venerdì 26 agosto 2016

Ivo Andric, Il ponte sulla Drina


1516. Tributo bambino al Sultano, futuro giannizzero e visir, Sokullu Mehmed Pasha vede dalla sua cesta passare il fiume Drina. Il traghetto lo traversa lento, ondeggiando paurosamente tra i flutti bianchi di spuma. Nella mente del bambino sorge una meravigliosa visione: un ponte di pietra bianca, collegamento tra Serbia e Bosnia, che rivoluzioni la vita della piccola cittadina di Visegrad.
1571. Sotto la guida del crudele consigliere Abigaga, inizia la costruzione del ponte sulla Drina.
1573. Abigaga tiranneggia gli operai, li maltratta. La costruzione va a rilento. Un anziano serbo, che vede nel ponte un'infamia dei turchi e dell'Islam, lo sabota di notte. E' catturato e impalato.

Credo sia nella scena dell'impalamento che il romanzo di Ivo Andric, Il ponte sulla Drina, mostra davvero di che pasta è fatto. Fino a quel momento il romanzo poteva infatti sembrare un'allegra scampagnata, una rievocazione con lacrimuccia all'occhio del passato bosniaco dello scrittore, nato proprio a Visegrad. Il romanzo infatti parte con un incipit degno dei Promessi sposi, con un'ampia descrizione geografica del luogo e dei suoi abitanti nell'800. Già tuttavia al momento di descrivere il ponte, un gusto per il sangue e il macabro trapela a spezzare l'eccessiva nostalgia, il rischio di una descrizione pastorale e artefatta:

lunedì 22 agosto 2016

Liebster Blog Award 2016! Domande e risposte.


A giugno il collega di cella di blog Grande Arbitro del Gioco Magazzino! La lega del ludo mi ha conferito il Liebster Blog Award, un simpatico premio/catena che noi blogger amiamo passarci l'un l'altro per avere più visite e più lettori ^__^
Sono sempre un po' titubante quando si tratta di iniziative del genere, perchè non so mai cosa rispondere ad alcune domande, siano personali o di segnalazione d'altri blog. In quest'ultimo caso ho semplicemente saltato i punti 5-6-7. Anche anni fa, quando frequentavo maggiormente la bloggosfera, mi sarei trovato in difficoltà a nominare 11 blog, figuriamoci adesso.
Come avevo ribadito sul Boomstick Award 2015, preferisco ormai seguire la persona invece che il sito: ormai di continuo ci si ritrova obbligati a seguirla nei boschi di social, giornali, siti, blog (sempre meno aggiornati), collaborazioni, pubblicazioni ecc ecc
Al momento, ad esempio, seguo abbastanza Jess Nevins, una nostra vecchia conoscenza per le annotazioni su Nemo e Alan Moore. Jess aggiorna di rado il blog, ma non si fa scrupoli a bombardare di tweet il suo profilo, a gestire una (sporadica) newsletter pure molto interessante, a collaborare di tanto in tanto con quel dato sito di news. E' stancante, dispersivo e sterile, ma è anche l'attuale modo di fare.

Innanzitutto, le regole:

1) Ringraziare i blog che ti hanno nominato e assegnato il premio;
2) Scrivere qualche riga (massimo 300 parole) sul blog che preferite (ovviamente non il vostro). Spiegare perché vi piace il blog, mettere il link;
3) Rispondere alle 11 domande poste dal blog o dai blogger che ti hanno nominato;
4) Scrivere, a piacere, 11 cose di te;
5) Premiare a tua volta 11 blog con meno di 200 follower;
6) Formulare le 11 domande per i blogger che si nomineranno;
7) Informare i blogger del premio assegnato.

