La popolarità non conta
nulla.
Un tweet, un articolo, un
video popolari possono derivare da buoni contenuti, da un incrocio di
fortuna e abilità, dal semplice caso. Il più delle volte quant'è
popolare è quant'è banale: gli algoritmi dei social sono cani da
caccia che ti inseguono solo se acchiappi immediatamente il lettore,
con immediata reazione, che sia il mi piace, la condivisione, il
commento. In questo contesto, o il lettore attento mette il mi piace e più
tardi legge o si tende al clickbait selvaggio.
In entrambi i casi la
qualità del post – che sia scritto, multimediale o altro – va a
perdersi.
Anche quando l'utente
ripete il successo più e più volte, costruendosi una meritata fama,
questo sarà solo dando al lettore cosa si aspetta. Non appena si
devia dal tracciato, Disastro! L'articolo non fa attrito, le
statistiche deludono, i commenti scompaiono. Sad!
A livello generale sono
convinto che un'eccessiva popolarità di un filosofo, o più
genericamente di un pensatore politico, sia raramente attributo
d'intelligenza. In effetti, bisognerebbe rivalutare quel genere di
conferenze, incontri e scambi fuori dalle grandi arene multimediali:
le conferenze tra hackers nei paesi del nord, gli incontri eccentrici
di Bruce Sterling nei Balcani, gli scambi d'idee sui vecchi siti pre
social, sui forum o ancor più sui social “bassi” come Reddit.
Ovviamente il rischio di
perder tempo, di sfociare nel complottismo o di ritrovarsi tra
cerchie più o meno delusional è alto, altissimo: ancora una volta
bisognerebbe disporre di una serie di guide, novelli Virgili, che ci
guidino nell'Inferno di mezze verità e stronzate che abbondano tra i
social. Capacità auto critiche, un minimo di buon senso e saper
razionalizzare sono buone armi con cui partire. Ad esempio Bruce
Sterling linka spesso su Twitter articoli e video di notizie
francamente ignorate dalla moltitudine, che deviano dalla moda del
momento. Questo però non gli impedisce, due volte su tre, di cadere
in errori imbarazzanti, degni di uno scolaretto. Guide, non padroni.
Un caso a parte sono i
pensatori, specie i filosofi, invitati sul palco multimediale della
BBC, di Google, dei Ted chiaramente perchè consapevoli di quanto
siano controversi, con l'intento di esibirli, alla pari degli animali
del circo. Noam Chomsky apparteneva a questa categoria, ma negli
ultimi anni è stato “normalizzato”: compare di tanto in tanto su
alcuni giornali, è considerato “pericoloso”, ma nei fatti quanto
Noam teorizza è la solita formula reiterata da ormai più di un
decennio, con minime variazioni. E' paradossale che un filosofo così
fissato sull'azione, sull'agire ora e adesso abbia conseguito così
poco in vita. Non fraintendetemi, apprezzo Chomsky, ma bisognerebbe
ammettere che l'uomo è fisso nelle sue idee dai tempi del dibattito con Foucault.
E Slavoj Zizek? Lo
sloveno più famoso del mondo dopo Melania è la personificazione del
leone in gabbia. Se un tempo, verso il 2010, partecipava a questo
gioco con battute e barzellette, mantenendo la riflessione filosofica
sui confortanti binari della psicanalisi, negli ultimi due anni sta
diventando evidente come Zizek sia invitato perchè controverso, non
perchè a nessuno degli intervistatori importi minimamente cosa dica.
Il ruolo del giornalista diventa allora quello del domatore di leoni,
che fa schioccare la frusta quando desidera, con l'intento di
dimostrare l'assurdo delle argomentazioni avversarie.
Ormai c'è
aperta ostilità tra l'intervistatore e intervistato; si consideri
ad esempio l'ultimo incontro di Zizek con la BBC Hardtalk. Più che
Hard, è “Sado”: letteralmente Zizek è costretto alla difensiva,
senza poter sviluppare un discorso sensato.
E nello stesso ambito,
l'incontro con Varoufakis? Più che Hard, “fashion”: un terzo della discussione è incentrata sulla giacca di pelle dell'ex
ministro. Cioè, com'on: che senso ha comparire a simili dibattiti,
non importa quanto “popolari”? Sì, Hardtalk è Hardtalk, ma qui
non vi sono nemmeno intelligenti domande, solo il pretesto del
momento per far aizzare la belva.
