martedì 28 gennaio 2014

Selvaggi del Congo in redingote rossa


Sapete cos'è un cappello a tuba, giusto? Un cilindro, se preferite quest'altro termine.
Un capo dell'abbigliamento virile e fondamentale, dall'indubbia (im)praticità. Ne ho già parlato.

L'abito fa il monaco. E' un detto trito e ritrito, ma non sarà mai ripetuto a sufficienza. Nel passato il monaco è monaco perché indossa quella tunica che il popolino riconosce monacale. Quest'aspetto viene ulteriormente esasperato dall'ancient regime in età classica (1500-1700) fino a esplodere nella Rivoluzione Francese, quando sembra finalmente svanire sotto la nappa e il calzone dell'orgogliosamente povero sanculotto. Tuttavia, quest'idea rimane... il vestito denota la classe, la civiltà distingue il cittadino dal selvaggio perché il cittadino prima di tutto veste, e veste bene.
In età contemporanea, questa funzione del vestito come "divisorio" è andata persa definitivamente a favore del grigiore sconfinato dell'abito casual; e tuttavia un'ossessione sotterranea persiste, anzi si accentua sempre di più: non conta la forma del vestito, ma la qualità del tessuto. Traspirazione, ergonomicità, aggeggi high tech: a distinguere ricco e povero è ora sudore e puzza.

Come osservava on tono più generale Tocqueville, la Borghesia “ I cittadini che hanno distrutto i privilegi di alcuni fra i loro simili (..) si trovano di fronte alla concorrenza di tutti. Il limite ha cambiato forma anziché posto”.


Buffo, no? L'aspetto interessante è come quest'ossessione per il vestito venga facilmente esportata all'estero, nelle terre di conquista coloniale. L'Africa Nera. 
Colonizzazione e imperialismo si sono sempre mossi su tre principali direttive, le cosiddette tre grandi Emme
  • Missionari
  • Mercanti
  • Militari
Quale M è la più importante? Senza dubbio non la terza, come potrebbe ingenuamente pensare uno dei tanti annoying AntiOccidentali che infestano l'odierno Web. E' difficile se non impossibile basare una conquista coloniale sulla sola forza delle armi; occorre cambiare la popolazione, modificarne gli atteggiamenti, conquistarli al progresso che si vorrebbe esportare. In tal senso l'operare del missionario è insidioso, sottile, ma virulento più di ogni morto ucciso dal soldato straniero. E in quest'operazione di fusione dell'atteggiamento spesso animista del selvaggio con il cristianesimo, il missionario, in accordo con il mercante non poteva restare insensibile al passaggio dell'Epistola di S. Giacomo, II, 55

Vestire gli ignudi "

Un'applicazione letterale, ma se considerate quanta valenza aveva (ha) ancora, il motto l'abito fa il monaco, si può comprendere quest'ossessione di missionari e governatori di vestire i selvaggi, trasformare i selvaggi modificandone puramente l'aspetto esteriore. Una graduale trasformazione dell'essere attraverso l'apparire. La civilizzazione del popolo perduto si manifesta vestendolo con l'abito borghese transnazionale.

lunedì 27 gennaio 2014

In prima fila, stronzetto!


Quando studiavo diritto, alle superiori, non mi rendevo conto dell'ironia insita nel termine "Consuetudine". Sbrigativamente presentata dal mio professore di diritto come un rimasuglio medievale, una formalità, una norma sociale, questa piccola postilla della Costituzione detiene in realtà più potere degli articoli fondamentali, anzi dall'alto della sua tradizione millenaria li donnina, li trasforma in burattini, schiavetti di una stronza dominatrice.