Oookay, iniziamo:

venerdì 19 agosto 2016

L'Anello che non tiene, di Lucio Del Corso e Paolo Pecere: un saggio da gettare nel Monte Fato


A marzo di quest'anno, in seguito agli articoli su Tolkien che avevo scritto a dicembre/gennaio mi era stato chiesto, in via informale, se mi interessava trasformarli in un saggio “tolkeniano” a tutti gli effetti, da pubblicare in formato ebook.
Avevo cominciato a lavorarci in fretta, perché sapevo che con l'inizio dei corsi e degli esami non avrei avuto tempo per scrivere alcunché. Infatti, tra aprile e luglio mi sono limitato ad alcuni lavori di bibliografia, ma il saggio è rimasto fermo.
Grazie alla pausa agostiniana – la calma prima della tempesta! - spero di riuscire a completare una prima stesura, completa di citazioni, note, bibliografia.
Già; la cara, vecchia bibliografia. E' inquietante quanti studenti con laurea triennale conosco che non sappiano cosa sia Opac (il motore di ricerca bibliotecario) o che non sappiano cercare un libro tra gli scaffali, o ancora che non conoscano le basi per citare un testo. Al di fuori degli studenti di letteratura e storia, il vuoto è pressoché totale. E se lo posso comprendere per uno studente di biologia, dove il materiale è tutto su Internet e sulle pubblicazioni scientifiche, lo posso comprendere molto meno per uno studente di scienze sociali, di psicologia, di legge, di arte, di filosofia, di architettura, di archeologia, di... Insomma, mi sembra impossibile che per scrivere una tesi abbiate usato solo il materiale fornitovi dal professore, senza che questi vi spingesse ad alcuna ricerca.
Sassolino dallo stivale tolto, si può trovare anche a Trieste della saggistica tolkeniana, anche se nascosta, marginale e dispersa tra le diverse sedi.
In biblioteca Attilio Hortis trovate il saggio di Tom Shippey, nell'archivio tesi un saggio su Gollum di fine anni '90 (tesi di una studentessa di lettere), nella Quarantotti Gambini Tolkien in abbondanza come autore (Signore degli Anelli, Silmarillion, lo Hobbit ecc ecc Significativamente il luogo dov'è più presente Tolkien è dentro una biblioteca popolare, segno che non è ancora mummificato dall'intellighenzia) e infine... nella biblioteca della Scuola traduttori il saggio di Del Corso e Pecere, L'Anello che non tiene, Tolkien tra letteratura e mistificazione.

lunedì 15 agosto 2016

Providence 06: Out of Time, di Alan Moore. Traduzioni dal francese, annotazioni, analisi.


Seconda collaborazione col blog dell'amico Zeno e seconda incursione nel mondo delle traduzioni. Siamo al sesto capitolo della storia di Alan Moore, alle prese con la lenta discesa tra il sogno e l'incubo del giornalista Robert Black. Questo numero della graphic novel è intitolato “Out of Time”, un ovvio riferimento a una tra le storie di Howard Phillips Lovecraft che preferisco, The Shadow out of Time, da noi L'ombra venuta dal tempo. Scritta a meno di un anno dalla sua morte, è ancora ispirata a un sogno, e mescola mito (anzi Miti), fantascienza e orrore in maniera magistrale. La possessione e la conseguente perdita del sé, lascia spazio alla meravigliosa possibilità di accedere all'esistenza tramite una “interfaccia organica”, un corpo alieno la cui sola vista potrebbe portare alla follia le nostre menti. Eppure il fascino (della conoscenza quindi dell'ignoto) ha la meglio sull'orrore e per una volta il confronto con realtà nate “altrove” non ha conseguenze nefaste, almeno finché non viene scoperchiata una certa botola di pietra...

Proprio i temi della possessione (mentale e fisica) e della perdita dell'identità sono al centro di questo sesto numero di Providence, con una scena di raro impatto in quanto a violenza psicologica. Black si salva solo grazie alla sua capacità di razionalizzare, ridurre a un possibile sogno (o stato ipnotico) quanto di sovrannaturale gli continua ad accadere, muovendosi in uno stato di sogno lucido tra demoni, ghoul, spiriti reincarnati, modifiche dello spazio tempo, esseri intra dimensionali e sogni premonitori.

