In questi
giorni volevo scrivere un articolo sulla serie tv del Signore degli
Anelli annunciata da Amazon, ma tra Twitter e Facebook ho
sostanzialmente esaurito i pareri: trovo l'idea aberrante, ma
dall'altro ho sempre criticato i cinefili che lamentavano i remake.
Sarei pertanto un ipocrita se piagnucolassi che mi hanno “stuprato
l'infanzia”, che non devono osare, ecc ecc.
Non ho mai
ritenuto che nulla sia intoccabile e ciò vale a anche nel caso in
questione.
Tuttavia...
davvero non trovo un singolo motivo per una serie tv su Tolkien.
Gli attori
della vecchia saga sono per l'appunto vecchi e disinteressati: se si può fare a meno di Rhys Davies, Viggo Mortensen sarebbe fondamentale
per una serie ambientata prima della Compagnia dell'Anello. Come
poter ricreare la Caccia a Gollum senza il suo cacciatore? E cosa
farne degli Hobbit? Della Contea? E dove trovare un sosia di Saruman?
Posso immaginare una serie basata sulle avventure di Elladan&Elrohir,
ma faccio fatica a immaginare un singolo spettatore interessato a due
gemelli elfi protagonisti. Ma ancora una volta: perchè? Perchè
Tolkien?
Non c'è un
singolo motivo nella scelta di Amazon che possa essere correlata
all'arte, alla narrativa, a una motivazione genericamente culturale.
Lo scopo dichiarato è far concorrenza a HBO, offrire una terza
colonna tra Harry Potter e Game of Thrones. Non metto in dubbio che
una serie tv o un film debba guadagnare; ma c'è modo e modo. Gli
anni '80 che tanto si rimpiangono assistevano a produzioni di medio e
piccolo calibro che miravano all'incasso, ma che conservavano una
notevole ricerca artistica e sociale al loro interno. Carpenter mi
sembra un esempio lampante. C'è l'interesse nel guadagno,
nell'intrattenere lo spettatore, ma nel contempo non si resiste ad
alcuni colpi bassi, ad alcuni sottotesti notevoli. Nel caso in
questione puoi sentire in sottofondo le rotelle di Jeff Bezos
calcolare introiti e derivati, competizione e ricavi. Potremmo
parlare del Signore degli Anelli come di una lavatrice; di Tolkien
come di un elettrodomestico. Sono oggetti da vendere, monopoli da
conseguire, concorrenze da spezzare. Basti leggere il comunicato: Il
Signore degli Anelli non è un'opera d'arte, non è una saga scritta
da un filologo, non è un cazzo di capolavoro oggettivamente
riconosciuto dalla letteratura, no, per Amazon è un “fenomeno
culturale”.
Elladan&Elrohir secondo la Fantasy Flight Games |
Quanto trovo davvero avvilente è l'accoglienza degli appassionati, dei fan, che sostanzialmente si sono limitati a un semplice “perchè no?”.
Qual'è la differenza tra un film e una serie tv?
Perchè, Jackson l'ha fatto “gratis”?
No, Jackson
non ha lavorato gratuitamente.
Ha tratto larghi profitti dalla saga,
è tutt'altro che altruista. Non si può negare però che fosse
appassionato del Mondo dell'Anello, che nutrisse da anni un forte interesse per Tolkien che aspettava solo una scusante, un'occasione buona. E'
un regista che ha reinvestito il successo della trilogia per dare
linfa vitale alla Nuova Zelanda, offrendole una pubblicità che
altrimenti si sarebbe limitata ai Kiwi e ai Maori. E' un regista
patriottico, perchè di proposito ha scelto di investire nel suo
paese. Allo stesso modo le riprese, gli scenari, gli attori... basti
guardare i behind the scenes per scoprire un uomo attento all'ambiente e ai
suoi sottoposti, che ha sempre camminato con equilibrio tra margini
di profitto e ricerca artistica.
Ancora una
volta: Jackson non è un eroe, un santo o un guru. E' un uomo
appassionato di quello che fa, altrimenti nello scenario post
trilogia non si sarebbe impegnato a gettare milioni in progetti tanto
personali quanto idiosincratici, da King Kong a Lovely Bones. Io
chiedo solo questo: progetti diretti e girati da persone che amano
quello che fanno. Possono intrattenere, possono gettarmi addosso
pesanti riflessioni filosofiche. Quello che non digerisco è
l'attuale andazzo che vede nei registi marionette di carne nelle mani
dei produttori, che desiderano soltanto guadagnare quanti più
milioni nel più veloce tempo possibile. Una produzione in serie
(tv), una catena di montaggio, un mulino infernale, per citare i
luddisti.
