lunedì 29 giugno 2015

Siamo tutti neocon, ora


La sempre maggiore disponibilità di documenti pubblici e al contempo la sempre maggior facilità d'accesso ai suddetti documenti, rende il lavoro dello storico sempre più facile. Ad esempio, studiando storia della Francia, sono rimasto sorpreso di come intere annate di archivi e dibattiti parlamentari del periodo rivoluzionario siano state interamente scannerizzate e rese disponibili allo studio di esperti e (non) esperti, con tanto di motori di ricerca appositi (semantic web&compagnia).
Annotazioni d'incidenza di nomi, lessico e statistiche che normalmente avrebbero richiesto anni di lavoro nell'archivio vengono ora realizzati nell'arco di un pomeriggio. Gli stessi giornali, riviste normalmente disponibili solo attraverso una ricerca in loco possono venir consultate da chiunque abbia un minimo di accesso a Internet e un minimo di capacità di ricerca.
Senza drammatizzare, il passaggio dell'archivistica ( e della diplomatica, e della storiografia) al supporto digitale, sta permettendo passi da gigante. Magari ininfluenti per chi di storia o d'umanistica non s'interessa, ma comunque impressionanti. Un professore che conoscevo paragonava questo passaggio all'introduzione delle macchine tessili nell'industria inglese di fine 700' (regione del Lancashire, ad esempio) che permisero di centuplicare la produzione di tessuti fino ad allora realizzati a mano.
Come sa bene chiunque frequenti i blog di “storia” (obbligatorie le virgolette), tanta facilità d'accesso (1) non si traduce automaticamente in prodotti di qualità. Spesso la mancanza di metodo porta semplicemente a inseguire le proprie personali manie, nascondendole dietro la cortina fumogena di scan e vecchi documenti. Manca totalmente l'idea che un'esposizione dovrebbe procedere usando i dati con accortezza e inserendoli nel contesto, che si dovrebbe rispondere alle critiche argomentate con altre critiche argomentate e non appellandosi a un'inesistente superiorità di uno studio autodidatta rispetto al “politically correct” (?) studio universitario.
Questa facilità d'accesso, può tuttavia venire applicata senza problemi a documenti anche più recenti, potendo infatti disporre di maggior materiale su cui azzannare i denti. Trovo particolarmente interessanti i quotidiani e le riviste, specie degli anni ottanta e novanta, relativamente all'area americana. Le dichiarazioni e le riflessioni che vi sono dispiegate continuano a stupirmi per la loro ingenuità e candore; la concezione di geopolitica che vi si nutre è talmente netta, talmente semplicistica nel contrapporre il sistema americano (sempre nel giusto, nel buono, nel divertente, nel sacro) a qualunque altro sistema, automaticamente assimilato al male. Un male, va da sé, canaglia, inumano, a cui viene sempre negato lo status di nemico “onorevole”.

L'effetto risulta grottesco, specie quando si leggono e si guardano gli articoli e le trasmissioni tv che seguirono alla conquista dell'Iraq nel 2003 – dopo tre settimane vittoriose di guerra in aprile – in maggio si agitavano le bandierine della vittoria: un malvagio tiranno era caduto, un altro sistema si apriva al “buon” liberalismo, pa-pa-pa-ra! Viva Bush figlio, Viva il Bene Assoluto! Per noi che non siamo più nel 2003, e neppure nel 2006, ma nel 2015 inoltrato (!) leggere queste testimonianze lascia straniti: sembra di stare su un altro mondo.

Dopo una falsa partenza che lasciava sperare una conclusione rapida del conflitto, la “pulita” guerra in Iraq sarebbe degenerata in un conflitto di guerriglia confuso e sanguinoso, dove l'assoluto disinteresse Usa a studiare l'area, a procurarsi interlocutori che parlassero arabo, a sottovalutare i conflitti etnico-religiosi del paese avrebbe portato a una balcanizzazione dello stato, a un disastro sia monetario, che politico, che religioso. Con la conclusione nel 2011, la guerra in Iraq ha distrutto a tutti gli effetti la popolarità americana nel Medio Oriente, con l'unico fine raggiunto di aprire il paese al liberalismo occidentale... Mentre intanto l'area del Golfo Persico continua a bollire come un calderone infernale.

