“Alle
origini, c'era solo fuoco. E dal fuoco venne il calore. E dal calore,
forma. E la forma si divise in otto. E gli otto erano la sostanza
grezza del Caos, martellata e scolpita in armi mortali dai fabbri
prescelti del maledetto Soulmaw, l'armaiolo di Khorne”.
S'interruppe
per un momento, prima di continuare. “Ma come i reami tremavano e
l'Era del Caos diventava l'Era del Sangue, si pensò che le armi
conosciute come gli Otto Lamenti fossero state perse per sempre”.
Nel fuoco, scene di morte e pazzia si succedevano senza fine, in un
ciclo eterno.
Grungni,
Signore di tutte le Forgie e Mastro Fabbro, sospirò.
“Fino ad
ora”.
Owain Volker
è un tiratore scelto della corporazione degli archibugieri
proveniente dal reame di Sigmar, l'Azyr; trasferitosi nella
megalopoli di Excelsis, fulcro di Ghur, il reame delle Bestie, sta
difendendo la città da un'infestazione Skaven. E' una guerra lontana
dagli scintillanti conflitti degli Stormcast: uno sporco conflitto di
trincea, una deratizzazione condotta con polvere da sparo e
preghiere, mentre duardin e umani bombardano le ondate di carne al
macello degli skaven. Durante uno degli attacchi, gli uomini ratto
sfondano le linee: a un passo dalla morte, Volker è salvato
dall'intervento di un dio storpio, dalle fattezze di un duardin: è
Grungni, sopravvissuto Dio dei nani.
Grungni,
mentre era intento a martellare nella forgia, ha scoperto che uno
degli Otto Lamenti smarriti nel passaggio dal Vecchio Mondo a Age of
Sigmar è andato ritrovato: è una lancia da guerra, The Spear of
Shadows. Una volta scagliata, qualsiasi sia il suo obiettivo, uomo o
dio e qualunque sia il Reame dove si trova, colpirà sempre il suo
bersaglio. The Spear of Shadows è un'arma capace di destabilizzare
il già fragile equilibrio nei Reami di Age of Sigmar; un Lamento
capace di colpire al cuore... letteralmente. Grungni desidera
possederla per meglio custodirla, se non nei fatti distruggerla. Le
forze del Caos e i Morti sono già in marcia alla sua ricerca e
Grungni sa bene di non poterla ritrovare in persona, ma di non avere
scelta se non di incaricare i guerrieri che ritiene migliori: nani e
umani capaci di passare inosservati, ritrovare la Lancia e
consegnarla senza allertare i caotici concorrenti. Una compagnia
raffazzonata, una sporca dozzina, una posse mal assortita:
mercenari e rinnegati che non attraggano l'attenzione del triplice
occhio del dio Archaon.
Dopo
un'infanzia trascorsa coi nani, una naturale affinità per
l'ingegneria e un amore smodato per la polvere nera, Volker è un
candidato ideale. Ad affiancarlo, Zana Mathos, una donna di spada
legata a Grungni non tanto dalla fede o dall'onore, quanto da un
pratico contratto; Roggen dalla Ghyrwood March, un cavaliere di
demo grifone seguace dei Sylvaneth e Lugash figlio di nessuno, un
Fyreslayer più instabile della nitroglicerina. Grungni è un dio
indebolito, un nonno che invano cerca di proteggere la sua razza in
eterno declino: dal suo punto di vista, non c'è scelta se non
affidare la missione a un gruppo di guerrieri, sperando
nell'incognito e nella segretezza.
Ahazian Kel
è un guerriero di Khorne, un barbaro proveniente dalla tribù degli
Ekran: una razza di umani in perenne ubriacatura di morte, alla
ricerca del prossimo scontro, il prossimo bottino, il prossimo
massacro. Un guerriero capace di squartarsi la strada in un intero
reggimento senza difficoltà, Ahazian è lo strumento di Volundr, il
mastro delle forge di Khorne. In seguito al rinvenimento di un
frammento di Gung, La Lancia delle Ombre, Ahazian è pericolosamente
vicino a ritrovare il magico artefatto...
