C'è chi desidera saper scrivere bene come Hemingway, saper scandagliare gli abissi dell'animo umano come Dostojevski, terrorizzare il lettore come Stephen King, guadagnare e diventare famoso quanto George RR Martin.
Mirare ai grandi, che siano contemporanei o classici, è naturale per qualsiasi aspirante scrittore.
Ci si forma sui propri autori preferiti, si cerca di imitarli, si desidera il loro successo, il loro riconoscimento.
Siamo nani sulle spalle dei giganti, anche nell'ambivalenza propria del gigantismo: spesso, dopo anni, questi classici, questi “grandi”, appaiono meno originali e intelligenti di quanto si pensava in gioventù.
Ad esempio, Neil Gaiman è un grande scrittore. Innegabile. Tuttavia è stato anche uno scrittore estremamente fortunato. Letteralmente, in seguito agli studi, ha trovato impiego come sceneggiatore in seguito alla conoscenza con il dio Alan Moore.
Non ha faticato presso case editrici, non ha sputato sangue implorando visibilità, ha semplicemente avuto fortuna.
Il suo lavoro era notevole, ma così lo erano tanti altri, che pure languono nell'oscurità dell'anonimato.
Spesso, tra questi “giganti”, il fattore fortuna gioca un ruolo talmente cruciale da disarmare qualsiasi proposito d'imitazione.
A volte si tratta semplicemente di essere uno scrittore negli anni '80/'90 in un paese in lingua inglese e di scrivere il genere che tutti desiderano leggere.
Questo non sminuisce il valore di quanto si scrive, né sottovaluta i classici.
Tuttavia mi domando se non sia il caso di prendere come modello scrittori “medi”, quelli che vengono definiti “mestieranti” e considerare con attenzione come sopravvivono e come scrivono.
A meno di non essere assoluti geni, siamo più vicini a “loro” che a uno Shakespeare, un Dickens, un Asimov.
Si consideri l'autore di oggi, Dan Abnett.
Dan Abnett è conosciuto nel mainstream come romanziere e sceneggiatore di diversi fumetti supereroistici, ma probabilmente il suo migliore lascito è la tuttora attiva collaborazione con la Black Library nell'ambito di Warhammer Fantasy e Warhammer 40000. In questo settore egli è un gigante, uno dei padri fondatori del genere, assieme a William King con la saga di Gotrek&Felix.
La saga degli Spettri di Tanith è stata tra le prime a prendere attrito anche la di fuori del fandom e continua fino ad oggi, con dieci e più volumi alle spalle.
Allo stesso modo, la trilogia di Eisenhorn ha ricevuto ampie lodi dai critici e dagli appassionati di fantascienza e fantasy per la vivacità del ritmo e dei protagonisti.
Per un fan – come il sottoscritto, ad esempio – è chiaro come Dan Abnett sia un classico, alla pari con tanti nomi più famosi. Ma è altrettanto chiaro come non sia uno scrittore particolarmente versato nello stile o nella profondità delle idee: quanto costruisce è solido intrattenimento, che scrive ininterrottamente da anni, con ritmi quantitativi e qualitativi tali da far sembrare Stephen King un dilettante.
Quando Dan Abnett è al top della forma, i suoi romanzi azzeccano quell'equilibrio di caratterizzazione dei personaggi, azione sfrenata e malinconica nostalgia che non hanno nulla da invidiare ai classici della fantascienza.
Quando invece Dan Abnett è stanco o ha un affitto arretrato da pagare, la storia viene diluita nell'ennesimo canovaccio dove i protagonisti si picchiano in una confusa battaglia finale.
Nonostante non vi sia nessuna ricerca psicologica, i protagonisti di Dan Abnett possiedono tuttavia una vivacità e un realismo assente negli altri lavori della Black Library. La polifonia di voci degli Spettri di Tanith, comandata dal direttore d'orchestra quale è Gaunt, oppure il carattere caparbio e badass dell'inquisitore Eisenhorn... hanno un'umanità, una voce a cui è facile affezionarsi. Dopo un paio di libri di Dan Abnett si ha la piacevole sensazione di rincontrare alcuni vecchi amici e questo può succedere sia dopo anni di conoscenza dell'autore, ma anche se lo si è appena scoperto da qualche settimana.
