. Si sa, Captain America afroamericano, Ms Marvel musulmana ecc ecc. Un'uguale svolta l'ha intrapresa la DC, ripartendo da zero con tutte le sue serie. Tuttavia ancora una volta questi non sono che palliativi.
Non basta ridipingere la facciata di un edificio a pezzi per farla sembrare nuova: occorre demolirlo pezzo per pezzo e ripartire dalle fondamenta. Al nocciolo, anche dopo questa (falsa) ripartenza, i fumetti di supereroi che vedono continuano a essere i soliti, mentre le nuove leve di fine anni novanta sono, se possibile, ancor più in minoranza.
Ma naturalmente, che parlo a fare! Chi osa criticare i supereroi è automaticamente contro i supereroi e contro il fumetto, esattamente chi osa criticare alcuni aspetti dei videogiochi è automaticamente “contro” questi medium emergenti.
Non tange nessuno che, perchè un medium venga riconosciuto, lo si deve rendere oggetto di critica. Il mondo dei romanzi non sarebbe quello che è senza secoli di critica letteraria, esattamente come la cinematografia, la musica, l'arte... perchè il medium cresca occorre la maturità di accettarle, alcune critiche. Di accettare che non è perfetto, che c'è molto da migliorare.
Ma d'altronde, avendo citato Moore, sono gli stessi che amano il Bardo di Northampton per Watchmen e V per vendetta e quando gli citi il bellissimo The Swamp Thing, o Prometethea, o Tom Strong spalancano gli occhi ingenui...

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Fonti:
Citazione dalla serata londinese trascritta dall'eccellente Pádraig Ó Méalóid:
Lance Parkin’s Magic Words: An Evening with Alan Moore – A Transcription

lunedì 28 luglio 2014

Nemo - Le Rose di Berlino: traduzioni dal tedesco e annotazioni di Jess Nevins


Chi mi segue, sa che rispetto Alan Moore.
Non ne sono un fan, piuttosto un ammiratore
Il fan abbraccia con fervore fondamentalista ogni più piccolo prodotto del suo Dio, verso cui prova una prostrazione ai limiti del masochismo. L'ammiratore, invece ne ammira le qualità, senza tuttavia disumanizzare il suo mentore.
Io ammiro l'anarchia di Moore, la sua abilità di forgiare immagini dalle parole, la sua immensa cultura sia alta che bassa, spesso intrecciata senza soluzione di continuità. Ne ammiro perfino l'aspetto, uno dei pochi che tenta un'apparenza e un abbigliamento che si stacchino dalla comune massa di sceneggiatori e disegnatori in maniche di camicia, t-shirt e pantaloncini di bambinetti invecchiati.
Per dirvi, fino a che punto in qualità di ammiratore, si spinge per l'appunto la mia ammirazione: di Alan Moore apprezzo perfino il vestiario! Quell'aura di artista pazzo che tutti ritenevano smarrita nelle nebbie della Londra di fine 800.
Non a caso, è comparso
nel Movimento Chap!

Tuttavia, proprio perché ammiratore e non fan, non mi faccio problemi ad ammettere che alcune sue opere sono peggiori di altre. Nemo: le rose di Berlino è un albo sottotono, rispetto alle sue opere maggiori. Sembra più di guardare il tuo musicista preferito che tira una schitarrata per farti contento, ma senza reale convinzione. Non c'è nemmeno quella rabbia opprimente dell'ultimo capitolo della Lega, “2009”. Nemo: le rose di Berlino rimane comunque un'opera incastonata in una sceneggiatura ferrea, da promuovere e comprare senza riserve; tuttavia la lode giunge a sorpresa per merito dell'artista, Kevin o Neill, che ritrae con pazienza certosina il miglior omaggio fumettistico alla Metropolis di Lang mai disegnato.

