giovedì 29 dicembre 2011

Teratogenesi

Donne, dirigibili e brutti contadini V parte
 
Se questo è il primo capitolo che leggete, consiglio d'iniziare dal primo, su 
Fumo denso come pece usciva dalle alte ciminiere che sormontavano la fila di stamberghe e capanne di lamiere e mattoni.

Katherina tossì un paio di volte, respirando quell'aria densa di cenere e polvere.
Come potesse la gente vivere a così stretto contatto con le industrie della città faticava a capirlo.
Camminò a fianco del sergente, guardandosi in giro, cogliendo immagine dopo immagine un quadro dei sobborghi della città.
Una banda di tre, quattro ragazzini pelle e ossa le tagliò la strada, inseguiti da un poliziotto dall'elmo in cuoio nero
e un manganello in mano, il viso paonazzo. Un mendicante dalle dita fratturate chiedeva la carità nel fango della strada,
le mani un groviglio di rami spezzati. Un giovane con bombetta e uno stretto panciotto malmesso, ma pulito chiaccherava
con una giovane coppietta di turisti, lui con bastone da passeggio placcato d'oro, lei con ombrellino parasole bianco crema,
grottesco nel nero della città. Mentre Katherina passava, il giovane già faceva scivolare la mano nelle tasche dell'uomo,
illustrando al contempo con fare teatrale le principali meraviglie architettoniche della città.
Il capitano dello zeppellin trattenne un sogghigno. Poveri idioti!
- Signora, signora, la prego un soldo per il mio bambino- piagnucolò una sedicenne dal viso scavato, in ginocchio nel fango,
come tutti i mendicanti. Nell'incavo formato dal braccio giaceva un bambino avvolto in fasce marroni tanto erano luride.
Katherina voltò la testa da un altra parte e affrettò il passo, ma l'adolescente si aggrappò con la forza della disperazione agli stivali.
Il capitano ne incrociò lo sguardo e rabbrividì violentemente. Una cataratta copriva l'occhio sinistro come una benda bianca,
umidiccia, dietro il cui velo qualche sinistro bagliore si agitava irrequieto.
Esattamente come l'occhio del prete ribelle a capo dei contadini. La sensazione, un insieme di vertigine e paura, era la stessa.
La voce del sergente, che la chiamava qualche metro lontano, riportò Katherina alla realtà e presto il disgusto superò ogni paura.
- Ma levati, disgraziata! -
- La prego signora! Lei è come un angelo di bontà, un – Il capitano scalciò con forza per liberarsi della presa e la punta dello stivale
fracassò la mandibola della donna che ricadde nel fango, un rivolo di sangue e qualche dente sparsi per terra.
Il bambino cadde nel fango e attaccò a piangere, con suono più acuto di una sirena d'emergenza.
Il capitano lo afferrò con la punta delle dita, cercando di non sporcare l'uniforme nuova-
questo lo affido a un orfanatrofio, non certo a una buona a nulla che vive mendicando!- e rabbrividì di violento disgusto.
Una crosta di sudore e lezzo rancido copriva il neonato, ma non era quello il peggio.
Il viso era strabico, un occhio grande il doppio del normale, la pupilla assente, un puntino nel bianco della sclera dilatata.
Katherina cominciò con uno dei guanti a togliere i bendaggi e sentì in bocca i primi sintomi di una forte nausea.
Qualcosa si agitava sotto le fasce sporche, qualcosa premeva per uscire e non erano certo i piedi o le mani già strette a pugno.
Con forte strattone strappò gran parte delle strisce di cotone attorno al petto. Un soldato urlò, un altro vomitò la colazione.
Tutt'intorno al petto del bambino, a raggiera come un anemone di mare, mostruosi tentacoli si agitavano incessanti.
In effetti Katherina stentava a distinguere dove terminasse la pelle del bambino e inizasse l'attaccatura del tentacolo.
Erano tanti, sottili e finissimi e si agitavano in modo incessante, protendendosi a tastare il polso della donna.
- Che cos'è questa... cosa?-
- E' mio figlio-
La mendicante s'era rialzata e prese il bambino, cominciando a coccolarlo come se niente fosse, il mento ancora sporco di sangue secco.
- E' mio figlio e gli Antichi l'hano benedetto con grandi doni-
I tentacoli s'avvinghirono al seno della donna e cominciarono a succhiare. La donna si morse il labbro. Non doveva essere piacevole.
- E io ne sono grata-
- Non è un bambino, è un aborto della natura-
Katherina estrasse la pistola dal fodero, l'armò con uno scatto del pollice, la puntò verso il neonato.
Tre fucili le vennero puntati alla tempia.
- Niente scherzi, capitano. Da queste parti non si uccidono bambini per qualche piccola mutazione dovuta a smog e veleni -.
- Crede davvero che un pò d'inquinamento possa far nascere simili mostriciattoli? E' ancora più stupido di quanto pensassi! -
- Non è un mostro! E' il prescelto degli dei, blasfemi!-
La donna aveva ripreso con le sue fastidiose assurdità.
- Verranno dal cielo e vi puniranno tutti!-
Katherina riconobbe con noioso deja vu i toni del prete. Una qualche setta religiosa pensò.
Se ne formavano in continuazione fra operai e contadini, promettendo rivoluzioni e riforme.
L'unica spiegazione possibile per insulti e maledizioni a tal punto elaborate.
- E questi dei.. - Aggiunse Katherina, che si sentiva d'improvviso ansiosissima d'indagare.
- Basta! Finitela entrambi! Tu donna- il sergente afferrò la mendicante per il braccio, la spinse via dalla strada.
- Vattene! Quanto a lei, milady, siamo in ritardo per l'appuntamento con il senatore!-
Prima di andarsene Katherina gettò un ultima occhiata al bambino e alla madre.
Dal buio del vicolo in cui erano state gettati madre e figlio ricambiarono lo sguardo e sorrisero con i denti spezzati.
Katherina si affrettò a distogliere lo sguardo.


