Quando studiavo diritto,
alle superiori, non mi rendevo conto dell'ironia insita nel termine
"Consuetudine". Sbrigativamente presentata dal mio
professore di diritto come un rimasuglio medievale, una formalità,
una norma sociale, questa piccola postilla della Costituzione detiene
in realtà più potere degli articoli fondamentali, anzi dall'alto
della sua tradizione millenaria li donnina, li trasforma in
burattini, schiavetti di una stronza dominatrice.
Perché la consuetudine?
Cosa vorrete che sia, mi starete dicendo.
Dopotutto, come osservava sarcastico il mio professore, la consuetudine regola e governa quanto non è previsto dalla legge; in tempi evoluti (sic) come il nostro, non c'è nulla che non sia regolamentato, incarcerato in comma e virgolette a fine pagina. Usanze e consuetudini non sono leggi in senso stretto. Si adattano con il tempo. Quanto, specie in fatto di costumi sessuali, era inaccettabile vent'anni fa, viene ampiamente riconosciuto e nel comune assenso della comunità tollerato. Tuttavia, è in quest'espressione, in questo comune accordo che non richiede spiegazioni se non nell'opinione pubblica, che risiede il terribile potere della Consuetudine.
Dopotutto, come osservava sarcastico il mio professore, la consuetudine regola e governa quanto non è previsto dalla legge; in tempi evoluti (sic) come il nostro, non c'è nulla che non sia regolamentato, incarcerato in comma e virgolette a fine pagina. Usanze e consuetudini non sono leggi in senso stretto. Si adattano con il tempo. Quanto, specie in fatto di costumi sessuali, era inaccettabile vent'anni fa, viene ampiamente riconosciuto e nel comune assenso della comunità tollerato. Tuttavia, è in quest'espressione, in questo comune accordo che non richiede spiegazioni se non nell'opinione pubblica, che risiede il terribile potere della Consuetudine.
La norma sociale non è
infatti trascurabile. Bisogna essere (volontariamente!) miopi, per
ignorare che al di sotto di ogni legge, per quanto "alta" e
"universalista" essa sia, c'è un ampio sotto bosco oscuro
e taciuto di consuetudini, di normative non scritte, analfabete per
scelta e vocazione, che suppliscono al carattere "inumano"
della legge. Una legge senza un cittadino a cui applicarla non può
esistere. Ma io aggiungerei: una legge e un cittadino non bastano,
servono più cittadini che interagiscono, mettono in piedi un
establishment sociale, che decidono di comune d'accordo che quella
legge va applicata, modificata, interpretata in quel dato modo. La
legge viene plasmata, creata effettivamente solo quando modificata
dalla consuetudine. Giochino di parole: è la consuetudine a dettar
legge.
Sono ragionamenti banali,
che (quasi) tutti conoscerete già. Il dono, il regalo che non è
vero "dono" se non viene rifiutato, accettato
malvolentieri. La consuetudine che mette la mordacchia e agita la
frusta sulla legge, che la sodomizza alle necessità
storiche-politiche. Insomma, un ampio, gigantesco sottobosco di leggi
sociali contrarie per un vizio di natura alla legge "ufficiale".
Consuetudini diametralmente opposte a quanto propone la legge, ma che
in un perverso giro di boa la rendono possibile.
(Scartando un regalo) Ma no! Non volevo questo regalo! Non dovevi! Guarda che mi vizi!
(A tavola) Mi passi lo zucchero? Ma certo, subito!
(Durante una Costituzione) Tutti gli uomini sono eguali!
Tranne gli sporchi negri, ovviamente. E le donne. E i poveri. E i nativi. E i cattolici. E i francesi. E gli italiani. E gli irlandesi. ...