Quest'impressione s'è accentuata rileggendo per la terza volta il volume, onde compilare questa lunga lista di Note prese dalla versione inglese di Jess Nevins. I piccoli dettagli che sono emersi erano tutti visivi, nessuno relativo a sorprese nell'ambito dei dialoghi.
Jess Nevins, esperto di cultura pulp e retrofantascienza, è un autentico luminare delle opere di Moore.
Le sue guide, disponibili gratuitamente in inglese, esaminano ogni singola tavola, ogni singola vignetta delle opere di Moore, scandagliando a fondo i riferimenti alla cultura alta e bassa, al pulp, alla letteratura vittoriana, alle curiosità e agli easter egg dispersi tra le righe. Non c'è da vergognarsi che, specie nel caso della trilogia di Nemo, questa gustosa “seconda lettura” sia fondamentale, per realmente apprezzare il lavoro di Moore. I riferimenti sono sempre più astrusi, i personaggi noti a malapena: una guida è indispensabile.

Come se non bastasse, in Nemo: rose di Berlino, un terzo dei dialoghi sono in tedesco.
Non qualche riga, qualche esclamazione: intere vignette, balloon su balloon. Non avendo amici teutonici, ho tradotto dall'inglese di Nevins, con tutti i problemi che ve ne possono derivare. Il mio livello d'inglese è artigianale e in questo caso abbiamo dialoghi dal tedesco tradotti in inglese e infine ritradotti in italiano.
Non so quanto l'operazione abbia funzionato. Ad ogni modo, adesso avete una sorta di traduzione dal tedesco di Nemo: rose di Berlino.

Per sicurezza, per ogni informazione, non solo il tedesco, fate riferimento alla versione originale in lingua inglese di Nevins. La mia è la traduzione di un appassionato, con qualche nota aggiunta; gli errori sicuramente possono incorrere. Ora, aprite il vostro volumetto della Bao a pagina 1, accendetevi la pipa, versatevi un bicchiere di cognac e vediamo d'iniziare...


Pag 1: L'immagine ricorda molto gli scheletri che si abbracciano in Watchmen.

Pag 2 (dal tedesco): "Capitano Nemo: Pirata Scienziato e Macellaio"
Poster di propaganda tedesco, che raffigura Janni Nemo mentre nei panni di una novella Scilla&Carridi affonda una Nave della Croce Rossa. L'appellativo "macellaio" viene inoltre utilizzato dalla stessa Nemo, nei confronti delle persone che tengono prigionieri Hira e Armand. Come osserva Padraig o Mealoid, è tutta una questione di prospettive.

Pag 5 Vignetta 1: La doppia "X X" è il simbolo delle forze Tomaniane di Adenoid Hynkel.
Verrà più volte ripetuto nel corso della storia.

Vignetta 2: "Heil Hynkel."

Come già scritto nella recensione, non c'è un vero e proprio Adolf Hitler nel mondo degli straordinari Gentlemen, esattamente come non ci sono Mussolini e altre importanti figure storiche. In cambio, abbiamo i loro analoghi letterari o filmici. In questo caso, Hitler è stato rimpiazzato da Adenoid Hynkel, l'alter ego di Hitler nel capolavoro Il grande dittatore di Charlie Chaplin (1940). Ambientato nello stato inventato di Tomania, il Grande Dittatore ritrae l'inarrestabile ascesa al potere di Hynkel.

(dal tedesco, Hynkel) "Sì, sì (Ja ja!). "Quando quei negri lassù si saranno stancati di bruciare
le loro mummie, penso che potremmo fare a meno delle formalità. Che cos'ha
da dire sua maestà reale, riguardo il nostro piano?"

Uno dei modi più dispendiosi per difendersi dalla freddissime notti nel deserto era di bruciare vecchie mummie per tenersi al caldo. Tessuti secolari e friabili, imbevuti di antichi oli... un'ottima esca per il fuoco!


mercoledì 7 maggio 2014

Nemo Propheta in Antartide


Nemo - Cuore di ghiaccio- Guida alla lettura

I testi di Moore non sono mai testi facili.
Specie la saga degli Straordinari gentlemen, che si presenta stratificata a più livelli, con un gran numero di dettagli che vanno facilmente persi. Ad aggravare il tutto, se i primi due volumi della saga ambientati nell'Ottocento sono godibili senza troppe difficoltà interpretative, è negli ultimi volumi che Moore dispiega un armamentario di metafore, simbologie e riferimenti che spesso sovrastano il puro piacere della storia.

