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venerdì 2 settembre 2022

Il Signore della Nostalgia. Amazon non è il primo drago che sfrutta Tolkien

Un anello disegnato con pochi, sbrigativi, tratti di CGI; una voce di sottofondo degna di un film horror; una carrellata di immagini sfocate, intervallate dall'annuncio roboante che si tratta della trilogia tratta “dal libro più importante di tutti i tempi”. E poi il faccione rubicondo di un regista noto per i film splatter, a suo agio in una terra esotica e niente affatto british quale la Nuova Zelanda. E infine le voci che corrono sui forum, che mormorano preoccupate di importanti personaggi tagliati, di scene action e americanate, di triangoli amorosi, di elfi femmina e donne umane che affettano orchi.
Non si tratta delle polemiche che, da diversi mesi, rincorrono la nuova produzione televisiva The Rings of Power, nuovo giocattolo del colosso Amazon, ma delle reazioni che accompagnarono il debutto della trilogia a inizio duemila. La produzione veniva accusata di aver abusato della tecnologia, di aver sostituito alla sincerità dei cartoni di Ralph Bakshi e dell'artigianato di Willow CGI senza cuore; di aver trasformato la passiva Arwen in una principessa guerriera; di aver trasformato il personaggio di Eowyn in un'attrazione amorosa per Aragorn; di aver trasformato un delicato capolavoro letterario in un parco dei divertimenti, rigonfio di scene action e horror. Giungendo al peccato originale, mai perdonato dai tolkieniani: aver eliminato il personaggio di Tom Bombadil, sacrificato sull'altare di Hollywood.
Il Guardian definì il film “un delirio wagneriano-arturiano”, lamentando l'espressione vacua di Elijah Wood, l'assenza di eventi significativi, la trama piatta, l'assenza di humour, i dialoghi legnosi. Il critico Peter Bradshaw definì addirittura la mitologia del film “rappresa e indigeribile”, marchiandola come “una fantasia escapista”. D'altronde non erano passati che pochi mesi dall'attentato dell'11 settembre 2001; fu un Natale inquieto.

La prima foto ufficiale del Signore degli Anelli rilasciata alla stampa (11 ottobre 1999)

mercoledì 3 ottobre 2018

"Cassette Futurism": salvare gli anni Ottanta dai fanboy nostalgici 1/3

Vogel in the Penthouse, di boroszikszai (1995)

Nuova Zelanda, ottobre 1999
Su un altipiano battuto dai venti, cinque figure infreddolite avanzano avvolte nei mantelli. 
La prima, un uomo di mezz'età vestito di nero e con una spada alla cintura, conduce un pony macilento. 
Le altre quattro indossano panciotti e pantaloni di campagna e strascicano indolenti giganteschi piedi pelosi, a uno sguardo attento protesi di lattice.
Uno di questi giovani uomini giocherella in tasca con un oggetto dalla forma rotonda, con una scritta sovra incisa e verniciato d'oro: un anello.
Mentre i cinque uomini camminano verso una collina poco distante, una moltitudine tanto silenziosa quanto indaffarata si affanna alle loro spalle. E' una folla di braccia e gambe irta di strumentazioni tecnologiche: lunghi pali grigi, una rotaia in miniatura sulla quale manovra un'astronave mediatica con un gigantesco cannone-cinepresa e più cavi dei fili di una ragnatela.
Un ometto grasso e ricciuto, con niente più che una t-shirt in quel freddo polare, dirige questo concerto di attrezzature: le cineprese scattano a girare, espellono videocassette, schioccano i sibili di polaroid e macchine fotografiche. Quella scena surreale, quei quattro uomini intenti a camminare, sono sotto l'assalto di un invisibile, pachidermico behemot di silicio: un amalgama di nastri, di cavi, di microprocessori che lavorano tutti assieme per trarre quanto sarà la ripresa di un film.
L'ometto grasso è infatti Peter Jackson, l'uomo di mezza età Viggo Mortensen e infine i quattro giovani “hobbit” sono Eliijah Wood, Sean Astin, Dominic Monaghan e Billy Boyd
Il regista sta girando una scena tra le tante, ancora incerto se verrà utilizzata o meno: Grampasso conduce quattro giovani mezzuomini verso la collina di Amon Hen, dove subiranno un attacco notturno dai nazgul.

venerdì 24 novembre 2017

Jeff Bezos, Sauron e la ricerca del Male assoluto


In questi giorni volevo scrivere un articolo sulla serie tv del Signore degli Anelli annunciata da Amazon, ma tra Twitter e Facebook ho sostanzialmente esaurito i pareri: trovo l'idea aberrante, ma dall'altro ho sempre criticato i cinefili che lamentavano i remake. Sarei pertanto un ipocrita se piagnucolassi che mi hanno “stuprato l'infanzia”, che non devono osare, ecc ecc.
Non ho mai ritenuto che nulla sia intoccabile e ciò vale a anche nel caso in questione.

