venerdì 30 agosto 2019

"Scourge of Fate" Quando il protagonista è il Black Knight. Impersonare un villain



Vanik era solo un neonato sporco di sangue uterino quando suo padre cercò di sbattergli la testa contro il ghiaccio della capanna.
Ma Vanik si rivelò protetto dagli dei, perchè un demone comparve dal nulla, decapitando il padre infanticida con un singolo guizzo d'artiglio.
Quando la tribù barbara venne assalita dai lupi, Vanik non venne divorato, ma fu accolto nel loro branco e per due anni condivise carne e gloria con questi nobili animali.
Leggende, voci, racconti mormorati attorno al fuoco. Vanik non se ne cura, perché il suo sguardo è rivolto al futuro, divorato da un'eterna ambizione.
Nato in una tribù di barbari adoratori del Caos, il bambino è ora divenuto un condottiero, un flagello delle terre civilizzate. Un pellegrino nero, come ama definirsi, alla continua ricerca di potere e gloria. Mentre i suoi compagni in armi consacrano la propria vita a seguire un singolo dio del Caos, Vanik preferisce seguire la via del Caos Indiviso: sottrarre favori e attenzioni da tutte e quattro le divinità del pantheon, ma senza diventare una loro infame marionetta.
C'è un solo dio a cui Vanik vuole votarsi: Archaon il Prescelto Eterno, Archaon il Re dei Tre Occhi, Archaon il Rasoio del Mondo. Un dio che era un tempo un uomo, prima che la sua ambizione lo trasformasse nell'emblema stesso del Caos. E tra le schiere di Archaon, Vanik vuole diventare un cavaliere della Varanguard, la guardia personale di Archaon. Le truppe scelte tra le truppe scelte, la creme de la creme della cavalleria caotica.
Ma proprio per venire ammesso nella prestigiosa cerchia, Vanik dovrà compiere un'impossibile missione...

Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda. Le nobili avventure di Lancillotto. Sir Galvano e la ricerca del Graal. Il Cavaliere Verde. La Dama del Lago. Le giostre, i duelli, gli assedi. La mitologia arturiana è densa di personaggi e situazioni riprese successivamente dal fantasy moderno. E tra i personaggi delle saghe delle origini, spicca il Cavaliere Nero.
Misterioso villain che (s)compare come più gli piace, il Cavaliere Nero è un guerriero formidabile, ma dall'anima color gaietto come la sua armatura.
Il romanzo “Scourge of Fate” si pone l'interessante domanda di chi sia il Cavaliere Nero: cosa pensa, cosa vuole, cosa desidera un “cattivo” di quella risma?
E lo applica al mondo di Warhammer, alla nuova ambientazione di Age of Sigmar. Vanik infatti è il Black Knight. E ovviamente nel mondo della Games Workshop questi è un guerriero del Caos Indiviso, affamato di gloria.
Potremmo effettivamente definire “Scourge of Fate” come il romanzo dell'anti-paladino per eccellenza. L'autore Robbie MacNiven - meglio noto per i romanzi di fantascienza - ricama l'arazzo di un'anima dark, ossessionata dal potere. Un guerriero che vive per combattere, teso a conquistare il suo posto nella Varanguard di Archaon, qualunque sia il prezzo.
Vanik, a confronto con altri adoratori del caos, non è né particolarmente efferato, né particolarmente crudele, ma quanto colpisce è la sua assoluta dedizione a sacrificare tutto, ma proprio tutto, pur di entrare tra i prescelti di Archaon.
Durante i combattimenti Vanik avverte il cameratismo con i suoi cavalieri, con guerrieri che lo hanno accompagnato per decenni. Tuttavia non esita mai a soffocare questi sentimenti come bambineschi, a rimproverarsi ogni moto di umanità. Il suo stesso rapporto con la sorella, una regina guerriera Darkoath, è squisitamente pragmatico: i barbari al suo servizio sono pedine da sacrificare in battaglia, nient'altro. Robbie MacNiven ritrae un guerriero assolutamente amorale, rendendolo al contempo stranamente amabile.
Se Vanik infatti da un lato è un guerriero arrogante ed egoista, dall'altro è un self-made-man.
Egli è nato in una tribù di barbari dove tutti lo volevano morto e si è aperto la strada – tra sangue e budella – nella società caotica. Non ha reali amici se non per la devozione religiosa della tribù al suo seguito; non ha maestri, se non una guerriera di Archaon, Karen Daemonflayer, che lo manovra per i propri intrighi. Vanik è solo nella sua sete di gloria e non c'è momento nel romanzo dove non debba cavarsela da solo, un arto mozzato alla volta. Al confronto con le noiose profezie di Sigmar, Vanik è un guerriero qualunque, assorto a una posizione di dominio solo in virtù del proprio coraggio e abilità di combattente. Qui risiede la chiave dell'identificazione del lettore che segue volentieri le imprese di questo underdog, di questa sfavorito dagli dei che sogna oceani di sangue.

