lunedì 29 maggio 2017

Ritorno a Red Hook: La Ballata di Black Tom, di Victor LaValle


Charles Thomas Tester è uno squattrinato abitante di Harlem, il cui padre ex muratore passa il suo tempo a casa, il corpo distrutto dopo decenni di lavoro, mentre il figlio si arrangia con lavoretti più o meno loschi, nascosti dalla sagoma malandata di una vecchia chitarra

Tester si guadagna infatti da vivere con speciali commissioni nel campo dell'occulto, procurando e vendendo libri e oggettistica legati a pratiche settarie; per la sua ultima commissione in un ricco quartiere bianco, Tester strappa l'ultima pagina del grimorio che andava trafugando nel corpo della chitarra. E' una pagina del Nuovo Alfabeto, parole di potere con cui manipolare la realtà. 

Sulla via del ritorno per casa, il giovane afroamericano incontra un ossuto aristocratico di nome Robert Suydam: l'uomo gli domanda di getto se vorrebbe suonare a casa sua, in occasione di una speciale festa tra amici. Ha infatti intravisto, nelle scordate note di “Tommy”, un'affinità per la magia, il marchio dei prescelti. Per il giovane nero si tratta di un'offerta bizzarra, sospetta, ma sapendo che è difficile comprendere le imperscrutabili ragioni dei vecchi bianchi immediatamente accetta. 
Uno sgradevole incontro con due poliziotti, che subito “sequestrano” l'anticipo della paga di Robert Suydam, lo avverte che si sta cacciando dentro un bel guaio: un ispettore di origini irlandesi, un gigante gentile dal nome di Malone, gli raccomanda che Suydam è una persona sospetta, pedinato da tempo. Ma per un povero del ghetto, i soldi sono soldi e un'offerta come quella di Suydam non si può rifiutare...

lunedì 22 maggio 2017

A ogni genere il suo sentimento, a ogni epoca il suo fantasy


Ci si lamenta spesso come online si diano per scontate troppe cose, si presumano troppi indizi, ci si abbandoni troppo volentieri a confidenze e scambi basati sulla sola fiducia.

Non giudicare un uomo dalla sua pipa,
giudicalo dal suo tabacco
Indubbiamente, nel mio campo, se si leggono alcuni blogger per anni, articolo dopo articolo, specie tra i siti giornalieri, ci si può illudere di conoscere una persona. 
Forse è anche più facile che dal vero; tra un'immagine profilo e un articolo, tra una riflessione e una dichiarata affiliazione a un hobby, una politica, una religione, diventa possibile fraintenderne il carattere, arrogarsi il diritto di giudicare. 
Devo però ammettere, che sarà forse che non ho grandi contatti online, ma non ho riscontrato quest'arroganza tra i lettori e i colleghi blogger, almeno quei pochi che ho conosciuto. Ad esempio ho qualche contatto che commenta e che conosco da anni che raramente inquisiscono dentro questioni personali, preferendo mantenere il discorso sui reciproci interessi, pure molto seri.


Al contrario, andrebbe osservato che ci sono tante, tantissime persone che conosci di viso, che sei costretto a salutare per ragioni di elementare educazione, ma che tu non conosci e che loro non ti conoscono. 
Mi sto riferendo sopratutto ai vicini di casa/appartamento, ma rimane una riflessione aperta anche ad altri campi: conoscenze sul bus, vicini della casa dell'amico, genitori dell'amico ecc ecc
Quando forzatamente sono poi costretto a una conversazione, rimango sempre sorpreso dell'arroganza degli stessi; vi potrà sorprendere, ma se vedete una persona ogni giorno, non vuol dire che la conosciate o che sappiate chi è e cosa fa. 
Guardare una persona non equivale a conoscerla; vederladal vivo” non significa nulla. Ho visto lo stesso controllore sullo stesso treno per trenta giorni, ma questo non mi ha rivelato nulla sul suo carattere, sulla sua famiglia. Sopratutto non mi permetterei mai di dirgli cosa deve fare o come deve comportarsi. E' solo una persona che “vedi”; non vuol dire niente. 
Questo contorto preambolo per arrivare a dire che qualche settimana fa mi sono ritrovato in ascensore con una persona di mia conoscenza; devo ammetterlo, più la conversazione procedeva, più mi sorprendevo dell'estrema, ottusa arroganza che mi veniva esibita dinanzi. Sull'unico indizio della mia età, la sgradevole vecchia – perchè tale era – procedeva a criticare a tutto spiano, al punto che sono rimasto allibito, le mani che mi prudevano. Ovviamente, di fronte all'ennesimo esempio della pensionata che ha raggiunto la pensione solo perché era nel punto giusto al momento giusto e che occupa un appartamento vuoto tanto quanto le sue idee, non vale la pena arrabbiarsi. 
Il suo stesso comportamento era per me una condanna sufficiente. Non resta, in casi del genere, che comportarsi cortesemente, cercando di chiudere ogni contatto il prima possibile. Inutile reagire, si avvalorerebbero solo la tesi di partenza. Che incredibile arroganza, però!