La riflessione più
interessante che abbia letto nelle ultime settimane e che si
ricollega efficacemente a un'altra mia traduzione del settembre 2017,
è un video di Peter Sunde, il fondatore di PirateBay.
E' un video fondamentale. L'articolo da cui è tratto, che ne condensa i tratti
più salienti, altrettanto. Sono “popolari”? Sono virali? Sono
stati visti da un alto numero di utenti? Fuck no!
Il video ha meno di
500 visite. Peter Sunde su Twitter scrive in finnico e raramente
supera i 100 rt. Alcune testate giornalistiche sulla tecnologia come
The Next Web hanno estrapolato il video e hanno ricavato un buon
numero di condivisioni borderline col virale (5000), ma senza il loro
intervento il video originale languiva.
Mi sono accorto a metà della
scrittura che Wired Italia aveva già tradotto l'articolo, ma come si
può immaginare ha estrapolato solo un paio di punti trascurando
tutto il resto. Soprattutto ha evitato di citare le soluzioni
proposte da Sunde, così come le sue riflessioni sulle self driving
cars.
Secondo Sunde le persone
si fissano troppo su cosa potrebbe succedere, invece che concentrarsi
su cosa sta succedendo, in questo momento, in quest'istante. Spesso
ci si chiede come sarà la futura distopia, ma la verità è che la
stiamo già vivendo.
In tal senso, Sunde si
riallaccia alla vecchia intervista del 2015, tradotta da Vice Italia.
In questo caso tuttavia
ci si spinge un passo oltre:
E' andato tutto storto. Questo è il punto, non è più su cosa succederà nel futuro, è su cosa succederà adesso, in questo momento. Abbiamo centralizzato tutte le nostre informazioni personali a un tizio chiamato Mark Zuckerberg, che è praticamente il più grande dittatore nel mondo, considerando come non è stato eletto da nessuno.
Trump è nella pratica in controllo di questi dati in possesso di Zuckerberg, quindi penso che siamo già lì. Tutto quello che poteva andare storto è andato storto e non penso che ci sia un modo per noi di fermarlo.
La svolta sarebbe
comprendere come né il problema, né la soluzione sono relativi alla
tecnologia. Internet di per sé stessa era nata per funzionare in
maniera decentralizzata, ma gli utenti continuano a centralizzare
ogni cosa. Ad esempio con le stampanti 3D è evidente come nei
prossimi cinque, dieci anni sarà possibile stampare di tutto,
persino cibo. Tuttavia, con l'attuale (umano) atteggiamento, si
preferirà delegare a un paio di mega corporazioni la responsabilità
di stampare il cibo che preferiamo – nonostante le opportunità di
agire individualmente, cioè in maniera decentralizzata, siano tutte
nostre.
A prova di tutto ciò,
Sunde argomenta come negli ultimi 10 anni, tutte le compagnie,
start-up e siti di successo sono stati comprati dai grandi cinque:
Amazon, Google, Apple, Microsoft e Facebook.
Ormai non creiamo più cose, invece abbiamo solo cose virtuali. Uber, Alibaba e Airbnb, ad esempio, forniscono prodotti? No. Siamo passati da questo modello economico basato sul prodotto, al prodotto virtuale, a virtualmente nessun prodotto a tutti gli effetti. Questo processo di centralizzazione continua ad andare avanti.
Una delle cose più
frustranti degli ultimi anni è come il presunto “progresso” stia
prendendo le dimensioni grottesche di rimpiazzare qualsiasi
interazione sociale con un'app: si razionalizza con l'idea di
guadagnare e nel frattempo massimizzare il proprio tempo, ma si sta
in realtà trasformando uno scambio naturale – un libro in
prestito, un passaggio in auto – in un rapporto pseudo-lavorativo e
pseudo-monetario.
Fontanella di acqua potabile. Per accedere, scaricare la relativa app. |
Dov'è l'innovazione, nel
“tecnologizzare” un'interazione quotidiana?
Dov'è l'innovazione in
un'app che ti tassa per sapere qual'è la fontanella di acqua potabile più vicina?
Dov'è l'innovazione nel
trasformare attività da servo come portarti a lavare la biancheria e
comprare al tuo padrone un panino in app altrettanto servili?
Non è interessante come
questo genere di servizi e “progressi” tenda sempre a escludere
il contatto umano? Amazon vuole sempre più recapitarti il pacco
senza che vedi il corriere, il trasporto pizze ha mille soluzioni per
lasciarti la pizza sotto casa... forse perchè un eventuale contatto farebbe sentire il cliente in colpa o introdurrebbe l'idea che
sta sfruttando quel poveretto.