I seguenti estratti non hanno valenza di uno studio accurato, ma esplicitano con efficacia l'ubriacatura vittoriosa di quegli anni – che prendeva a calci chi si opponeva la guerra e proponeva come sempre una soluzione “concreta” e “pragmatica” a problemi che in realtà richiederebbero tutt'altre soluzioni che semplicistiche “crociate”.
Il Presidente incontra membri dell'equipaggio della nave USS Abraham Lincoln, dopo esser sbarcato sulla S-3B Viking. Annuncerà la fine della guerra in Iraq, dopo una guerra lampo per il possesso della capitale. 

martedì 23 giugno 2015

Tele-Visione (racconto)


In questo periodo sono ancora indaffarato con esami vari, ma mi piangeva il cuore non poter aggiornare il blog. Vi regalo perciò un racconto scritto or ora in maggio, inizialmente per il racconto La Serra Trema. non riuscivo a scendere sotto le 1000 parole prescritte, dunque finisce qui, sul blog. 
Come sempre, commenti&pareri sono graditi! 
P.S. No, non ho nulla contro gli interisti, è semplicemente la prima squadra di calcio che mi è venuta in mente... ^^

Tele-Visione  



Luca fissava le immagini scorrere sul televisore senza vederle realmente.
Per lui, erano finte: nient'altro che pitture rupestri sulle pareti di una grotta. Il giornalista tentava di denunciare la violenza in corso, ma non riusciva a trarre alcun pathos dal servizio.
La città in fiamme sembrava un set cinematografico a basso costo; le urla dei soldati comparse svogliate; i tuoni del bombardamento fuochi d'artificio. Guarda, guarda! Quelle due tracce di colore sono un bisonte, un vero bisonte... E quello è un cervo, non uno sbavo della pittura... Come! Non vedi quei due cacciatori avvicinarsi, le lance puntate... 

- E mostrami la partita, stronzo! -

Brontolò Luca, il pugno grassoccio sul braccio della poltrona.
Afferrò una bottiglia di coca cola delle dimensioni di un estintore, ne tracannò una lunga sorsata. Aprì il suo terzo sacchetto delle patatine e ci immerse il grugno, il sale croccante sotto i molari. Diede un'occhiata in giro in cerca del telecomando. Per un attimo, gli si gonfiò la pancia d'orgoglio ammirando come sempre la panoplia di trofei: la bandiera interista, il copriletto interista, le magliette interiste, il pallone autografato e sopratutto il plagio tarocco della coppa del campionato.
Trovò il telecomando sotto il comodino e subito saltellò tra i diversi canali.
Dovunque andasse, trasmettevano lo stramaledetto telegiornale.
Bestemmiò con tutto il fiato possibile fino a quando un rigurgito di tosse per poco non lo strangolò. Con un sospiro, ritornò sul canale della partita.
Alzò il volume per ascoltare quel barbogio dell'inviato di guerra.
Era un uomo in giacca e cravatta, le scarpe lucide nella polvere dei combattimenti. I capelli fulvi, d'un colore rossiccio, avevano due cornetti di ciocche ribelli. Parlava con tono suadente.

- La situazione al momento è terribile, assolutamente terribile -

Sorrise, nel dirlo.

- Il fronte di liberazione sta bombardando la città da giorni con artiglieria russa acquistata da mercanti kazaki. Abbiamo stimato morti e feriti nella popolazione ben al di sopra dell'ottanta per cento. Nel frattempo – Il tossire di un ak 47 costruito in casa gli destò un sogghigno – Le forze repubblicane hanno lanciato un contrattacco con gli autoblindo. Un intervento di pace della Nato ha distrutto oltre cinquanta di questi veicoli - 

Il giornalista ridacchiava, ora. Apertamente.

- Assieme alla bellezza di un migliaio di civili. Per tutta rappresaglia il fronte di liberazione ha giustiziato tutti i suoi prigionieri. Si stimano tra le duecento e le cinquecento vittime uccise a sangue freddo, per la maggior parte bambini -

Il giornalista si sganasciò dal ridere.

- Oh, non posso smettere, amici! Non posso! Vi rendete conto? La vita media da queste parti gira sui vent'anni al massimo. Quale magnifico paese! - 

Un soldato dall'elmetto della Nato chiamò il giornalista con un inglese imbastardito. Annuì e ringhiò al cameraman di inquadrare il civile accanto il soldato.
Tremava a tal punto da ricordare una marionetta strapazzata.
Era un ometto sui sessant'anni, il mento sporco di schiuma da barba. Tra calcinacci e bossoli fumanti indossava due pantofole da casa. Igor si sfregò gli occhi, incredulo: controllò che la coca non avesse additivi o sua sorella non l'avesse scambiata con l'alcool. Quell'ometto indossava un pigiama! Era chiaramente un pigiama a righe, il patchwork di colori con una bella immagine di topolino schiaffata sul petto. L'intervistato si aggiustò gli occhialetti sul naso, cercando nel frattempo di lisciarsi i capelli.  