Rientrato a casa, mi sono messo davanti al Pc e ho calpestato la tastiera producendo una decina di pagine di un racconto distopico. Roba hardcore, nello stile di Alan D Altieri.
Al che, mi ha colpito il nesso... La rabbia non mi aveva spinto a scrivere un articolo, non mi aveva spinto a scrivere una riflessione, una storia fantasy, un frammento mainstream. No, la rabbia mi aveva spinto a scrivere una distopia. L'ho trovato interessante: la rabbia mi aveva stimolato a scrivere di fantascienza pessimista, distopica. Tanto più che proprio qualche giorno prima riflettevo come il genere sia ormai controproducente sotto così tanti aspetti: la distopia Young Adult è un ossimoro offensivo verso le vittime reali delle dittature; come avvertimento la distopia non funziona perchè propone sempre una soluzione semplicistica; come critica del presente di solito si risolve in una generica e irrealizzabile imitazione della Nord Corea, che come stato è un “fossile”, un'eccezione.

Il mio "fantasy" (dalla rivista art nouveau Jugend, 1896)
L'associazione di un sentimento a un genere specifico non dovrebbe sorprendere. 
Ad esempio, fino agli '40 dell'Ottocento, il romanzo come forma narrativa predominante in Italia era il romanzo storico, alla Ivanhoe. La soluzione rispondeva a criteri di praticità – superare la censura della Restaurazione – offrendo nel contempo quel divertimento apprezzato sia da chi aveva combattuto per/contro Napoleone, sia dai figli che scalpitavano per combattere ancora, mentre sul versante “nazionale” permetteva di concepire l'unificazione senza realizzarla effettivamente. 
In altre parole, il romanzo storico offriva una soddisfazione a quel peculiare meccanismo psicologico per cui si desidera qualcosa nel contempo senza volerla davvero. 
I moti del '30 e il fallimento del '48 porteranno alla ribalta il romanzo contemporaneo, ma a interessarci davvero è il romanzo che prende forma dopo l'unificazione. E' infatti impressionante constatare come gli ideali del Risorgimento crollino all'improvviso, scompaiano come niente: c'è un tentativo di unificazione linguistica con a capo il toscano, ma la disillusione è forte, fortissima, almeno per come la presenta Tellini nella sua saggistica. Come va di moda tra i culturalisti oggigiorno, si potrebbe rimproverare ai romanzieri la colpa di aver fomentato un clima pessimista con le proprie opere; per chi invece ricerca una prospettiva razionale e scientifica, diventano evidenti le magagne immense di un sistema accentrato con l'unica guida della Casa Savoia, paralizzato da letali conflitti di potere e afflitto da un analfabetismo imbarazzante, a cui difficilmente potevano far fronte i libelli e i romanzetti toscani, densi di sentimentalismo e amor di patria.
E' dunque chiaro come la narrativa disperata del periodo fosse un riflesso, un prodotto delle ansie economiche, tra crack in Borsa, fallimenti della Banca Italiana e una corruzione crescente. Per ogni De Amicis abbiamo un Verga, o per lo meno un autore Scapigliato pronto a prendersi in giro, a ricercare il brutto, il grottesco, lo psicologismo rivolto all'interiorità disinteressata alle visioni eroiche del Risorgimento.