Non che importi, considerando la
rampante sociopatia.
Siamo super felici al riguardo delle auto che si guidano da sole (self driving cars), ma chi possiede le auto che si guidano da sole? Chi possiede le informazioni su dove possono e non possono andare? Non voglio usare un auto col pilota automatico che non mi può portare in un certo posto perchè lì qualcuno ha comprato o venduto qualcosa d'illegale.
L'esempio di Sunde è
grossolano, lo spingerei un passo oltre: perchè non ipotizzare un
auto con il pilota automatico che funziona a microtransazioni?
E'
possibile immaginare in America una madre che avverte le doglie, il
marito la porta in auto, impostano la direzione dell'ospedale e
sorpresa, l'assicurazione sanitaria è scaduta e l'auto rifiuta di
muoversi. Oppure, più banalmente: l'auto col pilota automatico
imposta la strada più rapida solo se si compra il relativo
“pacchetto”: altrimenti, con l'auto “base”, la strada
impostata risulta di default la più lunga, scassata, trafficata. E
cosa può impedire a un auto col pilota automatico di vietare certe
zone, a cominciare dalle frontiere, i ghetti, le periferie, ecc ecc
Sunde è fermamente
convinto che questo sia uno scenario probabile, considerando come le
compagnie cerchino sempre di mettere i profitti al primo posto, prima
dei bisogni delle persone e della società. Proprio per questo
sarebbe necessaria una gigantesca discussione sulla tecnologia e su
chi la possiede, se non vogliamo finire per vivere nell'equivalente
volgare di Cyberpunk 2020.
Il liberale (!) John Stuart Mill in difesa dello smercio di oppio alla Cina: “(i divieti) sono opinabili non in quanto violazioni della libertà del produttore o del venditore, ma dell'acquirente”. |
La battaglia a favore
della decentralizzazione è in ogni caso persa:
No. Abbiamo perso quella battaglia tanto tempo fa. L'unico modo con cui possiamo fare una differenza è cercando di limitare i poteri di queste compagnie – facendo intervenire i governi – ma sfortunatamente l'Unione Europea e gli Stati Uniti non hanno alcun interesse nel farlo.Direi che noi, come persone, avevamo già perso l'Internet a favore della società capitalista, dalla quale speravamo di sottrarla. Abbiamo avuto questa breve parentesi di un Internet decentralizzata, ma l'abbiamo persa comportandoci in modo troppo ingenuo. Queste compagnie che cercavano di sembrare buone per poterci governare, che ti avrebbero effettivamente “dato” qualcosa. Come Spotify ti da musica e ha questa grande passione per la musica e tutte queste band di successo attorno.Ma quello che ci ha fatto a lungo termine è stato più come il fumo.Le grandi compagnie di Big Data e di tabacco sono davvero simili in quel senso. Prima, non avevamo modo di sapere quanto pericoloso era il tabacco, ma ora sappiamo che ti da il cancro. Non potevamo sapere che dare le nostre informazioni (Big Data) potesse essere così importanti, ma ora lo sappiamo. Ci siamo fumati tutte le nostre vite sui social e ora non possiamo smettere.E come con il tabacco, dev'essere il governo a creare le restrizioni. Tuttavia, è difficile vedere come qualunque governo – eccetto forse gli States e l'Unione Europea – sia in grado di limitare questi giganti della tecnologia.
Sunde è convinto che man
mano che l'Unione Europea diventerà più autoritaria, sarà sempre
più difficile passare leggi che siano attualmente per gli esseri
umani e che tutelino i loro diritti. Cosa alquanto sfortunata, se si
considera come l'Unione Europea tecnicamente abbia il potere
legislativo di fare la differenza, nel campo della
decentralizzazione.
L'Unione Europea potrebbe dire che se Facebook vuole operare all'interno dell'Unione, deve acconsentire a cedere all'utente tutti loro dati, e non solo da Facebook. Cosa che sarebbe alquanto facile per l'Unione da fare, ma che ovviamente farebbe davvero arrabbiare Facebook.Quindi ogni stato sarebbe poi impaurito di essere il primo a implementare la legge, perchè Facebook potrebbe abbandonarlo e tutti i suoi cittadini sarebbero senza il loro tabacco. Questo è il problema che avremo sempre da fronteggiare.
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