domenica 16 ottobre 2011

Marianne catturata a wall street


Avete presente quando vedete una foto o una scena che vi ricorda con incredibile dejavu un quadro o un'opera d'arte?
Ecco, la nuova Marianne
Molto significativamente la reincarnazione della Francia e della libertà per eccellenza compare in paese straniero, catturata da grassi poliziotti borghesi ^^

La vecchia libertà del furbo Delacroix: da notare posa ed espressione (e le tette, d'accordo :p)

La nuova libertà: sottomessa, palpeggiata e orrore! ben poco scollata
la somiglianza di posa ed espressione è notevolissima


lunedì 10 ottobre 2011

Risveglio

Donne, dirigibili e brutti contadini III capitolo

ho finalmente scritto un seguito del racconto. Su forum gw tilea sembra piacere, vedrò di continuarlo.
purtroppo continuano a mancarmi le informazioni tecniche necessarie!
Trovare libri su zeppelin e dirigibili continua a essere una ricerca vana e frustante!
Come fa la gente a NON adorare i dirigibili, non capisco. Dev'essere qualche oscuro complotto.

Sentiva il viso caldo, coperto di appiccicoso sudore. A fatica aprì gli occhi.
I raggi del sole a stento penetravano la fitta coltre di nuvole gialle.
Katherina tossì, sputando muco giallastro sul ponte.
Troppa erba? O forse erano le nuvole, gonfie degli umori dei gas asfissianti.
Si levò in piedi, strofinandosi le mani sporche di sangue secco sul vestito già sudicio. Doveva essersi addormentata sul ponte.
La pipa era rotolata poco lontano, e giaceva rotta, calpestata da qualche piede incauto.
Ne raccolse con cura i frammenti, mormorando qualche imprecazione.
Fosse stato possibile, avrebbe frustato i responsabili.
Mentre si piegava trattenne la nausea. A stento dominò il tremito alle mani brancolando per raccogliere ogni minima briciola della vecchia pipa. Maledetti bastardi...
Tentò di fumare lo stesso, sfruttando quello che restava del cannello di legno, ma il fumo si perdeva nel percorso, dissolvendosi in mille volute beffarde.
Gettò un' occhiata al suolo lontano. La terra era livida, un tappeto d'erba bruciata e annerita.
Piccole formiche nere che riconobbe dall'elmetto come soldati e operai trafficavano con cavi e catene, assicurando a terra un piccolo dirigibile rosso, dalle insegne mercantili.
Sterpi, radici divelte e crateri neri segnavano il passaggio alle terre selvagge.
Corone di filo spinato circondavano il perimetro, una striscia di terra gialla e avvizzita.
Colpa dei nuovi gas asfissianti? Pensò Katherina, con una smorfia.
- Ah il nostro capitano si è ripreso, vedo!-
La donna sospirò, riponendo in tasca i resti della pipa.
- Enrico! Efficente come sempre.-
Il sergente fece un sorrisetto compiaciuto, lisciando la giacca pulita e togliendo dalle spalline lucide inesistenti strati di polvere. Era mai possibile, pensò Katherina, esalando a stento un sospiro di sopportazione. Dovunque fosse, quell'uomo rimaneva impeccabile, racchiuso in un'uniforme di professionalità e sicurezza.
- Non è che hai una pipa di riserva, da prestare al tuo caro capitano?-
Il sorrisetto si spense.
- Fumare è sconsigliato da tutti i manuali, Katherina. Quanto a fumare erba sarebbe proibito.- Socchiuse le labbra in una severa linea di sottile intransigenza.
- Lo sai sul mio zeppelin cos'è proibito Enrico? L'imbecillità! Come il tuo caso.-
Il fiero cipiglio di Enrico divenne rosso dall'indignazione.
- Nel manuale del soldato della repubblica c'è scritto che...-
- C'è scritto che un soldato repubblicano dev'essere sincero, coraggioso, pronto a sacrificarsi anche quando è impossibile che vinca. Ah non dimentichiamo che non deve bere, fumare, scopare e un mucchio di simili altre fumanti caxxate-
Enrico strinse le mani che teneva appoggiate sul parapetto del ponte così forte che più di un'unghia si scheggiò a contatto con il legno levigato.
- Che c'è Enrico? Anche tu fumi, no? Cos'è questo improvviso rigore?-
- Sono stanco, capitano, esausto.- la voce era rabbiosa e Katherina alzò un sopraciglio perplesso al vedere il sergente così incupito.- Non capisci, perchè sei solo il capitano di questa nave, non comandi, addestri i soldati che mandi al macello.
Katherina alzò la mano e accennò qualche parola, ma Enrico rovesciava ormai un fiume in piena di parole.
- Li conoscevo quei soldati, uno a uno. Nome, carattere, storia, perfino cosa preferivano mangiare a mensa, dannazione. E tanto per cambiare li hai mandati a morire, fregandotene. E sarebbe bastato non giustiziare i prigionieri e forse la folla si sarebbe calmata, forse non avrei persò metà del plotone.-
- Ho fatto solo il mio dovere, nient'altro. E in ogni caso al porto ci forniranno nuove reclute per riempire i buchi, di che ti preoccupi? Soldatini di piombo da gettare allo sbaraglio ce ne sono sempre.-
Accennò una risata sarcastica.
Si voltò di colpo.
- Ma non capisci? Il resto del plotone è demoralizzato, con il morale a terra. Hanno perso, compagni, amici, e tu neanche una comparsata nella stiva a ringraziarli o a commemorare i caduti o...-
Katherina sospirò irritata.
- Non m'importa di fraternizzare con la truppa. Sono solo bruti senza cervello. Quanto al morale, mandali in qualche bordello di città e vedi come dimenticheranno tutto.-
- Sei come quei robot dell'Accademia. Senza emozioni.-
- Ti sbagli, invece. Se penso alla mia pipa rotta mi viene da piangere- Finse un'espressione addolorata, gli occhi sofferenti, le labbra piegate all'ingiù.
Enrico alzò gli occhi al cielo.
- Ti prego, evita la solita scenetta.-
- Dammi qualcosa con cui fumare e visiterò i tuoi uomini. Forse.-
Alla proposta Enrico sospirò prima di rovistare nelle tasche e passare alla donna vecchie carte di sigaretta d'arrotolare.
- Ehi! Avevo detto una pipa, sergente!-
- E io avevo chiesto un pò d'aiuto, non sarcasmo- ringhiò allontanandosi.
Che razza d'uomo rimuginò Katherina, tentando d'accendere una prima sigaretta. Da quando i contadini giocano al tiro a segno con catapulte costruite in casa? A questo ci aveva pensato?
Improbabile. La colpa era sempre sua, di Katherina, dell'insensibile capitano! Povero diavolo.