Com'è ormai tradizione, a te lettore che hai faticato per giungere fin qui, leggendo i mie scarabocchi, 
ecco una donnina in simil-corsetto per restare in tema vittoriano. Il giorno in cui la donna ha iniziato a vestire maglioni e jeans, 90% della sua sensualità è stata orribilmente cancellata :P






sabato 19 novembre 2011

Come NON scrivere: scrittura, fisiognomica e politica


Vagabondavo come mio solito in città, stretto nel mio impermeabile da barbone, quando vengo fermato da una ragazza con un grande block notes in mano e un sorriso del tipo -fermati-bastardo-ti-devo-parlare-.

- Ciao! Leggi molto?-
- Qualcosina...-
- Qual'è stato l'ultimo libro che hai letto?-
Mi sventola sotto il naso il cartellino per l'iscrizione alla libreria con abile gioco di prestigio.
Presagendo future rotture di coglioni tento la mia carta segreta.
- Senti, sono minorenne... - sorriso mefistofelico, alzo le mani, palmi rivolti in segno di pace
-Mi dispiace-
-Ahhhh, scusa è che...- balbetta qualche scusa e corre ad azzannare qualche altro cliente.

Ovviamente non sono minorenne, ma dubito che avrebbe creduto al titolo del mio ultimo libro letto, "Lombroso, L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza e alla psichiatria, edizione del 1897".
barba, occhiali e baffi. ecco un uomo virile

Lombroso muoveva dall'idea che basandosi sullo studio del volto e della corporatura di una persona fosse possibile giudicare le sue future azioni e comportamento.
A noi evoluti (sic!) cittadini del 21 secolo può sembrare un'idea ai limiti del demente,
ma all'epoca non mancò di una certa risonanza. Certo, si era predestinati a un dato comportamento, che fosse rivoluzionario, intellettuale, pluriomicida. Tuttavia la fisiognomica indirettamente tutelava il condannato, in quanto ogni atto che compiva non era sua colpa esclusiva, ma indiretta conseguenza dei suoi geni.

Dunque se parlamentari e politici continuano a derubarci gorno dopo giorno, non è colpa loro, sono fatti così! Basta guardarli in faccia, per capire quale categoria appartengono.
Lombroso avrebbe sezionato con gioia il cervello di uomini del genere:

comportamento sorprendentemente simile a quello di molti animali ^^

La fisiognomica con il tempo è diventata una pseudoscienza, ma ha conosciuto singolare fortuna come tecnica letteraria. Un pò come lo stesso Svevo ammetteva riguardo la psicanalisi, la fisiognomica rappresenta una tentazione irresistibile per tutti i romanzieri.
Il tentativo di vincolare determinati sentimenti o qualità d'animo a parti del corpo rappresenta una tentazione troppo ghiotta per poter essere ignorata.
A differenza ahimè della fruttuosa applicazione della psicanalisi in capolavori quali "La coscienza di Zeno" tuttavia, la fisiognomica funziona parecchio male anche come aiuto in descrizioni e stile di scrittura. Questo difetto in realtà non è così sconosciuto, tant'è che lo cita anche Stephen King nel suo manuale di scrittura "On Writing":
Io penso che per dare al lettore la sensazione di trovarsi effettivamente dentro la storia, ambientazione e atmosfera siano molto più importanti della descrizione fisica dei protagonisti. Nè credo che quest'ultima debba essere una scorciatoia per definire il carattere. Risparmiatemi dunque, per favore, "gli acuti e intelligenti occhi blu" dell'eroe e il suo " mento volitivo e risoluto"; altrettanto valga per gli "zigomi arroganti" dell'eroina. Questi sono esempi di cattiva tecnica e scrittura pigra (...)
Rileggendo Eragon di Cristopher Paolini è stato facile imbattersi nella fisiognomica letteraria: ecco ad esempio un breve accenno di descrizione dello sfigato protagonista:
Eragon aveva quindici anni; un anno soltanto lo separava dall'ingresso nella vita adulta. I suoi penetranti occhi nocciola erano sormontati da sopracciglia scure. I suoi abiti erano logori...
Altre evidenti perle del maestro fentesì:
Dietro al bancone c'era il macellaio Sloan {...} Sul volto giallastro e butterato spiccavano occhietti neri e sospettosi
Non credo li si possa classificare come veri e propri difetti letterari, nonostante comunque dimostrino una certa pigrizia mentale. Ad esempio il lettore poteva capire la malvagità di Sloan in modi più avvincenti di una pedissequa descrizione fisica: avrebbe potuto mostrare il macellaio mentre maltrattava un garzone o rifutava di vendere la carne a uno straniero di cui non si fidava.
Quindi prima di scrivere che il vampiro di turno "mostrava occhi sottili e affascinanti, conditi da un pizzico di malvagità" pensateci bene.

Fonti:

Esperienza personale
"Lombroso, L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza e alla psichiatria, edizione del 1897"
Immagini provenienti da wikipedia
Ovviamente questa è solo puro divertissement. Prendetelo cum grano salis.

mercoledì 2 novembre 2011

Un incontro inatteso

Donne, dirigibili e brutti contadini IV parte

Donne, dirigibili e brutti contadini è un racconto che mi diverto a scrivere a intervalli irregolari.
(in pratica quando mi pare)
L' ambientazione è un blando fantasy steampunk, con protagonista una donna capitano di zeppelin, Katherina, coinvolta in un' oscura minaccia allo stato repubblicano in cui vive.
Link al primo capitolo: http://zenosaracino.blogspot.com/2011/09/ho-provato-buttar-giu-linizio-del.html