I film di
Jackson sono opere di artigianato. Le mega produzioni alla Michael
Bay negli anni '90 sono opere industriali.
Le rivendite
di videocassette negli anni '80 erano artigianato di appassionati che
volevano tirar su soldi, ma nel contempo guardavano quanto
noleggiavano. Le catene di blockbuster negli anni '90 erano
franchising in serie, industria diretta all'alto.
Oggigiorno i
progetti su Kickstarter, i film ad alto budget, ma con completa
libertà autoriale finanziati dall'Europa come Valerian o La Cura dal
Benessere, i film indie girati con 10000 dollari... questo è
artigianato, il che non vuol dire sia perfetto, povero o non miri a
guadagnare. Tuttavia, come negli anni '90, infuria l'industria in
serie di film Marvel, di film di Star Wars, di remake su remake... è
una continua lotta e trovo sconsolante che Tolkien sia scivolato nel
fronte di quell'industria che pure in vita tanto avversava.
Ancora una
volta: perchè Tolkien?
Perchè non
Michael Moorcock?
O Stephen R.
Donaldson?
O Patrick
Rothfuss?
O Steven
Erikson?
O David
Gemmell?
O Robert
Jordan?
O Eoin
Colfer?
Al diavolo,
perchè non World of Warcraft?
Warhammer
Fantasy?
Dragon Age?
Qualunque
cosa fantasy al di fuori di Tolkien sarebbe più interessante di un
suo remake.
Qualunque.
Cazzo. Di. Cosa.
Prima che
qualcuno commenti, no, non desidero che Tolkien sia messo sotto
lucchetto.
In effetti
quello che vorrei è che venisse tolto completamente dal copyright,
diritti e tutto.
Come con Lovecraft, Edgar Allan Poe e Burroughs, mi
piacerebbe che il suo mondo appartenesse a tutti. Se Amazon vuole
fare una serie tv, nessun problema, la faccia. Ma anch'io a mia volta
devo avere il diritto di farci qualcosa, che sia un romanzo, un
fumetto o un film. Quello che odio è vedere un mondo e un'idea sotto
chiave, ma nel contempo sfruttata a sangue con l'intento di
guadagnare. Mi piacerebbe che un modellista interessato a scolpire un
hobbit sia libero di farlo senza incorrere in minacce di copyright o
senza doversi fingere russo o cinese. Considerando come la Tolkien
Estate si prepari a essere la Tolkien Bordello con la deposizione di Christopher Tolkien, non sono troppo ottimista.
Dalla rivista art nouveau "Jugend" (1897) o altrimenti "Cosa intendo per Fantasy" |
Anyway,
tralasciando le flagellazioni, in questi giorni stavo procedendo
nella progettazione di un romanzo fantasy a cui avevo accennato a maggio 2017.
Ho un lavoro
precedente che da anni desidero terminare – un'opera steampunk –
che mi ha dimostrato quanto caro sia il prezzo di trascinare a lungo
una storia, senza per altro un'adeguata scaletta. Adesso invece sto
cercando di redigere una trama, un mondo e una sequenza di eventi il
più possibile nel dettaglio, prima d'iniziare a scrivere
effettivamente.
A ogni
occasione vengo colto impreparato, stavolta non ho intenzione di
bloccarmi.
A maggio mi
interrogavo sulla necessità di fondare il proprio fantasy nel mondo
che ci circonda. Come Tolkien aveva attinto dalla mitologia e dagli
elementi che tanto amava nell'Inghilterra rurale, così lo scrittore
fantasy moderno dovrebbe attingere all'ambiente e agli elementi che
ama.
Al di là
che suona terribilmente sdolcinato, è un'operazione più difficile
di quanto pensassi.
Al momento
ho dovuto accantonare diverse pagine di worldbuilding, perchè mi
sono accorto che stavo letteralmente scrivendo una sorta di
caricatura di Trieste. Questo è proprio il genere di cose che
disprezzo: scrivere un fantasy tongue in cheek, che strizzi
l'occhio ai lettori provinciali. Quindi ho cancellato il lavoro
precedente e mi sono rimesso di buona lena a cercare basi solide.
Lo scrittore
dovrebbe rielaborare il tessuto storico-sociale che si è affermato
nei secoli dove vive, ma nel contempo questo dovrebbe costituire
fondamenta talmente profonde da risultare invisibili al lettore.