Perché la consuetudine? Cosa vorrete che sia, mi starete dicendo.
Dopotutto, come osservava sarcastico il mio professore, la consuetudine regola e governa quanto non è previsto dalla legge; in tempi evoluti (sic) come il nostro, non c'è nulla che non sia regolamentato, incarcerato in comma e virgolette a fine pagina. Usanze e consuetudini non sono leggi in senso stretto. Si adattano con il tempo. Quanto, specie in fatto di costumi sessuali, era inaccettabile vent'anni fa, viene ampiamente riconosciuto e nel comune assenso della comunità tollerato. Tuttavia, è in quest'espressione, in questo comune accordo che non richiede spiegazioni se non nell'opinione pubblica, che risiede il terribile potere della Consuetudine.

La norma sociale non è infatti trascurabile. Bisogna essere (volontariamente!) miopi, per ignorare che al di sotto di ogni legge, per quanto "alta" e "universalista" essa sia, c'è un ampio sotto bosco oscuro e taciuto di consuetudini, di normative non scritte, analfabete per scelta e vocazione, che suppliscono al carattere "inumano" della legge. Una legge senza un cittadino a cui applicarla non può esistere. Ma io aggiungerei: una legge e un cittadino non bastano, servono più cittadini che interagiscono, mettono in piedi un establishment sociale, che decidono di comune d'accordo che quella legge va applicata, modificata, interpretata in quel dato modo. La legge viene plasmata, creata effettivamente solo quando modificata dalla consuetudine. Giochino di parole: è la consuetudine a dettar legge.
Sono ragionamenti banali, che (quasi) tutti conoscerete già. Il dono, il regalo che non è vero "dono" se non viene rifiutato, accettato malvolentieri. La consuetudine che mette la mordacchia e agita la frusta sulla legge, che la sodomizza alle necessità storiche-politiche. Insomma, un ampio, gigantesco sottobosco di leggi sociali contrarie per un vizio di natura alla legge "ufficiale". Consuetudini diametralmente opposte a quanto propone la legge, ma che in un perverso giro di boa la rendono possibile.
(Scartando un regalo) Ma no! Non volevo questo regalo! Non dovevi! Guarda che mi vizi!

(A tavola) Mi passi lo zucchero? Ma certo, subito!

(Durante una Costituzione) Tutti gli uomini sono eguali!
Tranne gli sporchi negri, ovviamente. E le donne. E i poveri. E i nativi. E i cattolici. E i francesi. E gli italiani. E gli irlandesi. ... 
Yuzna Society
Una legge senza consuetudine è destinata ad affondare come un titanic universalista contro l'iceberg sommerso delle Consuetudini. Senza l'opposto della Consuetudine, la Legge rimane lettera morta per la società. Nel magnifico Horror "Society- la Società dell'orrore" del regista Yuzna, il protagonista scopre nell'inferno Raeganiano degli anni ottanta come l'upper class dei suoi genitori siano mostri non solo in senso figurato, metaforico: sono, a tutti gli effetti, dei mangiatori di uomini, dei cannibali sociali, degli alieni che divorano le classi più basse, che le succhiano per divertimento e supremazia. Nella splendida orgia di carne del finale, i mostri-genitori non si nascondono più, mostrano la propria oscenità come legge naturale delle cose. Yin e yang. Oscenità per affermare purezza. La Consuetudine-diavolo che alza la testa cornuta e afferma trionfante che senza di lei il Dio-Legge è cieco, inutile, sordo.

giovedì 23 gennaio 2014

A che serve un cappello a cilindro?


La tubatura è l'ossatura di ogni buon apparato industriale. Le tubature portano acqua, portano vapore sotto pressione, portano gas ecc ecc Definiamo tubo un solido cavo chiuso a sezione costante in forma e area, nel nostro caso un manufatto di produzione umana. Non dobbiamo dunque sorprenderci se in epoca vittoriana l'indumento maschile è tutto un tubo: s'infilano le gambe in due tubi, che si congiungono in un tubo centrale che permettono alla testa di spuntare nel terzo tubo, che è il cappello a cilindro. O cappello a tuba. Appunto.