- Allora, allora. Pensavamo di avere messo in salvo tutti gli italiani nell'ambasciata e invece cosa abbiamo qui? Una vittima degli eventi! Qual'è il suo nome? - 

- Bertrando Spaventa - 

- Un cognome azzeccato! Da quanto vive in questa magnifica città? -

- Ma io non vivo qui! -

- Beh, certo, non può viverci più con la guerra -

- No, lei non capisce. Io non so cosa sia questo posto. Io vivo a Torino. Non so dove sono - 

Il giornalista sollevò le sopracciglia. Mormorò alla camera, girato di schiena, in tono confidenziale: dev'essere un po' confuso, sapete il trauma...

- Va bene, va bene, L'accontento. Lei vive a Torino. Cosa faceva stamattina? -

- Mi radevo, come sempre. E guardavo il telegiornale. Avevano questo buffo servizio su una zona di guerra... – Un sospetto attraversò il volto dell'uomo – Ehi, ma era proprio come questa zona... Era questa! Era... - 

Il giornalista cercò invano di lisciarsi uno dei cornetti di ciocche, ma infine annuì al soldato.

- Come avete visto, cari telespettatori, la guerra esige un terribile tributo alla mente umana. Pur di negare un fatto, essa ricerca le più raffinate fantasie... - 

Luca annuì col doppio mento che tremolava, confuso. Volle alzarsi per prendere altra coca cola, ma scoprì che non riusciva a staccare l'attenzione dallo schermo della tv. Si appellò a ogni suo grammo di forza per distogliere lo sguardo, ma sentiva gli occhi incollati, vincolati per le pupille da un filo invisibile che lo incatenava al tubo catodico. Con lentezza, la filigrana dello schermo si contorse, si modellò. Scese gocciolando dal recinto di plastica dell'hardware: un flusso di dati nella forma di un fluido luminescente. Luca intravide riflesso i colori e il suono del telegiornale. Poi quel vomito di bit e megabit gli morse la caviglia, gli risalì il ginocchio. L'inguine divenne freddo, in quella melma intelligente. Prima che potesse solo afferrare quanto succedeva Luca vide il fluido soffocargli la gola, il mento. Avvolgerlo in un bozzolo d'immagini sconnesse e spezzate.
Scomparve nel suono di un silenzio sbigottito. Inghiottito dal televisore.
E riapparve nella sua maglietta sporca, un piede infilato nell'infradito e l'altro no. In pantaloncini corti, nel mezzo di una strada devastata dall'artiglieria. La carcassa sventrata di un autoblindo bruciava, mentre mezzo metro distante diversi cadaveri imputridivano sotto il sole africano. Luca si girò, ansimando. Com'era possibile? Com'era... Calpestò col piede nudo un chiodo arrugginito. Inciampò, urlò e rotolò nella polvere. Singhiozzando, si sedette in ginocchio. La strada apparteneva a una città africana. I cartelli stradali erano vergati in arabo, le case basse e dal tetto piatto. Ogni finestra aveva le serrande sprangate. Uno scalpiccio di piedi attirò la sua attenzione. Balbettò:

- Ma questo è un incubo, un fottuto incubo! -

Una decina di guerriglieri gli correvano incontro. La pelle nera rivestita di caffettani colorati, turbanti rossi avvolti sulla testa. Sparavano alla cieca con mitragliette cinesi, mentre l'ultimo in coda trasportava un rpg. Il loro capo era un nero gigantesco, la cui canottiera strappata mostrava muscoli scolpiti. Diversi denti in argento gli brillavano nella bocca. Maneggiava un machete sozzo di plasma e pezzi di carne umana. Si fermò e con lui l'intera banda. Lo puntò col dito.
Luca, nello shock, riconobbe il colore rosso della banda, i tatuaggi tribali. Era il fronte di liberazione! Il fronte del telegiornale... Stette per dire qualcosa quando il nero alzò il machete.
Vide il cielo rotolare su e giù, poi sbatté le palpebre. L'ultima cosa che vide fu il suo corpo decapitato tra le risate dei guerriglieri.

venerdì 5 giugno 2015

Conan il pirata (Fantacollana 26)