Avanzavano, il cielo bucato da una falange di baionette lucenti.
Bottoni dorati, uniforme nera, elmo d'acciaio in bella vista.
Katherina strizzò gli occhi, distinse il sergente dall'uniforme con le spalline dorate e la pancia da ubriacone. Fumò con una smorfia l'ennesima sigaretta, la gettò via, schiacciandola sotto il tacco dello stivale più e più volte . L'erba si sentiva appena, il fumo stentava a penetrare nei polmoni. Uno schifo.
Mentre la falange s'avvicinava a passo di marcia, diede un'occhiata a Enrico che, mascella serrata e mano contratta sull'elsa della sciabola, dava l'impressione di scoppiare da un momento all'altro.
- Problemi, sergente?- non resistette a punzecchiarlo.
- Non è nulla, grazie. Non sopporto tutta questa burocrazia, ecco tutto. Funzionari locali che si danno manie d'onnipotenza, la polizia che si crede chissà chi per l'occasione.-
- Sembrano piuttosto ben disciplinati- osservò distratta Katherina, guardando gli operai in una veste giallo sporco assicurare al suolo il suo prezioso zeppelin.
-Sono ridicoli. Grassi pavoni che non sanno combattere. Guarda le baionette ad esempio. Ferro così lucido non devono averlo mai usato davvero.-
Sbuffò.
- Probabile che non siano nemmeno affilate-.
Katherina non rispose, ma sorrise di sbieco.
-Il resto dell'equipaggio si sporgeva dal ponte con i pochi averi pronti in mano, mentre i più smaniosi, piloti e soldati, si accalcavano presso la scaletta.
Qualcuno stringeva fra le mani lo zaino, molti fotografie sbiadite o vecchi fazzoletti che avevano perso colore. Li sventolavano verso la piccola folla di donne che si accalcavano presso la scaletta, che strillavano nomi di ogni genere, più d'una con lacrime o attacchi d'ansia quando qualcuno rispondeva. Molte avevano superato la sessantina, altre più giovani, ma dal viso pallido e il corpo grassoccio delle casalinghe, stringevano le mani di bambini e figli. Altre ancora un pò in disparte fumavano qualche sigaretta, avvolte in vesti provocanti, ma piene di toppe, il trucco esagerato sul volto. Madri, fidanzate, puttane. Tutte in cerca dei loro amori. Beati loro, che non devono affrontare la burocrazia pensò Katherina, prima di lacerare il suo volto in un sorriso. Il sergente della falange ricambiò, con sorriso certo più largo e sincero, fermando la fila di soldati a un passo da Enrico e Katherina. Qualche metro lontano il macchinista e il primo pilota li fissavano, strascicando i piedi indolenziti. Tutto come prevedeva il maledetto protocollo, quindi perchè il sergente arrossiva e continuava a fare piccoli cenni con il capo?Con un sospiro Katherina accennò un inchino tanto rigido da sembrare che l'avessero spinta.
- Capitano Katherina?-
- Così dicono. Ne vede forse altre, di donne?-
Il viso dell'uomo si fece ancora più paonazzo. Il macchinista soffocò la risata nella barba fra continui singulti. Enrico ghignò. Il sergente si strofinò la guancia, vano tentativo di nascondere il rossore. Srotolò con la mano una lunga lettera arrotolata nell'ampia tasca del pastrano. Lesse le prime righe.
- In sostanza la devo scortare al Municipio, capitano. Ordine di massima priorità. In caso di necessità sono autorizzato all'uso della forza-
Katherina sbuffò di fronte all'espressione feroce del sergente.
- Sicuro di non aver sbagliato persona? -
- Niente affatto.- Porse la lettera, la donna gliela strappò di mano, la lesse con fronte sempre più corrucciata man mano che si addentrava nel testo.
-Allora?- incalzò Enrico.
-E' tutto vero.- ammise Katherina, a suo modo impressionata
 - Pensavo fosse un semplice controllo di routine e invece mi vogliono al municipio. Quattro chiacchere con niente di meno che un senatore in persona.
Nella lettera accennano a una missione, ma sono molto confusi in ogni punto-.
- Politichese, Katherina. La lingua dei politici. Non la capiscono nemmeno loro, figuriamoci noi- una pacca sulle spalle da parte di Enrico.
-Prenditi cura dello zeppelin, soldato! Ci si vede al pub, se dio lo vuole!- augurò Katherina, prima di scomparire fra un mare di divise nere.


Avete davvero letto tutto l'enorme malloppo? Bravi, ma ne dubito fermamente.
Per ricompensarvi, ecco qualche tetta :-D


Se siete donne considerate l'illuminante via del lesbismo ^^





domenica 16 ottobre 2011

Marianne catturata a wall street


Avete presente quando vedete una foto o una scena che vi ricorda con incredibile dejavu un quadro o un'opera d'arte?
Ecco, la nuova Marianne
Molto significativamente la reincarnazione della Francia e della libertà per eccellenza compare in paese straniero, catturata da grassi poliziotti borghesi ^^

La vecchia libertà del furbo Delacroix: da notare posa ed espressione (e le tette, d'accordo :p)

La nuova libertà: sottomessa, palpeggiata e orrore! ben poco scollata
la somiglianza di posa ed espressione è notevolissima


lunedì 10 ottobre 2011

Risveglio

Donne, dirigibili e brutti contadini III capitolo

ho finalmente scritto un seguito del racconto. Su forum gw tilea sembra piacere, vedrò di continuarlo.
purtroppo continuano a mancarmi le informazioni tecniche necessarie!
Trovare libri su zeppelin e dirigibili continua a essere una ricerca vana e frustante!
Come fa la gente a NON adorare i dirigibili, non capisco. Dev'essere qualche oscuro complotto.

