L'atteggiamento
di Roosevelt nei confronti dell'Unione Sovietica era piuttosto
arrendevole, questo lo sappiamo tutti. Stretto tra le due potenze,
Churchill si sentiva come la Polonia in un conflitto globale. Come
ogni politico abile, Roosevelt considerava l'Unione Sovietica uno
stato con cui trattare, concludere accordi e poter ragionare: una
potenza bruta, un po' stupida, sgradevole, ma dallo status
diplomatico riconosciuto. Dall'opposizione politica all'opposizione
ideologica si passa dapprima con Truman e non si tratta
necessariamente di un passaggio obbligato. La guerra fredda non era
inevitabile fino a quel punto; la tensione post conflitto avrebbe
potuto allentarsi, pur con l'ipocrisia della realpolitik. Sono
anni di ricostruzione post bellica e di finanziamenti ingenti
all'Europa. A retrospezione, è incredibile quanto riuscisse a
ottenere la Russia in popolarità con il minimo sforzo, e all'opposto
quanto l'America faticasse a imporsi con le più esagerate
elargizioni.
Il clima di
continuo scontro con il gigante russo, la guerra ideologica per
convincere il popolo americano che ci fosse un nemico ineliminabile,
inumano e mostruoso al di là della cortina di ferro deve aver
lasciato le sue belle cicatrici anche nelle generazioni più recenti.
Il crollo del muro risale a neanche trent'anni fa, siamo ancora
dentro generazioni su generazioni di menti addestrate a concepire
l'est come un'orda mongola pronta a invaderli. Psicologicamente, in
Europa, l'abitudine mentale a vedere nell'America la salvezza sempre
e comunque rimane molto forte. L'immagine è positiva, magari
incrinata dagli ultimi dieci anni di totale incompetenza, ma pur
sempre positiva. Non mi sto riferendo a vegliardi, a reduci, a
pensionati, ma semplicemente a persone che vivevano negli anni '70 e
'80 la loro giovinezza.