Un mio amico era fermamente convinto che il cappello a tuba servisse a portarci dentro i panini delle merende. Il borghese infilava in quello spazio vuoto del cappello i sandwich per il gioco di carte delle tre o l'usava come tasca improvvisata per portarci oggetti.
Per questo sai, avevano sempre i capelli sporchi...
Quella vecchia tuba...
Emh, ovviamente no, e poi no! Il cilindro non era il portavivande. 
L'idea è tuttavia interessante perché si attacca tenacemente all'idea che ogni oggetto debba per forza avere una sua funzione utilitaristica, pragmatica. Consola l'uomo moderno perché gli fornisce quest'idea che perfino la storia del vestito possa considerarsi un lento progresso dell'animo umano: dalle toghe romane ai cilindri dell'ottocento, all'assoluta praticità dell'indumento contemporaneo. Una lenta evoluzione. Falso. Un vestito non ha solo una funzione utilitaristica, ma più si recede nel tempo, più acquista una valenza simbolica: il cappello a tuba non ha altra funzione se non nel suo essere un cappello a tuba
E' inutile, profondamente inutile. Dunque, se ti puoi permettere di indossarlo, vuol dire che sei spaventosamente ricco, che ti puoi permettere qualcosa di inutile, sfarzoso e tronfio. Il cappello a cilindro è tutte queste cose. Non a caso ho sempre trovato buffo come i movimenti anarchici/comunitari/hippie disegnino il capitalista sfruttatore come una caricatura retrò del borghese di metà Ottocento. 
Giacca, panciotto, sigaro texano e cappello a tuba. Pensate al grande Zio Paperone, che non a caso vive l'infanzia a fine Ottocento. I magnati della finanza, i “lupi” di Wall Street, i grandi banchieri, le Star dell'elettronica... Si vestono così? Magari! Domina il vestito casual, il “sono uno di voi”, tanto sfacciato quanto osceno. Si rifiuta il proprio ruolo.

mercoledì 15 gennaio 2014

Ripper Street (serie tv) - Qualche osservazione


Ripper Street è una serie tv che in onda dal 2012 ha conosciuto un buon successo, guadagnando una seconda stagione e accumulando un certo numero di fan, che hanno giustamente protestato alla chiusura della BBC in anticipo sulla terza serie. Se siete fan, c'è una raccolta firme ancora in corso Qui

To rip: squarciare, strappare, lacerare. L'azione che apre, che scarta un involucro. Lo squartatore, per l'appunto, squartava: nel senso che apriva i cadaveri, li svuotava come sacchi della spesa. Ripper street dunque; nel senso banalissimo delle strade che appartenevano alla leggenda del Ripper, di colui che “apriva”, squarciava. Ma possiamo in un certo senso, alzare l'asticella della metafora e pensare al titolo della serie, Ripper Street, come una metafora dell'intento nascosto della serie tv; nel panorama idilliaco, nostalgico, miope delle produzioni ambientate nell'Ottocento, Ripper Street spicca per una precisa volontà punitiva: di volta in volta le uccisioni, gli assassini, i gialli vengono ricondotti al marcio della società, un marcio “nascosto”, avvolto nella pelle della società perbenista altoborghese. Lo squartatore “apriva” prostitute; e queste sfortunate donne erano letteralmente recipienti, contenitori in cui il borghese vomitava (eiaculava?) il male che compiva ogni giorno nei confronti della moglie sottomessa, dei figli spediti in guerra, degli operai che opprimeva. Le produzioni della BBC sono essenzialmente composte, neoclassiche. Confidano più nella trama e nelle capacità degli attori che negli effetti speciali. E fanno bene, ovviamente. Fanno benissimo. Eppure, spesso permane un fondo conciliante, dal nasino volto all'insù, a bere te “inglese” in tazzine di porcellana senza chiedersi dove provenga la porcellana per la tazza, l'erba indiana per il te “inglese”. Ostentando un'indifferenza malcelata.
Quest'indifferenza in Ripper Street scompare. 
La serie infatti si sporca le mani con ogni genere di schifezza; nella prima stagione (sto attaccando a guardare la seconda) succede di tutto: anarchici russi che fomentano operai in sciopero- il fantasma della gloriosa Comune di Parigi che tormenta la classe politica- la circolazione dei primi snuff movie pornografici, ma declinati nell'ambientazione “egiziana” che andava effettivamente in voga nelle foto “hard” del tempo, veterani con trauma da guerra dal sanguinosissimo conflitto nel Sudan, intrighi all'ombra dei primi colossali Transatlantici e ovviamente una miriade di Serial Killer emuli dell'immortale Red jack.