Conan il pirata nell'ordine cronologico della vita di Conan è il terzo volume della Fantacollana, dopo il grugnito adolescenziale di Conan! e le avventure tra i ghiacci di Conan il cimmero.
Dopo la nobile professione del ladro, del guerriero, del mercenario prezzolato, del sicario, del capitano delle guardie di palazzo di re/regine/imperatori che prontamente gli muoiono tra le braccia, Conan intraprende una ruspante carriera piratesca. A dire il vero l'attività di pirata compariva già in Conan di Cimmeria, nel bel racconto La Regina della Costa Nera, ma in questa terza raccolta i temi pirateschi sono più frequenti. 

Leggendo Howard sto cercando di non esagerare; non voglio “stancarmi” del mondo hyboriano tanto presto, sciaguratamente abbuffandomi su quanti più racconti possibili. Cerco quando possibile di alternare con altre letture – e non è facile, considerando che sono anche sotto esami, e sono anche intento a scrivere di mio racconti, e sono anche sotto commissione di un paio di recensioni – tuttavia davvero non voglio dover aprire il prossimo volume della Fantacollana con basso entusiasmo, col pensiero “boh leggiamolo dai, così facciamo in fretta la recensione e aggiorniamo sto' blog!”. Pianificare gli articoli del blog e portarsi avanti con la scrittura è sempre un'idea saggia, ma non bisogna mai costringersi alla lettura di alcuni romanzi, di alcuni saggi con l'unica motivazione di recensirli altrove. Leggete perché vi piace quello che state leggendo, e lasciate l'obbligo della lettura ad altri ambiti; lavoro, studio, editing ecc ecc
Tutto ciò per rimarcare ancora che ho tutta l'intenzione di continuare la lettura dei volumetti hyboriani, ma con tempi e modalità lente, senza volersi affrettare.

lunedì 1 giugno 2015

Stampanti 3D e giochi di miniature in scala 1/1: Home Raiders, Panzerfauste


Siamo ancora agli albori di quanto si potrebbe fare con le stampanti 3D.
Prendiamo solo i giochi di miniature – tabletop wargaming, per usare l'espressione inglese, che risulta più azzeccata, più settoriale. Al momento si usano le stampanti per tagliare i costi di produzione, proporre miniature su “ordinazione” e permettere alle aziende di medie dimensioni di produrre miniature al doppio della normale velocità. Ma al di fuori d'occasionali tentativi di offrire direttamente ai giocatori i mezzi per creare le loro miniature, il processo resta molto tradizionale: si producono giochi fantasy, che imitano il colosso Warhammer, o scelgono la strada del fantasy “generico”; oppure si producono giochi sci fi, che imitano il futuro di tute potenziate e alien(i) tracciato da Heinlein&Warhammer 40000. Occasionalmente, si tentano strade diverse, ma pur sempre nell'alveo di prodotti convenzionali: lo sci fi ultra stilistico d'Infinity, il mash-up di Malifaux, il cyberpunk di Hint, e di tanti altri. Ma sopratutto si continua a fare l'occhiolino alle grandi produzioni, come a sottolineare al giocatore continuamente, che sì, non c'è problema, abbiamo il nostro sistema di regole, ma l'importante è che puoi usare questo generico soldato-spaziale-con fucilone per il tuo gioco “grande”, che sia l'ennesimo imperatore sul trono, o il jedi di turno, o l'agente cyberpunk della Corporation...
Al di fuori della Wyrd Entertainment, chi cerca davvero d'offrire giochi con una loro anima, una loro identità, slegati dai soliti setting... Sono piuttosto rari.
Quanto sarebbe bello un gioco da tavolo ambientato ai giorni nostri, magari con un piglio horror che rubacchi dalla body horror del primo Cronenberg, con bande di derelitti dalla carne fusa con televisori&co in lotta contro sette barkeriane? O quanto sarebbe bello un gioco che riproduca con scala 6mm una moderna riot, incorporando gli ultimi studi sul comportamento delle folle e il loro controllo (con magari due giocatori, l'uno che protesta, l'altro che argina la massa?). Certo, giochi difficili. Da realizzare e tradurre in meccaniche convincenti. Tuttavia, sperimentare con scale e modelli diversi è ora possibile, rischiando infinitamente meno rispetto al passato. Sono convinto che più andremo avanti, più vedremo modelli e prototipi decisamente distanti dagli schemi convenzionali.

Videodrome, artbook.