Kretch
Warpfang è lo skaven responsabile dell'assedio di Excelsis, una
mostruosità obesa che governa i suoi uomini ratto con pugno di
ferro. Un ingegnere rinnegato del clan Skyre, Quell, gli ha promesso
un'arma e un congegno di guerra capace di abbattere le mura
invalicabili della megalopoli. Una ruota degli skaven con una testa
d'ariete capace di aprire una breccia nel bastione più invalicabile;
una testa che a tutti gli effetti sembra una lancia magica.
Yuhdak del
Ninefold Path è un mago affiliato a Tzeench, la cui devozione al
Grande Cambiamento l'ha stravolto oltre ogni sembianza umana: con la
capacità di mutare la carne con la facilità con cui si plasma
l'argilla, esegue gli ordini del Signore del Mutamento ricercando
Gung per tutto il Reame.
I suoi
seguaci sono una congrega femminile di guerriere-corvo, mutaforma
capaci di cambiare dall'essere semplici pennuti a guerriere di
Tzeench. Spie, assassine e traditrici: uno strumento ideale.
Consapevole che Ahazian ha già ritrovato un frammento della Lancia,
Yuhdak si sta limitando a inseguirlo, con la pazienza di chi
approfitta della quest altrui...
Adhema di
Szandor è una giovane esangue vampira della coorte di Neferata. In
seguito a un incontro ravvicinato con Ahazian, scopre che il
guerriero ha sottratto il frammento custodito nelle segrete del Reame
di Shysh. Su ordine della mistress, deve ritrovare la Lancia e
recuperare l'onore perduto. E' infatti una Cavaliera del Sangue,
costantemente lacerata dall'obbligo cavalleresco e la vile esistenza
di una succhiasangue emo-dipendente.
Iniziamo
col levarci un sassolino dalla scarpa: è un diritto difendere le
proprie creazioni con le catene del copyright più ferreo, ma la
Games Workshop come sempre sta esagerando. Leggete il titolo dalla
copertina qui a fianco, avanti: “Eight Lamentations™”,
Trade Mark registrato, non osare copiare, imitare e/o plagiare. E
proseguendo: “Spear of Shadows™”. Senza dimenticare, come se
non fosse sufficientemente ovvio: “Warhammer Age of Sigmar™”.
Dalla mia sinossi, avrete poi compreso la mia indecisione linguistica
sulla traduzione da adottare, tra “duardin”, pardon, “duardin™”
e “Fyreslayer™”, “Sylvaneth™”, “Azhyr™” ecc ecc. I
nuovi libri dell'esercito e i nuovi manuali non sembrano nemmeno più
compendi di regole e ambientazioni, quanto volumi legali dove su ogni
nome, su ogni passaggio c'è l'evidente lucchetto di un team di
avvocati pronti a colpirti con la minima infrazione con uno
sbarramento di fuoco di carte e processi. Ironia delle ironie, con la
sempre maggiore diffusione di piccole case modellistiche, il plagio
nei confronti della Games Workshop non è mai stato così frequente:
Ucraina e Russia sono ormai fabbriche di recaster,
una magnifica conferma della superiorità dell'Europa orientale
sull'ormai sorpassato concetto di proprietà intellettuale che
manteniamo nella sfera anglo-americana.
Considerando
come siamo ancora sulla copertina, vi invito a osservare un
particolare dell'abbigliamento di Volker, al centro: pistola a pietra
focaia puntata verso il lettore, avambraccio con copertura in cuoio e
metallo e nell'intersezione tra la corazza frontale e la testa...
sbuffi!
Sbuffi nello stile di un lanzichenecco, nello stile di un
miliziano dell'Impero dell'Old World: colori vivi e brillanti,
orgogliosi di mostrare un'eredità barocca e tedesca. Lo considero un
segno che la Games Workshop stia lentamente abbandonando l'estetica
insapore e astorica degli Stormcast a favore di un approccio più
fondato e realistico, che non abbandoni il giocatore col sapore amaro
di aver appena guardato un cartone di He-Man degli anni '80.
Nonostante
alcune critiche, The Spear of Shadows è un romanzo al di sopra della
media.
Andando
in ordine di gerarchie, è tra i romanzi migliori della serie di Age
of Sigmar e tra gli scrittori della Black Library degli ultimi anni,
Josh Reynolds è un bravo mestierante, capace d'intrattenere. Il
romanzo cattura il lettore con un'introduzione accattivante e
comprime una miriade di personaggi e scontri nell'arco di poche
centinaia di pagine, senza eccedere in descrizioni e dialoghi.