Tuttavia... davvero non trovo un singolo motivo per una serie tv su Tolkien.
Gli attori della vecchia saga sono per l'appunto vecchi e disinteressati: se si può fare a meno di Rhys Davies, Viggo Mortensen sarebbe fondamentale per una serie ambientata prima della Compagnia dell'Anello. Come poter ricreare la Caccia a Gollum senza il suo cacciatore? E cosa farne degli Hobbit? Della Contea? E dove trovare un sosia di Saruman? Posso immaginare una serie basata sulle avventure di Elladan&Elrohir, ma faccio fatica a immaginare un singolo spettatore interessato a due gemelli elfi protagonisti. Ma ancora una volta: perchè? Perchè Tolkien?
Non c'è un singolo motivo nella scelta di Amazon che possa essere correlata all'arte, alla narrativa, a una motivazione genericamente culturale. Lo scopo dichiarato è far concorrenza a HBO, offrire una terza colonna tra Harry Potter e Game of Thrones. Non metto in dubbio che una serie tv o un film debba guadagnare; ma c'è modo e modo. Gli anni '80 che tanto si rimpiangono assistevano a produzioni di medio e piccolo calibro che miravano all'incasso, ma che conservavano una notevole ricerca artistica e sociale al loro interno. Carpenter mi sembra un esempio lampante. C'è l'interesse nel guadagno, nell'intrattenere lo spettatore, ma nel contempo non si resiste ad alcuni colpi bassi, ad alcuni sottotesti notevoli. Nel caso in questione puoi sentire in sottofondo le rotelle di Jeff Bezos calcolare introiti e derivati, competizione e ricavi. Potremmo parlare del Signore degli Anelli come di una lavatrice; di Tolkien come di un elettrodomestico. Sono oggetti da vendere, monopoli da conseguire, concorrenze da spezzare. Basti leggere il comunicato: Il Signore degli Anelli non è un'opera d'arte, non è una saga scritta da un filologo, non è un cazzo di capolavoro oggettivamente riconosciuto dalla letteratura, no, per Amazon è un “fenomeno culturale”.

Elladan&Elrohir secondo la Fantasy Flight Games

venerdì 19 agosto 2016

L'Anello che non tiene, di Lucio Del Corso e Paolo Pecere: un saggio da gettare nel Monte Fato


A marzo di quest'anno, in seguito agli articoli su Tolkien che avevo scritto a dicembre/gennaio mi era stato chiesto, in via informale, se mi interessava trasformarli in un saggio “tolkeniano” a tutti gli effetti, da pubblicare in formato ebook.
Avevo cominciato a lavorarci in fretta, perché sapevo che con l'inizio dei corsi e degli esami non avrei avuto tempo per scrivere alcunché. Infatti, tra aprile e luglio mi sono limitato ad alcuni lavori di bibliografia, ma il saggio è rimasto fermo.
Grazie alla pausa agostiniana – la calma prima della tempesta! - spero di riuscire a completare una prima stesura, completa di citazioni, note, bibliografia.
Già; la cara, vecchia bibliografia. E' inquietante quanti studenti con laurea triennale conosco che non sappiano cosa sia Opac (il motore di ricerca bibliotecario) o che non sappiano cercare un libro tra gli scaffali, o ancora che non conoscano le basi per citare un testo. Al di fuori degli studenti di letteratura e storia, il vuoto è pressoché totale. E se lo posso comprendere per uno studente di biologia, dove il materiale è tutto su Internet e sulle pubblicazioni scientifiche, lo posso comprendere molto meno per uno studente di scienze sociali, di psicologia, di legge, di arte, di filosofia, di architettura, di archeologia, di... Insomma, mi sembra impossibile che per scrivere una tesi abbiate usato solo il materiale fornitovi dal professore, senza che questi vi spingesse ad alcuna ricerca.
Sassolino dallo stivale tolto, si può trovare anche a Trieste della saggistica tolkeniana, anche se nascosta, marginale e dispersa tra le diverse sedi.
In biblioteca Attilio Hortis trovate il saggio di Tom Shippey, nell'archivio tesi un saggio su Gollum di fine anni '90 (tesi di una studentessa di lettere), nella Quarantotti Gambini Tolkien in abbondanza come autore (Signore degli Anelli, Silmarillion, lo Hobbit ecc ecc Significativamente il luogo dov'è più presente Tolkien è dentro una biblioteca popolare, segno che non è ancora mummificato dall'intellighenzia) e infine... nella biblioteca della Scuola traduttori il saggio di Del Corso e Pecere, L'Anello che non tiene, Tolkien tra letteratura e mistificazione.

giovedì 26 maggio 2016

Il Signore dei Film – Il ritorno del re parte 2 (analisi)


Sesta e ultima puntata di questa rubrica sul Signore degli Anelli di Jackson.