Tutto questo sta, come una sorta di “Yog-Sothoth narrativo”, nelle pagine e tra le pagine.
È la porta, che conduce a una nuova consapevolezza, ed è la chiave.
È nelle parole e nei lori duplici, malleabili significati.
Parole nella nostra lingua e parole in Aklo, l'idioma, del tutto inventato, capace di aprire le porte su altri stati percettivi, quindi su altre realtà. Come nel racconto From Beyond (Dall'altrove), iniziamo assieme al nostro Robert Black a essere partecipi di una molteplicità di mondi che si intersecano, a noi del tutto invisibili finché una qualche scienza (o magia, ma le sappiamo equivalenti), non ci rendono capaci di questa nuova visione.

Nel caso di Providence e del suo “araldo”, Robert Black, siamo di fronte a un cammino iniziatico attraverso l'America dei primi del '900, con i suoi luoghi segreti e i suoi “immigrati”, giunti da altre dimensioni spazio temporali, filtrati dal passato o dagli spazi siderali.

Se questo cammino condurrà a una visione di meraviglia, paragonabile alla città al tramonto la cui bellezza era celata dall'opera del Caos Strisciante, oppure alla conoscenza di un orrore tale da rendere l'oblio l'unica salvezza, come la vista di una nuova R'lyeh emersa dalle acque insanguinate da millenni di guerre, solo i prossimi numeri di Providence potranno dirlo.



Out of Time

venerdì 12 agosto 2016

Gencon 2016, tra Kickstarter, giochi di miniature e annunci di boardgaming


Il mese di agosto è sempre un buon mese per il fare punto sul wargaming.
Il traffico web è comunque scarso e non corro il rischio di rubare spazio ad articoli più importati.
Inoltre c'è stata di recente la Gencon, con l'annuncio di diversi progetti finora rimasti semplici “rumors”. Siamo anche nel periodo perfetto per tirare il fiato prima della tempesta di novità, campagne crowdfunding, progetti Kickstarter che arrivano tra settembre e ottobre.
Con questo rapido elenco di boardgame e giochi di miniature ho scelto i progetti che trovavo non più famosi, ma più curiosi e interessanti. Non saranno quelli di cui tutti parlano, ma sicuramente incontrano i gusti dei lettori di questo blog: abbiamo steampunk, weird, sacchi di miniature di bassa qualità, giochi davvero di nicchia e giochi davvero di massa.
A quale progetto guardate per quest'anno scolastico (settembre 2016, giugno 2017)?
Quale ritenete che sarà una moda passeggera e quale invece un gioco decente?
(e quale una truffa?)

Iniziamo dal piccolo con Purgatory.
Si tratta di un gioco di schermaglie, con dadi (D6) e carte, con bande che si scontrano per pochi pezzi (10 miniature per parte, in media). Le miniature sono sui 28-30mm eroici, in resina e il Kickstarter è previsto per il mese di ottobre. 
Hanno una pagina facebook (con shop annesso) e una newsletter molto curata.


Tra le decine ormai di Kickstarter, Purgatory è l'unico con un'ambientazione finalmente originale. L'Apocalisse è infatti arrivata, la Terra è al centro di una lotta tra fazioni di angeli e demoni in guerra eterna. Il tempo si è fermato e le anime degli uomini vagano tra tempo e spazio, concretizzandosi in ogni genere di mito e reincarnazione storica. Il background, straordinariamente complesso per un gioco, è anche più complicato di così, partendo dai faraoni e svolgendosi fino al presente congelato dall'intervento divino. La mescolanza di magia, tecnologia e mitologia crea un mondo davvero bizzarro, pop, multicolore, dove non ci sono “umani” nel senso da noi intenso, ma archetipi e personificazioni di Vizi&Virtù. Nel mondo di Purgatory, gli uomini sono come gli orchetti e i goblin dei mondi fantasy, irrilevanti per le fazioni che giochiamo, niente più che carne da cannone.