Nessuno che legge Tolkien esclama, “Ah! Questa è Oxford! Questo è
il Surrex!” Al massimo può cogliere anacronismi, analogie casuali,
“Oh! Gli Hobbit hanno l'orologio! Buffo!”.
Le
caratteristiche e i valori che informano la realtà dello scrittore
dovrebbero trasporsi nel suo fantasy. Non gli oggetti, non i
personaggi, non i nomi: piuttosto i sentimenti, i valori che li
animano.
Ad esempio
se scrivessi un fantasy con gli orchi che parlano triestino, sareste
perfettamente nel giusto a lanciarmi pomodori e liquame color
marrone. Tuttavia, analizzare le basi del triestino e cercare di
replicare nel proprio romanzo identici meccanismi, ovverosia un
“pidgin”, incontro-scontro di più culture, sarebbe interessante.
Ovviamente
no, non ho intenzione di usare il triestino, che come ogni dialetto è
volgare e non mi dovete confondere per chi scrive di “specchio del
sociale” e altre cazzate: l'idea è qui di studiare il proprio
mondo per costruirne un altro, non di rifletterlo, o usarlo come
metafora.
Un elemento
cui sono piuttosto sicuro è la burocrazia.
Cioè,
desidero scrivere di una razza di burocrati, senza tuttavia
l'accezione negativa che il termine ha conquistato in Italia. Il mio
riferimento è alla burocrazia asburgica, che in un Impero
multinazionale di più lingue, più culture, (più carte) era
rinomata per la sua efficienza. La burocrazia asburgica per altro
mantenne sempre una fedeltà alla dinastia tuttavia disgiunta dal
servilismo verso la Chiesa: i burocrati si consideravano
giuseppinisti e pertanto incarnavano idealmente la perfetta sintesi
tra l'Illuminismo e la tradizione degli Asburgo.
Quindi, con
un naturale paragone agli hobbit, trattandosi in entrambi i casi di
razze non-umane:
- L'hobbit vive nella Contea, ama l'agricoltura e vive una vita epicurea, anche se un po' tonta e chiusa.
- La mia razza vive in un ambiente urbano idilliaco, non futuristico, ma radicato nel passato, una sorta di centro storico cittadino per 1000; non coltiva i campi, ma gestisce un ufficio dove compila bolli e procedure talmente antiche e misteriose che non ne capisce più il senso; vive una vita soddisfatta, perché ama la lettura e l'arte. Come il giardinaggio degli hobbit, anche il mio burocrate ha un lavoro completamente opposto a quello dell'età moderna: un impiego fisso, immutabile, una sorta di sportello informazioni che ha assunto venature mistiche. Non c'è concorrenza, non c'è affanno: la compilazione dei moduli e gli stampi sulla carta assolvono a una sorta di obbligo formale, oltre a rafforzare la rete dei cittadini del regno. Come con gli Asburgo, la burocrazia è l'ossatura dell'impero: in questo caso letteralmente la razza è la burocrazia.
So che tutto
ciò potrebbe sembrare bizzarro o ridicolo, ma sono sinceramente
convinto di riuscire a rendere bene una razza simil-hobbit che faccia
scattare nel lettore una sincera simpatia. Si tratterebbe di un mondo
analogico, una sorta di figli di Gutenberg in versione fantasy. Qui
l'elemento distopico attribuito alla burocrazia kafkiana si
rovescerebbe nel suo opposto: immaginate quel fremito di sorpresa,
quel piacere che deriva dall'entrare in una biblioteca, nel fare
lavoro di ricerca, nello scoprire un libro raro in rigatteria: si
tratterebbe di una civiltà di archivisti e robivecchi, bibliotecari
e librai, burocrati e segretari. Funzionerebbe, sulla carta.
Un momento Weird in "Jugend" (1903) |
Un secondo
dilemma che mi sono posto a questo proposito è come realizzare un
antagonista adeguatamente cattivo. Il problema è duplice: concepire
un Male assoluto, malvagio in quanto malvagio e nel contempo rendere
questo Male assoluto credibile al lettore contemporaneo.
E'
un'impasse così maledettamente difficile da superare, per di più
all'interno di un High Fantasy.
Ho accartocciato l'equivalente
digitale di una risma di carta vagliando diverse idee. Non ho ancora
ad esempio realizzato quale potrebbe essere l'equivalente della razza
“malvagia”, degli “orchi”, per intenderci. Il tenebroso
Signore del Male della situazione è ancora impossibile da definire.
Non voglio ricadere nell'immagine dell'uomo incappucciato sul trono,
con una piramide di teschi o una torre con un occhio infuocato.