Geoff Taylor

Il romanzo dapprima descrive Vanik guadagnare una spada demoniaca – la cui insidiosa voce non fa breccia nell'animo arido del guerriero – spostandosi poi nei reami del Caos, fino alla fortezza personale della Varanguard di Archaon. Qui Vanik riceve il suo reale incarico, ovvero eliminare il condottiero di una città degli umani nel Reame del Metallo. L'uomo, il castellano Albermarl, sembra destinato secondo gli dei del Caos a diventare uno stormcast e a rovesciare la fortezza stessa di Archaon, la Varanspire. Un'impresa difficile, perchè Vanik dovrà così stanare dalla città di Albermarl, Helmgard, il suo obiettivo, affrontando un esercito di uomini e nani. Ma non c'è tempo da perdere, perchè il concorrente di Vanik per entrare nella Varanguard, Blackhand, è già in viaggio a radunare le sue schiere per battere sul tempo il rivale. Quest'ultimo lo disprezza non solo per l'ottusa brutalità, ma perché devoto a Khorne, schiavo del dio del sangue. L'autore è particolarmente bravo a delineare come Vanik sia orgoglioso della sua indipendenza, dell'essere uno spirito libero devoto solo al Caos nella sua interezza.

To choose just one branch of the Eightfold Path, one God amidst the Great Pantheon, was to open yourself to that weakness. It meant that a warrior could no longer choose his own path, that he was dictated to by something that viewed him only as a plaything. It ensured that there was nothing to be bargained with, nothing to be withheld. Earlier, when Vanik had first left the lodges of his village, he had not understood such subtleties, but he had been fortunate – the first champion he had served under, Golgeth Eightpoint, had taught him the value of serving the Four in turn, how each could grant different boons, and presented different dangers.

L'ultimo terzo del romanzo, infine, è dominato dallo scontro di Vanik contro Albermarl e il suo libero esercito di Helmgard, risolutamente tesi a combattere (e a morire) per Sigmar. Una gigantesca battaglia campale, rievocata con grande attenzione alle tattiche e ai movimenti delle truppe.

“Scourge of Fate” senza dubbio ha uno dei suoi punti di forza nella descrizione particolareggiata e attenta dei reami del Caos, i cui popoli finalmente vengono descritti in maniera credibile. C'è una contorta economia, alla base dei territori sotto il gioco caotico, un'anarchica organizzazione lontana dallo stereotipo delle orde dei barbari scaturiti dal nulla.
Sebbene continui a mancare quell'attenzione all'agricoltura e all'economia presente persino in Tolkien, quando accenna a come Mordor abbia vaste coltivazioni nelle terre dell'Harad e di Umbar, la ricostruzione è valida.
Presso i giganteschi accampamenti di barbari e guerrieri del caos, ad esempio ritroviamo le famiglie dei soldati, le puttane e soprattutto i mercanti.

They passed around the edge of a sutler enclave, where merchants and traders from across the dominions of Chaos were peddling their wares to the encampments – hides and pelts, fresh meat, gritbread and lard, herbs and root-plants, coarse ales, and garments of leather and linen, fur and silk. There were trinkets in abundance, tokens and icons of wood and stone, brass, iron, clay and bone, and less identifiable substances, etched in a thousand different shapes and sizes and dedicated to any of the multifarious ways of the Eightfold Path.

Ma non mancano ovviamente le scene di delirio, incubi nella tradizione di Bosh e dei surrealisti.
I devoti a Khorne, ad esempio, si tagliuzzano con i coltelli rituali all'interno di processioni senza fine, prima di morire annegati nel loro stesso sangue.

Vanik murmured a prayer-blessing to the Blood God as they carried on down a narrow street lined with shrines and statues to the champions of the World-That-Was. Blood-supplicants stumbled and staggered out of the retinue’s way, their howls filling the dank air. The wretched creatures were stripped bare and slashing themselves with ritual blades provided by the shrine’s bullheaded keepers, until they were drenched head to foot in their own blood. They were permitted to wander the street, begging for the blessings of the Warhound, until weakness and exhaustion made them collapse. As soon as one did, other gore-drenched supplicants would swarm them, brutally hacking off the head to add to the offering piles stacked up outside each shrine.

