giovedì 28 febbraio 2013

Buoni propositi: 500 parole al giorno


Lo scrittore è ossessionato dal ritmo. Non dal ritmo del romanzo, ma dal ritmo di scrittura.
Caratteri e parole assumono velocemente un significato magico, se non taumaturgico ai suoi occhi.

Oggi ho scritto 1000 parole. Oh scusa, intendevo 1000 caratteri, spazi compresi.

Oggi ho scritto cinque parole, ma erano le conclusive del mio racconto.

Oggi ho scritto 452 parole, me ne mancano ancora 8 per concludere la mia tassa giornaliera!
E così via.

Come osservava lo chic Murakami nel romanzo autobiografico " L'arte di correre", la scrittura ha molti punti in contatto con la corsa.
Più ti alleni, più corri fluido. 
Più scrivi, più diventa facile organizzare capitoli e personaggi, collocare ognuno al proprio posto, avere con le parole sempre maggiore dimestichezza. 
Tuttavia, solo gli scrittori più validi possono ambire alla maratona. 
O meglio, al famigerato Nanowrimo.
Ne vogliamo parlare? Dei tantissimi- perché sono tanti- blogger che dichiarano che proveranno a scrivere il romanzo "nel cassetto" nel giro di un mese, per poi soccombere a metà strada, o esalare l'ultimo respiro nelle ultime settimane. Relitti impreparati, dal fiato boccheggiante.

Personalmente, non ho mai sento la necessità d'affrontare una maratona di scrittura. 
In parte perché consapevole dei miei onesti limiti, non solo nella scrittura, ma nel tempo vero e proprio a disposizione. Dall'altro, non credo che i risultati valgano lo sforzo. 
Non serve scrivere mille parole al giorno (stupido King docet) se poi si rivelano foriere di una marea di cattive abitudini scrittevoli, trasformando lo scrittore in un essere scimmiesco che pesta tasti a caso sulla tastiera per raggiungere sta benedetta quota prefissata.

A ragionare in questo modo, si finisce sempre per barare.
A scrivere muri di pov omnisciente (gulp!)
O paragrafi di continuo mieloso infodpump (doppio gulp!)
O a drogare i protagonisti di cattiva letteratura per farli finire dove vuoi, per meglio affrettare questo romanzo che sta rapidamente diventando un tormento...

Tuttavia...
Guardando un vecchio racconto fan fiction che mi trascino da oltre due anni su un forum, con commentatori che implorino che aggiorni dopo oltre cinque mesi d'assenza...
Considerando che "Donne, dirigibili e brutti contadini" si è arenato sulla sua scaletta iniziale, che all'entusiasmo dei primi mesi è subentrato un ritmo tanto lento quanto scarso...
Occhieggiando con vago timore la patina di polvere sui progetti iniziati e mai finiti, abbandonati a metà costruzione, come titanic trasformati in pescherecci arrugginiti...

Forse imporsi un tetto minimo di parole da scrivere al giorno, assicurandosi così di terminare tanti ambiziosi progetti non è forse un'idea così malvagia. Destino vuole, che in questi giorni finissi sulle
strategie evolutive del buon Mana. Che leggendo questo post sbirciassi il blog dell'istrionico Chuck Wending, infernale scrittore che all'appello ha parecchi saggi sull'arte di scrivere, o più prosaicamente, su come costringersi a scrivere. Opere in realtà raccolta degli articoli sul suo blog, che basta visitare alla seconda pagina per ottenere un primo consiglio.


mercoledì 20 febbraio 2013

Il tempo della guerra di Sapkowski, perplessità sullo stile.


E' un'abitudine piuttosto consolidata di una casa editrice iniziare a tradurre i primi volumi di una saga per poi interrompersi, forse perchè le vendite non supportano ulteriori sforzi in questo senso, forse perchè l'editore ha tirato un d20, e il risultato non gli piaceva.



Tuttavia, esistono eccezioni meritevoli.
Per quanto lentamente, la casa editrice Nord sta infatti traducendo ormai da anni la saga polacca di Sapkowski, un libro all'anno. Di questo passo sarò laureato&disoccupato in tempo per la fine della saga, se si prosegue a simil passo di bradipo; al contempo meglio non lamentarsi, che la saga è presente nei diversi volumi solo in polacco, quel genere di lingua che temo facile quanto l'ebraico biblico, o l'aramaico antico.