Il mio "fantasy" (dalla rivista art nouveau Jugend, 1902)
Tutta questa pappardella, per spiegarvi come sono convinto che a ogni periodo storico, a ogni decennio corrisponda un dato genere predominante, che risulta la concretizzazione delle ansie e della struttura economica del momento. In tal senso, ritengo di poter dire con sufficiente sicurezza che la fantascienza distopica, anziché preavvertire una futura distopia, sia semplicemente la conseguenza del Crack economico del 2007 e da quel momento in poi sia stata associata per circa un decennio (2007-2017) al progressivo furore di una popolazione che si riteneva a buon ragione ingannata.
Motivazioni economiche, la “pancia”, che hanno suscitato una rabbia che sua volta si è tradotta, in un clima ancora relativamente benestante, ma velocemente eroso, in una narrativa fantascientifica a carattere distopico. Il carattere di buon attivista della distopia andava d'amore e d'accordo con la gran parte dei movimenti e dei gruppi dei successivi cinque anni, da Occupy Wall Street a Podemos.
Allo stesso modo, però, dei tanti Divergent e Hunger Games, la protesta è rimasta circostanziata, spegnendosi e risolvendosi in dibattiti sterili, dove l'ossessione per una “rivoluzione dalla rete” ha presto perso ogni contatto con la Realtà, quella con la “R” maiuscola. 
Probabilmente l'elezione di Trump è stato il canto del cigno di questo modo di pensare: migliaia su migliaia di giornalisti e blogger e attivisti intenti a fare campagna dalle proprie pagine blog, facebook, twitter... dimenticando che i sostenitori del loro nemico, Drumpf, molto semplicemente non leggevano Internet e certo non leggevano i post da loro etichettati “liberali”. La prigione della Rete ha rivelato per l'ultima volta (spero), che senza un aggancio al mondo reale non produce cambiamenti. Perchè l'Agente Smith possa incarnarsi, deve passare dalla Matrice al mondo di carne e ossa, il mondo dove a una caduta corrisponde una gamba rotta. 
La fantascienza distopica in tal senso ha dato la stura alla rabbia di quegli anni, senza tuttavia preventivarne il pericolo o fornirne una minima alternativa.

Il mio "fantasy" (dalla rivista art nouveau Jugend, 1896)
In questi mesi, al di fuori della mia arrabbiatura, pensavo a un altro genere invece trascurato, ovvero il Fantasy. Non l'Urban Fantasy, o il Weird, o la fantascienza alla Star Wars, cioè fantasy con le spade laser: no, proprio il Fantasy inteso come un mondo parallelo al nostro, straordinario e terribile. Non per forza una landa medievale, però, sì, qualcosa di classico.
High Fantasy, insomma. Bene contro Male, nei limiti del kitsch.

Il lavoro sul mio saggio del Signore degli Anelli infatti mi ha rivelato una prospettiva che già sospettavo: Tolkien attingeva in profondità alle terre dove viveva. Non all'Inghilterra come nazione e nemmeno a Oxford come mondo universitario: ma alla regione dov'era nato, alle terre e ai pochi acri a lui circostanti. E' su quei ruderi celtici, su quelle montagne erose dal tempo, su quelle lande fangose dagli strani toponimi che ha estratto l'oro prezioso della sua narrativa. Gli studi, la filologia gli hanno fornito gli strumenti indispensabili per comprendere quel mondo, per dargli forma, per forgiarlo in un'arma narrativa formidabile. Senza la documentazione, partorisci un aborto. Senza uno stile di scrittura studiato e rielaborato e rivolto al lettore, non allo stronzo arrogante dentro di te, non ottieni niente di degno. 
Non c'è, almeno per me, alcun dubbio che la geografia e la bellezza del Signore degli Anelli derivino dalla comunità locale, dalla terra dove il professore abitava, da cui ha distillato gli ingredienti che più amava – lo si vede negli hobbit, ovviamente, ma anche negli uomini di Brea, o negli elfi di Granburrone.

Qui si pone il passaggio interessante: proprio perchè legato a un ambiente quasi “di famiglia”, suo e unicamente suo, non possiamo imitare Tolkien imitando il suo genere di fantasy. E' un'operazione che non ha senso: come provare sentimenti per l'infanzia di uno sconosciuto, per i ricordi a lui cari. 
Il lettore può farlo, perché s'immedesima negli hobbit; lo scrittore non può, perché non ha il “vissuto” che aveva Tolkien, perché non ha il background inglese e piccolo borghese su cui ha costruito il suo mondo.
Sarebbe un'opera da parassita, come cercare di fingere di essere qualcun'altro. Il risultato è grottesco, non ultimo perché manca, accanto a questo elemento quasi biografico, la componente di duro lavoro di scrittura e ricerca. 