L'idea iniziale era di selezionare solo alcune delle curiosità presenti nel saggio The Lord of the Films, di J. W. Braun, senza ammassare troppe note tecniche. Vedendo il buon riscontro in termini di visite e condivisioni, alla fine ho tradotto interi capitoli del libro, allungando di articolo in articolo il livello di dettaglio. Ad esempio, nella prima parte della Compagnia dell'anello, ho saltato a piè pari ogni genere di spiegazione sugli effetti ottici e i trucchi usati da Jackson per le diverse altezze di nani, hobbit e umani. Magari, passato qualche mese e con più tempo e calma a disposizione, rimaneggerò parzialmente la serie correggendo alcuni errori e aumentando la qualità dei fotogrammi. Ad esempio, nella parte 1 del Ritorno del re ho dimenticato di inserire il cameo di Jackson come capitano dei pirati! Allo stesso modo, uso certe volte i termini inglesi e altre volte la traduzione italiana. Ad aggravare il problema, alcune volte la traduzione scelta nel libro non è la traduzione scelta nel film e viceversa. Insomma, il materiale è tanto, come la confusione.
Consolatio Tolkien, guide simili in italiano non esistono e quando ci sono, risultano o parziali, o scorrette, per il semplice motivo che non sottolineano quali fonti hanno usato. Anche in articoli triviali come questo, al momento di confessare affari di regia o curiosità di casting, saper dire qual'è la fonte è importante. Certo, i lettori condivideranno comunque e ovunque, specie se l'informazione è in pillole – una frase, una foto, un colore sgargiante – ma dal punto di vista dell'onestà e della morale è scorretto. J. W. Braun, nel nostro caso, è uno dei principali gestori di One Ring. Net e la sola mole di interviste racchiuse convincono della bontà del saggio, decisamente non riepilogativo.

giovedì 19 maggio 2016

Il Signore dei Film – Il ritorno del re parte 1 (analisi)


L'aspetto che continua a sorprendermi dei film tratti dal Signore degli Anelli è l'incredibile grado di casualità che prevedono: da scene tagliate, ad attori pescati all'ultimo momento, a radicali cambiamenti dal libro, l'intera trilogia è un bric-à-brac di soluzioni tecniche e narrative.
Si affianca un uso del digitale per l'epoca all'avanguardia a effettacci gore e splatter che sappiamo bene mutuati dal retroterra horror di Jackson. Se confrontata coi film fantasy precedenti – a eccezione forse del Conan di Milius – la trilogia di Jackson spicca per realismo di armi e armature, eppure non vi mancano le scene tamarre, dalla gara di orchi da uccidere, agli elefanti/olifanti digitalmente ingigantiti, alle acrobazie con scudi/skateboard e troll impazziti.
Sono tre film certo omogenei sul piano narrativo, molto “coesi”, eppure straordinariamente vari nei toni e nell'atmosfera. Questo spiega perchè tutt'ora siano film trasversali, apprezzati sia dai professori, che dagli studenti, che dai più nerd come dagli spettatori meno avvezzi al fantasy. Nonostante rimanga una trilogia di lunghezza considerevole, anche a voler spezzarla in due parti o voler preferire l'edizione “ridotta” trasmessa a suo tempo ai cinema, i film continuano a essere visti.
A voler fare un paragone che non intendo offensivo, Il Signore degli Anelli sta al cinema Fantasy come Grand Theft Auto ai videogiochi. Ogni capitolo di Gta rimane un successo annunciato, un botto negli store che cancella ogni concorrente per diversi mesi. Ed è un videogioco difficile: giocato a difficoltà normale presenta alcuni livelli e alcune sfide tutt'altro che amichevoli per un giocatore che non sia assiduo. Eppure, rimane un gioco tremendamente popolare.
Allo stesso modo e a prescindere dal contenuto, Il Signore degli Anelli di Jackson rimane un'opera di celluloide impegnativa, con la sua dose di spettacolo certo, ma con un accompagnamento linguistico pesante (parole antiquate e auliche, l'elfico, la quantità di nomi) e una durata che sfida lo spettatore, specie nel passaggio dal cinema ai dvd/televisione. In tema di durata, a inizio 2000 l'impatto doveva essere notevole, considerando che un'ora e mezza era diventato il dogma di ogni produttore, indifferentemente dall'argomento del film. Un altro merito della trilogia: sdoganare i film di due ore e tre quarti, tre ore. Le saghe, le trilogie, i film strettamente legati l'uno all'altro.