E' il caso di Nemo, cuore di ghiaccio.

Primo volumetto di un'agile trilogia, per il momento mi ha colpito più per il personaggio di Janni che per la sceneggiatura in sé. Nel volume Century - 1910 della Lega era un personaggio ancora in fieri, in una trama di rape&revenge. Nella nuova trilogia è invece un personaggio femminile forte, nel senso positivo del termine. Non forte fisicamente, ma con una psicologia ben delineata, determinata e se vogliamo giocare al piccolo multiculturalista americano, un capitano femminile di nazionalità indiana a capo di un equipaggio di pirati-reietti di ogni angolo del globo. Non male, no?
Già l'idea in sé di un'eroina indiana cozza violentemente contro le attuali protagoniste, improntate al biancore abbronzato degli Stati Uniti, del pallore svedese, se non albine in alcuni casi. A voler leggere davvero Alan Moore, invece che piagnucolare su articoli di giornalisti-scarafaggi, è davvero difficile considerarlo un violento esagitato; si riscontra invece la continuità con la linea anarchico-comunitaria di Michael Moorcock, volta a decostruire prima il “buono” impero coloniale inglese, poi il “libero” (mercato?) dell'Americanismo. Ma per carità, questa è solo una mia opinione...

Dal punto di vista della lettura, Nemo, cuore di ghiaccio rimane tuttavia un'opera stancante, molto cripitca nel gioco citazionista imbastito da Moore.
Ci viene allora in soccorso Jess Nevins, esperto di cultura vittoriana e pulp, la cui cultura enciclopedica si dispiega in fenomenali articoli su Io9. Conoscevo Jess Nevins per la definizione che forniva di steampunk
"Steampunk is What Happens when Goths discover Brown"
Ma sembra che non sia nuovo a compilare appunti sulle opere di Moore; sua è infatti è una guida interpretativa ai primi due volumi (esatto, quelli ultimamente ri-pubblicati in formato tascabile dalla Bao) che con mia grande sorpresa è anche stata tradotta dalla Delos. (La Lega/ Vol. 1 Eroi e mostri). Cercherò di procurarmela in futuro. Le guide sono comunque facilmente rintracciabili su Internet, a disposizione di tutti per volontà dell'autore. Il riferimento alle pagine inglesi mette in difficoltà, ma le sto trovando illuminanti; sembra finalmente di avere una chiave d'accesso a qualcosa che guardavi dall'esterno restandone affascinato, ma senza capirci troppo.
Utile, insomma.

Nel caso di Nemo, cuore di ghiaccio avevo promesso una guida e ho così deciso di cannibalizzare il lavoro di Nevins, riorganizzandolo in riferimento alle pagine e alle vignette dell'edizione della Bao: Nemo Cuore di ghiaccio. Spero possa esservi utile. Non ho tradotto e riportato tutto quello che diceva Jess Nevins, ed eventuali errori sono tutti dovuti alla mia incapacità. Per una visione estensiva e completa, consiglio vivamente di leggere le notazioni nel testo in inglese (Annotations/Nemo's Heart of Ice).
Pagina 1.
In alto, il motto "Mobilis in Mobili" è il tradizionale motto di Nemo nel Nautilus Verniano, di Ventimila Leghe sotto i mari.

Pagina 2.
Locandina pubblicitaria.
Kor è il nome di una capitale di una civiltà decadente e morta da tempo presente nei romanzi vittoriani di H. Rider Aggard, quelli con protagonista Allan Quatermain, membro "umano" della Lega degli Straordinari Gentlemen.

White Star – Linea Titan

Nella versione "storica" esisteva una Linea Star, una compagnia commerciale britannica che possedeva il Titanic. Nel mondo "alternativo" di Moore, il Titanic non è mai affondato, e in cambio domina la linea Titan, colossale trasporto passeggeri.
Non deve ovviamente sorprendere nessuno ch'esista un romanzo scritto nel 1889 in cui la linea Titan affonda colpita da un iceberg: Futility, or the Wreck of the Titan di Morgan Robertson.
Colori e stile della finta locandina riprendono un'iconica locandina art Deco di quei tempi (Normandie poster)