Indubbiamente, come tanta della produzione della Games Workshop,
siamo su livelli superiori alla saga di Dragonlance degli
incompetenti Hickman e Weis, così come siamo (quasi) allo stesso
livello del migliore romanzo di Terry Brooks. Si tratta in ogni caso
di fan fiction: di Dungeon&Dragons nel primo caso, di Tolkien nel
secondo e di Age of Sigmar nel terzo. Tuttavia la Games Workshop ha
l'onestà intellettuale di non volersi atteggiare a capostipite del
fantasy, ma solo di divertire il lettore, mentre Brooks e Hickman
hanno maturato negli anni manie di superiorità completamente
infondate. La saga di Dragonlance è una messa su carta di una
campagna mediocre di D&d: una catena di stereotipi, personaggi
sciatti e descrizioni merdose. Come tanto (troppo) materiale fantasy
scritto nel secondo dopoguerra, svolgeva la funzione del junkfood:
riempire la pancia ai lettori affamati di “altro” Tolkien,
ansiosi di leggere qualcosa di simile. Sui gusti personali non si
discute, sono il primo a farmi piacere robaccia davvero indegna. Non
pretendete tuttavia che Dragonlance sia una bella saga, perchè basta
la più insulsa fan fiction di Warhammer per mangiarsela a colazione.
Al confronto col fantasy italiano, The Spear of Shadows, come molta
produzione vecchia e nuova della Black Library, è ancora una volte
superiore. La produzione nostrana potrà vantare ambientazioni e
personaggi originali, ma si avverte sempre (sempre!) il disinteresse
dello scrittore nel catturare l'attenzione del lettore. Il ritmo non
è mai concitato, sottofondo si avvertono gli ingranaggi dello
scrittore che pone quel personaggio in quella data posizione per
esprimere quella visione del mondo, per esprimere quel commento sulla
società contemporanea... un messaggio liberal-borghese e banale,
trasmesso dai soliti stereotipi, dall'orco archetipo dell'“altro”,
al prete cattivo, all'orda di nemici mongolo-asiatica.
The
Spear of Shadows impallidisce al confronto ad esempio con Il Nome del
Vento di Patrick Rothfuss o con la saga di Game of Thrones di George
RR Martin: tuttavia mantiene in comune con queste opere un interesse
a intrattenere il lettore. Basterebbe quest'elemento a redimere la
mediocrità di fondo della trama e dei personaggi.
Uthor and cross by blazbaros (Deviant Art) |
All'interno
del romanzo Owain Volker è il protagonista principale. Un
personaggio interessante, un classico caso di bildungsroman in avanti cogli anni.
Volker è in primo luogo un archibugiere e come
tale combatte sempre con armi da fuoco, si va dal fucile da cecchino,
alla pistola a ripetizione, alla pistola di riserva, alla baionetta
inastata, a primitive bombe a miccia. Prima che lo domandiate,
l'assortimento di armi di Volker non segue un filo logico: se si
guardano le miniature, sembra che sia armato con un fucile con
munizioni a retrocarica con tanto di polvere senza fumo. D'altronde,
il termine ufficiale è “archibugiere”. Le pistole sono
altrettanto steampunk, senza quell'aspetto da flintlock con pietra
focaia della copertina. L'armamentario inoltre è benedetto dalle
rune dei duardin e viene ulteriormente potenziato dalle benedizioni
di Grungni. In questo modo, Reynolds mantiene Volker sempre nella
mischia, ma senza mai fargli estrarre la spada o costringerlo ad
anacronistici duelli. A tutti gli effetti, Volker non sa combattere:
un gradito sollievo dallo stereotipo del giovane eroe che impara
l'arte della spada dopo due giorni di training
e un paio di scontri. Il giovane Volker ha un occhio per la
meccanica, una buona cultura nanica e un'ottima mira: questo è
quanto.
Purtroppo,
in riferimento agli eventi del libro e in (troppe) scene, Volker è
un Mary Sue, che riceve troppi complimenti da troppi personaggi; un
protagonista “coccolato” da Reynolds, che gli riserva tuttavia un
finale insolitamente cattivo.
