lunedì 28 dicembre 2015

Un Anello per leggerli, un Anello per guardarli, un Anello per giocarli.


Alcune volte, quando si legge un libro che si ha già letto o di cui si è già visto il film, è difficile sottrarsi dal fare paragoni. A comparare l'immagine mentale dei personaggi con l'immagine filmica, teatrale, o fumettistica. A chiedersi inoltre se i due personaggi, il protagonista del film e il protagonista del libro, siano diventati un tutt'uno, o siano ancora ben marcati.

E' ovvio che più il film sa riassumere l'essenza del libro, più i contorni si sfumano e confondono. 
Di rado un brutto film cancella la bella esperienza del libro da cui è tratto. Qualche attore può restare “incastrato” nella sostanza cartacea, narrativa del libro, un volto, un'espressione, una scena... Ma è raro si rimuova interamente il ricordo della precedente lettura.

Mi pongo questi quesiti, perchè nel caso del Signore degli Anelli la questione è incredibilmente complessa. Non c'è dubbio al riguardo, a dispetto de Lo Hobbit, la trilogia di Jackson riassume con incredibile fedeltà la vicenda di tutti e tre i libri, specie se li si guarda con il coadiuvante dell'edizione estesa. Jackson (assieme all'indispensabile, per sua stessa confessione, aiuto della moglie sceneggiatrice) ha saputo cogliere le parole e i discorsi più rappresentativi di tutti e tre i capitoli, rivitalizzando nel contempo alcune scene sbiadite nel libro e tagliando alcuni dettagli sgradevoli, come i deliri sulla purezza del sangue numeroano.
Mentre rileggo Il Signore degli Anelli, non posso perciò esimermi da un continuo confronto mentale tra le scene dei film e dei libri, e in alcuni casi addirittura dei videogiochi.
Alcuni volti restano, altri vedono il ritorno del re di come li immaginavo una volta.
In primis, a suo tempo avevo terminato la lettura del Signore degli Anelli in tempo per la visione al cinema del Ritorno del Re. Dunque la terza parte rimane per me incorrotta dalla celluloide e i personaggi, da Faramir, a Denethor, alle lande di Mordor, rimangono molto diversi dalla versione filmica.
Diversi non vuol dire migliori: per me Faramir era uno smilzo uomo vestito alla Robin Hood e Mordor una terra industriale, una wasteland di crateri e pozzi che non sfigurerebbe nelle Fiandre della Prima Guerra Mondiale.
Frammenti della Compagnia dell'Anello e delle Due Torri rimangono “estranee” al film e pertanto nella mia mente vedono un grottesco cambio d'abiti: il Frodo pre film sostituisce nella pausa sulle Tumulilande il Frodo post-film ed è un po' come vedere delle controfigure darsi il cambio su una scena. Sono sicuro vi sarà capitato questo genere di confusione. E' anche il motivo per cui tutta la prima parte nella Contea fino a Brea riveste per me tanto interesse. E sempre per restare nei Decumani, aver tagliato il ruolo di Saruman e dei furfanti nel devastare la Contea è stato un grave errore: nel libro chiude perfettamente il tradimento finale a Frodo, con il richiamo omerico all'Odissea. Ulisse s'illude d'aver terminato le sue imprese, ma sorpresa delle sorprese la sua casa è invasa dai (porci) Proci e non resta che un sanguinoso massacro. Ugualmente, la terra natale dei quattro hobbit è una landa distrutta e violata da (porci) Furfanti e non resta che una sanguinosa battaglia.
Alcuni volti s'intestardiscono e rimangono: Samvise Gamgee per me sarà sempre Sean Astin, così come Viggo Mortensen Aragorn, Sean Bean Boromir e Ian McKellen Gandalf. Già il personaggio di Gimli è un diverso discorso, perchè viene ridotto a macchietta nelle Due Torri, meccanismo comico che manca totalmente nel libro in cui la sua amicizia con Legolas mantiene invece un peso di tutto rispetto.
Sempre a questo proposito, è un vero peccato che si sia persa la storia d'amore tra Faramir ed Eowin, nonostante nel libro alla fine la sminuisse, perchè di fatto la relegava nel suo ruolo “naturale” (per Tolkien) chiarendo la fine dell'anomalia della guerriera femmina (di nuovo, per Tolkien).
Infine, Gollum resta Gollum. Inclassificabile, sia su carta che su schermo.