Sentiva il viso caldo, coperto di appiccicoso sudore. A fatica aprì gli occhi.
I raggi del sole a stento penetravano la fitta coltre di nuvole gialle.
Katherina tossì, sputando muco giallastro sul ponte.
Troppa erba? O forse erano le nuvole, gonfie degli umori dei gas asfissianti.
Si levò in piedi, strofinandosi le mani sporche di sangue secco sul vestito già sudicio. Doveva essersi addormentata sul ponte.
La pipa era rotolata poco lontano, e giaceva rotta, calpestata da qualche piede incauto.
Ne raccolse con cura i frammenti, mormorando qualche imprecazione.
Fosse stato possibile, avrebbe frustato i responsabili.
Mentre si piegava trattenne la nausea. A stento dominò il tremito alle mani brancolando per raccogliere ogni minima briciola della vecchia pipa. Maledetti bastardi...
Tentò di fumare lo stesso, sfruttando quello che restava del cannello di legno, ma il fumo si perdeva nel percorso, dissolvendosi in mille volute beffarde.
Gettò un' occhiata al suolo lontano. La terra era livida, un tappeto d'erba bruciata e annerita.
Piccole formiche nere che riconobbe dall'elmetto come soldati e operai trafficavano con cavi e catene, assicurando a terra un piccolo dirigibile rosso, dalle insegne mercantili.
Sterpi, radici divelte e crateri neri segnavano il passaggio alle terre selvagge.
Corone di filo spinato circondavano il perimetro, una striscia di terra gialla e avvizzita.
Colpa dei nuovi gas asfissianti? Pensò Katherina, con una smorfia.
- Ah il nostro capitano si è ripreso, vedo!-
La donna sospirò, riponendo in tasca i resti della pipa.
- Enrico! Efficente come sempre.-
Il sergente fece un sorrisetto compiaciuto, lisciando la giacca pulita e togliendo dalle spalline lucide inesistenti strati di polvere. Era mai possibile, pensò Katherina, esalando a stento un sospiro di sopportazione. Dovunque fosse, quell'uomo rimaneva impeccabile, racchiuso in un'uniforme di professionalità e sicurezza.
- Non è che hai una pipa di riserva, da prestare al tuo caro capitano?-
Il sorrisetto si spense.
- Fumare è sconsigliato da tutti i manuali, Katherina. Quanto a fumare erba sarebbe proibito.- Socchiuse le labbra in una severa linea di sottile intransigenza.
- Lo sai sul mio zeppelin cos'è proibito Enrico? L'imbecillità! Come il tuo caso.-
Il fiero cipiglio di Enrico divenne rosso dall'indignazione.
- Nel manuale del soldato della repubblica c'è scritto che...-
- C'è scritto che un soldato repubblicano dev'essere sincero, coraggioso, pronto a sacrificarsi anche quando è impossibile che vinca. Ah non dimentichiamo che non deve bere, fumare, scopare e un mucchio di simili altre fumanti caxxate-
Enrico strinse le mani che teneva appoggiate sul parapetto del ponte così forte che più di un'unghia si scheggiò a contatto con il legno levigato.
- Che c'è Enrico? Anche tu fumi, no? Cos'è questo improvviso rigore?-
- Sono stanco, capitano, esausto.- la voce era rabbiosa e Katherina alzò un sopraciglio perplesso al vedere il sergente così incupito.- Non capisci, perchè sei solo il capitano di questa nave, non comandi, addestri i soldati che mandi al macello.
Katherina alzò la mano e accennò qualche parola, ma Enrico rovesciava ormai un fiume in piena di parole.
- Li conoscevo quei soldati, uno a uno. Nome, carattere, storia, perfino cosa preferivano mangiare a mensa, dannazione. E tanto per cambiare li hai mandati a morire, fregandotene. E sarebbe bastato non giustiziare i prigionieri e forse la folla si sarebbe calmata, forse non avrei persò metà del plotone.-
- Ho fatto solo il mio dovere, nient'altro. E in ogni caso al porto ci forniranno nuove reclute per riempire i buchi, di che ti preoccupi? Soldatini di piombo da gettare allo sbaraglio ce ne sono sempre.-
Accennò una risata sarcastica.
Si voltò di colpo.
- Ma non capisci? Il resto del plotone è demoralizzato, con il morale a terra. Hanno perso, compagni, amici, e tu neanche una comparsata nella stiva a ringraziarli o a commemorare i caduti o...-
Katherina sospirò irritata.
- Non m'importa di fraternizzare con la truppa. Sono solo bruti senza cervello. Quanto al morale, mandali in qualche bordello di città e vedi come dimenticheranno tutto.-
- Sei come quei robot dell'Accademia. Senza emozioni.-
- Ti sbagli, invece. Se penso alla mia pipa rotta mi viene da piangere- Finse un'espressione addolorata, gli occhi sofferenti, le labbra piegate all'ingiù.
Enrico alzò gli occhi al cielo.
- Ti prego, evita la solita scenetta.-
- Dammi qualcosa con cui fumare e visiterò i tuoi uomini. Forse.-
Alla proposta Enrico sospirò prima di rovistare nelle tasche e passare alla donna vecchie carte di sigaretta d'arrotolare.
- Ehi! Avevo detto una pipa, sergente!-
- E io avevo chiesto un pò d'aiuto, non sarcasmo- ringhiò allontanandosi.
Che razza d'uomo rimuginò Katherina, tentando d'accendere una prima sigaretta. Da quando i contadini giocano al tiro a segno con catapulte costruite in casa? A questo ci aveva pensato?
Improbabile. La colpa era sempre sua, di Katherina, dell'insensibile capitano! Povero diavolo.

sabato 1 ottobre 2011

Gelida primavera


Inizio di racconto fantasy scritto qualche settimana addietro.
In attesa di limare e aggiustare la continuazione di "donne, dirigibili e brutti contadini" lo posto così integro ed essenziale.
L'ambientazione è la Bretonnia di warhammer fantasy, http://it.wikipedia.org/wiki/Bretonnia, non troppo dissimile dalla tradizionale ambientazione high fantasy.

la fin troppo gnocca emh scusate divina dama del lago^^

Gelida primavera



Giaccio, rinchiuso in questa fredda pelle di metallo.
Mi ricopre gelida in un manto d’impenetrabile acciaio.