Con questo quinto appuntamento iniziamo la disamina della parte 1 del Ritorno del re, in concomitanza con la trasmissione serale alle 21.10 su Italia 2. Non ricordo con esattezza dove scelgono di terminare la prima parte nella versione televisiva, ma nel caso manchino delle sezioni in quest'analisi, rimedierò col prossimo (e ultimo) appuntamento.
Buona lettura/visione!

giovedì 12 maggio 2016

Il Signore dei Film - Le due torri parte 2 (analisi)


Il tempo scorre veloce e inesorabile, mi sembra ieri che scrivevo la parte 1 della Compagnia dell'anello e siamo invece a (quasi) metà maggio, con gli esami universitari all'orizzonte.
Dei tre film della trilogia jacksoniana ho sempre preferito la Compagnia, per la varietà di situazioni che presenta: dalla Contea, a Brea, a Gran Burrone, a Moria, a Lorien.
Le due torri, al confronto, appaiono di gran lunga più omogenee e circoscritte.
Da un lato Rohan, dall'altro le paludi e Faramir. Gondor e Rohan, i reami degli uomini: al di fuori della “meraviglia” degli Ent, l'elemento fantasy viene piuttosto ridotto.
Da chi non è un fanboy un appassionato di Tolkien, Le due torri è anche il film che vedo meglio sopportare, con le motivazioni che è meno dispersivo, meno confusionario, con l'attenzione di regista e attori concentrati su pochi punti. Innegabile, senza citare la lunghezza effettiva, rispetto al colosso (anche in edizione normale) che è La compagnia dell'anello.
Tuttavia, la lentezza della Compagnia, così come del primo film de Lo hobbit rappresenta per me un valore aggiunto, un lento scalare in grandezza che vede il lettore/spettatore dapprima guardare degli hobbit festeggiare un compleanno per ritrovarsi nemmeno tre ore dopo al confronto con la morte eroica di Boromir. Al confronto, Le due torri è piatto, non vede alcuna escalation reale. Intuiamo fin dall'inizio che scopo di Saruman è annientare Rohan assediando il Fosso di Helm.
Vi sono poi le scelte di design che trovo spinte all'eccessivo stereotipo, rispetto alla verosimiglianza accettabile della Compagnia: gli umani di Rohan sono un'etnia completamente bionda, neanche i norvegesi hanno una simile omogeneità genetica, mentre al contrario i soldati di Gondor hanno tutti capelli neri e un'inesauribile scorta di armature fabbricate in serie.
Con ciò, oggettivamente Le due torri è un film migliore, di facile fruizione.

Le due torri parte 2 inizia con lo scontro con i warg, che immaginavo già presente nella parte 1, per poi proseguire con Faramir e la cattura di Gollum. Le curiosità e le annotazioni che leggete sono per lo più tradotte dal saggio The Lord of the Films, di J. W. Braun. 
Sono errori, curiosità di regia, finezze di Peter Jackson invisibili ai profani.
In teoria, La parte 2 dovrebbe venire trasmessa stasera, su Italia 2, alle 21.10.
Buona lettura/visione!

giovedì 5 maggio 2016

Il Signore dei Film - Le due torri parte 1 (analisi)


Discutendo del Signore degli Anelli con amici e colleghi, rimango sempre stupito di come alcune assunzioni di base della storia siano errate. Ad esempio, succede di dover leggere che Il Signore degli Anelli è una classica storia cavalleresca. Senza togliere assolutamente nulla al background medievale della storia, l'obiettivo stesso della Compagnia è un'antitesi di ogni epica tradizionale: anziché intraprendere una quest per salvare un oggetto magico, lo si deve distruggere.
Non vi sono, come in certe sessioni di D&d, barbuti stregoni che ti chiedono di trovare una sedia magica nel reame dell'Al Di Qua. Ma non c'è nemmeno una satira, o una presa in giro dell'epica medievale come già succedeva nel '500 e nel '600: piuttosto, vi sono personaggi tradizionali (Aragorn) che coesistono accanto a personaggi contemporanei (gli hobbit, Frodo) che pur dentro un'ambientazione medievale, devono conseguire un obiettivo modernissimo. Mentre ritrovare un corno magico, una spada incantata ecc ecc è sempre motivo di giubilo nel romanzo “tradizionale”, nel Signore degli Anelli ritrovare, scoprire dov'era l'Anello è una sventura, esibirlo una disgrazia e paradossalmente distruggerlo un obiettivo fondamentale.
Sono, almeno per me, banalità, ma nella vulgata comune non so bene perché stupiscono sempre.
O ancora, l'accusa di nostalgia che dovrebbe in teoria pervadere il Signore degli Anelli, in realtà è difficilmente rintracciabile: lo stesso Sam, nel finale de Il Ritorno del Re, vede negli occhi della figlia, Elanor, la bellezza degli elfi. Quanto vi è di positivo nella razza elfica ritorna nei figli degli uomini (e degli hobbit) senza essere perduto per sempre, anzi.