Il
dio dei nani/duardin, Grungni, rimane un personaggio a sé nel
romanzo: Reynolds gli dedica interi paragrafi, con digressioni e
insight nei suoi ragionamenti. E' un dio nordico, piuttosto
simpatetico con gli umani, che reputa Sigmar un dio di poche parole,
ma pronto ad agire nei fatti. Trasmette quella saggezza e quella
tranquillità di un anziano patriarca, capace all'occorrenza di
arrabbiarsi quando le sue creazioni, armi e armature, vengono usate a
fini maligni. Un aspetto curioso è come nella forgia “divina” di
Grungni, gli apprendisti provengano da ogni razza e ogni luogo; la
prevalenza di nani non impedisce a umani e altre creature di
apprendere egualmente i segreti dell'acciaio.
E
in tema di citazioni da Conan, The Spear of Shadows è un romanzo di
vagabondaggio. Nella ricerca della Lancia, i nostri eroi vagano in
una landa esotica e bizzarra, lontana dal realismo terra-terra del
Vecchio Mondo. Il romanzo ricorda i racconti di Howard, nel senso che
i tre protagonisti si avventurano alla cieca, con una serie di
incontri/scontri che hanno la funzione di mostrare l'ambientazione
con affascinanti scorci del Reame di Ghur. Uno dei motivi per cui
dovreste leggere il romanzo se siete interessati a Age of Sigmar sono
i tanti spezzoni narrativi, dove si approfondiscono i modi di vita e
le usanze di decine di diverse culture umane, naniche e non morte
disperse tra i Reami. Reynolds riesce con successo a trasmettere una
scala quasi cosmica, un surrealismo fantasy dove il singolo umano è
appiattito al rango di formica, di insetto.
Apprendiamo
così come nel mondo dominato dai non-morti di Shysh, i duardin
sopravvivono nelle vette delle montagne, essendo il sottosuolo
infestato da cripte, cimiteri e scheletri senza pace. Al contrario,
nel regno silvano di Ghyran i duardin vivono quanto più
profondamente sottoterra, dentro insediamenti che ricordano la reggia
silvana de Lo Hobbit. Il legno viene lavorato ai pari del metallo;
sono nani “falegnami”.
Lo Hobbit, I Portali del Re degli Elfi (Tolkien) |
Volker
è nato ad Azyr e a causa dell'altitudine del Reame ha il respiro di
uno sherpa, capace di cavarsela anche in situazioni con basso livello
di ossigeno. I Kharadron – un'invenzione della Games Workshop sotto
molti versi geniale e proprio per questo sottovalutata – sono anche
presenti nel romanzo confermando il carattere di “pirati
vittoriani” di cui discutevo qualche mese fa. Avventurieri,
contrabbandieri e capitalisti rapaci: in altre parole,
simpaticissimi. Apprendiamo così da un incontro ravvicinato
dell'esistenza dei “megalofin”, una via di mezzo tra squali e
balene, dalle stesse dimensioni di una collina, o di una piccola
montagna. Il megalofin per eccellenza è il “Great King”, che
svolge nel romanzo il ruolo della balena bianca di Moby Dick. Sono
creature volanti che infestano cieli carichi di nubi gassose,
asteroidi e preziosi metalli: a tutti gli effetti una sorta di
“spazio”, solcato dalle flottiglie dei Kharadron.
Una
delle destinazioni della compagnia di avventurieri di Grungni è la città di
Shu'gol, una civiltà umana cresciuta sul dorso di un verme
gigantesco, dalle dimensioni di un piccolo continente.
Shu’gohl, the Crawling City, squirmed ceaselessly across the grasslands of the Amber Steppes. The immense, segmented form of the worm stretched from sunrise to sunset, carrying a city of several million on its back. It devoured all in its path with unthinking hunger, and some days great herds of beasts stampeded ahead of it, seeking safety.
Shu’gohl was but one of ten – ten great worms, driven up onto the surface in aeons past by great rains. Someday they might descend once more into the cavernous depths of the realm, but for now, they were content to continue their mindless perambulations.
Like Shu’gohl, many of the ten bore some form of metropolis upon their back, and had done so since before the Age of Chaos. The oldest stories claimed that the ancestors of the worm-folk had fled to those fleshy heights in order to escape Gorkamorka’s hordes. Isolated and ever-moving, they had ignored the tides of Chaos sweeping across the realm. Until the eyes of the Dark Gods had at last turned towards them.