Il respiro filtra dalla celata ornata di brina, effimero riflesso di una vita spenta.
Un fioco colpo di tosse, un sussulto del corpo torturato mi strappano dal sonno.
Serro le palpebre, contraggo i muscoli irrigiditi, costringo le vecchie articolazioni a muoversi.
L’alba illumina di un chiaro candore le cime dei pioppi, carezzando la foresta in lento risveglio, giocando strani riflessi nella vicina cascata. 


Cammino verso la cappella in rovina, le ossa che gemono sotto il peso dell’acciaio.

Il sole non riscalda, non fornisce il minimo ristoro.


Sotto le piastre sporche di verde e la cotta arrugginita il freddo continua a tormentarmi.

Custodisco la cappella da tempo interminabile.
Avevo forse vent’anni quando ebbro di gloria abbandonai terre e titoli, imbarcandomi nella sacra cerca.
Segni, presagi. Non mancarono certo. Chiari erano gli intenti della Dama, sublime la sua vista.
Di visione in delirio mi condusse alla sacra cappella. Muri scrostati dall’incuria, travi marce, paglia maleodorante.
Effigi di purezza e valore dimenticate da tempo, seppellite da ciarpame, strangolate dalla vegetazione.
Niente di più che un relitto risputato da madre natura.


Eppure chiari erano gli intenti della Dama: custodiscilo, mi ammonì più volte. 

Difendilo dalle crudeli creature del bosco. Questa sarà la tua cerca.
Per vent’anni ho custodito questo sacro luogo. 

Vent’anni di totale abnegazione, vent’anni di digiuni e preghiere.

Ho lottato contro mostri immondi più e più volte. Il mio corpo non è che un reticolo di cicatrici e muscoli nodosi.
Imprese gloriose a sufficienza per cento ballate ho compiuto. Qualcuno mai lo saprà? Ne dubito.
Non avrò figli, né nipoti che perpetuino la mia casata e allietino i miei ultimi giorni.
Nessun bardo commemorerà mai la mia scomparsa quando i corvi beccheranno il mio cadavere insepolto nel verde.
Vent’anni di automortificazione della carne, di feroce - nichilistica- autoreclusione.
Invano ho aspettato un segno, una visione, un’apparizione della Dama che mi mostrasse il passo successivo della mia gloriosa cerca.
Nient’altro se non il vecchio, beffardo insegnamento: custodisci la cappella, custodiscila con tutto te stesso.
E così ho fatto per oltre vent’anni, mentre lenta la giovinezza sfioriva e maturavano amarezza e triste rimpianto.
E dopo tanti anni non provo altro se non freddo rammarico.

Passi! Scalpiccio nella vegetazione umida.


Rumore di calzature ferrate, andatura da marcia.

A fatica mi sollevo dal pavimento su cui inginocchiato pregavo.


Dardeggio lo sguardo verso l’ingresso, mi affaccio con cautela.

Ancora nulla, devono essere lontani. 
Crack! Rumore di legna che si spezza, bestemmie soffocate.
Più vicini di quanto pensassi, dopotutto. Un lieve sorriso mi taglia la faccia.


Finalmente un po’ di sano divertimento.

Mano sulla spada, spalle e schiena rilassate, pronto a estrarre.

Scruto gli esili pioppi, aguzzo lo sguardo alla vana ricerca del nemico.

Il vento mi soccorre, portandomi odori di fumo e sudore rancido, carne marcia e feci.
Bestie, sogghigno, impugnando la spada e voltandomi in direzione del fumo.
Osceni mutanti, bestie degenerate che infestano i boschi incendiando i piccoli centri, minacciando le strade, assalendo viaggiatori e carrozze.
Pochi minuti dopo mi camminano davanti come bambini, sbucando da uno dei tanti sentieri nascosti nel sottobosco.
È un lampo di reciproco riconoscimento, un bagliore di sorpresa e pericolo.
Reagiamo all’unisono, in una mortale sincronia di spade e sangue. Mozzo la mano che vola disperata verso l’ascia in un tentativo di parata, accenno un fendente e con improvviso slancio squarcio la gola della bestia. Il gor che gli è dietro tenta d’impalarmi con una rozza lancia dalla punta in bronzo. Rido quando la punta si scheggia a contatto con l’armatura esplodendo in mille frammenti. Decapito con orribile risata il nemico e con una piroetta schivo il pesante fendente dell’ascia del terzo avversario, un robusto mutante che imbraccia una poderosa ascia a due mani.
Non c‘è tecnica nei miei colpi, né grazia. Solo desiderio di morte e annientamento.
Scivolo sul fango, vengo colpito alla spalla dall’ascia del mostro. L’impatto mi toglie il fiato, mentre lento il sangue comincia ad allargarsi sotto la cotta infranta. La vista è accecata dal sudore e da mille arcobaleni di dolore. Urlo e tento una stoccata alla cieca. La spada penetra nella carne, fuoriesce uccidendo la bestia sul colpo. 
Una mano sulla faccia, via il sudore, devo vedere l’ultima bestia, devo parare.
Arghhh... la mazza della bestia mi ferisce al petto, prima ancora che possa alzarmi, ancora inginocchiato nel fango e nel sangue.
Il pettorale attutisce il colpo, un paio di costole tremano all’impatto.
La spada, ancora incastrata nelle costole della bestia, che fare attento prova un fendente al capo, a quella distanza…
digrigno i denti e afferro l’uomobestia, gettandomi sul suo corpo, atterrandolo.
La creatura scalcia, estrae da non so dove un pugnale, lo fermo con il guanto in acciaio, la rozza arma penetra nel palmo, altro sangue, altra cicatrice, lo ignoro stringo ambo le mani attorno al collo del mostro e stringo, stringo, stringo, incurante quanto si dibatte con i suoi zoccoli, le sue urla così maledettamente umane…
Alcuni minuti e la creatura è morta, la gola nera con rivoli di bava rossa, quell'espressione di dolore così umana sul volto mostruoso.
La mia fredda armatura è lorda di sangue, umori, bava e immonde sostanze che colano dalle fenditure impregnando la cotta, i vestiti, la pelle.
Il viso è sporco di sangue nero, appiccicoso, appena sgorgato dai sacchi di sangue che ho appena forato.
E d’improvviso sento calore nel sangue che mi ricopre. Il freddo è andato, scacciato.
Il sangue è caldo e dolce al tocco e mai mi sento così vivo.

