martedì 31 maggio 2016

Sul piacere di fumare la pipa secondo Vittorio Giardino

Pipe of the week (12) 

Di solito quando sei con un'amica e fumi la pipa, le reazioni non variamo mai molto da tre comportamenti di fondo: una reazione schifata, dove la pipa è il vecchiume, la vecchiaia, il nonno (fissazione tutta italiana, questa), una reazione indifferente e una reazione divertita (dove di solito ti chiede di passargli la pipa, che è un oggetto “strano” e “misterioso” per il neofita).
Esistono donne che fumano la pipa, ma sono rare.
La pipa nel settecento era diffusa un po' ovunque, come toccasana fumato d'ambedue i sessi, nell'ottocento, continuava a venir fumata dalle classi umili, mentre era il sigaro la prerogativa della borghesia alta e della nobiltà. Le prime pubblicità di tabacco hanno sempre preferito indirizzare la pipa agli uomini e le sigarette alle donne, partendo dall'assunto che la sigaretta essendo più leggera è meglio adatta alla debole costituzione femminile.
A livello del consumo della nicotina, la divisione maggiore si raggiunge negli anni cinquanta del novecento, che almeno in America sono a mio giudizio un periodo di molta più rigida divisione sia sociale che tra i sessi di quanto sia stata l'età vittoriana. E' un decennio particolarmente odioso anche perché si completa una moda iniziata già tra ottocento e novecento, quando la pipa, d'appannaggio dei contadini e degli operai diventa invece simbolo della borghesia, mentre il sigaro, per colpa di quel certo “Che” diventa paradossalmente simbolo rivoluzionario. Almeno per quanto mi riguarda, il sigaro appartiene molto di più allo psicopatico in giacca&cravatta, o al magnate texano, o alla iena di Wall Street che all'avanguardia rivoluzionaria.
Al momento, l'uso della pipa è talmente poco diffuso che non ha più senso discutere di queste statistiche: chi vuole fumare, fuma e come il popolo di Numeror il nostro numero diminuisce di giorno in giorno.

giovedì 26 maggio 2016

Il Signore dei Film – Il ritorno del re parte 2 (analisi)


Sesta e ultima puntata di questa rubrica sul Signore degli Anelli di Jackson.

L'idea iniziale era di selezionare solo alcune delle curiosità presenti nel saggio The Lord of the Films, di J. W. Braun, senza ammassare troppe note tecniche. Vedendo il buon riscontro in termini di visite e condivisioni, alla fine ho tradotto interi capitoli del libro, allungando di articolo in articolo il livello di dettaglio. Ad esempio, nella prima parte della Compagnia dell'anello, ho saltato a piè pari ogni genere di spiegazione sugli effetti ottici e i trucchi usati da Jackson per le diverse altezze di nani, hobbit e umani. Magari, passato qualche mese e con più tempo e calma a disposizione, rimaneggerò parzialmente la serie correggendo alcuni errori e aumentando la qualità dei fotogrammi. Ad esempio, nella parte 1 del Ritorno del re ho dimenticato di inserire il cameo di Jackson come capitano dei pirati! Allo stesso modo, uso certe volte i termini inglesi e altre volte la traduzione italiana. Ad aggravare il problema, alcune volte la traduzione scelta nel libro non è la traduzione scelta nel film e viceversa. Insomma, il materiale è tanto, come la confusione.
Consolatio Tolkien, guide simili in italiano non esistono e quando ci sono, risultano o parziali, o scorrette, per il semplice motivo che non sottolineano quali fonti hanno usato. Anche in articoli triviali come questo, al momento di confessare affari di regia o curiosità di casting, saper dire qual'è la fonte è importante. Certo, i lettori condivideranno comunque e ovunque, specie se l'informazione è in pillole – una frase, una foto, un colore sgargiante – ma dal punto di vista dell'onestà e della morale è scorretto. J. W. Braun, nel nostro caso, è uno dei principali gestori di One Ring. Net e la sola mole di interviste racchiuse convincono della bontà del saggio, decisamente non riepilogativo.

