A
questo titolo sono necessarie due premesse particolari.
La
prima premessa invita, nell'ambito dei discorsi della privacy e dei
sistemi di sorveglianza, a limitare il nostro “protagonismo”.
Tranne che per rari casi di grave depressione, ci consideriamo al
centro dell'universo, perchè nella nostra vita d'ogni giorno vediamo
quanto ci circonda dalla “nostra” prospettiva, che essendo la
nostra ci appare più importante di tante altre. Ci consideriamo
importanti, perchè attribuirci tanta importanza è necessaria in
primis per la nostra sopravvivenza, in secondo luogo per il nostro
successo nella vita. Considerarsi “importanti” spinge con forza a
risolvere i nostri desideri basilari, a inseguire una vita
soddisfacente e per assolvere a questa soddisfazione ci spinge a
riprodurci – da cui la spinta biologica che scusa questo
protagonismo. Tuttavia, se riusciamo a uscire da questa limitata
prospettiva, i comuni cittadini di uno stato occidentale non hanno
questa grande importanza come singoli. Possiamo magari considerare
importante che i nostri messaggi su Facebook, le nostre email, le
nostre foto di quand'eravamo bambini o i nostri diari segreti vengano
rispettati e non vengano esposti all'occhio “pubblico” o ancor
peggio all'inquisitorio sguardo delle autorità. Pur tuttavia, queste
informazioni sono per noi importanti solo in virtù di un nostro
protagonismo: oggettivamente, allo stato o multinazionale non
interessa minimamente conoscere il nostro numero di cellulare o il
nostro colore preferito.
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Internet, questo luogo così sicuro <3 <3 |
Queste
informazioni possono risultare utili per le ricerche di mercato delle
multinazionali, modulando ad hoc le pubblicità a seconda dell'utente
e dei suoi possibili desideri come consumatore. Questo pericolo –
questa realtà, anzi – rientra nel generale trend
di vendere qualunque prodotto a qualunque consumatore, inseguendo il
massimo profitto a discapito della morale dello stesso. E' così che
ad esempio che chi frequenta pagine Facebook dedite alla religione
cattolica, a studi pastorali e alla Bibbia - lo confermo, ahimé!
dalla cronologia di molti parenti - vedrà le pubblicità modularsi
su corsi di studio dei vangeli, medagliette papali e pregiate bibbie
in offerta su Amazon. Ugualmente, come, procedendo in campi molto
simili, chi frequenta pagine nazifasciste, xenofobe e omofobe vedrà
consigliati libri, prodotti e gadget di esponenti dell'estrema destra
americana. Il sistema pubblicitario s'automodella sui desideri
dell'utente, ignorando dati che sarebbero teoricamente di sua
privacy. Per di più, il sistema cerca di arricchirsi a discapito che
una sua convinzione possa danneggiare gli altri: l'importante è
sempre fare affari.
Non c'è qui alcuna differenza dai venditori di
armi da fuoco ai paesi del terzo mondo.
Lo Zuckerberg di Facebook E'
il Nicolas Cage di Lord of War.
Tuttavia,
nonostante questo pericolo, la nostra importanza come singoli nel
sistema statale ed economico è molto relativa. A meno che non siate
star del cinema, o politici, i vostri piccoli segreti, le vostre
piccole informazioni anagrafiche non interessano a nessuno.
Nonostante il titolo, vorrei dunque purgare quest'articolo dai
complottari di turno, dalla feccia che crede d'avere chip nel
cervello e che le telecamere tallonino ogni suo passo. Non siete
importanti. Non abbiamo sufficiente potere per esserlo.
La
seconda premessa vuole scusarsi se alcune delle argomentazioni qui
esposte feriscono le vostre convinzioni religiose. Non posso fare
nulla per evitarlo, perchè sono convinto che la privacy non sia una
virtù religiosa, e senza dubbio non una virtù per le religioni
monoteiste. Se questo vi offende, mi scuso. Dopotutto, la Chiesa
Cattolica dell'ultimo decennio adora scusarsi per colpe passate
ignorando le presenti, e anch'io riconosco quanto sia una tattica
efficace: nel momento in cui ti sei scusato, nessuno può più
accusarti di nulla. Ehi, mi sono scusato! Come osi tirar fuori quel
brutto, vecchio argomento? E' tutto magicamente cancellato! E non
costa nulla, poi. Un discorsetto, un momento pubblico, una (finta)
umiltà.
Sono
sempre rimasto colpito con quanta virulenta velocità i social
network si siano diffusi nel Bel Paese. E' vero forum e blog
dominavano già la scena precedentemente, e in gran numero. Ma non li
si può paragonare minimamente alla creazione massiccia di social
account in ogni dove. Anche smarriti quei due anni di febbre “da
Facebook” il numero di persone che si registrano, o tornano a
registrarsi dopo essersi cancellate è decisamente alto. Antropologi
stranieri che studiano l'italiano medio (inesistente creatura
mitologica) osservano come nello scarpone mediterraneo alcune
tecnologie vengano assorbite molto lentamente, mentre altre conoscono
una diffusione epidemica. I blog non hanno mai qui raggiunto lo
status o la diffusione che hanno in Nord America. Stiamo ancora
crescendo, lentissimamente. Dall'altro, pensiamo a Facebook. La sua
diffusione ha un che' di stupefacente. Una libreria, un'edicola, un
negozio di vestiti non penserebbe mai e poi mai di aprire un blog per
pubblicizzarsi, nonostante questa sarebbe una mossa ragionevole. Al
contrario, (quasi) sicuramente creeranno una pagina Facebook. Non è
strano? Un blog potrebbe collegarsi a un online store e vendere
ulteriormente a più clienti, anche lontani. Fornirebbe un guadagno
maggiore. Una pagina Facebook invece fornisce avvisi, e nient'altro.
O ancora: perché la diffusione dei cellulari ha preceduto la
diffusione dei computer fissi?
Molto prima che il cellulare
diventasse un apparecchio fondamentale, la diffusione qui in Italia
era in crescita rapidissima. Stiamo citando cellulari grandi quanti
telefoni, ben poco “portatili”. Eppure diffusissimi, molto più
dei loro contemporanei computer fissi. Perchè? Il computer fisso,
paragonato a un cellulare forniva a inizio 2000' un range di opzioni
molto più grande, un'insieme di possibilità incredibili per
l'epoca. Il cellulare... Certo, forniva funzioni “diverse”. Ma
non lo si poteva definire altrettanto utile. E non è sicuramente il
caso dell'Inghilterra, o dell'America, dove la funzione del computer
fisso veniva considerata di maggior importanza rispetto ai primi
triviali prototipi di cellulare.
Financial considerations, though, do not help to explain other aspects of Italian technophobia. Italians were, for example, among the Europeans slowest to equip themselves with personal computers and to take advantage of the Internet. The most common reason given was that computers were “useless” or “uninteresting.” (...)
Da John's Hooper's The Italians (2015), dalle note del Bittanti.