lunedì 8 ottobre 2018

"Cassette Futurism": una rivoluzione brutalista 2/3


Lo ricordo come se fosse ieri

Ma non sembrava ieri, sembrava il domani.

Ricordo il futuro
È morto una generazione fa. 
Fede nel futuro, intendo. 
Fede nell'ingenuità umana.
Nella soluzione fornita dal successo delle tecnologie. 
Altre età hanno sacrifici umani – il sole, la ragione, il sangue di una gallina - l'Inghilterra aveva la grandezza (bigness) e la novità (newness), una novità che è ora vecchia, ma ancora capace di suscitare sprezzante meraviglia per la combinazione di prodezza tecnologica e ingenuità morale.

Capace d'indurre puro ottimismo e confidenza cieca.
Capace di suscitare ancora nostalgia per il progresso, non importa dove conduca.
Tutto è possibile.

Remember the Future (1997)

"Calendar for the Hungarian Insurance Company" (1992), di Boros-Sikszai

mercoledì 3 ottobre 2018

"Cassette Futurism": salvare gli anni Ottanta dai fanboy nostalgici 1/3

Vogel in the Penthouse, di boroszikszai (1995)

Nuova Zelanda, ottobre 1999
Su un altipiano battuto dai venti, cinque figure infreddolite avanzano avvolte nei mantelli. 
La prima, un uomo di mezz'età vestito di nero e con una spada alla cintura, conduce un pony macilento. 
Le altre quattro indossano panciotti e pantaloni di campagna e strascicano indolenti giganteschi piedi pelosi, a uno sguardo attento protesi di lattice.
Uno di questi giovani uomini giocherella in tasca con un oggetto dalla forma rotonda, con una scritta sovra incisa e verniciato d'oro: un anello.
Mentre i cinque uomini camminano verso una collina poco distante, una moltitudine tanto silenziosa quanto indaffarata si affanna alle loro spalle. E' una folla di braccia e gambe irta di strumentazioni tecnologiche: lunghi pali grigi, una rotaia in miniatura sulla quale manovra un'astronave mediatica con un gigantesco cannone-cinepresa e più cavi dei fili di una ragnatela.
Un ometto grasso e ricciuto, con niente più che una t-shirt in quel freddo polare, dirige questo concerto di attrezzature: le cineprese scattano a girare, espellono videocassette, schioccano i sibili di polaroid e macchine fotografiche. Quella scena surreale, quei quattro uomini intenti a camminare, sono sotto l'assalto di un invisibile, pachidermico behemot di silicio: un amalgama di nastri, di cavi, di microprocessori che lavorano tutti assieme per trarre quanto sarà la ripresa di un film.
L'ometto grasso è infatti Peter Jackson, l'uomo di mezza età Viggo Mortensen e infine i quattro giovani “hobbit” sono Eliijah Wood, Sean Astin, Dominic Monaghan e Billy Boyd
Il regista sta girando una scena tra le tante, ancora incerto se verrà utilizzata o meno: Grampasso conduce quattro giovani mezzuomini verso la collina di Amon Hen, dove subiranno un attacco notturno dai nazgul.