giovedì 19 maggio 2016

Il Signore dei Film – Il ritorno del re parte 1 (analisi)


L'aspetto che continua a sorprendermi dei film tratti dal Signore degli Anelli è l'incredibile grado di casualità che prevedono: da scene tagliate, ad attori pescati all'ultimo momento, a radicali cambiamenti dal libro, l'intera trilogia è un bric-à-brac di soluzioni tecniche e narrative.
Si affianca un uso del digitale per l'epoca all'avanguardia a effettacci gore e splatter che sappiamo bene mutuati dal retroterra horror di Jackson. Se confrontata coi film fantasy precedenti – a eccezione forse del Conan di Milius – la trilogia di Jackson spicca per realismo di armi e armature, eppure non vi mancano le scene tamarre, dalla gara di orchi da uccidere, agli elefanti/olifanti digitalmente ingigantiti, alle acrobazie con scudi/skateboard e troll impazziti.
Sono tre film certo omogenei sul piano narrativo, molto “coesi”, eppure straordinariamente vari nei toni e nell'atmosfera. Questo spiega perchè tutt'ora siano film trasversali, apprezzati sia dai professori, che dagli studenti, che dai più nerd come dagli spettatori meno avvezzi al fantasy. Nonostante rimanga una trilogia di lunghezza considerevole, anche a voler spezzarla in due parti o voler preferire l'edizione “ridotta” trasmessa a suo tempo ai cinema, i film continuano a essere visti.
A voler fare un paragone che non intendo offensivo, Il Signore degli Anelli sta al cinema Fantasy come Grand Theft Auto ai videogiochi. Ogni capitolo di Gta rimane un successo annunciato, un botto negli store che cancella ogni concorrente per diversi mesi. Ed è un videogioco difficile: giocato a difficoltà normale presenta alcuni livelli e alcune sfide tutt'altro che amichevoli per un giocatore che non sia assiduo. Eppure, rimane un gioco tremendamente popolare.
Allo stesso modo e a prescindere dal contenuto, Il Signore degli Anelli di Jackson rimane un'opera di celluloide impegnativa, con la sua dose di spettacolo certo, ma con un accompagnamento linguistico pesante (parole antiquate e auliche, l'elfico, la quantità di nomi) e una durata che sfida lo spettatore, specie nel passaggio dal cinema ai dvd/televisione. In tema di durata, a inizio 2000 l'impatto doveva essere notevole, considerando che un'ora e mezza era diventato il dogma di ogni produttore, indifferentemente dall'argomento del film. Un altro merito della trilogia: sdoganare i film di due ore e tre quarti, tre ore. Le saghe, le trilogie, i film strettamente legati l'uno all'altro.

Con questo quinto appuntamento iniziamo la disamina della parte 1 del Ritorno del re, in concomitanza con la trasmissione serale alle 21.10 su Italia 2. Non ricordo con esattezza dove scelgono di terminare la prima parte nella versione televisiva, ma nel caso manchino delle sezioni in quest'analisi, rimedierò col prossimo (e ultimo) appuntamento.
Buona lettura/visione!

giovedì 12 maggio 2016

Il Signore dei Film - Le due torri parte 2 (analisi)