I territori sotto il dominio del caos vedono il tempo e le distanze distorcersi e mutare a seconda dei voleri degli dei: Vanik, quando sente di essere “fortunato”, attraversa i territori fino alla Varanspire in pochi giorni, ma come egli stesso confessa, altre volte gli ci erano voluti mesi interi.
Niente è fisso, tutto muta e cambia continuamente all'interno di queste zone, con un forte senso di weird, d'una realtà corrosa e senza più regole, niente più che un balocco degli dei.
Varanspire, a sua volta, ricorda un'Hogwarts sotto psicoacidi: un labirinto di corridoi, specchi e grottesche figure, esteso su chilometri di camminamenti e torri, trabocchetti e fossati.

La battaglia finale – quasi un terzo del romanzo – gioca la parte del leone: uno scontro campale tra le forze del caos di Vanik e l'esercito del bene di Albermarl. Robbie MacNiven ha confessato come la principale ispirazione gli sia giunta dai romanzi storici di Bernard Cornwell.
E lo dimostra bene: nelle mischie convulse con masse di uomini che si sbudellano e impalano, negli scontri tra i muri di scudi dei barbari e dei nani, nelle ferocissime cariche della cavalleria pesante...
L'autore non risparmia il fragore, il disordine, l'incomprensione degli ordini gridati nel fumo, ricamando un bell'arazzo di combattimenti assolutamente feroci.
Il castellano, bersaglio di Vanik, è infatti convinto come i suoi nemici siano niente più che una diversa forma di orchi, certo più intelligenti, ma altrettanto facili da sconfiggere.

‘They fight the same way,’ - riflette Vanik durante lo schieramento delle reciproche truppe - ‘So many of the Free Cities. They think of war as a profession. They view it as a job to be performed, like tilling a field or labouring in a forge. At the end of each day they collect their payment, and they go home. That is why they lose. That is why the Mortal Realms will fall. War is not a profession. It is the reason for existence itself. It gives us focus and purpose. It fixes the eyes of immortals on us, and brings us unimaginable rewards.’

Mentre in molti romanzi tratti dai videogiochi o generalmente tie-in la violenza viene annacquata nella descrizione dei colpi reciproci, nell'uso di descrizioni astratte e impersonali, qui la battaglia è un affaraccio sporco e lurido.
Ad esempio, il guerriero più valente al servizio di Vanik è un invasato di Khorne prossimo a crisi psicotiche, che falcia i suoi nemici come grano maturo:

The monster killed Stromez. Hilfinger saw it plough its great spear through the duardin’s ancestor shield as though the gromril were mere parchment. It caught the duardin just beneath his silver ancestor mask, the stylised metal beard turning suddenly red as his head was half severed by the force of the blow.

Vanik stesso, a sua volta, non scherza quando carica, lancia in resta...

The horse’s head came away in a spurt of bright arterial blood that doused both the human knight and Vanik, a second before Nakali flew from its scabbard and beheaded the falling nobleman.

E poi, ammettiamolo, è divertente leggere i guerrieri del bene finalmente ricevere le batoste che meritano, diamine!

Adrian Smith
Il migliore merito della battaglia, tuttavia, risiede nella sua accurata descrizione delle tattiche e dei comportamenti di entrambe le forze in campo, raccontate attraverso i reciproci generali e una manciata di personaggi base, dal capitano dei picchieri, al comandante dei nani.
I combattimenti non detraggono da quanto rimane – in termini cinematografici – una telecamera fissa e chiara che non scade mai nella mischia a centro campo.
E qui si nasconde la più grande forza e al tempo stesso la più grande debolezza di questo romanzo, forse tra i migliori ambientati a Age Of Sigmar. La battaglia infatti rievoca – con i suoi blocchi di truppe, con le sue manovre, con la risoluzione dei combattimenti – il Vecchio Mondo di Warhammer Fantasy.
I racconti di guerra ai tempi della quinta edizione, i consigli su come schierare, su come muoversi, i tatticismi dell'Impero e le combinazioni di armi e armature magiche dei grandi eroi... Se il romanzo funziona, lo fa solo in virtù di questo sostrato precedente, di quest'eredità oldhammer. I passaggi migliori del romanzo rievocano alla perfezione la trilogia “Schiavi dell'oscurità” di Gav Thorpe, la quale narrava la caduta di un templare dell'Impero irrimediabilmente corrotto dalle promesse fallaci del caos.
E qui, come si suol dire, casca l'asino. Perché se un romanzo di Age of Sigmar funziona quando nasconde di appartenere a quell'ambientazione, quando diverte, perchè senza Stormcast, senza quegli elementi che rendono il setting riconoscibile... C'è chiaramente un problema grave.
Scourge of Fatefunziona perchè nega quell'etichetta “sigmarita”, nega tutte le caratteristiche più evidenti, più emblematiche di Age of Sigmar. E non è un bel segnale se a cinque anni di distanza dalla cancellazione di Warhammer Fantays, il meglio di Age of Sigmar sono prodotti che ricordano la precedente ambientazione che si desiderava assolutamente dimenticare.

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