E' interessante come la trilogia originaria di Eisenhorn, in Italia tradotta dalla Hobby&Work e ritradotta nel primo volume dalla Mondadori, nasca come fan fiction di un gioco di ruolo con miniature di 54mm dell'epoca, Inquisitor. Malignato lungamente, Inquisitor è in realtà valido se lo si considera come un rpg a tutti gli effetti e se lo si concepisce per com'è nato, ovvero una narrazione condivisa tra più giocatori e master, non una gara a chi trova la combinazione di armi e abilità più potente possibile. Ad ogni modo, nell'occasione di Inquisitor, i lavori di background sulle diverse fazioni dell'Inquisizione in Warhammer 40000 spinsero Dan Abnett alla redazione della trilogia di Eisenhorn, la cui nascita è pertanto casuale, come una qualsiasi fan fiction. Questo fa bene comprendere il clima perdurato fino alla prima metà degli anni '2000, quando gli scrittori della Black Library avevano ancora una relativa libertà di scrittura e dove i personaggi iconici delle diverse serie nascevano praticamente nella fervida mente dell'autore. Un confronto con le attuali serie, progettate a tavolino negli incontri tra più scrittori, editori e dirigenti della Games Workshop è ovviamente impietoso e dovrebbe far riflettere come le migliori invenzioni narrative dell'universo di Warhammer siano state partorite a caso, non progettate allo scopo di vendere quel soldatino, quel veicolo, quel set di regole.
Tornando al discorso iniziale, Dan Abnett è un bravo scrittore, ma non sembra così irraggiungibile come tanti altri. Bravo, certamente. Imitabile, però. Si consideri solamente come la serie degli Spettri di Tanith plagi lo stile di Sven Hassel, le tattiche della Seconda Guerra Mondiale e sopratutto ripercorra la trama e le azioni del Battaglione di Sharpe nell'era napoleonica di Bernard Cornwell (più la serie tv con Sean Bean che la serie cartacea).
Lo scheletro, depurato dai suoi elementi di base, è letteralmente identico.
Quarantamila anni nel futuro. La razza umana governa un impero in decadenza, assediato da molteplici razze aliene e dalla minaccia del Caos. Il Dio-Imperatore, un cadavere marcescente sul trono, stringe con pugno di ferro i suoi domini. Mentre le sue armate incendiano la frontiera della Galassia, sul fronte interno spetta all'Inquisizione vigilare su ogni segno di dissenso.
La trilogia di Xenos, Malleus, Hereticus segue le avventure dell'inquisitore Eisenhorn attraverso le tre fasi della vita di un inquisitore, dalla lotta all'alieno come inquisitore puritano (ordo Xenos), al passaggio alla lotta contro i demoni (ordo Malleus) alla conversione al radicalismo e all'usare le armi degli alieni e del Caos contro loro stessi, salvo essere dichiarato eretico dalla stessa Inquisizione di cui continua a fare parte (ordo Hereticus).
Dan Abnett tratteggia con abilità comprimari indimenticabili, dall'erudito Aemos, all'intoccabile Bequin, al Giudice Dredd arbitres Fischig. Eisenhorn si muove in una galassia credibile, popolata di diverse culture con una propria storia, un proprio linguaggio, un diverso modo di adorare il Dio-Imperatore. La rappresentazione offerta da Abnett deve più a Star Wars che a Warhammer 40000, nel senso che viene totalmente a mancare quell'influenza gotica, quel tecno-feudalesimo proprio dell'ambientazione. Eisenhorn visita un pianeta quale Gudrun allo stesso modo come Obi-Wan Kenobi investiga un'apparizione sith su un pianeta qualsiasi. Non a caso Dan Abnett scriveva nello stesso periodo dei primi due film della nuova trilogia di Star Wars a inizio '2000. Se certamente questo è un aspetto criticabile, dall'altro rende facile immedesimarsi in Eisenhorn e contribuisce a quel realismo avventuroso, a quell'atmosfera propria di un fantasy nello spazio che rende la lettura così soddisfacente.