Il tempo scorre veloce e inesorabile, mi sembra ieri che scrivevo la parte 1 della Compagnia dell'anello e siamo invece a (quasi) metà maggio, con gli esami universitari all'orizzonte.
Dei tre film della trilogia jacksoniana ho sempre preferito la Compagnia, per la varietà di situazioni che presenta: dalla Contea, a Brea, a Gran Burrone, a Moria, a Lorien.
Le due torri, al confronto, appaiono di gran lunga più omogenee e circoscritte.
Da un lato Rohan, dall'altro le paludi e Faramir. Gondor e Rohan, i reami degli uomini: al di fuori della “meraviglia” degli Ent, l'elemento fantasy viene piuttosto ridotto.
Da chi non è un fanboy un appassionato di Tolkien, Le due torri è anche il film che vedo meglio sopportare, con le motivazioni che è meno dispersivo, meno confusionario, con l'attenzione di regista e attori concentrati su pochi punti. Innegabile, senza citare la lunghezza effettiva, rispetto al colosso (anche in edizione normale) che è La compagnia dell'anello.
Tuttavia, la lentezza della Compagnia, così come del primo film de Lo hobbit rappresenta per me un valore aggiunto, un lento scalare in grandezza che vede il lettore/spettatore dapprima guardare degli hobbit festeggiare un compleanno per ritrovarsi nemmeno tre ore dopo al confronto con la morte eroica di Boromir. Al confronto, Le due torri è piatto, non vede alcuna escalation reale. Intuiamo fin dall'inizio che scopo di Saruman è annientare Rohan assediando il Fosso di Helm.
Vi sono poi le scelte di design che trovo spinte all'eccessivo stereotipo, rispetto alla verosimiglianza accettabile della Compagnia: gli umani di Rohan sono un'etnia completamente bionda, neanche i norvegesi hanno una simile omogeneità genetica, mentre al contrario i soldati di Gondor hanno tutti capelli neri e un'inesauribile scorta di armature fabbricate in serie.
Con ciò, oggettivamente Le due torri è un film migliore, di facile fruizione.

Le due torri parte 2 inizia con lo scontro con i warg, che immaginavo già presente nella parte 1, per poi proseguire con Faramir e la cattura di Gollum. Le curiosità e le annotazioni che leggete sono per lo più tradotte dal saggio The Lord of the Films, di J. W. Braun. 
Sono errori, curiosità di regia, finezze di Peter Jackson invisibili ai profani.
In teoria, La parte 2 dovrebbe venire trasmessa stasera, su Italia 2, alle 21.10.
Buona lettura/visione!

lunedì 9 maggio 2016

Providence 03: A Lurking Fear, di Alan Moore. Annotazioni, analisi e traduzioni.


La serie di Providence di Alan Moore si dovrebbe comporre di dodici numeri – al momento nell'edizione italiana la Panini Comics ha pubblicato i primi quattro in un unico volume cartonato, mentre l'edizione anglosassone è arrivata all'ottavo numero da qualche settimana.
Spero che non passi troppo tempo prima che la Panini prosegua coi quattro numeri successivi: dopo una partenza in sordina, la serie sta acquistando attrito e dopotutto non è certo un albo qualunque, da leggere in fretta e mollare via. E' naturale debba trascorrere parecchio tempo, perché il virus lovecraftiano si diffonda adeguatamente e generi nuovi cultisti/lettori.

Certo, a leggere certe recensioni e commenti negativi, viene quasi da malignare che un autore così raffinato non ce lo meritiamo e che quest'intero sforzo – pubblicazione, traduzione, persino quest'analisi – sia una fatica inutile.
Cosa dire, ad esempio, di un recensore che definisce Providence “una bella cazzata”?
Siamo su talmente molteplici livelli di lettura e approfondimento da perderne il conto, incapsulati dentro una ricostruzione storica ferrea e un Burrow mai così certosino.
Eppure, per un recensore è una “bella cazzata”. E Moore scrive in modo “noioso”.
Siamo a un fenomeno trasversale a molti generi e media, dai film ai fumetti: ricercare documentazione e volerla esibire è delitto, proporre qualcosa di più che la solita minestra riscaldata è offendere il lettore, voler proporre uno stile di scrittura e una lingua storicamente situata negli anni '20 è peccare di “citazionismo”. E' l'odio rampante di chi vanta la propria ignoranza e non sopporta che gliela venga ricordata, che al minimo accenno di approfondimento fugge via e che a qualunque proposta culturale risponde chiedendo a cosa serve “nella vita reale”.
Come insegna Socrate, è importante sapere di non sapere e sono il primo ad ammettere un autentico analfabetismo verso un gran numero di argomenti. Tuttavia, vantarsi di non sapere, continuare a non voler sapere e offendersi se il Socrate di turno ti vuole aiutare è un comportamento davvero deprimente, di un'arretratezza reazionaria ormai diffusa.