sabato 1 ottobre 2011

Gelida primavera


Inizio di racconto fantasy scritto qualche settimana addietro.
In attesa di limare e aggiustare la continuazione di "donne, dirigibili e brutti contadini" lo posto così integro ed essenziale.
L'ambientazione è la Bretonnia di warhammer fantasy, http://it.wikipedia.org/wiki/Bretonnia, non troppo dissimile dalla tradizionale ambientazione high fantasy.

la fin troppo gnocca emh scusate divina dama del lago^^

Gelida primavera



Giaccio, rinchiuso in questa fredda pelle di metallo.
Mi ricopre gelida in un manto d’impenetrabile acciaio.

Il respiro filtra dalla celata ornata di brina, effimero riflesso di una vita spenta.
Un fioco colpo di tosse, un sussulto del corpo torturato mi strappano dal sonno.
Serro le palpebre, contraggo i muscoli irrigiditi, costringo le vecchie articolazioni a muoversi.
L’alba illumina di un chiaro candore le cime dei pioppi, carezzando la foresta in lento risveglio, giocando strani riflessi nella vicina cascata. 


Cammino verso la cappella in rovina, le ossa che gemono sotto il peso dell’acciaio.

Il sole non riscalda, non fornisce il minimo ristoro.


Sotto le piastre sporche di verde e la cotta arrugginita il freddo continua a tormentarmi.

Custodisco la cappella da tempo interminabile.
Avevo forse vent’anni quando ebbro di gloria abbandonai terre e titoli, imbarcandomi nella sacra cerca.
Segni, presagi. Non mancarono certo. Chiari erano gli intenti della Dama, sublime la sua vista.
Di visione in delirio mi condusse alla sacra cappella. Muri scrostati dall’incuria, travi marce, paglia maleodorante.
Effigi di purezza e valore dimenticate da tempo, seppellite da ciarpame, strangolate dalla vegetazione.
Niente di più che un relitto risputato da madre natura.


Eppure chiari erano gli intenti della Dama: custodiscilo, mi ammonì più volte. 

Difendilo dalle crudeli creature del bosco. Questa sarà la tua cerca.
Per vent’anni ho custodito questo sacro luogo. 

Vent’anni di totale abnegazione, vent’anni di digiuni e preghiere.