lunedì 19 settembre 2011

Una fuga imprevista

Donne, dirigibili e brutti contadini II parte


La donna indietreggiò di un paio di passi, quando alle ultime parole l'uomo si gettò in avanti con uno scatto bestiale, tentando di morderle la faccia, nonostante le corde che lo legavano. Ringhiava, sbavava. Un animale, nulla di diverso da un cane idrofobo. 
Ogni timore, inquietudine, paura, svanì all'istante, rimpiazzato da una smorfia di determinazione. Era un soldato, uno dei pochi aviatori di zeppelin, non una stupida contadina dalle tette grosse. 
Un colpo e della testa dell'uomo non rimase che un grottesco uovo sfondato.
I restanti prigionieri sussultarono, più d'uno vomitò. Nessuno, notò tuttavia Katherina sorpresa, invocava pietà. Peccato, schiavi per i lavori nelle città erano sempre necessari. Tuttavia...li osservò per un istante, gli occhi socchiusi: niente, si limitavano a chinare la testa, aspettando di essere uccisi, un pò come se qualcuno avesse in loro spento ogni scintilla vitale.
Maledettamente inquietante.
- Enrico? Raduna i soldati, giustizia i prigionieri e andiamocene-.
- E magari le preparo anche il tè, capitano?-
-Capito. Chi fa da sè – Puntò la pistola verso i quattro prigionieri, uccidendoli con pochi, sbrigativi, colpi.- fa per quattro-.
- Era proprio necessario? Potevamo abbandonarli quì, tanto il loro bavoso leader l'abbiamo neutralizzato!-
Un pugno scherzoso sulla spalla di Enrico.
- E' la legge, caro mio. Erano già morti quando hanno stupidamente deciso di ribellarsi-
Seguita dai soldati, cominciò a fendere quel mare di braccia e volti agitati. Già ai margini della piazza la donna notò i primi forconi e numerose mazze e randelli, che venivano fatti passare. Aumentarono il passo, sentendo le prime pietre fischiare nella loro direzione. Gli spari, le urla delle vittime...per quanto stupidi i contadini dovevano aver capito cosa stava succedendo ai loro ridicoli leader.
- Più veloci, maledizione!- Ringhiò Enrico, pestando braccia e costole con il lungo calcio in rovere del fucile. Gli altri si affrettarono ad imitarlo, la sagoma bombata dello zeppelin che ormai li sovrastava.
- Dovremo usare le scalette d'emergenza- imprecò il macchinista. La calca continuava a essere troppo fitta perchè venissero usati altri mezzi più veloci. Una decina di scale di corda caddero dallo zeppelin, i cui giri del motore nel frattempo aumentavano a dismisura, mentre il pilota tentava di avvicinarsi il più possibile al terreno.
Il macchinista e i primi soldati afferrarono le corde e cominciarono ad arrampicarsi sulle fragili scalette appena lanciate. Metri e metri nel vuoto, in una salita al cielo tanto vertiginosa quanto nauseante. Katherina ebbe appena il tempo di fissarli salire quando il soldato al suo fianco urlò e cadde in ginocchio, tentando d'artigliarsi la schiena. Fra le scapole, una freccia. Brutto bastardo, te l'avevo detto d'indossare l'armatura! Ma tu sempre a dire che no, non c'è rischio, che sono solo contadini, che pesa, che è solo un inutile fastidio.
L'uomo si accasciò a terra, tossendo sangue mentre l'attenzione del capitano volava già altrove, a setacciare con lo sguardo la folla urlante. Lì, sui tetti delle case...Delle piccole sagome nascoste nella paglia che ricopriva le casupole.
- Lì! Sparate sui tetti!-
Qualcuno dei soldati mirò e fece fuoco, ma la maggior parte o si stava arrampicando o lottava per non lasciarsi risucchiare dalla massa umana che premeva sulle uniformi blu.
- Non ce la faremo mai!- urlò Enrico, inastando la baionetta- Io ordino di sparare!-
Katherina strinse le mani a pugno, ma infine annuì con un vigoroso cenno del capo.
- Soldati!- un urlo cristallino- in cerchio! -
- Inastate le baionette! Forza!- la voce maschile di Enrico le fece eco.
Si strinsero attorno a un paio di scalette che oscillavano nel vento, un anello di uniformi strappate e baionette tirate a lucido.
La folla sembrò arretrare, le armi puntate sembrarono per qualche effimero secondo spaventarli.
Il macchinista e un soldato si affrettarono a salire, presto seguiti da un altra coppia.
Silenzio.
Tregua.
Una pioggia di frecce cadde dal cielo, uccidendo contadini e soldati.
Le frecce rimbalzarono sul ferro delle armature, scivolando e scalfendo gli elmi e le armature. Un paio di soldati vennero colpiti alle braccia, uno sfortunato fuciliere cadde con l'asticciola della freccia piantata nel sottogola. Un altro ancora mollò la presa dalla scaletta e si sfracellò a oltre dieci metri d'altezza al suolo, ad un passo dall'arrivare sullo zeppelin.
Katherina strinse i denti al punto da farli scricchiolare.
- Fuoco! Subito!-