martedì 7 gennaio 2014

Operazione Sarajevo (2)

Spero vi diverta! :-D Fatemi sapere! 

Andras strinse l'indice sul grilletto della pistola, ma questa scalciò a vuoto. Una fiammata eruppe dal caricatore. 

Inceppata! Fasz! Fasz! Fasz! ...*

L'ufficiale aprì il cilindro della pistola, prese a ruotare il gigantesco caricatore per cercare il proiettile calibro 7.65mm. Disincagliare la cartuccia esplosa dalla delicata molla che lo immetteva nella canna corrispondente...

Non il primo, non il secondo, non il terzo

Il tuono di un trombone scaricò un ciclone di sale grosso e sassi a pochi passi dalla sua posizione, gli stracciò pantaloni e stivali. La pistola gli sfuggì di mano, rimbalzò sul terreno. L'otturatore scattò di nuovo, le multicanne rovesciarono un torrente di piombo sui primi assalitori alla carica. Una nube di terriccio sommerse i bersagli. Andras sputacchiava, riverso sulla schiena. Nel fumo dell'esplosione sentiva un serpente giacere sulla pancia. L'afferrò, lo portò all'altezza degli occhi. Erano budella dilaniate. La gabbia sventrata di una cassa toracica affondava nella terra. L'arcata inferiore di una mascella, i denti allineati in grovigli di cartilagine mordevano le dita mozzate di un braccio esploso dai pallettoni. I serbi superstiti esitarono, scompaginati. Andras rotolò sul ginocchio, estrasse una derringer dallo stivale, prese la mira. Sparò nell'occhio del serbo più vicino, poi spostò la mira di pochi centimetri, dilaniò il gozzo di un secondo, azzoppò un terzo. I serbi scalpicciarono in ritirata verso la foresta, ma una voce baritonale, dalle cadenze rabbiose li ricacciò indietro.

- Взять его! E' solo e voi siete tanti! Prendetelo! -

Andras riconobbe le parole in russo, concentrò raggelato lo sguardo verso la silhouette metallica che si faceva strada di ramo in ramo dalla foresta. Era un uomo dalla lunga barba bianca, il capo maniacalmente rasato, che sfiorava i due metri di altezza. L'uniforme azzurro sporco esibiva le mostrine di alto ufficiale zarista. Picchiò pugno contro pugno. Gambe e braccia erano state amputate, rimpiazzate con arti metallici, raffinate riproduzioni di muscoli, avambracci e deltoidi in rilievo, sagomati con brutale martellio di fabbri. I pugni in acciaio damascato in argento erano arrugginiti, ma stritolarono con schiocco di meccanismi a molla il ramo della conifera più vicina. Si diresse con andatura claudicante verso i serbi superstiti.

- Herr Andras Kovacs! S'arrenda e forse non le caverò gli occhi per mio diletto! - 
Pronunciò sillabando le parole in un tedesco comprensibile, ma sgraziato.