Ho lottato contro mostri immondi più e più volte. Il mio corpo non è che un reticolo di cicatrici e muscoli nodosi.
Imprese gloriose a sufficienza per cento ballate ho compiuto. Qualcuno mai lo saprà? Ne dubito.
Non avrò figli, né nipoti che perpetuino la mia casata e allietino i miei ultimi giorni.
Nessun bardo commemorerà mai la mia scomparsa quando i corvi beccheranno il mio cadavere insepolto nel verde.
Vent’anni di automortificazione della carne, di feroce - nichilistica- autoreclusione.
Invano ho aspettato un segno, una visione, un’apparizione della Dama che mi mostrasse il passo successivo della mia gloriosa cerca.
Nient’altro se non il vecchio, beffardo insegnamento: custodisci la cappella, custodiscila con tutto te stesso.
E così ho fatto per oltre vent’anni, mentre lenta la giovinezza sfioriva e maturavano amarezza e triste rimpianto.
E dopo tanti anni non provo altro se non freddo rammarico.

Passi! Scalpiccio nella vegetazione umida.


Rumore di calzature ferrate, andatura da marcia.

A fatica mi sollevo dal pavimento su cui inginocchiato pregavo.


Dardeggio lo sguardo verso l’ingresso, mi affaccio con cautela.

Ancora nulla, devono essere lontani. 
Crack! Rumore di legna che si spezza, bestemmie soffocate.
Più vicini di quanto pensassi, dopotutto. Un lieve sorriso mi taglia la faccia.


Finalmente un po’ di sano divertimento.

Mano sulla spada, spalle e schiena rilassate, pronto a estrarre.

Scruto gli esili pioppi, aguzzo lo sguardo alla vana ricerca del nemico.

Il vento mi soccorre, portandomi odori di fumo e sudore rancido, carne marcia e feci.
Bestie, sogghigno, impugnando la spada e voltandomi in direzione del fumo.
Osceni mutanti, bestie degenerate che infestano i boschi incendiando i piccoli centri, minacciando le strade, assalendo viaggiatori e carrozze.
Pochi minuti dopo mi camminano davanti come bambini, sbucando da uno dei tanti sentieri nascosti nel sottobosco.
È un lampo di reciproco riconoscimento, un bagliore di sorpresa e pericolo.
Reagiamo all’unisono, in una mortale sincronia di spade e sangue. Mozzo la mano che vola disperata verso l’ascia in un tentativo di parata, accenno un fendente e con improvviso slancio squarcio la gola della bestia. Il gor che gli è dietro tenta d’impalarmi con una rozza lancia dalla punta in bronzo. Rido quando la punta si scheggia a contatto con l’armatura esplodendo in mille frammenti. Decapito con orribile risata il nemico e con una piroetta schivo il pesante fendente dell’ascia del terzo avversario, un robusto mutante che imbraccia una poderosa ascia a due mani.
Non c‘è tecnica nei miei colpi, né grazia. Solo desiderio di morte e annientamento.
Scivolo sul fango, vengo colpito alla spalla dall’ascia del mostro. L’impatto mi toglie il fiato, mentre lento il sangue comincia ad allargarsi sotto la cotta infranta. La vista è accecata dal sudore e da mille arcobaleni di dolore. Urlo e tento una stoccata alla cieca. La spada penetra nella carne, fuoriesce uccidendo la bestia sul colpo. 
Una mano sulla faccia, via il sudore, devo vedere l’ultima bestia, devo parare.
Arghhh... la mazza della bestia mi ferisce al petto, prima ancora che possa alzarmi, ancora inginocchiato nel fango e nel sangue.
Il pettorale attutisce il colpo, un paio di costole tremano all’impatto.
La spada, ancora incastrata nelle costole della bestia, che fare attento prova un fendente al capo, a quella distanza…
digrigno i denti e afferro l’uomobestia, gettandomi sul suo corpo, atterrandolo.
La creatura scalcia, estrae da non so dove un pugnale, lo fermo con il guanto in acciaio, la rozza arma penetra nel palmo, altro sangue, altra cicatrice, lo ignoro stringo ambo le mani attorno al collo del mostro e stringo, stringo, stringo, incurante quanto si dibatte con i suoi zoccoli, le sue urla così maledettamente umane…
Alcuni minuti e la creatura è morta, la gola nera con rivoli di bava rossa, quell'espressione di dolore così umana sul volto mostruoso.
La mia fredda armatura è lorda di sangue, umori, bava e immonde sostanze che colano dalle fenditure impregnando la cotta, i vestiti, la pelle.
Il viso è sporco di sangue nero, appiccicoso, appena sgorgato dai sacchi di sangue che ho appena forato.
E d’improvviso sento calore nel sangue che mi ricopre. Il freddo è andato, scacciato.
Il sangue è caldo e dolce al tocco e mai mi sento così vivo.