Eisenhorn è un protagonista peculiare: combattivo, astuto, intelligente, viene tuttavia sottoposto a prove sempre più ardue, che culminano nel terzo libro nell'accusa definitiva di eresia. Pur essendo dei “buoni”, Eisenhorn mantiene sempre una harshness, una brutalità di fondo assente negli altri inquisitori della Black Library. Un Mary Sue, nel senso che è invincibile, indistruttibile, dalla risposta sempre pronta. Dall'altro, un carattere spigoloso, piuttosto arrogante. La trilogia successiva di Ravenor, al confronto, è meno interessante, in quanto l'allievo di Eisenhorn è fin troppo comprensivo e gentile nei confronti di quanti lo seguono e combattono.
Alla fin fine, Eisenhorn è una testa calda.
Qualche anno fa Dan Abnett ha provato a rimettere mano alla saga con “Pariah”, che doveva essere il primo libro di una nuova trilogia che avrebbe contrapposto, diversi secoli dopo gli eventi di “Hereticus”, un ormai ultracentenario e radicale Eisenhorn e il suo pupillo, Ravenor. Nel mezzo, una Bequin clone dell'intoccabile conosciuta da Eisenhorn, senza identità su un pianeta abbandonato. Il romanzo in sé non era un capolavoro e si concludeva con un cliff hanger tale da far arrabbiare il lettore. In seguito non ci sono state voci su un possibile sequel e il successo ormai dirompente della Horus Heresy negli ultimi dieci anni ha eclissato questa seconda trilogia. La ragione del ritardo del seguito, “Penitent”, non ritengo sia attribuibile a Dan Abnett, quanto a una decisione degli alti vertici della Games Workshop, costretti tra la necessità di nuovi romanzi in vista delle nuove uscite e dall'altro dallo sforzo di worldbuilding di Age of Sigmar.
Il romanzo in questione, “The Magos”, si colloca a metà tra gli eventi narrati nel terzo volume, “Hereticus” e il primo romanzo, “Pariah”, della nuova trilogia. La sua natura trasversale tuttavia non gli impedisce di essere una storia completa, che esordisce con i precedenti racconti collezionati negli anni e si riconnette all'incipit di Pariah. Un altro aggancio viene fornito dall'omnibus di Ravenor.
Il libro pertanto segue in ordine cronologico i diversi racconti con protagonista Eisenhorn o Ravenor e culmina con The Magos. Come ammette Dan Abnett, si tratta di un romanzo nato dal nulla, progettato inizialmente come un racconto, al più una novella. Come l'originario volume, Xenos, era nato casualmente come fan fiction di Inquisitor, allo stesso modo The Magos esordisce come una storiella di contorno e si trasforma in una narrazione appassionante e bene costruita.
Il libro pertanto segue in ordine cronologico i diversi racconti con protagonista Eisenhorn o Ravenor e culmina con The Magos. Come ammette Dan Abnett, si tratta di un romanzo nato dal nulla, progettato inizialmente come un racconto, al più una novella. Come l'originario volume, Xenos, era nato casualmente come fan fiction di Inquisitor, allo stesso modo The Magos esordisce come una storiella di contorno e si trasforma in una narrazione appassionante e bene costruita.
“Pestilence”, il primo racconto, pone come protagonista un ricercatore dell'Imperium, incaricato di scoprire una cura a una pestilenza che sta flagellando i reparti della Guardia Imperiale impegnati nel conflitto. Più Samuel Sark investiga la pestilenza, più scopre come non sia affatto “naturale”, ma al contrario un prodotto in vitro del Caos...
Una storia pre Xenos molto bene costruita, con alcune scene verso la fine degne di un horror. Si osservi particolarmente l'uso degli esclamativi, lo stampatello maiuscolo e il tono biografico che nell'insieme evocano una testimonianza lovecraftiana, sperduta nella follia.
Il secondo racconto, “Master Imus' Transgression”, segue un anziano contabile che scopre un sospetto di eresia e nel suo caso viene soccorso da un giovanissimo Eisenhorn, nella compagnia di quel cazzone di Titus Endor, entrambi ancora a servizio come confessori del Gran Maestro Hapshant.
La storia ruota attorno alla possibile esistenza dei poteri del Caos nei semplici numeri - “numbers of ruin” - un inganno insospettabile nelle quotidiane attività del Ministorum.
La storia ruota attorno alla possibile esistenza dei poteri del Caos nei semplici numeri - “numbers of ruin” - un inganno insospettabile nelle quotidiane attività del Ministorum.