La parte 1 de Le Due Torri dovrebbe venir trasmessa stasera, su Italia 2, alle 21.10.
Quanto segue è una parziale traduzione (con alcune mie osservazioni e approfondimenti) del testo The Lord of the Films, di J. W. Braun. E' un saggio, piuttosto divertente, che tratta curiosità e sottigliezze della trilogia di Peter Jackson. Ogni film è diviso in sezioni (riferendosi all'edizione estesa) che vengono analizzate su quattro livelli: commenti del pubblico, curiosità di casting e making off, sottigliezze e dettagli nelle diverse scene e infine errori talmente minuti da essere praticamente invisibili per chi non ferma i fotogrammi.
Il Signore degli Anelli viene di solito trasmesso ogni quattro mesi, ma non ho idea di dove termini la parte 1 e la parte 2: nel caso manchino alcune sezioni, recupererò nella parte 2, il prossimo giovedì. Buona lettura (e visione)!

giovedì 28 aprile 2016

Il Signore dei Film - Compagnia dell'anello parte 2 (analisi)


Il giovedì della scorsa settimana avevano dato in televisione su Italia 2 la prima parte dell'edizione estesa del Signore degli Anelli, come mi hanno comunicato ormai usano fare ogni quattro mesi.
Stranamente, spot pubblicitari a parte, era davvero la parte 1 della Compagnia dell'Anello ed era davvero la versione estesa.
Questa serie di articoli vorrebbe accompagnare ogni giovedì con una carrellata di curiosità, appunti
filmici e osservazioni pungenti sulla trilogia jaksoniana.
Di proposito, ho depennato le osservazioni relative alla fonte cartacea, preferendo invece un'analisi puramente sulla celluloide.
Rivedendo La Compagnia dell'Anello parte 1, il primo appunto che mi è balzato all'occhio è la scelta di chi l'ha trasmesso di tagliare al Concilio di Elrond. Scelta che lascia perplessi perchè ero convinto che sarebbero arrivati fino a Moria, ma che dal punto di vista “cronologico” ha il suo senso, essendo due ore per giovedì.
Pertanto, ho recuperato dall'articolo precedente la sezione sul Caradhras e su Moria, arricchendola già che c'ero con qualche nuovo appunto.
Un altro errore dalla mia parte, è una certa confusione tra nomi originali inglesi e traduzioni italiane, che spesso alterno senza rifletterci. Essendo l'articolo in italiano, ha senso che lo siano anche i nomi, sebbene nel caso degli appunti geografici mi venga naturale usare il termine inglese!
Lothorien è un buon esempio! Non appena avrò più tempo a disposizione, ricontrollerò e nel caso correggerò eventuali aporie della parte 1.

La versione estesa dello scorso giovedì conferma la mia impressione che Jackson, dovendo tagliare, abbia di proposito tagliato l'aspetto più fiabesco della storia, sacrificando Tom Bombadil e la volpe “parlante” dei primi capitoli a favore di una maggiore introspezione psicologica.
Scelta saggia, perchè mi sembra ovvio che fossero “residui”, influenze di scarto de Lo Hobbit che nel Signore degli Anelli anche cartaceo non avrebbero mai dovuto avere spazio.
Scelta dunque e certo non casuale, se si osserva che tutti gli altri eventi, dall'incontro con gli elfi dopo Hobbiton, ad alcuni dettagli della festa di Bilbo, alla stessa Brea sono riprodotti o accennati tutti: ogni passaggio che sembrava “tagliato” dalla versione normale qui ricompare.
Tranne Bombadil, per ovvia e giustissima scelta ideologica.

giovedì 21 aprile 2016

Il Signore dei Film - Compagnia dell'anello parte 1 (analisi)


Un mio collega d'università che possiede la televisione (o è la televisione a possedere lui? Ahimè...) mi ha subito informato sollecito che stasera trasmettono la parte uno della Compagnia dell'Anello nell'extended edition di Peter Jackson, su Italia 2, alle 21.10. 
Certo, potremmo addurre ottime argomentazioni per spiegare come non ci sia alcun sprone a guardare un film sulla televisione, sopportando l'ingestione forzata di nauseabonde pubblicità, caroselli, tagli e interruzioni inopportune, per non rammentare gli usuali sbagli nell'alternare le diverse parti (parte 2 prima della parte 1 ecc ecc).
E allo stesso modo, potremmo scrivere il solito articolo di cinquecento parole o meno in cui spieghiamo senza conoscenza di cinema, perchè cinematograficamente Il Signore degli Anelli è un brutto film, o in cui argomentiamo senza aver letto nulla di fantasy come Tolkien sia un “autore banale”. Purtroppo l'offesa senza valide argomentazioni a supportarne l'evidenza è quel genere di caratteristiche dei blogfamosi” che non riesco a replicare, come non mi diverto a gettar letame sui passanti quando passeggio in campagna.
Una lamentela pungente, un buon discorso non impedirà mai a una buona porzione della popolazione di sedersi in poltrona e guardare nonostante tutto il film dalla televisione, pur conscio di blu-ray spesso in svendita o delle opportunità sui Torrent. 
Quindi, perchè non approfittarne?
Di recente, cercando saggistica su Tolkien per un progetto, ho letto un saggio di curiosità sul making off della trilogia filmica, che spezzetta i movies in sequenze che analizza, offrendo per ciascuna i commenti del pubblico al cinema, le informazioni erudite, le curiosità più eccentriche, gli errori e le incongruenze sul set.