Dall'altro, ogni rappresentazione realistica che motivi l'antagonista
e cerchi di far comprendere il suo “punto di vista” a mio parere
vanificherebbe l'immagine di un “Male assoluto”. Infine un terzo
problema è ricadere nell'auto ironia che ammorba il post moderno: un
Sauron che si rivolge al lettore, che fa riferimenti -meta, che fa
ironia sul suo ruolo, pur comportandosi d'antagonista. Questo sarebbe
in ogni caso la soluzione peggiore.
Ordunque,
che fare?
Al momento
sono giunto alla conclusione di voler raddoppiare gli antagonisti per
aggirare il problema. Da un lato, inserire un “nemico” normale,
un Signore oscuro nel senso tradizionale del termine. Tuttavia, a
metà romanzo, svelare che questo nemico di cartapesta nasconde una
minaccia infinitamente peggiore: un male alieno, incomprensibile e
lovecraftiano.
Nel primo
caso l'attributo del cattivo sarebbe la barbarie: mi piacerebbe
recuperare come fanteria di leva del male o una razza di
Uominibestia, alla Warhammer Fantasy, o nella stessa direzione
un'orda di selvaggi cannibali, che rappresentino non una razza
“tribale”, quanto piuttosto una civiltà a tal punto decaduta da
essere sprofondata nell'orrore. Un popolo di mostri divenuti tali per
un collasso ambientale, sociale e morale da loro causato. Per un
accumulo di errori a cui non hanno voluto far fronte, preferendo
scivolare nell'idiozia sbavante di chi preferisce continuare a
ballare mentre la nave affonda. Un'alternativa sarebbe una razza di
uomini-maiali: umanoidi evolutosi dai suini, che parodino la società
umana nei suoi peggiori eccessi. Ho sempre trovato sotto-utilizzato e
bistrattato questo stereotipo, ma se reso efficacemente può
risultare inquietante.
In secondo
luogo l'autentico nemico abbatterebbe una vera apocalisse non solo
sugli eroi, ma sulla stessa ambientazione: si tratterebbe di un Male
infiltratosi nel mondo del protagonista senza che se ne accorgesse,
una forma di nemico che mi piacerebbe rendere “vegetale” come i
Trifidi dell'omonimo romanzo. Questo farebbe da contralto alla
“fauna” dell'antagonista tradizionale.
Una
soluzione che non mi convince molto, per cui ci sarà ancora da
lavorarci e rifletterci attentamente.
5 commenti:
Che Tolkien sia un fenomeno culturale è ormai un dato di fatto, come tra l'altro attestato da Tolkien: un fenomeno culturale di Brian Rosebury, e io aggiungerei che lo sono stati anche i film di Peter Jackson. Non voglio fare il fanboy a tutti i costi, ma la trilogia del Signore degli Anelli è stata fondamentale per cambiare il cinema e il genere fantasy, e senza di essa non ci sarebbe mai stato Il trono di spade (che paradossalmente tanto piace a chi in genere odia il fantasy con la motivazione che "gli elfi hanno rotto"). Ormai chi si approccia alla materia deve necessariamente fare i conti con quel monolite, e l'ha sperimentato lo stesso Peter Jackson con Lo Hobbit che infatti si è ritrovato prigioniero di quella struttura e di quell'estetica, esagerando con i citazionismi (e questo secondo me è stato il suo principale limite, non i personaggi poco tolkieniani o le lungaggini), esattamente come succede per qualsiasi nuovo capitolo di Star Wars. Ora la domanda è: cosa farà Amazon? Rifarà la trilogia classica? Comincerà da storie diverse per confluire nella storia che già conosciamo? Si focalizzerà su Aragorn con un attore più giovane? Seguirà la via intrapresa dai videogiochi Warner, La guerra del Nord e L'ombra di Mordor (che vedeva anche Elladan ed Ellohir), con storie alternative che si inseriscono nella macrostoria che tutti conosciamo, con l'apparizione di personaggi noti? A che estetica si rifarà? Farà un accordo con la Weta? Non se ne sa nulla. Non ho particolari preclusioni, da tolkieniano mi piacerebbe vedere una via alternativa a quella di Jackson che, per quanto criticabile, è comunque l'unica che abbiamo e che secondo me rimarrà per molto tempo. Certo è che il Silmarillion non lo vedremo perché, essendo un'opera di Christopher Tolkien, non hanno i diritti. Secondo me nemmeno Amazon sa cosa farà: siamo nell'era delle serie, l'importante è vendere il nome, poi ne parliamo. Speriamo solo che non venga fuori una schifezza modello high school come Shannara.