Il polacco gioca un ruolo chiave in questa riflessione, perché in un certo senso è l'assicurazione, la chiave che protegge il lavoro della traduttrice. Non si può infatti negare che con qualsiasi altro libro fantasy avremmo potuto ricorrere con una certa facilità all'originale in inglese; ed essendo l'anglosassone ormai l'esperanto del mondo occidentale, non sarebbe risultato difficile verificare se la sciatteria nello stile sia mea culpa di traduttori lazzaroni, o scrittori altrettanto pigri.
Ma Sapkowski! Sapkowski rimane un mistero. Conosco una ragazza nella scuola traduttori che studia il polacco, ma mi ha confessato che per i non madrelingua può risultare ostico all'inverosimile, con punti di contatto con il russo, ma per certi versi ancora più complicato. ( E i lamenti staliniani d'altri conoscenti della scuola traduttori in questo senso non fanno sperare bene...)

E dunque, nessuna speranza di verificare artigianalmente quanto sia colpa della traduttrice o quanto sia colpa di Sapkowski. Perché sulla versione italiana non si può transigere nell'accusa: lo stile polacco è sciatto all'inverosimile. Eppure, in terra madre è considerato un modello di prosa tanto fluida quanto elegante. Che a leggere, ancora una volta vieni assalito dal dubbio: è sciatto lui o è infelice la traduzione? 
Un bel grattacapo.

giovedì 14 febbraio 2013

San Valentino in salsa Houellebecq

Se non sono rimasto intrappolato in qualche strano vortice temporale, oggi dovrebbe essere San Valentino.
Era mio fermo proposito evitare sia post a tema / guardate, guardate quante belle visite ho avuto!/ sia occasionali post festivi, a tema Pasqua o Natale o simili.

Tuttavia, stavo appena terminando un'intensa lettura della biografia di Lovecraft, a opera del cinico Houellebecq, quando mi sono capitate sotto gli occhi le seguenti frasi, che ho trovato adatte a descrivere un certo disgusto nei confronti della festività in questione. Disgusto, intendiamoci privo di reale motivazione; siete liberi d'affermare che sono un idealista fossilizzato in epoche ormai lontane, o un rosicone più sfortunato nel gioco che nell'amore, o ancora uno di quei brutti ceffi che non vedano tutta sta' grande varietà e libertà nel magico ventunesimo secolo.

<< Si può facilmente immaginare cosa penserebbe della società del nostro tempo. Da quando Lovecraft è morto, la società non ha smesso di evolversi in una direzione che gliel'avrebbe resa ancor più odiosa.

La meccanizzazione e la modernizzazione hanno ineluttabilmente distrutto quel modo di vivere cui Lovecraft era attaccato con tutte le sue forze. (e d'altronde egli non si fa alcuna illusione sulle possibilità dell'uomo di controllare gli eventi: come scrive in una lettera, “tutto in questo mondo moderno non è che la conseguenza assoluta e diretta della scoperta delle applicazioni del vapore e dell'energia elettrica su grande scala”).

Gli ideali di libertà e di democrazia, che aborriva, si sono affermati in quasi tutto il pianeta. L'idea del progresso è diventata un credo indiscusso, quasi inconscio, che farebbe imbestialire l'uomo che dichiarava: “A esserci insopportabile è semplicemente il cambiamento in quanto tale.”

Il capitalismo liberale ha allargato la propria presa sulle coscienze; di pari passo sono andati affermandosi il mercantilismo, la pubblicità, il culto bieco e grottesco dell'efficienza economica, l'appetito esclusivo e immorale per le ricchezze materiali. Peggio ancora, il liberalismo è passato dal campo economico al campo sessuale. Tutte le convenzioni sentimentali sono andate in pezzi. La purezza, la castità, la fedeltà, la decenza sono diventate marchi infamanti e ridicoli. Oggigiorno il valore di un essere umano si misura tramite la sua utilità economica e il suo potenziale erotico: cioè esattamente le due cose che Lovecraft detestava più di ogni altra... >>


martedì 12 febbraio 2013

Dead space 3: prime impressioni


Sono al livello della trivella, meno difficile di quanto mi aspettassi.
Impressioni fulminanti, alla spicciola.
  • Che hanno fatto a Ellie? Nel secondo Dead Space introduceva un elemento umano indispensabile per un Isaac Clarke sempre più allucinato, sperduto in una psicosi in bilico fra follia e realtà. Competeva con Nicole nell'indispensabile ruolo di Angelo custode/memento dell'eroe impegnato nella sua eterna quest. In un contesto poi spesso solitario forniva quel minimo di calore e umanità che nei picchi brutali del secondo capitolo mancava.