The Lord of the FilmsThe Unofficial Guide to Tolkien's Middle-Earth on the Big Screen è solo una raccolta di curiosità scritta da un fan per i fan, probabilmente pubblicata all'epoca in una qualche edizione piena di foto colorate e scritte sgargianti. Sono allegate curiosità sul merchandising, interviste a comparse ed effettisti, persino guide ai segreti sui dvd in vendita ai primi '2000.
L'aspetto davvero interessante sta proprio qui: The Lord of the Films proprio in virtù dei sui difetti, del suo essere “basso” è un ottimo termometro per l'atmosfera fantasy che si respirava tra la fine dei nineties e l'inizio di questo nuovo, perfido secolo. Sono nato nel '92, quindi potete comprendere che ora, nel 2016, passato un decennio dall'uscita del Ritorno del re (2003) mi sembra sia giunto il momento per giudicare chi/cosa/come salvare di quel periodo.
In altre parole, The Lord of the Films non interessa in quanto dice sul Signore degli Anelli, ma in quanto dice sui fan del Signore degli Anelli a inizio '2000.
Per citare un esempio tra i tanti, l'autore non sa ancora se Jackson dirigerà Lo Hobbit, che immagina un'eventualità a dir poco impossibile. Considerando l'orrido risultato, sarebbe stato meglio se il progetto fosse rimasto davvero impossibile...

Il rilascio ogni giovedì della trilogia sulla televisione dovrebbe pertanto permettermi un nuovo appuntamento settimanale, in cui commentare spezzone dopo spezzone la trilogia, usando quest'Unofficial Guide per mostrarvi dettagli che io per primo non ho mai notato.
Se non ci saranno imprevisti, ci si darà appuntamento per 6 settimane di fila.


lunedì 7 marzo 2016

J. R. R. Tolkien: Autore del secolo, di Tom Shippey.


Difendere Tolkien vuol spesso significare difendere il Medioevo: i critici favorevoli all'autore anglosassone se non percorrono il viottolo spicciolo dell'interpretazione cattolica, preferiscono il rurale, la campagna, quel medioevo certo così violento, eppure così incontaminato.
In realtà, è Tolkien stesso a specificare nel Signore degli Anelli il suo amore per gli oggetti creati dall'uomo, per le invenzioni belle, ma ingegnose, per l'artigianato così come per l'industria.
Gli anelli magici, che siano elfici, dei nani o degli uomini sono in primo luogo tecnologie, manufatti di artigianato che vengono creati e forgiati grazie all'abilità di un artista inventore, quale Celebrimbor.
In occasione del compleanno di Bilbo, i giocattoli dei nani sono considerati “meravigliosi”, al punto che i giovani hobbit “scordavano di mangiare”, perché sono oggetti di natura meccanica. Come chiaramente spiega il narratore onnisciente, la grande capacità ingegneristica dei nani permette giocattoli semoventi, parzialmente automatizzati.
Saruman, in tal senso, non è cattivo perchè usa la tecnologia; al contrario, perchè la usa eccessivamente, sfruttandola all'esagerazione, pervertendola allo solo scopo militarista.
E' l'(ab)uso della tecnica, l'incriminato per Tolkien.
Tom Shippey, in J. R. R. Tolkien autore del secolo (XX, si intende...) argomenta in modo magistrale questo punto:
La prima interpretazione è sicuramente l'ingegnosità meccanica, un artigianato che si trasforma in abilità ingegneristica. Barbalbero dice di Saruman che ha “un cervello fatto di metallo e ingranaggi”: i suoi orchi impiegano una specie di polvere da sparo al Fosso di Helm; e in seguito usa contro gli Ent qualcosa di molto simile al napalm, forse (secondo le memorie belliche di Tolkien) un Flammenwerfer. Dal punto di vista etico tutto questo potrebbe rimanere neutro, e Tolkien ha sempre avuto nella sua vita una forte simpatia per i comportamenti creativi (si pensi alla forgiatura dei Silmaril e “l'amore per le cose belle costruite dalla mano e dall'ingegnosità e dalla magia”, il “desiderio dei cuori dei nani” che Bilbo comprende per un istante ne Lo Hobbit).

venerdì 15 gennaio 2016

Liberate lo Spoiler


Se si studia filosofia estetica, o anche solo se si è familiari con la storia dell'arte contemporanea, si saprà che nel '900 lo sforzo principale vuole l'abbandono dell'immagine tradizionale.
Sintetizzo: l'immagine non vuole più essere rinchiusa nel quadro/cornice, né limitata alla prospettiva rinascimentale, all'uso della pittura, alla raffigurazione umana. Sopratutto, si cerca di far sì che l'immagine diventi immagine di se stessa; non “qualcosa” che raffigura “qualcos'altro”, non uno strumento alternativo alla fotografia, ma un'arte a sé stante.
L'immagine non deve per forza raffigurare qualcosa di realmente esistente lì fuori, né rappresentare qualcos'altro al di fuori di sé stessa, ovvero dell'immagine. Si cerca pertanto di mostrare la nuda immagine, esposta come essere puro, astratto dalla realtà.
I quadri travalicano le cornici, i muri del museo, le costrizioni delle pitture tradizionali.