A few had fallen to Chaos, in those final fraught decades before the opening of the Gates of Azyr. Guh’hath, the so-called Brass Bastion, had carried tribes of Bloodbound in slow pursuit of Shu’gohl, as had Rhu’goss, the Squirming Citadel. Both ancient beasts had been cleansed by the efforts of the Stormcast Eternals, and the worms themselves continued their journeys, only dimly aware of the wars waged upon their backs. But Shu’gohl was the greatest of the worm-cities, despite all that it had endured in its centuried life. The Crawling City had flourished in the wake of its liberation from the skaven of the Clans Pestilens, and was now once more a major port of call for travellers from across the realms. Volker could believe it.
Gli
umani che la abitano hanno maturato una fede in Sigmar legata
all'ambiente dove vivono. Sigmar, pronunciato come “Sahg'mahr”
non è solo un dio del martello, ma è anche il dio del grande verme,
con tanto di blasfema raffigurazione pittorica. Reynolds approfitta
dell'idea per mettere in scena uno scontro tra i tradizionalisti
sigmariti provenienti da Azhyr e il clero locale.
Shu'gol
era già comparsa nel romanzo di Reynolds, “Skaven Pestilens”.
Un altro
esempio di questo genere di fantasy dove l'umano è ridotto a macchia
sullo sfondo, viene offerto da un aneddoto della mercenaria, Zana,
mentre discorre con Volker:
As she worked, the coins attached to her gauntlet clinked. Volker indicated one. ‘That’s not a meteor, is it? Not ur-gold, either.’
‘Torope-chaw,’ Zana said, absently. At Volker’s look of incomprehension, she sighed and held up her hand so he could see the coin more clearly. ‘Torope gold. From the Black Marsh Barony, down south. They dig it out of the excrement of the giant turtles they live on.’ She looked around. ‘A lot like Shu’gohl, really. Fewer libraries, though. And the turtles aren’t so big – about the size of a small castle.’ She gestured. ‘Tiny, comparatively.’‘Turtles?’ Volker asked. Zana nodded.
‘They brew good beer there. And there’s this fish-head stew…’ She licked her lips. ‘Delicious.’
‘I thought you were from Chamon,’ Volker said. ‘What were you doing in a barony in Ghur?’ For a moment he thought he’d asked one question too many. Zana stared at the coins on her vambrace, picking through them.
‘A change of scenery,’ she said, finally.
La sezione
centrale, dove il gruppo di avventurieri approfitta di un favore
dovuto da un capitano dei Kharadron a Zana per chiedere un
“passaggio”, è tra le porzioni migliori del romanzo. Si respira
un'atmosfera rilassata, quasi nostalgica, mentre Reynolds fa
interloquire e dialogare tra loro i diversi personaggi, svelando i
reciproci background. In alcuni punti, ricorda certe riflessioni di
Eisenhorn nella omonimia trilogia di Dan Abnett (inizio '2000): amare
constatazioni davanti a un bicchiere di Anasec. La vampira offre
alcune delle migliori linee di dialogo, sulla convenienza di adorare
un dio della morte come Nagash, anziché l'esigente Sigmar:
‘And is Nagash any different?’
‘Nagash is… all,’ Adhema said, finally. ‘He contains multitudes. Even as Sigmar does. The gods are not men, and do not exist as men, confined to one life. I have seen Nagash unbound – a titan of death, striding across a field of corpses. Wherever his shadow fell, the dead rose and walked, hungry for the flesh of the living. And I have seen Nagash-Mor, calm and silent, weighing the hearts of dead souls against a feather. And there are other aspects, I’m told. The Forlorn Child, who leads those who die before their allotted time to gentle slumber, and the Black Priest, who gives succour to those whose deaths are too painful to be borne. All are one in Nagash and Nagash is all.’ ‘And which Nagash do you serve?’ Volker asked.
‘The one who can win the war for Shyish.’ Adhema’s fingers drummed against the pommel of her sword. ‘The one who draws up the bodies of the enemy and hurls them back at their allies. The one who will not rest until the realm of death is scoured clean of false life. The Undying King, who leads the nine hundred and ninety-nine legions to war.’