    Quindi, che è successo a Ellie? In questo terzo capitolo si presenta lontana, distante; Isaac è fuggito, per dimenticare il suo passato e al contempo proteggerla. In generale l'idea che la musa di Isaac non abbia perso tempo a procurarsi un nuovo fidanzato non è male; e anzi per il giocatore stesso, vedere dopo interminabili macelli la propria amata abbracciata dall'ennesimo bellimbusto in divisa è un bel calcio in bocca.
    Che siano videogiochi o libri, la gelosia funziona sempre!

    dead space 2, prima...
    Dal punto di vista della grafica Ellie è forse la prova peggiore della mania americana di pompare- e non solo metaforicamente- i propri personaggi; se nel secondo Dead space Ellie era un'asciutta figura longilinea, un'ingegner(essa) dai lineamenti piuttosto affilati... Un po' come il suo modo di fare, spesso acido, o scostante. In questo terzo capitolo- orrore!- è una mogliettina con tutte le odiose caratteristiche di una borghesuccia dalle lacrime agli occhi, grottesco negli iperviolenti contesti della saga. Nel viso, le labbra sono state gonfiate, come il seno, mentre parte dei lineamenti stravolti. Collagene&silicone, insomma; e tanti saluti all'originalità. (1)

    E dopo, dead space 3 -.-''

  • Dead space 3 è forse fra i giochi, assieme a Devil May Cry, più assalito dalla critica, e obbedienti pecore, dai videogiocatori "abituali". Si parte dall'accusare alcuni difetti minori, senza per altro comprenderne la presenza, per poi scavare e scavare nel tentativo di rovinare il più possibile le vendite del videogioco ( o film) in questione. Un atteggiamento tanto più ridicolo, quando giocando il titolo in questione ci si accorge che in realtà i difetti tanto sbandierati si risolvono nell'essere chiari punti di forza, e che dunque per dirla con lessico giovanile, la critica ha toppato alla grande. (2)

venerdì 8 febbraio 2013

Lincoln


Ultimamente vado molto al cinema.

Il multisala è lento, macchinoso. La prenotazione è spesso fallace, abbondano i furbetti che occupano le ultime file. Dalle mie parti, forse per economizzare spazio, lo schermo appare praticamente incollato alla faccia. E c'è sempre un silenzio da sepolcro egizio. Non una parola. Tutti zitti, a fissare e sgranocchiare. 
Ci avete mai pensato quanto sia innaturale? 
Ma come, insorgeranno critici e intenditori, il male del cinema E' proprio la gente che parla in sottofondo!
Well, non mi trovo così d'accordo. Nel senso che trovo piacevole ogni tanto scambiare una battuta con l'amico vicino, o gesticolare animosamente a determinate scene. 
Insomma, ci dev'essere un rapporto attivo con il film. Starsene immobili per due, tre ore a mo' di mummia egizia, con tutto che spesso il film è quello che è, mentre la poltroncina ti morde le chiappe e tu pensi che a quel'ora potevi andare avanti a rigiocarti per l'ennesima volta the witcher...
Insomma, non sono lo spettatore ideale.

Tuttavia, non esistono solo i multisala. Esistono anche i vecchi cinema.
Dinosauri con ampie sale, posti che ti piazzi dove Vuoi, cinque euro a biglietto e spettatori al contagocce.
E alla fine ho ceduto; certo l'immagine è spesso sgranata, a volte persino scattosa. 
Ma alla resa dei conti importa poi tanto? 
Come si dice coi videogiochi... Non si gioca per la grafica, ma è il gameplay che conta.

Lincoln, in questo senso non fa rimpiangere il multisala. E' un film con più attori che comparse, in cui Spielberg ha chiaramente giocato al risparmio. Le diverse vicende che si susseguono funzionano come altrettante scene a teatro, dominate di volta in volta da politici con grandi barbe, o dalla figura a spaventapasseri di Lincoln, un anoressico gigante dal cappello a tuba.

lunedì 4 febbraio 2013

Tempo di elezioni


Tempo di elezioni.