Per questo motivo, nei mesi scorsi, pensavo a scrivere un Fantasy. E mentre mettevo le mani sulla tastiera continuavo a pensare come non potevo, sebbene cercassi, attingere a quel background celtico-medievale-rurale di Tolkien. Io non sono nato in campagna, non ho mai scorrazzato tra i boschi, sono una persona urbana, a suo agio nell'architettura di una solida città vittoriana, meglio art nouveau, al più modernista: i moti dell'animo di chi ama i fioruncoli e i panorami idilliaci non mi appartengono. Ho pertanto iniziato un lavoro di scandaglio interiore. Ho lentamente, dolorosamente cercato di individuare cosa amo – a livello sociale, di identità e comunità – del mondo in cui vivo. E a sua volta quale mitologia e quale leggende e quali studi filologici posso svolgerci. L'idea sarebbe di trovare per primi gli elementi positivi, stavolta; per primi gli elementi quali valori e immagini su cui poi costruire il mio mondo fantasy. Un mondo pertanto triestino, in un certo senso; bibliotecario, in un altro; burocratico e urbano in un altro ancora. Questi sono infatti gli ambienti in cui mi muovo. Da queste basi indagare quanto più approfonditamente per scovare localmente e solo localmente, gli elementi di leggenda, i mattoni lego “mitemi” con cui costruire le fondamenta di cosa voglio scrivere.

Il mio "fantasy" (dalla rivista Jugend, da cui Jugendstil, del 1902)
Perchè questo sforzo, al di là del fatto che scrivere è l'unica cosa di cui sono capace e che ironicamente è tra le abilità più inutili e superflue oggigiorno?
Ci si ricollega al discorso della distopia e alla rabbia dell'esordio. A livello infatti nazionale e personale, ritengo che la rabbia stia cedendo il passo alla semplice tristezza. Disperazione, in alcuni casi. Ma tristezza, per lo più. La gente, lo vedo in strada, lo sento in giro, è semplicemente distrutta. Al di là dei pensionati che affollano i bus e le Poste e di chi sa che il suo posto e il suo futuro sono al sicuro, mi sembra che la gran parte della popolazione sia ormai affranta, con la calma traumatizzata del reduce. C'è un limite attraverso cui puoi pompare violenza e minacce e a livello politico, sia sulla scena nazionale che internazionale, credo sia stato raggiunto. In quest'ambiente, ipotizzo che il Fantasy come genere classico tornerà a essere letto in gran numero. Non solo Young Adult, non solo ennesime contaminazioni con altri generi, ma Fantasy con la F maiuscola, Fantasy puro.

Quando la Compagnia dell'Anello uscì in sala, non erano passati che pochi mesi dall'attentato del'11 settembre 2001. Sarebbe bastato che fosse uscito a ottobre, a novembre e una popolazione ancora “stordita”, l'avrebbe ignorato e Peter Jackson si sarebbe ritrovato a spasso. Ma La Compagnia uscì a dicembre... quando le genti erano ormai tristi, ma erano uscite dallo shock. E fu un successo, perché il Fantasy è un genere che da speranza quando si è abbattuti, è un genere che nella sua forma più pura risolleva dalla disperazione.
Quando Tolkien, a sua volta, scrisse Il Signore degli Anelli, era nella Terra Desolata degli anni '40 del Novecento, dentro quell'inferno di sangue e shrapnel della Seconda Guerra Mondiale, dove solo flebili Irradiazioni come quella di Junger o dello stesso Tolkien brillavano come fragili fiammelle nel buio più cieco. Tempi tristi, tempi in cui scrivere Fantasy.

La situazione in cui ci troviamo, tranne che per pochi privilegiati, è ugualmente cupa: ritengo che per ragioni geo-politiche ci aspetti un'apocalisse, l'equivalente del ventunesimo secolo della Grande Guerra. Per questa ragione, penso che sia di nuovo scoccata l'ora per il Fantasy e per i grandi romanzi, con cui a tenere a bada l'orrore che ci aspetta.  

venerdì 19 maggio 2017

Lo sventravampiri, di William King - rileggendo la saga di Gotrek&Felix


Arek Daemonclaw ucciso, l'orda del Caos dispersa al vento: Sventravampiri si apre con la città di  Praag trasformata in una Stalingrado medievale, un cumulo di macerie, catapecchie e civili che bruciano spazzatura per riscaldarsi nella neve dell'inverno kislevita. 