Ovviamente, con il romanzo non è avvenuto nulla di altrettanto rivoluzionario o straniante: sebbene vada osservato che se la pittura esiste da secoli, il romanzo nasce appena con il capitalismo borghese del '700 (Robinson Crusoe di Defoe, Pamela di Richardson, ecc ecc). Tuttavia, nel '900 le avanguardie e numerose sperimentazioni hanno dimostrato come anche il romanzo possa superare il corsetto di convenzioni imposte nell'Ottocento, sviluppandosi a scapito di alcuni punti fissi che si riteneva fondamentali.
Non sono un laureato in lettere, ma la prima metà del ventesimo secolo, le avanguardie, James Joyce e lo stream of consciousness a mio giudizio hanno molto contribuito a liberare il romanzo dalla sua cornice, esattamente come il quadro. Questo tentativo non ha prodotto opere “leggibili”, ma sul piano delle idee si sono compiuti passi da gigante.

La Condizione Umana I, Magritte, 1933, dettaglio

lunedì 28 dicembre 2015

Un Anello per leggerli, un Anello per guardarli, un Anello per giocarli.


Alcune volte, quando si legge un libro che si ha già letto o di cui si è già visto il film, è difficile sottrarsi dal fare paragoni. A comparare l'immagine mentale dei personaggi con l'immagine filmica, teatrale, o fumettistica. A chiedersi inoltre se i due personaggi, il protagonista del film e il protagonista del libro, siano diventati un tutt'uno, o siano ancora ben marcati.

E' ovvio che più il film sa riassumere l'essenza del libro, più i contorni si sfumano e confondono. 
Di rado un brutto film cancella la bella esperienza del libro da cui è tratto. Qualche attore può restare “incastrato” nella sostanza cartacea, narrativa del libro, un volto, un'espressione, una scena... Ma è raro si rimuova interamente il ricordo della precedente lettura.

Mi pongo questi quesiti, perchè nel caso del Signore degli Anelli la questione è incredibilmente complessa. Non c'è dubbio al riguardo, a dispetto de Lo Hobbit, la trilogia di Jackson riassume con incredibile fedeltà la vicenda di tutti e tre i libri, specie se li si guarda con il coadiuvante dell'edizione estesa. Jackson (assieme all'indispensabile, per sua stessa confessione, aiuto della moglie sceneggiatrice) ha saputo cogliere le parole e i discorsi più rappresentativi di tutti e tre i capitoli, rivitalizzando nel contempo alcune scene sbiadite nel libro e tagliando alcuni dettagli sgradevoli, come i deliri sulla purezza del sangue numeroano.
Mentre rileggo Il Signore degli Anelli, non posso perciò esimermi da un continuo confronto mentale tra le scene dei film e dei libri, e in alcuni casi addirittura dei videogiochi.
Alcuni volti restano, altri vedono il ritorno del re di come li immaginavo una volta.
In primis, a suo tempo avevo terminato la lettura del Signore degli Anelli in tempo per la visione al cinema del Ritorno del Re. Dunque la terza parte rimane per me incorrotta dalla celluloide e i personaggi, da Faramir, a Denethor, alle lande di Mordor, rimangono molto diversi dalla versione filmica.
Diversi non vuol dire migliori: per me Faramir era uno smilzo uomo vestito alla Robin Hood e Mordor una terra industriale, una wasteland di crateri e pozzi che non sfigurerebbe nelle Fiandre della Prima Guerra Mondiale.
Frammenti della Compagnia dell'Anello e delle Due Torri rimangono “estranee” al film e pertanto nella mia mente vedono un grottesco cambio d'abiti: il Frodo pre film sostituisce nella pausa sulle Tumulilande il Frodo post-film ed è un po' come vedere delle controfigure darsi il cambio su una scena. Sono sicuro vi sarà capitato questo genere di confusione. E' anche il motivo per cui tutta la prima parte nella Contea fino a Brea riveste per me tanto interesse. E sempre per restare nei Decumani, aver tagliato il ruolo di Saruman e dei furfanti nel devastare la Contea è stato un grave errore: nel libro chiude perfettamente il tradimento finale a Frodo, con il richiamo omerico all'Odissea. Ulisse s'illude d'aver terminato le sue imprese, ma sorpresa delle sorprese la sua casa è invasa dai (porci) Proci e non resta che un sanguinoso massacro. Ugualmente, la terra natale dei quattro hobbit è una landa distrutta e violata da (porci) Furfanti e non resta che una sanguinosa battaglia.
Alcuni volti s'intestardiscono e rimangono: Samvise Gamgee per me sarà sempre Sean Astin, così come Viggo Mortensen Aragorn, Sean Bean Boromir e Ian McKellen Gandalf. Già il personaggio di Gimli è un diverso discorso, perchè viene ridotto a macchietta nelle Due Torri, meccanismo comico che manca totalmente nel libro in cui la sua amicizia con Legolas mantiene invece un peso di tutto rispetto.
Sempre a questo proposito, è un vero peccato che si sia persa la storia d'amore tra Faramir ed Eowin, nonostante nel libro alla fine la sminuisse, perchè di fatto la relegava nel suo ruolo “naturale” (per Tolkien) chiarendo la fine dell'anomalia della guerriera femmina (di nuovo, per Tolkien).
Infine, Gollum resta Gollum. Inclassificabile, sia su carta che su schermo.