Questo terzo numero - A Lurking Fear – si sposta a Salem, l'equivalente per Moore della Innsmouth di Lovecraft. Di questi primi quattro, Providence 3 a mio parere è il più efficace, il che spiega il ritardo per tradurre le annotazioni.
Vi sono così tanti dettagli da cogliere e assaporare, così tanti livelli di lettura e possibili interpretazioni. L'escamotage del sogno permette ad esempio una digressione sull'olocausto e i campi da concentramento agghiacciante, che al primo impatto mette davvero a disagio. Affidata a un autore normale, un'idea del genere, usare i mostri di Innsmouth per trattare l'antisemitismo, non avrebbe funzionato, sarebbe diventata solo offensiva e pretenziosa.
Incidentalmente, mi accorgo adesso che le origini ebraiche di Black sono state pressochè ignorate dai recensori “che ne sanno”, nonostante rivestano in rapporto all'epoca un ruolo fondamentale.

La numerazione che seguono e che ho adottato procede da pagina 0 (la copertina) e così via, analizzando vignetta di vignetta (Pagina 1 Vignetta 1 ecc ecc) Per le citazioni dalla narrativa, ho usato l'edizione dei Grandi Tascabili Economici Newton.


A Lurking Fear

giovedì 5 maggio 2016

Il Signore dei Film - Le due torri parte 1 (analisi)


Discutendo del Signore degli Anelli con amici e colleghi, rimango sempre stupito di come alcune assunzioni di base della storia siano errate. Ad esempio, succede di dover leggere che Il Signore degli Anelli è una classica storia cavalleresca. Senza togliere assolutamente nulla al background medievale della storia, l'obiettivo stesso della Compagnia è un'antitesi di ogni epica tradizionale: anziché intraprendere una quest per salvare un oggetto magico, lo si deve distruggere.
Non vi sono, come in certe sessioni di D&d, barbuti stregoni che ti chiedono di trovare una sedia magica nel reame dell'Al Di Qua. Ma non c'è nemmeno una satira, o una presa in giro dell'epica medievale come già succedeva nel '500 e nel '600: piuttosto, vi sono personaggi tradizionali (Aragorn) che coesistono accanto a personaggi contemporanei (gli hobbit, Frodo) che pur dentro un'ambientazione medievale, devono conseguire un obiettivo modernissimo. Mentre ritrovare un corno magico, una spada incantata ecc ecc è sempre motivo di giubilo nel romanzo “tradizionale”, nel Signore degli Anelli ritrovare, scoprire dov'era l'Anello è una sventura, esibirlo una disgrazia e paradossalmente distruggerlo un obiettivo fondamentale.
Sono, almeno per me, banalità, ma nella vulgata comune non so bene perché stupiscono sempre.
O ancora, l'accusa di nostalgia che dovrebbe in teoria pervadere il Signore degli Anelli, in realtà è difficilmente rintracciabile: lo stesso Sam, nel finale de Il Ritorno del Re, vede negli occhi della figlia, Elanor, la bellezza degli elfi. Quanto vi è di positivo nella razza elfica ritorna nei figli degli uomini (e degli hobbit) senza essere perduto per sempre, anzi.

La parte 1 de Le Due Torri dovrebbe venir trasmessa stasera, su Italia 2, alle 21.10.
Quanto segue è una parziale traduzione (con alcune mie osservazioni e approfondimenti) del testo The Lord of the Films, di J. W. Braun. E' un saggio, piuttosto divertente, che tratta curiosità e sottigliezze della trilogia di Peter Jackson. Ogni film è diviso in sezioni (riferendosi all'edizione estesa) che vengono analizzate su quattro livelli: commenti del pubblico, curiosità di casting e making off, sottigliezze e dettagli nelle diverse scene e infine errori talmente minuti da essere praticamente invisibili per chi non ferma i fotogrammi.
Il Signore degli Anelli viene di solito trasmesso ogni quattro mesi, ma non ho idea di dove termini la parte 1 e la parte 2: nel caso manchino alcune sezioni, recupererò nella parte 2, il prossimo giovedì. Buona lettura (e visione)!