Riflettevo in questi calamitosi tempi d'elezioni&politica, in cui trasversale sui mass media infuria la caccia agli elettori, come in effetti la partecipazione alle urne sia ormai scesa a livelli d'operetta.

Nessuno più vota, strombazzano le statistiche. E come dar torto a sondaggi e grafici? Sono oggettivi, sono scientifici, per forza devono esser veri. Quindi dobbiamo rendere atto di questa verità ultima. Ovvero che... la democrazia funziona alla grande!
Rifletteteci! Se nessuno vota, vuol dire che stiamo bene così come siamo. Quindi abbiamo al momento il miglior governo che si possa immaginare, l'economia va così a gonfie vele che nessuno si preoccupa di regolamentarla... Insomma si sta talmente bene che un cambiamento non serve.
Perché voler cambiare qualcosa, mutare? Se nessuno partecipa, vuol dire che si sta benissimo così.

Quindi rallegriamoci, e speriamo che queste buffe minoranze di demagoghi e populisti non corrompa l'intelligente popolo italiano. Non c'è bisogno di migliorare, figurarsi.

Votare? Impegnarsi? " Brutte, scomode cose! Fanno arrivare tardi a cena. "



sabato 2 febbraio 2013

La Ballata di Halo Jones


Quante ricchezze si possono scoprire curiosando nella baia svedese! Autentico ciarpame seedato d'anonimi benefattori, scannerizzato da vetuste paginone anni ottanta. Sto parlando ovviamente di fumetti, e più nello specifico fumetti firmati Alan Moore. Curiosare sul nuovo volume della LDSG mi aveva (in) volontariamente auto-hypato, e così ero andato allo scandaglio delle prime produzioni Alan Moore. Verso gli anni Ottanta e novanta, curiosando qua e là sono giunto a scoprire la sua collaborazione con la rivista so british 2000 AD, famosa fra gli appassionati per la saga fantascientifica Rogue Soldier e il più noto Judge Dredd, che fra quelle pagine di scarsa qualità ha consumato le sue migliori avventure.

La Ballata di Halo Jones è un'opera dalle sfaccettature spesso multiformi, per quanto "semplice", quasi grezza se confrontata alle opere omnie di Alan Moore. La quarta di copertina è un'imbarazzante dimostrazione di quali eccessi possa raggiungere l'editoria, quando conscia che l'opera in questione- non essendo famosa- deve colpire più lettori possibili con poche frasi. Nessuna accusa beninteso; il lettore bisogna pur convincerlo! Tuttavia...

La Magic Press è fiera di presentare il grande classico La ballata di Halo Jones, una space opera femminista scritta dalla leggenda del fumetto Alan Moore (V for Vendetta, La lega degli straordinari Gentlemen) e disegnata da Ian Gibson (Robo-Hunter, Star Wars). 

Halo Jones è annoiata dalla sua vita nel Cerchio, un mondo futuristico in cui il lavoro è scarso e l'eccitazione inesistente. Decide così di vedere la galassia ad ogni costo. Ma riuscirà a soppravvivere agli alti e bassi che incontrerà lungo la strada, tra cui un interminabile periodo come hostess a bordo di una cosmonave di linea e un turno di servizio in una terribile guerra che sfida la fisica dello spazio e del tempo?

Incominciamo dal tarlo maggiore, ovvero l'etichetta di "femminista". La ballata tessuta d'Alan Moore non è più femminista di quanto sia ogni altra opera con protagonista una donna; e più nello specifico era nelle intenzioni stesse di Moore inquadrare un personaggio comune, un cittadino di un futuro non troppo lontano. Halo certo mostrerà più di una volta d'essere di pasta alquanto coriacea, ma siamo lontani sia dalle psicopatiche ai limiti dell'asessualità a cui spesso arrivano certe produzioni fanta/sy/scientifiche (emblematico Alien in tal senso, sia per quanto riguarda il maggiore Vasquez che per Ripley) D'altra parte non si può nemmeno affermare che Halo sia la classica Damsel in mistress, non tanto per il suo carattere, quanto perché per un libro e mezzo non compaiono uomini, volendo anche citare pochi sparuti alieni di vago sesso maschile.
A voler citare un'opera di Moore "femminista" ( ma cosa designa un'opera femminista? E cosa vuol dire quest'etichetta? E a che serve?) menzionerei piuttosto quel formidabile manifesto a metà fra la magia / filosofia/ che era Promethea, ma non certo questa bizzarra ballata.