She grinned. ‘He who walks in every man’s shadow and wades in every man’s blood.’
Come nella
novella City of Secrets ambientata nella città di Excelsis, The
Spear of Shadows non esita a definire i Sigmariti come fanatici
incorruttibili, macchine di morte che non riconoscono come gli umani
che vogliono liberare siano deboli e capaci di errare. Ogni
deviazione dall'ortodossia, in presenza di uno Stormcast, non è
tollerata: le purghe e i massacri citati in precedenza qui
ricompaiono, accompagnati dalle riflessioni di Volker sulla campagna
anti-pagana lanciata nel Reame di Azyr.
‘Yes,’ Volker said. ‘But what sort of monster you are is up to you.’
He lifted his rifle and braced the stock against his hip. ‘With this rifle, I have taken more lives than I can count. Enemy lives, mostly. I reaped them, one at a time. I watched them first, though. Knew them, if only briefly. And then killed them.’ He smiled, sadly. On bad nights, he saw some of their faces in his dreams – the freeguilder, caught by bloodreavers, begging for a merciful death before the savages began their feast; the old war-chief, leading his folk into a desperate charge against the metal monsters of the Ironweld, his only crime a refusal to bow to the highborn of Azyr; the proud queen, high on her palanquin, refusing to submit before the will of Sigmar’s chosen, when they came demanding she cast down her people’s idols. He saw their faces, and screamed inside himself, until his mind shook itself calm. Or worse, he stayed awake, and wondered about the necessity of it all, and whether justice was a hard truth… or simply a fiction, invented by the gods to explain their whims. He looked at her. ‘Is it better or worse to kill a foe who doesn’t see it coming? A barbarian chieftain, carousing with his kin. A beastman, lapping at a pool. An orruk, dancing to the beat of tribal drums. They never heard the shot that killed them. They never saw the destruction that came after.’
Cogli anni,
se l'esperimento di Age of Sigmar si rivelerà un successo duraturo,
sono convinto che gli Stormcast si coloreranno di tinte pessimiste e
fanatiche, accentuando la disumanizzazione della reincarnazione nelle
forge celestiali di Sigmar. A volte il bene assoluto si rovescia nel
suo diretto opposto, quando estremizzato ai suoi massimi livelli.
La buona
rappresentazione dei comprimari di Volker è anche resa possibile
dalla cura che Reynolds dedica all'entourage femminile del
romanzo: quasi metà degli umani sono donne, nei ruoli più diversi.
Si passa da Zana, una mercenaria al soldo, a Nyoka, una pret(ess)a di
Sigmar nata a Shu'gol, ad Adhema, una vampira dal contorto codice
morale. Il migliore amico di Volker tra gli Stormcast in Excelsis è
una donna, Sora, una guerriera dalla corporatura di una bodybuilder
della Germania dell'Est, chiaramente protettiva verso il debole
archibugiere.
‘I would not let them hurt you,’ she said. She removed her helmet, and inhaled deeply. With her close-cropped silver hair and bright blue eyes, she put Volker in mind of some hill-country matriarch. Which, like as not, she had been, before Sigmar had chosen her to fight in his name. He couldn’t help but wonder who she had been, before the blessed lightning had carried her to Sigmar’s side so long ago.
Volker smiled. ‘Good to hear, Sora.’ Sometimes, he wondered how she felt about being referred to as a ‘son’. Then, given what he knew of her, he doubted she thought about it much at all. Sora was a pragmatic soul.
She stared at him for a moment, and then chuckled. She rubbed his head, nearly knocking him from his feet. ‘Sometimes you remind me of my grandson, Owain.’
‘Oh?’
‘Then I remember that he’s dead, and I am sad again.’ Sora was the friendliest of the Iron-sides, though that wasn’t saying much. She shook herself, as if to banish the old hurts, and said, ‘They will return.’