I fucili eruttarono fumo nero quando con grida lancinanti la prima linea di assalitori rovinò nel fango, gambe, braccia, torsi falciati dalla scarica di pallettoni. La seconda linea non riuscì a frenare il proprio slancio e finì per impattare contro la falange di baionette. Al centro della formazione Katherina estrasse lo stocco e infilzò un primo nemico al collo. Calciò via il corpo del popolano, mulinò la lama e colpì un secondo contadino all'inguine, scavandogli un rosso sorriso sullo stomaco. L'uomo cadde in ginocchio e venne trafitto al petto con un vigoroso affondo.
Accanto a lei i soldati, ormai una decina scarsa, colpivano e affondavano, infilzando con le baionette in schemi d'attacco e fuga. Ridotta in brandelli la folla sembrò arretrare, lasciando decine di corpi a coltivare il fango.
- Forza, saliamo! Adesso mai più!-
Ormai a gruppi di due i soldati s'inerpicarono per le scale di corda, tentando i salire più in fretta che potevano. Più d'uno, nonostante le urla indignate di Katherina, abbandonò fucile e munizioni per non avere intralci.
Enrico aveva ormai un piede sulla scaletta e Katherina gli era dietro, mano e spada lordi di sangue, quando il mare di contadini si aprì in due grandi ali, la cui centro un mostruoso marchingegno delle dimensioni di una casa avanzava su rozze ruote di legno.
- Ma che cazzo...-
Mentre una vera e propria folla di scarafaggi umani lo circondava, spingendolo in avanti a forza di braccia, più di un popolano caricava quello che agli occhi di Katheirna sembrò un gigantesco cucchiaio.
- Non ci posso credere- Enrico boccheggiò, incredulo, il fucile che gli scivolava dalla mano, tanto era lo stupore.
-Hanno costruito una fottutissima catapulta, quelle scimmie...una...-
Katherina lo gettò a terra, schiacciandolo nel fango umido quando una gigantesca palla di fuoco li sorvolò rovente, incenerendo nell'esplosione metà delle scalette e sbalzando ad altezze folli i malcapitati che ancora vi si arrampicavano. Così maledettamente vicini...pensò attonita Katherina, il viso bianco dallo shock. Così vicini ad andarsene...sputò un boccone di fango gelido, tentò di rialzarsi, questa volta fu Enrico a schiacciarla al suolo.
Una seconda palla di fuoco aveva colpito, stavolta centrando in pieno il dirigibile. Il velivolo rollò, sbandando da un lato all'altro, ad un pelo dal suolo. Frammenti del proiettile vennero sparati tutto intorno, tizzoni roventi ustionarono i due soldati. Katherina chiuse gli occhi, si protesse il capo, in attesa che il dirigibile esplodesse.
Dieci secondi.
Trenta.
Alzò la testa, notando con un sospiro di sollievo come il rivestimento, nonostante apparisse annerito e dilaniato in più punti, avesse retto il colpo. Il pilota era riuscito a non schiantare lo zeppelin, ma volava ormai rasoterra. Male, molto male. Più di una freccia aveva colpito il pachiderma azzurro, e frotte di contadini sciamavano attorno alla catapulta, trasportando un'altra balla di fieno, lucida d'olio. L'ennesimo confetto di fuoco, bestemmiò Katherina. 
Ancora qualche colpo e dello zeppellin sarebbe rimasto solo un cratere infuocato.
- Ehi, capitano!- Una voce roca, non molto lontana. Aguzzò la vista verso i contadini, prima che Enrico la tirasse per la manica e le indicasse il cielo. Il macchinista gesticolava dallo zeppelin, urlando e srotolando una lunga matassa di corda nera d'emergenza. La donna l'afferrò e con una smorfia cominciò la scalata, a forza di braccia.
-Più in fretta, Katherina! Maledizione stanno per colpirci!-
Il macchinista cominciò a tirare la fune a sua volta, fra imprecazioni e grugniti di fatica.
I contadini stavano urlando, ineggiando a chissà quale dio, mentre Katherina saliva, tirandosi su a fatica. Una freccia la colpì alla spalla, scivolando sullo spallaccio decorato.
Per poco non mollò la presa, le mani sudate sulla corda. Un ultimo sforzo, un altro ancora.
Un paio di soldati si unirono al macchinista, mentre lo zeppelin saliva sempre più di quota.
Mancavano ancora pochi metri...Un metro...Due
Si gettò sul pavimento, ansimando pesantemente, i muscoli delle braccia puro dolore. Provò ad alzare la mano, girarsi sulla schiena, ogni gesto una fatica immensa.
Il pavimento levigato in larice rosso, la fastidiosa pressione della spada, le nuvole nel cielo...Sentì che stava per svenire e strofinandosi la testa si sforzò di sedersi, la schiena appoggiata al parapetto esterno.
- Un pò troppo intelligenti per dei bifolchi, non credi?- disse.
Enrico riposava poco lontano, una sigaretta arrotolata in fretta fra le dita sporche di terra e sangue.
Katherina a quella vista frugò in ricerca della pipa, senza rispondere.
- Hai un pò di erba?- arrivò infine a dire.
Lui tirò qualche boccata, osservandola affannarsi a cercare nelle tasche del corpetto.
- Abbiamo perso più di dieci uomini, capitano. E tu pensi all'erba-
Katherina trovò il pacchetto nascosto nella tasca destra e ne rovesciò con cautela la polvere rossastra nel caminetto della pipa. Tirò qualche boccata, evitando accuratamente di rispondere.
Lo zeppelin si allontanò nella luce del tramonto.