“Regia Occulta” è un altro mystery/giallo ambientato su un pianeta flagellato da tempeste warp, dove un annoiato Eisenhorn investiga su alcuni delitti a firma di un apparente serial killer.
Una storia piuttosto sanguinosa, con alcune buone descrizioni geografiche e caratteriali.
“Missing in Action” mette Eisenhorn nella difficile situazione di dover risolvere il caso di un plotone di ex veterani della Guardia che si rifiutano di smettere il servizio attivo.
In altre parole, il dramma del Vietnam negli occhi dei fucilieri della Astra Militarum.
“Backcloth for a Crown Additional” è la mela bacata della raccolta: un'investigazione di Eisenhorn con Aemos e Bequin alle prese con fotografie infestate di demoni.
Inclusa una scena tragicomica dove l'inquisitore combatte con la spada Barbarica contro delle malvagie fotografie svolazzanti.
La descrizione di un circo nel mondo di Warhammer 40000 presenta alcuni paragoni spassosi:
For a penny, you could ride the shoulders of a Battle Titan – actually an agricultural servitor armoured with painted sections of rusty silage hopper. For another penny, you could shoot greenskins in the las-gallery, or touch the Real and Completely Genuine shin bone of Macharius, or dunk for ploins.
Come a controbilanciare l'assurdo del racconto precedente, “The Strange Demise of Titus Endor” è una storia straniante e triste, dove il protagonista, un ormai anziano Endor, è intrappolato in un misterioso complotto su un pianeta ghiacciato. Dan Abnett dimostra di saper descrivere qualcosa di più del colore dei vestiti del protagonista, quando propone ad esempio il seguente paragone:
The auditorium was painted crimson, with scarlet upholstery and gold woodwork. When the house lights came down, it was like being seated in the ventricle of a heart, a red cavity pumping with sound. He sat in the stalls, never in the same seat. His folded programme and his rented opera glasses lay in his lap.
Alcolista, affetto probabilmente da una forma di Alzheimer, è un racconto narrato da una terza persona densa di nostalgia per un tempo irrimediabilmente passato per sempre.
Valentine Drusher è un Magos Biologis, uno zoologo nel mondo di Warhammer 40000.
In seguito a decenni impegnati nello studio e nella catalogazione di ogni singola specie, animale e insetto del suo pianeta, viene convocato di urgenza alla notizia di un predatore che nessuno riesce a catturare, un mangiauomini che sta seminando il terrore nelle province. Nessun testimone oculare sopravvive ai suoi attacchi dalla precisione di un chirurgo impazzito.
Uno spaventato Drusher deve così improvvisarsi cacciatore in quella che a tutti gli effetti è una rilettura di Predator: l'animale, infatti, è un alieno.
Storia dal prevedibile colpo di scena, ravvivata dal personaggio di Drusher, un accademico facile allo spavento, ma dotato della mente analitica e precisa di un investigatore esperto fino all'autismo nella sua materia.
Dopo “The Curiosity” si torna in ambienti inquisitoriali con “Playing Patience”, dove Dan Abnett narra il reclutamento di una delle seguaci di Ravenor, una psionica con poteri di telecinesi.
Un racconto piuttosto corposo, con prestiti da “The Running Man” e diverse storie precedenti.
“Thorn Wishes Talon” è un riferimento al linguaggio Glossia inventato da Eisenhorn e conosciuto anche da Ravenor: la storia infatti segue un incontro tra i due ormai anziani inquisitori. Eisenhorn vuole avvertire il suo ex allievo di un possibile pericolo nella sua lotta contro i Cognitae, una setta eretica che mira a provocare disastri naturali e bellici per facilitare l'ascesa dei poteri oscuri. Mimetizzati nella popolazione di centinaia di mondi dell'Imperium, esperti nella dissimulazione e nel machiavellismo, i Cognitae sono una minaccia formidabile, lontani dall'essere cultisti sempliciotti da snidare col lanciafiamme.
Secondo racconto migliore della raccolta, dopo Titus Endor, “Gardens of Tycho” è una storia con tutti i crismi di un action come si deve, con un incipit che vede il Drusher di “Curiosity” povero e senza lavoro, uno svolgimento nuovamente alle prese con quanto sembra un animale, ma è qualcosa di gran lunga più letale (e artificiale) e addirittura un happy ending con tanto di storia d'amore.