Alto ufficiale zarista agente sobillatore probabile volontaria amputazione di entrambe le braccia per entrare nel corpo corazzato monarchico probabile presenza di doppio cannone nell'avambraccio destro, mimetizzato nelle bocche dei leoni ringhianti probabile soluzione all'attuale situazione? Suicidio

- Fottiti cane zarista! E si fotta la vostra tirannia di degenerati! -

Andras scattò a correre di tre metri in avanti a destra. Nella finestra temporale di pochi secondi che aveva calcolato sparò i tre proiettili rimasti nella guancia del colosso. L'ufficiale alzò di scatto il braccio sinistro. I tre dardi rimbalzarono sulla piastra del bicipite, scheggiando la patina dorata. A sua volta l'uomo macchina balzò in avanti con ampie falcate che gocciolavano olio nero sull'erba. Andras voltò la schiena per cercare la salvezza nel fiume, ma l'ufficiale zarista lo afferrò per il colletto, alzandolo a mezzo metro da terra, guardandolo divincolarsi come un gatto preso per la collottola.

- Sei rapido, piccolo ungherese sfrontato. E sembri dimenticare che la tua stessa patria, l'Ungheria, non è altro che l'ennesima nazione soggiogata dagli Asburgo. Siete cani di un imperatore debole. Ora, potrei ucciderti subito, ma voglio conferma a quanto hanno sentito le nostre spie a Budapest. E' vero o non è vero, che sapete del progetto della Nostra Santa Madre Russia -

- Non so nulla, feccia. I piani deliranti del vostro Macellaio infedele non m'interessano -

L'ufficiale ringhiò, un filo di bava gli scese dai denti affastellati in un ghigno. Con il braccio libero, mosse le dita in una precisa sequenza. Due unghioni affilati sibilarono dall'incavo dei leoni ringhianti nel braccio. Il zarista conficcò i due unghioni nella spalla dell'uomo. I banditi serbi si allontanarono di scatto di qualche metro, sul viso un'espressione d'orrore. Andras gridò, balbettò un fievole assenso. Un lento flusso di sangue zampillò dallo squarcio, le due lame ancora avvinte nella carne.

- Sappiamo che volete lanciare un attacco di massa passando dalla Moldavia per poi gettarvi a corpo morto contro le province asburgiche. Si parla di milioni di soldati pronti all'imbarco sugli aerostati che andate fabbricando in Ucraina. Nel frattempo le vostre cellule terroristiche in Serbia sotto la copertura della Mano Nera e in accordo con il governo Serbo daranno il via a violente agitazioni nelle zone di confine e in Bosnia. Attentati di ogni tipo. La dichiarazione di guerra alla Serbia sarà un atto a dir poco obbligato, se non vogliamo perdere la faccia -

- Quali attentati, Andras! Quali? Contro chi? -

- Contro l'erede al trono, Francesco Ferdinando. Operazione … -

- Operazione? -

- Operazione Sarajevo -

- Ma brava la nostra spia! - Si congratulò con voce querula l'uomo macchina. 
Estrasse con fiotto rosso le due lame, le avvicinò con lentezza alla gola scoperta dell'ufficiale ungherese. Le inclinò per meglio sgozzarlo. Un sibilo penetrante echeggiò fra le montagne rannuvolate. Andras e l'ufficiale zarista alzarono il viso e inquadrarono un punticino a chilometri nel cielo. Si avvicinava a grande velocità, assumendo di metro in metro la silhouette slanciata di un uomo che volava. Prima che fossero passati pochi secondi atterrava sulla testa di un bandito. I piedi in ferro sagomati a zampe di aquila sfracellarono la testa all'impatto, ammorbidirono l'arrivo nel caldo abbraccio degli organi dell'uomo. Dalle viscere, emerse una sagoma che ricordava nell'aspetto una tuta per sommozzatori. Articolazioni in gomma indiana, un casco che l'uomo aprì con le chele all'estremità prensili delle braccia avvolte nel metallo. Un motore dall'aspetto di due razzi accoppiati eruttava fumo dalla schiena. La testa era umana, un uomo giovane con baffetti tagliati alla perfezione, un sorriso smagliante. Un neo falso ammiccava dalla guancia destra.