@Paolo Nardi
Purtroppo devo ancora recuperare il testo di Rosebury, la saggistica tolkeniana è criminalmente assente nelle biblioteche (a differenza, ad esempio, di testi accademici su cinema e anime).
Non ci avevo mai pensato, ma effettivamente Game of Thrones non avrebbe potuto affermarsi senza avere un canone “classico” da rovesciare/sovvertire. Per me Jackson è davvero troppo logorroico nella trilogia hobbit(iana). Non arrivi in fondo, specie nel primo e nel terzo film. Bisognerebbe a questo proposito osservare quanto e come Del Toro l'abbia intralciato; sappiamo che aveva i produttori col fiato sul collo e che a differenza del Signore degli Anelli dovette partire senza uno script completo e senza storyboard. Un pesantissimo intralcio se costretto a girare un colosso fantasy con battaglie e scenografie. Io tutto quello che chiedo è un film/serie tv che sia girata da una persona che ami l'argomento o quantomeno il suo mestiere. Senza doverlo per forza rispettare pedissequamente, errore al contrario compiuto da Snyder col Watchmen di Moore.
Ho qualche dubbio sul Silmarillion. Cioè sì, i diritti sembrano essere in mano alla Tolkien Estate, ma la messa a riposo di Christopher mi sembra un segnale di pericolo, nonostante Tolkien Italia abbia scritto di tutto pur di rassicurare che sarà tutto come prima.
Non lo so, forse sono io a far da uccello del malaugurio, Vermilinguo docet...
E c'è poi la stanchezza.
Cioè, dopo il (mezzo) disastro de Lo Hobbit mi sarebbe piaciuto veder riposare un po' il fantasy tolkeniano, lasciar rigenerare le batterie, esplorare nuovi sentieri. E invece, bam! Una nuova serie tv, abbracciata da tutti perché la quantità a quanto pare importa a tutti più della qualità.
Vediamola così, considerando i tempi politici che corrono, se viene fuori qualcosa di bello potrebbe svolgere lo stesso ruolo consolatorio della Trilogia Jacksoniana uscita a pochi mesi dall'11 settembre e dall'invasione in Iraq...
Penso che fosse inevitabile un un ritorno del Signore degli Anelli. Non se ne sente il bisogno, visto che la trilogia di Jackson è ancora ben stampata nel nostro immaginario. Però, immaginavo che qualcosa di nuovo sulle opere di Tolkien sarebbe arrivato. Dopo lo Hobbit, che comunque ho molto rivaluto in positivo dopo aver visto la versione integrale, è stata palese la volontà di New Line Cinema/Metro-Goldwyn-Mayer/Warner Bros di spremere altro sul marchio. Pensavo davvero che puntassero sulle singole storie del Silmarillion. E invece hanno puntato sulla cosa più prevedibile, ma che non ci stavo pensando. I telefilm stanno spingendo molto, cavalcare l'onda non è mai sbagliato. Hanno azzeccato anche la partnership con Amazon.
Sono sicuro che sarà un'ottima occasione per mostrare tutte quelle cose scritte che non sono state mostrate nella trilogia.
Però, più ci penso e più credo che non se ne sente il bisogno di un telefilm del Signore degli Anelli. Cioè (per esempio) io non sento il bisogno di vedere Tom Bombadil, per quanto lo trovi simpatico. Alla fine quella trilogia è completa di suo, senza i particolari del libro. Dico senza problemi che riesce a rendere all'opera letteraria.
Si, hai ragione nel dire che si potrebbe puntare benissimo su altro.
Chissà, poi magari il successo del telefilm del Signore degli Anelli spingerà per produrre altro. Qualcosa di diverso... Me lo auguro!
Detto ciò, poi so già che me lo vedrò lo stesso ahah
@Marco Grande Arbitro
Vedremo, in effetti è troppo presto per lamentare sventura.
Forse tireranno fuori qualcosa di decente, con tutti i milioni che ci stanno affondando (250 solo per assicurarsi i diritti; e questo tanto per iniziare).
Un primo banco di prova sarà osservare dove sceglieranno di girare, se in Nuova Zelanda per mantenere il legame con la vecchia trilogia o altrove.
Si vedrà lì quale corso hanno deciso di scegliere.
P. S. Tom Bombadil nella trilogia di Jackson sarebbe sembrato terribilmente fuori luogo, ma se lo dici a un tolkeniano doc rischi che ti salti addosso ;-)
Ora che sappiamo che tratterà della seconda era cosa ne pensi?
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