Drusher si riconferma come un buon personaggio, con le sue debolezze e i suoi scatti di arroganza intellettuale, mentre stavolta viene affiancato da Macks, una capa di polizia degli Adeptus Arbitres con un pesante manganello (non equivocate).
Drusher si riconferma come un buon personaggio, con le sue debolezze e i suoi scatti di arroganza intellettuale, mentre stavolta viene affiancato da Macks, una capa di polizia degli Adeptus Arbitres con un pesante manganello (non equivocate).
“The Keeler Image” incrocia l'eredità di Horus Heresy e la saga di Eisenhorn post Hereticus, quando ormai è stato dichiarato fuorilegge dall'Imperium.
Eisenhorn è infatti interessato a una sospetta asta d'arte, dove tra gli oggetti esposti c'è un pittogramma di Horus prima della caduta.
Eisenhorn è infatti interessato a una sospetta asta d'arte, dove tra gli oggetti esposti c'è un pittogramma di Horus prima della caduta.
La storia chiaramente è stata scritta da Dan Abnett per i suoi fan, anche se ciò non la rende meno entusiasmante. Ma come già detto, sono a mia volta un fan di Abnett, il mio giudizio è offuscato...
“Perihelion”, infine, trasmette la stessa sensazione di un teaser di un trailer: troppo corto, troppo breve, insoddisfacente.
Incomprensibile come lo si vendesse come un racconto separato.
Come introduzione a “Magos” può andare.
Come introduzione a “Magos” può andare.
Il principale protagonista di “The Magos” è ancora una volta Drusher, che viene strappato dalla sua auto commiserazione come Magos Biologis fallito da Macks, a sua volta in contatto con Eisenhorn, approdato sul pianeta per investigare una possibile cellula dei Cognitae, gli eretici che avevano dato tanto filo da torcere allo stesso Ravenor.
Tra le catene montuose di Gershom, luogo prediletto dalla nobiltà locale e dagli escursionisti, il confessore Ishabel, figlia di quell'Ishabel immolato al servizio di Eisenhorn nella trilogia originaria, aveva scoperto un possibile accesso a uno dei quartieri generali dei Cognitae, prima di venire misteriosamente uccisa. Il seguito ridotto di Eisenhorn, ormai un potente psionico duocentenario, conta Medea Betancore, la pilota di Hereticus e Harlon Nayl, ex cacciatore di taglie, un vero “pezzo duro”. Valentine Drusher, ancora una volta, viene convocato per un'autopsia di quanto sembrano morsi di orso, ma sono in realtà qualcos'altro – ancora una volta un sospetto alieno e/o caotico.
“The Magos” si svolge con l'andamento di un mystery, dove i primi due terzi della storia consistono nell'investigazione nella natura incontaminata di Gershom. Indizi, autopsie, ricerche d'archivio, eventi soprannaturali: Dan Abnett trasmette bene un'atmosfera carica di secoli di storia, dove una sbavatura, un appunto al margine, un elemento ignorato nella fretta può fare la differenza tra la soluzione e il fallimento più completo. Il lettore si sente come quel bambino che solleva una pietra e vi scopre sotto un ribollire di vermi e insetti disgustosi, nascosti sotto quello che sembrava un prato tanto verde e piacevole. Egualmente Eisenhorn ha la capacità di percepire, nelle minime sbavature, un indizio di qualcosa di marcio, nella società locale, nelle famiglie dei nobili e degli industriali al potere.
Un secondo elemento che distingue “Magos” dall'omnibus di Ravenor e dalla trilogia precedente è la scarsezza di risorse di un inquisitore dannato quale Eisenhorn. Senza truppe a disposizione e con un seguito sparuto, si deve lavorare con quel poco a disposizione, anche in termini di veicoli e potenza di fuoco. Eisenhorn si deve accontentare degli avanzi della società come Drusher e Macks.
Accanto all'obbligatoria citazione weird/lovecraftiana – i Cognitae si riferiscono spesso allo Yellow King di Chamber – non mancano le battute sardoniche e l'umorismo dei comprimari:
‘What is it?’ Drusher asked, dabbing at his split lip.