Yuzna Society |
I miei complimenti anche al nostro "giocattolino". Io vado matto per l'odore della... Caccia e il
gusto della... Suzione. (...) Lo sai, Bill, tu non sei mai stato uno di noi. Tu sei di una razza diversa dalla nostra, sei di un'altra specie, di un'altra classe. Non puoi essere uno di noi. Membri della famiglia si nasce. (...) No, non veniamo da altri pianeti, o cose del genere. Noi siamo dei terrestri, esattamente come te. E' solo una questione di addestramento, tutto qui.
simpatici sanculotti |
Qualche settimana fa, a
messa, osservavo un paio di banchi in avanti una famiglia nucleare
con un bambino piccolo, forse un primino della scuola elementare.
Sfogliavo placidamente il foglietto della messa domenicale,
bulimicamente assorto in pigre osservazioni sul pranzo che mi
aspettava. Il sacerdote, uno dei tanti, è passato e ha osservato con
voce in falsetto, sussurrando nascostamente alla coppia:
- Il bambino dovrebbe stare nelle prime file, è bello così -
- Il bambino dovrebbe stare nelle prime file, è bello così -
E' bello così. Quelle due
parole mi sono rimaste piantate in testa per tutta la messa. I
genitori hanno replicato con voce intrisa di vergogna che...
- Ci dispiace, la prossima volta faremo così, è lui a non voler venire -
- Ci dispiace, la prossima volta faremo così, è lui a non voler venire -
E' lui a non voler venire.
Sarà stato l'incenso, il dente avvelenato o cos'altro, ma mi sono
improvvisamente ricordato di quante volte veda la stessa scena a ogni
messa domenicale. Non c'è una Legge e non un vero motivo per cui i
bambini debbano stare nelle prime file. Sono sicuro che nei tempi
Pre-Concilio Vaticano II le famiglie nei banchi restavano
unite&solide, non si frammentavano a seconda dell'età. Ogni domenica, in qualche modo, si ripete sempre la stessa scena: il
bambino viene esortato a mettersi davanti, in prima fila, facendo
leva sulla vergogna della famiglia che non ubbidisce. E' consuetudine
che i bambini stiano nelle prime file, affermano. Sarebbe bello... E'
brutto se non ubbidite. Che poi il bambino voglia stare con il padre,
specie in un edificio dove si adora un Dio padre è un autentico
paradosso. Ma ci si potrebbe chiedere se questa consuetudine non
abbia un altro scopo simbolico. I bambini stanno nelle prime file, il
sacerdote spesso, se giovane, preferisce dialogare con loro, perché
"l'ingenuità de bambini è la verità del Dio padre".Sarà certamente , ma dagli studi in pedagogia il bambino ripete e assorbe quanto l'ambiente circostante insegna: che risponda e dica quanto l'uditorio si aspetta, non è una novità. Una verità costruita dalla società, impartita in un teatro costruito a pennello. La verità estorta dal bambino alla Predica è in effetti quanto il prete sta andando insegnando in quel momento. Questa presunta verità "interiore" a ragionare a mente fredda è quanto di più esteriore e costruito a tavolino possa esistere; e il cantiere in cui fervono i lavori è proprio lì, in quel momento esatto, nelle parole che vanno presentate e trionfalmente esposte come verità di fede. L'ideologia (usata nel senso che la usa il filosofo Zizek) viene impartita alle nuove reclute e ribadita e al contempo approvata dall'uditorio di fedeli, in quell'attimo di finta-domanda, finta-risposta. Al contempo, il bambino, il neofita non è solo il nuovo fedele; è un modello a cui deve aspirare il vecchio fedele, lo sfiduciato, il dubbioso. Il bambino non ha mai dubbi, egli obbedisce senza riserve. A citare lo Youtuber cinematografo Frusciante, che discute a sua volta Fulci nello splendido film "Non si sevizia un paperino"
" Però (...) Ti tende a far capire che la logica perversa della religione è sempre quella. Che tu uccida o no l'idea è sempre di farti restare un bambino per poterti comandare tutta la vita "
A costo di risultare orribilmente pomposo e noioso, non posso fare a meno di chiedermi: quante altre
volte Consuetudini, norme sociali che ci governano e vengono
presentate come “Legge” ci passano sotto gli occhi ogni giorno, e
vengono con bovino cenno della testa accettate come verità di fede?
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