- Felloni slavi! - Urlò in un tedesco dalle vocali aperte, venato di una forte musicalità. - Mollate quel coraggioso ufficiale! Altrimenti SbadaBuuuuum Bam! FiriiiiUUU! - 
Urlò le ultime sillabe onomatopeiche con viso composto e immobile, come se recitasse a teatro.

Ma parla sul serio? Ma che

Nel momento stesso in cui recitava puntò il braccio destro. La chela esibiva nel palmo di cuoio un cannoncino puntato al volto dell'ufficiale zarista.

- Ma tu chi cazzo sei? - Domandò questi.

- Sezione Speciale per la Difesa della Patria Italica. Faccio capo al magnificatissimo Marinetti. Sono Corrado Machiavelli, Futurista di nome e di professione. Mi chiamano L'Uomo di Latta, ma io preferisco la dicitura americana: Iron Man! E quell'ufficiale di nome Andras Kovacs è mio. Non si preoccupi, signore – Aggiunse, rivolto all'ungherese, esangue per la perdita di sangue – Le faremo solo un paio di domande -
Andras sospirò.

- E chi si muove? - Rispose.

Un serbo ch'era strisciato dietro a Corrado tentò di pugnalarlo alla giuntura delle gambe. Il futurista reagì sparando verso l'ufficiale zarista, che gettò Andras a terra. Il primo pallino del futurista gli sfracellò l'orecchio, ma il russo caricò in avanti e i due uomini-macchina sbatterono ferro contro ferro, le chele che intrappolavano gli unghioni, muscoli a molla e servomeccanismi che sudavano olio a fiumi.

Gattonando, Andras avvolse la spalla ferita nello strappo dell'uniforme e con passi lenti cominciò a strisciare lontano dallo scontro.

Italiani! Fra tutti i pazzi in questo mondo di pazzi, proprio un futurista...   

Continua...

* C'è davvero bisogno che traduca dall'ungherese? ^^

mercoledì 1 gennaio 2014

Operazione Sarajevo (incipit)


Primo giorno dell'anno nuovo, mi sembra doveroso iniziare con un racconto. Il mio primo tentativo di usare un flusso di coscienza, non so quanto sia stato efficace, anzi ne dubito.... Ce ne sono a pacchi in Madre Londra di Moorcock e lì sono usati davvero con grande maestria.
Se vi va, commentate che vi sembra.

La carrozza.
Bam!
Quella. Dannata. Carrozza.

Ora vomito, ora non vomito, ora vomito, ora non vomito il purè di patate a colazione pessima idea no dai perché tutte quelle salsicce poi stronza la locandiera belle poppe però dio dio dio non voglio vomitare nella tuba regalata da mia madre buona anima sua che cazzo locandiera del cazzo scommetto complotto sarà ebrea ma le hai sentite le ultime no dai guerra sicuro guerra guerra porco porco no dai ora vomito

Bam!
L'ufficiale sobbalzò, si strinse la pancia. Emise un lungo gemito soffocato, un grido gutturale di cagnolone in pena. Strinse i denti gialli di oppio, deglutì più volte. Ricacciò la bile in gola.

- Ehi! Vogliamo fare attenzione laggiù, per dio! Ho pagato, per questo viaggio, cocchiere! Non sono un sacco di patate! -

Il cocchiere si limitò a stringersi il cappellaccio in testa, lo schioccare della frusta sui cavalli era l'unico suono nello stretto abitacolo foderato di velluto rosso. L'ufficiale si massaggiò la pancia con i guanti in velluto bianco. Il corsetto da parata stringeva sull'inguine come un gigantesco silicio, un cerchio di spunzoni incandescenti. Strisciò gattoni verso la finestra, sbirciò il panorama di conifere avvolte nella nebbia, casupole di paglia, muretti a secco per custodire le greggi. Un pastorello quindicenne con uno schioppo al fianco e più rughe di molti veterani dell'esercito custodiva una mandria di maiali.