Felix Jaeger, con i podromi di una febbre in arrivo, sta tossendo tra le strade di Praag, quando scopre il cadavere di una prostituta, sorvegliato dalla guardia cittadina: nonostante i bifolchi siano convinti che la donna sia stata uccisa da un demone, il cadavere, completamente dissanguato, presenta due chiari fori in corrispondenza del collo. Impensierito, Felix si dirige verso la locanda dove Gotrek è intento alla sua seconda attività preferita dopo il combattimento: ubriacarsi

Nel frattempo, Adolphus Krieger sta bevendo un bicchiere di vino in una sudicia osteria, quando un nobiluomo e i suoi sgherri cominciano a prenderlo in giro. Una battuta attira una provocazione, una provocazione una rissa nel vicolo: presto Adolphus svela due canini da vampiro e con velocità soprannaturale sgonfia i stupidi sacchi di sangue che lo minacciavano. Il conte vampiro, giunto a Praag dopo la battaglia, è alla ricerca di un amuleto in possesso di un ricco antiquario del luogo. L'Occhio di Khemri è un artefatto magico, che se correttamente attivato potenzia oltre misura le capacità magiche del suo utilizzatore, rendendogli possibile il dominio non solo sui vivi e sui morti, ma persino sugli altri vampiri. Uno dei tanti, pericolosi, gingilli di Nagash... 
Adolphus purtroppo sta incontrando difficoltà a controllarsi nella città degli umani, sempre più preda della sete rossa: la prostituta incontrata da Felix è una delle tante vittime di Adolphus, che come i maghi umani, sente la magia grezza del Caos contaminare la città. 

lunedì 15 maggio 2017

La Maria Teresa di Paolo Mieli, a 300 anni dalla nascita


Lo scorso sabato si è svolta la conferenza “Ritratto di Maria Teresa d'Austria”, una veloce lectio del professore Paolo Mieli presso la Stazione Marittima. Quest'anno infatti ricorre il 300' dalla nascita dell'Imperatrice, un'occasione concorde con lo speciale legame degli Asburgo con Trieste

Dopo aver constatato con soddisfazione che io e miei colleghi della sezione giovani di Italia Nostra avevamo drasticamente abbassato l'età media in sala, saldamente sui settanta/ottant'anni, la conferenza è partita senza tanti preamboli, anche se la “puntualità austroungarica” rimarcata dall'introduzione era in flagrante contraddizione con il quarto d'ora di effettivo ritardo. Oh, well...

La conferenza, della durata di circa un'ora, un'ora e mezza se consideriamo il tempo di due domande spunte, è risultata piuttosto altalenante


venerdì 12 maggio 2017

"City of Secrets", di Nick Horth (Age of Sigmar)


Situata sulla Costa delle Zanne nel Reame delle Bestie (Ghur), Excelsis è una megalopoli fantasy-rinascimentale, costruita attorno alla sacra reliquia del Mondo-che-Era, la Lancia di Mallus
Città mercantile, snodo importante per le flotte dei duardin, della Gilda e della mafia elfica, Excelsis è un confuso aggregato di cattedrali e palazzi, stamberghe e tuguri, viuzze e ghetti. 
Una città cosmopolita rispetto alle invenzioni medievali di Warhammer Fantasy, ma piagata dalle sue stesse dimensioni: per un reame basato sul “più forte” quale Ghur, niente di meglio che una giungla urbana dove il tagliagole non è un crimine, è una professione. 

Armand Callis è un onesto caporale della milizia della Gilda, l'equivalente fantasy di un poliziotto ai primi anni di servizio, quando non ha ancora compreso che tutti in America in Age of Sigmar sono corrotti e che se non è Tzeench a prenderti, è la Cia l'Ordine di Azyr, i cacciatori di streghe. 
Visto che il suo superiore è troppo ubriaco per il giro di pattuglia, la responsabilità passa ad Armand, che conduce i suoi soldati a pattugliare le Vene, l'area più malfamata, pericolosa e corrotta di Excelsis: un sobborgo che il suo superiore era ben contento di evitare, con l'aiuto anche di una bustarella (o due). Nelle Vene, scorre il sangue: Armand scopre un traffico illecito di “glimmerings”, frammenti della Lancia di Mallus che conferiscono visioni del futuro, premonizioni altamente quotate. Questa sostanza profetica è usata dalla città come valuta pregiata, ma è controllata, come si può immaginare, con grande attenzione. Durante il combattimento, Armand si rovescia per errore addosso i “glimmerings”, ricevendo una visione del futuro di Excelsis. 
Senza far spoiler, non è una visione molto allegra... 