Sia nel
ruolo di aiutante che di antagonista le diverse presenze femminili
nel romanzo, per quanto numerose, non sono mai forzate: non danno
vita a superflue storie d'amore, non sono invulnerabili a ogni danno,
anzi; accompagnano Volker nel suo percorso di formazione. Reynolds
agisce al seguito della svolta degli ultimi mesi della Games
Workshop, che ha finalmente scelto di accontentare i giocatori
(maschi e io tra loro) nel concedere ruoli e miniature negli eserciti
e nel background anche alla dimenticata metà. Il nuovo codex
dell'Astra Militarum include diversi esempi di guardie donne e
nessuno di questi include bikini armour, o pose ammiccanti. Allo
stesso modo, la nuova scatola base con Nurgle e gli Stormcast Eternals, così
come il gioco Shadespire includono Stormcast donne: giunoniche
matriarche pompate di muscoli, una gradita novità. Non si tratta di
un tentativo di attirare le giocatrici, che anzi sembrano nella mia
esperienza più interessate a skaven e seraphon che agli eserciti
“umani”: è una semplice richiesta di una maggiore varietà nella
gamma di miniature e storie.
Purtroppo la
cura nell'evoluzione di Volker e dei suoi compagni non è
contraccambiata da un'identica attenzione ai cattivi di turno, che
non si risollevano dalla semplice macchietta comica. Un guerriero del
Caos era un personaggio carismatico, nella vecchia ambientazione,
perchè in origine era un “buono”: un soldato dell'impero, un
cavaliere, un kislevita che onorava gli dei. La corruzione operata
dal Caos rendeva questi guerrieri affascinanti, perchè “angeli
caduti”, traditori infami. Tuttavia, con Age of Sigmar non c'è
modo di citare il passato dei Caotici, per la semplice ragione che
non c'è alcun background solido alle spalle. I barbari del Caos
emergono come funghi e altrettanto rapidamente svaniscono, siamo ai
livelli delle spore degli Orruks. Sia Yuhdak che Ahazian sono creati
con lo stampino, niente più che macchine di morte che recitano
battute stereotipate. Volundr, il fabbro di Khorne, nel suo rapporto
di amore-odio con Grungni, da cui ha appreso le arti della forgia, è
invece interessante. Allo stesso modo, gli skaven si limitano a
imitare lo stile di William King, nella saga di Gotrek&Felix:
drogati di warpietra, iperattivi, comici e nel contempo sadici. Ci si
diverte, ma è chiaro che Reynolds non è interessato ad
approfondirli.
Nello stile
di scrittura Reynolds scrive a livello medio-alto, con una buona
padronanza del lessico e una certa ricercatezza nei termini e nelle
descrizioni a tratti intrise di lirismo – per gli standard di un
fantasy, s'intende. William King, per usare un paragone, scriveva con
stile medio-basso, ma paradossalmente risultava più incisivo di
Reynolds. Ogni tanto infatti quest'ultimo si perde in eccessi
retorici e strascica l'azione: gli scontri, specie verso il finale,
sono confusi e ripetitivi.
Fenomenali
invece i dialoghi e i battibecchi, specie col duardin Lugash, un
chiaro erede di Gotrek:
‘Oh, you have,’ Lugash grunted. ‘You just didn’t know it. Sneaky sorts of things, trees. Always where you least expect or want them.’ He frowned. ‘Like the sea. Water– pfah.’ He spat on the ground. ‘What sort of thing is that, to make an ocean out of?’ He sniffed. ‘Lava. Now there’s a proper liquid – so hot it’ll scald your eyeballs.’
Concordo,
solo la lava è un “proper liquid” (!).
Nell'insieme,
quando non si limita a descrivere battaglie e combattimenti, ma tenta
di approfondire i(l) mond(o)i di Age of Sigmar, The Spear of Shadows
è davvero un buon romanzo.
Se la Gw continua in questa direzione,
sono convinto che sia possibile recuperare i giocatori persi con la
distruzione del Vecchio Mondo. In tal senso, tra i recenti kitbashing
su Warhammer Community e i rumors sugli aelves, i segnali sono
incoraggianti.
2 commenti:
Dei romanzi di Age of Sigmar non ne ho letto nemmeno uno ancora. Da quel che vedo non trovo molto interesse..
@Marco Grande Arbitro
Questo perchè sono in inglese! XD
Ammetto che nei primi due anni di Age of Sigmar non ero entusiasta della nuova ambientazione e continuo a trovarla un errore - buttar via vent'anni e più di background di Warhammer Fantasy. Tuttavia con questo romanzo e City of Secrets riescono a rendere il setting interessante, quindi chissà... c'è speranza, se magari fanno uscire qualcosa di diverso dagli Stormcast...
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