O almeno penso siano maiali cioè dove l'avevo letto Serbia esporta maiali nient'altro che maiali ah quanto ci odiano solo perché abbiamo alzato le tariffe stupida guerra tariffaria tutto per dei cazzo di maiali ora ci odiano ma dico io dico dico io sembra il medioevo ci scommetto che se gli regalo un sapone lo mangia stupida Serbia stupida Serbia Conrad Hotzendorf aveva ragione guerra preventiva contro tutti Serbia e Italia altro che Imperatore e dignitari e pace pace pace mai una guerra da Sadowa ma guarda che zanne ci scommetto che sono cinghiali ah quelle salsicce a colazione dannata locandiera dannata carrozza

L'ufficiale manovrò a fatica giù il finestrino della carrozza, con le mani che tremavano gesticolò verso il cocchiere. Raggrumò la fronte a contatto con il vento invernale. La cima del Midzor era del candore di una gentildonna viennese a una serata di gala. 

- Ehi tu! Ehi! Sono Andras Kovacs, ufficiale ungherese dell'imperatore Francesco Giuseppe! Non lo sai, forse? Vogliamo rallentare, plebeo, per dio? -

- KoJi kurac te jebe? -

Bam!
Un proiettile gli fischiò all'orecchio. Dall'alto di una rupe che costeggiava il sentiero un uomo prese a ricaricare con gesti lenti un antiquato fucile ad avancarica. Andras girò la testa e scorse nel profondo del bosco una ventina di banditi emergere dalle fronde in una confusa massa di pistole, bombe dalle micce che sfrigolavano, tromboni arrugginiti. Insultavano, ridevano. Correvano sparando verso la carrozza. Il cocchiere alzò la frusta per aizzare i cavalli a correre più veloci. Un proiettile vagante gli scoperchiò cappello e calotta cranica. Andras cercò di tenersi in piedi mentre la carrozza procedeva in folle.

- Ah eccoti qui – Borbottò, alzando il cane di una pistola multicanne artigianale. La pistola gli scalpitò nelle mani. Un denso fumo di cordite e zolfo annerì l'aria, prima che per il rinculo Andras finisse capoccioni sul pavimento della carrozza. Un brigante serbo dal pellicciotto di pecora gridò afferrandosi le gambe sforacchiate, mentre un suo compare stramazzava nel fango, uno ginocchio sfracellato dal proiettile.

- Oh no Oh no Oh no – Andras strattonò con mano sudaticcia la leva della carrozza. Il gelo dell'alba aveva ghiacciato i cardini in una fredda morsa. Spalla in fuori si gettò in avanti con i suoi oltre cento chili di bevute nelle birrerie di Budapest. La portiera si staccò dai cardini con uno schiocco. Nell'istante prima che i cavalli schiumanti si gettassero folli di paura nelle fredde acque del fiume, l'ufficiale ungherese alcolizzato in missione segreta Andras Kovacs rotolava incolume sull'erba della riva, pistola in mano.

Continua... (Forse)

* Nella battaglia di Sadowa (1866) le truppe prussiane sconfissero l'esercito austriaco, ponendo di fatto fine a ogni influenza asburgica sugli stati germanici “meridionali” e portando all'Ausgleich del 1867, con l'effettiva nascita dell'Austria- Ungheria. Da quel momento in poi la politica espansionistica sarà condotta mediante una sfrenata attività diplomatica, mentre i tentativi in senso militare verranno fino alla Prima guerra Mondiale scoraggiati da Francesco Giuseppe.

** Nella guerra dei maiali (1906) l'Austria chiuse le frontiere alla Serbia per l'esportazione del bestiame, sua principale ricchezza, in seguito a un ordinazione della Serbia di materiale bellico a una ditta francese anziché alla Skoda in Boemia. La Serbia da quel momento in poi scelse la strada dell'indipendenza economica dagli Asburgo, mentre nella popolazione serba sorgeva un forte odio per l'imperatore.