lunedì 8 maggio 2017

Xpo Ferens. All'arrembaggio degli oceani Weird di Alessandro Forlani


XV secolo, al largo dei mari di sua maestà di Spagna. Cristoforo Colombo e suo fratello, Bartolomeo, sono di ritorno da una navigazione tanto difficile quanto infruttuosa. La notte non porta consiglio, ma l'attacco di pirati saraceni: la nave affonda, i marinai vengono trucidati e la coppia prigioniera è presentata al capitano, un arabo rinsecchito e tatuato, lo sguardo folle: è Abdul Alhazred, autore del lovecraftiano Necronomicon

Cristoforo e Bartolomeo sfuggono – a stento – naufragando sulle spiagge di un'isola sconosciuta, non segnata sulle carte. Qui le distanze si contorcono e mutano, il tempo non segue le leggi naturali: l'isola nasconde infatti un vascello alieno, una caravella che oggi definiremmo astronave. A bordo, un attonito Cristoforo vi scopre i portolani ingialliti per navigare al di là dell'oceano, verso una Tierra all'intersezione tra i mondi, un non-luogo di cosmica intensità. 
Pasticciando con i comandi, i due vengono teletrasportati in Spagna e per poco non vengono accoppati dall'Inquisizione: è solo l'intervento provvidenziale di Abdul a salvarli, offrendo loro come condizione di fuga proprio la navigazione verso quei lidi maledetti al di là dell'Atlantico che i due hanno appena scoperto. E' l'inizio di un allucinante viaggio per mare... 

Le ambientazioni tra '400 e '500 sono ancora poco sfruttate. Le imprese marittime dei portoghesi nel '400 meritano una storia a sé, tanto sono avventurose e sanguinose: non a caso nel XV secolo la “letteratura di naufragi” diventava un vero e proprio genere a sé stante, a significare l'estrema pericolosità dei viaggi dell'epoca. La scoperta dell'America, le avventure dei conquistadores, i perigli del mare aperto, le fantasticherie mostruose di dotti e profani dell'epoca: è ancora, gioco di parole inevitabile, terra inesplorata. Hic sunt dracones

venerdì 5 maggio 2017

Lo sventrabestie, di William King - rileggendo la saga di Gotrek&Felix


In seguito alla parentesi di Sventradraghi, Gotrek&Felix tornano finalmente a Praag, ormai assediata dalle orde del Caos: una gigantesca armata di guerrieri e uominibestia (tanti uominibestia!) si prepara ad assaltare le mura in un massiccio tritacarne. Il condottiero di Tzeench, Arek, sa bene di non poter aspettare: mancano ormai pochi mesi all'inverno e senza viveri e senza riparo, l'orda rischia facilmente di disgregarsi. I russi kisleviti hanno infatti fatto terra bruciata di ogni raccolto. 

Intrappolato a Pozzo Infernale, Thanquol conquista nel frattempo la fiducia dei suoi carcerieri del clan Moulder reprimendo una rivolta alla Spartaco guidata dall'ex Lurk, ora un intelligente rattogre ingozzatosi di warpietra. Con un piccolo esercito alle sue spalle, Thanquol può ora investigare gli strani affari degli umani-umani e impicciarsi negli intrighi di Arek e Praag. 

Disperato per aver dovuto abbandonare il maniero di famiglia all'avanzata del Caos, Ivan Straghov continua a compiere operazioni di guerriglia alle spalle dell'esercito, assaltando i rifornimenti, eliminando i ritardatari, fino a quando non riesce a mettersi in contatto con la zarina di Kislev, Katarin, che sta radunando per proprio conto un esercito per soccorrere la città assediata.
E' una trama secondaria, ma Ivan e i suoi “lancieri” alla polacca torneranno a giocare un ruolo fondamentale nel romanzo successivo, Sventravampiri