lunedì 21 dicembre 2015

A spasso per la Contea: birra, funghi e Tom Bombadil


Non ho idea se, come il sottoscritto, amate tenere un certo numero di libri a portata di mano sul tavolo o sul comodino per poterli consultare o sfogliare in quei momenti della giornata in cui siete preda della noia, dell'indecisione o di entrambe le cose. Sfogliare un libro e leggerne stralci a caso è uno dei più soddisfacenti diritti del lettore.
Ultimamente sono tornato a rileggere Il Signore degli Anelli e dopo essermi accorto di aver letto di fila diversi capitoli delle Due Torri ho deciso che era tempo di una sana rilettura.
Al momento il mio entusiasmo si è perso da qualche parte nel capitolo di Frodo e Sam sulle paludi, ma per amore della brevità concentreremo l'attenzione di questo articolo sulla Compagnia dell'Anello, dal compleanno di Bilbo all'arrivo a Gran Burrone.
Cito i passi dall'edizione in mio possesso, la Bompiani del duemila a cura di Quirino Principe e con l'introduzione di Elemire Zolla. Ignoro se sia mutato qualcosa nei termini delle edizioni più recenti. So ad esempio che ne Lo Hobbit cambiano spesso il nome dei Vagabondi, che diventano alle volte Troll, Uomini Neri e così via... Ma non so molto della filologia tolkeniana in Italia e dunque se c'è un esperto tra i lettori, raccontatemi pure come sono mutati nel tempo le traduzioni di nomi e personaggi.

Spesso, rileggendo fantasy che nell'infanzia trovavo avvincenti, rimango deluso.
Nel caso di Tolkien non ne ho mai veramente abbandonato la lettura e devo ammettere che come lo trovavo eccellente a undici anni, lo trovo altrettanto a ventitré: il flusso di pensieri, dialoghi e ambientazioni scorre senza mostrare minimamente la sua età, anzi arricchendosi a ogni rilettura di ulteriori strati di storia, miti e canzoni. La solidità del worldbuilding del professore di Oxford resta davvero solida, a dir poco maniacale persino nella sua opera meno lirica (se comparata al Silmarillion...).
Il gergo di elfi, nani e hobbit suona naturale e l'unica sbavatura è tra gli umani di sangue reale, come Aragorn, i cui scambi di parole oscillano pericolosamente tra l'epica e il ridicolo, specie quando elencano per mezza pagina, senza un istante per tirare il fiato titoli nobiliari, alberi genealogici e nomi guerrieri. Inoltre l'insistere sulla purezza di sangue dei Dunedain, per quanto comprensibile nell'ambito della mitologia medievale cui si fa riferimento, è decisamente malsana.
Discorso (musica?) diversa per le canzoni, che odiatissime quando le leggevo da bambino le trovo oggi uno degli inserti più interessanti, che avevo colpevolmente trascurato. Almeno nella Compagnia dell'Anello si può notare come gli argomenti prevalenti, persino tra i borghesi hobbit, siano malinconia e rimpianto: si parte con le prime strofe in cui si descrive un'elegiaca felicità, legata a una donna, un paesaggio, la vita quotidiana, per poi stravolgerla nell'avventura o nella tragedia di un male che proviene da fuori. Nelle ultime strofe, ci si riallaccia così alla felicità iniziale, ora rimpianta: l'Era degli Uomini non nasce per un rinnovato vigore della razza umana, ma per il decadere inarrestabile di ogni razza che lentamente scompare nelle brume del tempo.
Un'Era di trapasso, una vittoria di Pirro. Almeno così l'ho intesa dalla rilettura del primo libro: non sono gli uomini a farsi grandi, ma elfi e nani a farsi “piccoli”.
Lo stile di scrittura di Tolkien resta comunque diverse spanne (uso le unità di misura britanniche, considerando l'argomento...) sopra la media sia dei suoi contemporanei che dei nostri: basti confrontare l'orrido stile di Lewis alla finezza di Tolkien, per accorgersi del confronto.
Moorcock stesso, nel sopravvalutato manifesto Epic Pooh, ammette che Tolkien è quantomeno superiore al tono legnoso di Lewis, criticandolo comunque per il suo tono sdolcinato e al fondo paternalista, un provinciale inglese.
Consiglierei la lettura del manifesto, perché se ne parla spesso senza averne davvero cognizione: non c'è infatti quella distruzione del professore di Oxford che tanto diverte i Tolkien haters, ma al contrario un'analisi a tutto tondo molto più vasta ed estesa di quanto si possa supporre.

Il Cavaliere Nero, di John Howe.