mercoledì 14 settembre 2011

L'inizio del racconto: donne, dirigibili e brutti contadini


Ho provato a buttar giù l'inizio del racconto, mettendo assieme gli elementi che immaginavo
mi soddisfa molto, nonostante sia ancora zeppo di errori e incongruenze 
se avete consigli o alcuni passaggi sono poco chiari, dite ^_^

{EDIT 12/ 01/ 2011} Ho revisionato la prima parte del racconto, dandola in pasto ai critici del http://www.writersdream.org/forum/ . Ringrazio tutti i commentatori del forum , in particolare Bradipo e Poldo.

Incipit 




- Lady Katherina? Abbiamo imbarcato le ultime derrate di grano... Lo zeppelin è alla sua massima capienza-
La donna alle parole indossò i guanti rossi, contrasse le dita un paio di volte per meglio calzarli e s'incamminò a passi veloci, tallonata dal macchinista e dai cinque uomini della scorta.
- Resistenze?- chiese, accarezzando l'elsa d'avorio dello stocco al fianco. Il macchinista si rassettò l'uniforme con gesti impacciati e nervosi. Si grattò la barba vecchia di qualche giorno, incrostata da scaglie di ruggine. I soldati vicini attesero con cipiglio preoccupato la risposta.
- Nulla di serio. Un paio di teste calde con forconi e randelli -
- Un paio?- Il labbro squarciato da una vecchia cicatrice si sollevò in una parodia di sorriso.
- Emh... Quattro per l'esattezza, scusi.- Saettò uno sguardo nervoso al resto dei soldati verso cui la donna camminava veloce.- Neutralizzati e sotto custodia, ovviamente - Aggiunse frettoloso, tormentandosi i riccioli della barba.
L'ombra azzurra dello zeppellin repubblicano offuscava il cielo, bagnando di luce bluastra soldati e contadini, evidenziando denti e zigomi, trasformando i volti in scheletri ghignanti. La folla di contadini era accalcata nell'angusto spazio della piazza del villaggio. Una parata di vecchi sdentati, bambini cenciosi e denutriti popolani. Al centro, una muraglia di uniformi azzurro sporco: l'equipaggio dello zeppellin, il suo equipaggio. Stretto d'assedio dalla solita dannatissima folla urlante. Per il momento i luridi straccioni si limitavano a urlare insulti e a circondare i soldati rumoreggiando, decine di poveracci che pressavano uno stanco cerchio di elmi e fucili puntati. Un giovane contadino si avvicinò di qualche metro di troppo ai soldati, un calcio di fucile lo pestò in piena faccia, un paio di soldati lo costrinsero a terra, picchiandolo. 
Katherina calpestò qualche piede, scostò una mano implorante, la sagoma sporca di ruggine del macchinista che le faceva strada, tracciando un solco di imprecazioni e gomitate nella marea umana.
Riconobbe la faccia e l'uniforme d' Enrico all'istante: le spalline dorate e la sciabola d'ordinanza da sergente lo rendevano inconfondibile, persino nel mezzo di quella feccia urlante. Curioso come riuscisse a mantenere lucida e immacolata l'armatura nonostante tutto quel fango, tacendo la maledetta pioggia acida di pochi giorni addietro.
- Per quanto ancora riuscirete a tenerli a bada?- fiatò Katherina, scrutando con indifferenza i contadini in protesta.
L'uomo strinse i denti. - Non troppo, temo. Per il momento si limitano a protestare e lanciare sassi-
Un proiettile delle dimensioni di un pugno rimbalzò senza danno contro l'elmo di Enrico, che indietreggiò involontariamente. Sassolini del genere in piena faccia...

- La raccolta li ha fatti infuriare, capitano. Fossi in lei non peggiorerei le cose- aggiunse il sergente, scrutando invano la folla per vedere chi avesse gettato la pietra.
- La legge sentenzia la morte per i rivoltosi, Enrico. Non posso transigere -
Katherina continuò a farsi strada fino a raggiungere i prigionieri, uno scarno gruppo custodito da un cerchio azzurro di spalle e corazze. Il macchinista ansimava, tenendosi la pancia sovrabbondante. Alla vista di Katherina zoppicò fino al prigioniero al centro, sollevandogli il capo per i capelli unti.
Barba grigia incrostata di fango e letame, occhio destro coperto da gialla cataratta, l'altro spalancato, la sclera bianca venata di sangue, stravolta. Tentava di urlare qualcosa, il volto paonazzo per il bavaglio umido di bava.
- Questo idiota è il loro capo. Dice di essere un prete – il macchinista sputò nel fango, evidente disprezzo - Un vero piantagrane. Tanto blaterava e urlava che abbiamo dovuto imbavagliarlo -
Katherina scrollò le spalle, estraendo la pistola e inserendo un primo proiettile cromato. Allineò l'arma, controllò il bilanciamento e la distanza dal bersaglio.
- Ha forse importanza, macchinista? Sono tutti feccia indegna di volare-.
- Uccidici e non cambierà nulla, puttana! Prima o – uno spruzzo di sangue interruppe le parole di un altro prigioniero, quando un calcio in faccia del macchinista lo spedì bocconi nella polvere.
- Lascia parlare il capo - avvertì quietamente Katherina, inserendo nel carrello dell'arma altri proiettili. - E' la sacra legge dopotutto. Le ultime parole ai condannati -
L'omaccione brontolò qualcosa, togliendo il fazzoletto dal volto del capo dei rivoltosi.
Plack! Lo sputo colpì lady Katherina al collo. Animale del cazzo! Impugnò la pistola a due mani e sparò in testa al prigioniero di fianco al prete. Le cervella di quella larva umana esplosero nel raggio di diversi metri, sporcando i rivoltosi, arrossando il fango. Alcuni svennero, altri tacquero quando i soldati puntarono i fucili.
- Prova a sputarmi di nuovo addosso, pezzo di merda e uccido un altro dei tuoi amichetti - ringhiò la donna.
- Minacciare, torturare, uccidere. Non sapete fare altro -
L'uomo alzò lo sguardo e fissò dritto in faccia Katherina, che fu percorsa da un brivido alla spina dorsale. Quell'occhio coperto da cataratta... Era come se dietro si agitasse l'occhio sano, colmo di un bagliore folle, ai limiti del soprannaturale. O forse erano solo i riflessi all'ombra del dirigibile.
- Altro?- chiese fredda, allineando l'arma. La mano le tremava un poco.
- E' solo questione di tempo, Katherina. L'uomo non ha le ali, non è portato a volare. Presto i nuovi padroni verranno dal cielo e per voi non esisterà altro se non....- un sospiro quasi di compassione, l'occhio sano dilatato allo spasimo- eterna schiavitù!- 



Continua con "Una fuga imprevista"...