Ho sempre evitato di citare la Cool Mini or Not, perchè ho un rapporto amore/odio con questa casa di produzione: hanno chiaramente le finanze per produrre per proprio conto i loro giochi, ma scelgono d'investire su Kickstarter in modo massiccio, quel che è peggio sia in quantità che qualità estremamente elevati. E non mi interessano le stupide polemiche dei giocatori da tavolo che non vogliono le miniature, perchè “inquinano” la purezza dei loro giochi, come non mi interessano le polemiche su Eric Lang, che sembra un tipo simpatico.
Tuttavia, ogni volta che esce un Kickstarter della Cool Mini or Not, gli altri kickstarter di boardgame nel settore perdono terreno, se non proprio falliscono. Le piccole aziende e gli appassionati non possono, se non indebitandosi a morte, offrire “freebies” e prezzi competitivi come la Cool Mini, che per il 2016 ha allocato la bellezza di 5 milioni di dollari solo per fare Kickstarter. 
E' una competizione schiacciante.

lunedì 8 agosto 2016

Caffè freddo, come fare: una guida per caffeinomani frustrati dall'estate


Secondo il manuale che sto studiando e che ho deciso di non citare, perché filo-americano, il Sud degli Stati Uniti fu abitato in massa solo dagli anni '80, grazie alla diffusione dell'aria condizionata.
La migrazione dei bianchi dalle città “nere” e “liberal” verso i suburbs, la California e le terre del sole non sarebbe potuta avverarsi senza il refrigerio dell'aria condizionata, che rende possibili lavori da scrivania altrimenti difficili per lunghe ore, tra l'afa, ventilatori che ruotano lenti e rigagnoli di sudore. L'idea è affascinante, ma come tutte le teorie incentrate sulla tecnologia sembra dimenticare un gran numero di elementi culturali, economici e politici.
Magari bastasse l'aria condizionata, a elevare i ritmi di lavoro...

Ad ogni modo, qui in Italia il caldo da luglio ha colpito duro e le mie abitudini da bevitore di caffè ne hanno risentito. Badate, è possibile bere caffè caldo a luglio, esattamente come si può mangiare un gelato a gennaio: basta scegliere l'ora giusta. Se ci si sveglia presto, diciamo verso le sei, una bevanda bollente non è così terribile da trangugiare.
Tuttavia, blogger masochisti a parte, l'unico caffè veramente bevibile è il caffè freddo.
Ora, il caffè freddo dei bar non è, a differenza di quello che si può pensare, qualcosa d'impossibile da replicare. Anzi, con la ricetta che vi sto per proporre, mutuata dal solito The Coffeist Manifesto, vi ritroverete con un caffè anche migliore, certo più economico e sano.
Il caffè che vi spacciano come “freddo” nei bar non è che un semplice caffè amaro sparato sul ghiaccio e ulteriormente diluito con abbondanti dosi di acqua ghiacciata. Man mano che i cubetti si sciolgono, il sapore del caffè eccessivamente amaro diventa “sopportabile”, ma siamo lontani da un'idea intelligente di caffè freddo. E' caffè normale, diluito, troppo amaro, che perciò viene spesso affogato in creme, zucchero, panna e in definitiva qualunque cosa zuccherosa che possa mascherarne il gusto francamente un po' merdoso (o fangoso, se siete baristi e vi sentite offesi).
Ma perchè pagare per una roba del genere quando potete avere a casa un ottimo caffè freddo, in quantità e buono per giorni?

Il materiale che vi serve:

venerdì 5 agosto 2016

I miei due cent su Pokemon Go


Pokemon Go è ormai uscito da diverse settimane, con i suoi pro e contro.
Da un lato, il suo essere un'interfaccia tra reale e virtuale ha creato alcuni paradossi, alcuni orrori che erano già stati anticipati dalla narrativa cyberpunk: tra gente investita con lo smartphone nel pugno e rapinatori che usano i Pokemon Stop per trovare vittime inconsapevoli siamo in pieno Charles Stross, o Neal Stephenson.
Come sempre nel caso di giochi/tecnologie del genere, le loro deviazioni, usi&abusi, difetti da “giocattolo rotto” contano più del gioco stesso, in sé stupido.
Da considerare con particolare attenzione il caso dell'etica della caccia al Pokemon, con il dibattito (unilaterale) se si dovrebbe proibire la “cattura” in alcuni luoghi, per rispetto verso la loro funzione (chiese, luoghi pubblici, case private, musei ecc ecc). Unilaterale, perché vietare l'app significherebbe mettersi contro il mercato, che si sa deve restare libero e incontrollabile: niente interventi statali, ne con i Pokemon, ne con l'economia!
Le istituzioni si rivelano anche in un ambito triviale quale il Pokemon Go impotenti, incapaci di mettere in atto anche la più minima imposizione al free Pokemon trade.
Il divieto di usare la app dagli americani viene visto come una violazione dei diritti umani, una schiavitù inconcepibile. Il secondo giorno c'era già chi catturava Pikachu&Cazzomon vari all'Holocaust Museum di New York (!) Alle proteste dei curatori, i giocatori protestavano che non era un'offesa alla Memoria, ma una celebrazione dei valori americani, perchè...
… il nazismo avrebbe vietato Pokemon Go, pertanto giocarci nella ricostruzione di un campo di sterminio non è solo possibile, è anche necessario per ribadire la nostra libertà contro ogni totalitarismo...

Non trovo le forze per smontare un simile magister cazzarum, se non per ribadire ancora una volta il solito nesso identificativo tra libertà di mercato, libertà di giocare e libertà di consumo.

lunedì 1 agosto 2016

Ventitré cose che non vi dicono sul capitalismo secondo Ha-Joon Chang


Il saggio di economia di Ha-Joon Chang, sud koreano insegnante all'Università, si presenta col peggiore titolo possibile: 23 Things They Don't Tell You About Capitalism.
Quel “ventitré” sembra richiamare certi articoli di giornale e certe catene di sant'antonio – 10 cose che rivoluzioneranno la tua vita! 5 semplici passi per diventare ricco sfondato! – mentre dall'altro quel “non vi racconteranno” sembra alludere a chissà quale conoscenza esoterica.
Scelta infelice o meno, è il genere di titoli che va di moda col mondo anglosassone, il saggio di Ha-Joon Chang è invece un testo pacato e misurato, davvero un buon saggio a favore dell'intervento dello stato nell'economia e di contro alle misure più pesanti del neoliberalismo inaugurato dagli anni '80 e gonfiatosi nei '90 delle diverse bolle finanziarie che continuano a scoppiarci in faccia.
Si vede che Ha-Joon Chang è un insegnante, perchè l'inglese è semplice, fluente, capace di spiegare in tanti passaggi operazioni altrimenti facilmente incomprensibili, specie in un mondo quale la finanza internazionale, che proprio di questa incomprensibilità si avvantaggia.

Il saggio vede 23 capitoli, che corrispondono a 23miti” neoliberali.
Il mito è descritto nel primo paragrafo – What they tell you – dove l'argomento è descritto adottando il punto di vista di un suo sostenitore, con particolare enfasi. Ad esempio, la necessità di tagliare le tasse alla classe dei milionari e dei miliardari, perchè possano investire e creare lavoro, generando ricchezza “a cascata”, la voodoo economics di Reagan. Oppure, la convinzione che le industrie manifatturiere nel mondo post industriale non contino più, prevalendo i “servizi”. O ancora: i paesi del terzo mondo sono tali perchè pigri, poveri, in climi inadatti e senza politiche di apertura al mercato... ecc ecc
Il secondo paragrafo – What they don't tell you – controbatte e demolisce argomento dopo argomento il “mito” sostenuto nella prima parte, proseguendo poi a fornire degli approfondimenti e alcune possibili soluzioni. La struttura, semplicissima e agile, si presta sia essere sfogliata che alla rapida consultazione, con l'autore stesso che fa riferimento a 14 Thing o 5 Thing come rimando e collegamento al testo. La successione dopo la 10 Thing diventa martellante e nonostante l'autore debba essere una persona affabile, il sarcasmo è davvero graffiante.