lunedì 21 dicembre 2015

A spasso per la Contea: birra, funghi e Tom Bombadil


Non ho idea se, come il sottoscritto, amate tenere un certo numero di libri a portata di mano sul tavolo o sul comodino per poterli consultare o sfogliare in quei momenti della giornata in cui siete preda della noia, dell'indecisione o di entrambe le cose. Sfogliare un libro e leggerne stralci a caso è uno dei più soddisfacenti diritti del lettore.
Ultimamente sono tornato a rileggere Il Signore degli Anelli e dopo essermi accorto di aver letto di fila diversi capitoli delle Due Torri ho deciso che era tempo di una sana rilettura.
Al momento il mio entusiasmo si è perso da qualche parte nel capitolo di Frodo e Sam sulle paludi, ma per amore della brevità concentreremo l'attenzione di questo articolo sulla Compagnia dell'Anello, dal compleanno di Bilbo all'arrivo a Gran Burrone.
Cito i passi dall'edizione in mio possesso, la Bompiani del duemila a cura di Quirino Principe e con l'introduzione di Elemire Zolla. Ignoro se sia mutato qualcosa nei termini delle edizioni più recenti. So ad esempio che ne Lo Hobbit cambiano spesso il nome dei Vagabondi, che diventano alle volte Troll, Uomini Neri e così via... Ma non so molto della filologia tolkeniana in Italia e dunque se c'è un esperto tra i lettori, raccontatemi pure come sono mutati nel tempo le traduzioni di nomi e personaggi.

Spesso, rileggendo fantasy che nell'infanzia trovavo avvincenti, rimango deluso.
Nel caso di Tolkien non ne ho mai veramente abbandonato la lettura e devo ammettere che come lo trovavo eccellente a undici anni, lo trovo altrettanto a ventitré: il flusso di pensieri, dialoghi e ambientazioni scorre senza mostrare minimamente la sua età, anzi arricchendosi a ogni rilettura di ulteriori strati di storia, miti e canzoni. La solidità del worldbuilding del professore di Oxford resta davvero solida, a dir poco maniacale persino nella sua opera meno lirica (se comparata al Silmarillion...).
Il gergo di elfi, nani e hobbit suona naturale e l'unica sbavatura è tra gli umani di sangue reale, come Aragorn, i cui scambi di parole oscillano pericolosamente tra l'epica e il ridicolo, specie quando elencano per mezza pagina, senza un istante per tirare il fiato titoli nobiliari, alberi genealogici e nomi guerrieri. Inoltre l'insistere sulla purezza di sangue dei Dunedain, per quanto comprensibile nell'ambito della mitologia medievale cui si fa riferimento, è decisamente malsana.
Discorso (musica?) diversa per le canzoni, che odiatissime quando le leggevo da bambino le trovo oggi uno degli inserti più interessanti, che avevo colpevolmente trascurato. Almeno nella Compagnia dell'Anello si può notare come gli argomenti prevalenti, persino tra i borghesi hobbit, siano malinconia e rimpianto: si parte con le prime strofe in cui si descrive un'elegiaca felicità, legata a una donna, un paesaggio, la vita quotidiana, per poi stravolgerla nell'avventura o nella tragedia di un male che proviene da fuori. Nelle ultime strofe, ci si riallaccia così alla felicità iniziale, ora rimpianta: l'Era degli Uomini non nasce per un rinnovato vigore della razza umana, ma per il decadere inarrestabile di ogni razza che lentamente scompare nelle brume del tempo.
Un'Era di trapasso, una vittoria di Pirro. Almeno così l'ho intesa dalla rilettura del primo libro: non sono gli uomini a farsi grandi, ma elfi e nani a farsi “piccoli”.
Lo stile di scrittura di Tolkien resta comunque diverse spanne (uso le unità di misura britanniche, considerando l'argomento...) sopra la media sia dei suoi contemporanei che dei nostri: basti confrontare l'orrido stile di Lewis alla finezza di Tolkien, per accorgersi del confronto.
Moorcock stesso, nel sopravvalutato manifesto Epic Pooh, ammette che Tolkien è quantomeno superiore al tono legnoso di Lewis, criticandolo comunque per il suo tono sdolcinato e al fondo paternalista, un provinciale inglese.
Consiglierei la lettura del manifesto, perché se ne parla spesso senza averne davvero cognizione: non c'è infatti quella distruzione del professore di Oxford che tanto diverte i Tolkien haters, ma al contrario un'analisi a tutto tondo molto più vasta ed estesa di quanto si possa supporre.

Il Cavaliere Nero, di John Howe. 

martedì 15 dicembre 2015

Laureato!


Nelle ultime settimane avevo deciso di sospendere momentaneamente gli articoli in lavorazione sul blog, dopo aver finalmente ricevuto la data della mia laurea triennale. Lunedì, dopo alcune terribili ore d'ansia mi sono finalmente laureato e considerando che ho nel frattempo completato un corso di primo soccorso, l'appellativo di “Dottore” per quanto ridicolo suona comunque bene.

Cos'ho imparato dalla mia tesi triennale di storia?

Un indizio sull'argomento (e il periodo storico) della Tesi ;)