‘Caffeine,’ she said.
‘I don’t have any caffeine,’ he replied. The woman frowned and gestured towards the kitchen.
‘Brown powder. Silver tin. Second shelf. Marked “Caffeine”.’
'It was a sample of desiccated treefox droppings, for analysis,’ said Drusher.
She nodded thoughtfully, then shrugged. ‘Probably better not drink it, then,’ she advised.
Oppure, l'opinione di Nayl sui poteri psionici:
‘Well, I’ll take your word for that, Master Nayl. It sounds a lot like hocus-pocus nonsense to me.’
‘Me too,’ said Nayl. ‘But if hocus-pocus nonsense works, you go with it.’
Verso la fine della storia, il punto di vista passa ad Eisenhorn, ma la stragrande maggioranza dei paragrafi segue la prospettiva di Drusher, che può presentare delle difficoltà, con il suo linguaggio erudito:
‘Ursa minora gershomi?’ said Drusher. ‘Or majora, I suppose? Or even a cave ursid, though those are rare these days?’
‘Sir?’
‘A banded ursid, or a big grey?’
‘Yeah, we get both kinds up here. The king greys once in a while. So, we thought, some poor idiot left the wood path, got taken. Never got an identification on the victim, though. No papers. We ran genetic samples through the system, and even shared them with other networks. Then in the spring, there were two more. Same deal.’
La costruzione immaginaria del luogo dove si muove Eisenhorn, della storia delle montagne e delle foresta dove si svolge l'investigazione, lascia impressionati. Dan Abnett stende strato dopo strato di storia, con tanto di topografia, nomi e località immaginarie.
They towered in their own right: younger mountains, sharp-edged, clothed in evergreen forests below their shoulders, sweeping up into spires of naked dark granite. They were called the Unkaran Hills, known too as the Karanines, and they formed the northern and eastern limits of the province. Their older, glowering cousins, the Tartreds, could be seen, from high ground on a clear day, as a blue shadow two hundred kilometres away, like the front wave of a great deluge, frozen solid and forever about to roll in and sweep the province away.
The history of the territory had been fraught. It had evaded Gershom’s recent conflicts, including the long and complex civil war that had ravaged the Peninsula, spared by its outlying state and lack of significance. But the fortresses that clung to the long spur of the hills spoke of older disputes. Outer Udar lay to the east of the Tartreds’ flanks, and in the early days of settlement, its territories had bred fierce nomadic peoples with an expansionist mindset. Long, ungainly wars of invasion and repulsion had haunted the Karanine belt.
No one studied them any more. The deeds and efforts of those wars were remembered only by the pages of history texts that slept on the library shelves of Unkara Town, and were never opened. The sites of skirmishes and battles were lost in the woodland slopes and valleys, so overgrown and misplaced that even their particular significances and causes had vanished.
Occasionally, a farmer, grazing high pasture, or a woodsman in the deeper forest, would stumble on a rusted buckle or spear tip, or a piece of bone that was not an animal’s, and realise that something had once happened in that empty place.
Quando infine si passa dal mystery all'action e allo scontro con i Cognitae c'è più carne al fuoco di quanto sarebbe lecito aspettarsi. Combattimenti, certo, ma nella loro ricerca occulta, i Cognitae hanno scoperto diverse verità lovecraftiane; si va dall'Eununcia, un linguaggio capace di modificare la realtà, a forme di spazio-tempo teoricamente impossibili, a un piano caotico che farebbe arrossire il più inveterato Primarca delle Legioni traditrici.
Ovviamente, al fondo di tutto, Eisenhorn in persona.
Dan Abnett lo descrive in alcune scene come l'inquisitore che siamo arrivati a conoscere nelle opere precedenti e in altre come un estraneo, un vecchio pieno di dubbi e paure, sorretto solo dalla propria volontà ferrea. C'è uno sfasamento tra l'Eisenhorn che pensiamo di conoscere e l'Eisenhorn reale, descritto da Abnett. Se vogliamo, è come riconoscere un amico dopo tanto tempo: ci sembra di conoscerlo, ma è radicalmente diverso. Ma resta un amico, nel bene e nel male.
Nessun commento:
Posta un commento