No, let me explain:
Sapkowski è di per sé un normale scrittore dell'Europa dell'Est,
più a suo agio con la narrativa breve che con la forma del
“romanzo”, il cui successo in madrepatria dal 1990 è stato reso
possibile dalla fortunata sequenza di diverse storie, dal
protagonista lo strigo Geralt, in un'ambientazione tardo medievale
grimdark e satirica verso i canoni del fantasy classico.
Sapkowski
non è certo un genio, ma è uno scrittore talentuoso, che sebbene
disprezzi il carattere “letterario” dei suoi romanzi, gioca con
le parole, usa citazioni raffinate, non esita a rivolgersi (anche) a
un pubblico colto. Tuttavia, il successo dello strigo/witcher in
Polonia appare collocabile negli anni tra il 1995 e gli inizi del
'2000. In altre parole, Sapkowski era a suo agio con il genere
fantasy (quasi) vent'anni fa e da quel momento in poi si è mosso in
altre direzioni letterarie: il romanzo sulla guerra russo-afghana,
“Viper” (2009) e la trilogia Hussita, “Narrenturm” (2002). Oltre a ciò, almeno stando alle Wiki italiane, inglesi e polacche,
si è dedicato nuovamente alla forma breve, con l'eccezione
commerciale del romanzo “La Stagione delle Tempeste” (2013), che
devo ancora recuperare.
Bisognerebbe
dunque analizzare e recensire i romanzi della serie dello strigo come
opere fantasy derivanti dall'ondata degli anni '60/'70, cui infatti
Sapkowski tributa spesso lode: Stephen Donaldson, Michael Moorcock,
Ursula K. Le Guin, Roger Zelazny, ecc ecc.
Sì, Geralt
come personaggio viene concepito e pubblicato nel 1990, ma
bisognerebbe considerare come la scena fantasy polacca giunga con
notevole ritardo in Europa, sull'onda della caduta del muro:
Sapkowski, se fosse stato un francese, o un tedesco, o un inglese,
avrebbe probabilmente pubblicato i suoi romanzi nei tardi anni '70 o
nel pieno degli anni Ottanta. Non a caso il sito di Sapkowski – una
reliquia del 1995 (!) – include un articolo del 2001 sull'apertura
della Polonia al capitalismo. Non mi addentrerò in
un'interpretazione con Google Traduttore, ma Sapkowski è uno
scrittore che inizia a pubblicare nella seconda metà degli anni
Ottanta con un genere e uno stile proprio della seconda metà degli
anni Settanta; una volta divenuto famoso in Polonia nel 1990,
accumulando un primo ritardo “storico”, successivamente acquista
fama globale solo a partire dal primo Witcher (2007), con un
ulteriore ritardo sul ritardo.
"Viper" di Sapkowski. Una produzione minore, neanche 183 pp. |
D'altronde, sarebbe interessante
osservare come la scena ruolistica polacca praticamente non conosca
Dungeons&Dragons, mentre fin dalla sua nascita, sempre negli anni
'90, ha adottato “Martelli di Guerra”, la prima ed. dell'RPG di
Warhammer Fantasy Battle. L'ambientazione dell'Old World
infatti si adatta bene a un certo gusto per l'humor nero e il
grimdark proprio dei polacchi, facilmente declinabile in chiave
nazionalista. Questo “ritardo” ha ovviamente giovato a Sapkowski,
così come agli autori fantasy dell'Est: gli ha permesso di
costruirsi un suo stile, di coniugare il folklore dell'Est Europa con
il fantasy classico anglosassone, di marinare lentamente nei decenni
contenuti e filosofia di fondo. Il fantasy di Sapkowski non
appartiene agli anni '90 in cui viene pubblicato, ma è una
rielaborazione degli anni '70, un rimpasto a lungo lasciato lievitare.
Un risultato ricco di carattere, anche se non privo di idiosincrasie
e difetti.
Mentre Terry
Brooks e Christopher Paolini incassavano le royalties per i reciproci
plagi di Tolkien, pubblicati e/o riediti al seguito del successo
della trilogia di Jackson, Sapkowski tranquillamente scriveva una
trilogia storica sulle oscure vicende del popolo Boemo; a
due anni di distanza dal primo videogioco della saga, “The Witcher”
(2007), Sapkwoski pubblicava un romanzo di guerra con venature
paranormali, “Viper” (2009). Difficile immaginare qualcosa di
meno in sintonia con la cultura pop del primo decennio (uscita della
Compagnia dell'Anello, nel 2001 – film tratto da “Eragon”, nel
2006).
Quando si scrive di Sapkowski, occorre dunque considerare come
Geralt sia un personaggio letterario degli anni '90 e che il
Sapkowski attuale è per forza di cose profondamente diverso dal
Sapkowski dei primi romanzi.
L'attuale
antologia – La strada senza ritorno – è in tal senso una
creatura multiforme: alcuni racconti risalgono addirittura al 1989,
mentre altri sono collocabili in anni più recenti, come
“Spanienkreuz” (2006); il racconto di cui Sapkwski va più fiero,
“Maladie” è del 1992, ma è stato ripubblicato anche in Polonia
recentissimamente, con “Maladie e altre storie” (2012).
Quest'ultima raccolta sembra corrispondere all'ordinamento presente
nell'attuale antologia, ma per volontà di Sapkowski sono stati tolti
nell'edizione italiana due racconti, “Qualcosa finisce, qualcosa comincia” e “La polvere della battaglia”. Quest'ultimo è un
racconto di fantascienza, mentre “Qualcosa finisce” era l'unica
storia con protagonista Geralt: un racconto comico sul suo matrimonio
con Yennefer.
Non ho idea sul perchè Sapkowski abbia voluto toglierla, ma possiamo avanzare
diverse ragioni slegate dal semplice risentimento: si tratta di un
racconto picciolo picciolo, che aveva scritto in onore dello
sposalizio di un suo amico, come “dono di nozze”. Vi possono
pertanto essere ragioni sentimentali, così come artistiche: magari
Sapkowski rileggendolo non l'ha ritrovato all'altezza o forse vuole
inglobarlo dentro una nuova antologia, sulla scia della “Stagione
delle Tempeste”.
L'ultima fatica di traduzione della Nord è
un'antologia infatti divisa tra fantasy e horror, con prevalenza del
secondo sul primo. Mi sembra in tal senso eccessiva la critica dei
lettori sul fatto che la Nord li avrebbe “ingannati”; l'unico
errore è stato del responsabile social, che l'aveva scambiata
per una raccolta dello strigo. Mi rassicurerei a questo proposito: se
avessero voluto davvero ingannare i lettori avrebbero confezionato
una copertina con Geralt e pubblicizzato a dovere l'evento. La
raccolta invece è stata pubblicata di soppiatto, non mi sono
quasi accorto dell'uscita. Cioè, in America pubblicano
tranquillamente Sapkowski con le copertine tratte dai videogiochi,
nonostante l'aperto divieto dell'autore, siamo in tutt'altro campo di
malefatte. La voce di Sapkowski in questi racconti è la stessa che
muove e anima il mondo di Geralt: c'è lo stesso umorismo, gli stessi
dialoghi taglienti, gli stessi esercizi di morale, persino in uno o
due casi, copie di personaggi il cui profilo psicologico riconosciamo
dalla saga dello Witcher. Se vi sono piaciuti i romanzi di Sapkowski,
vi piacerà anche questa raccolta: ci sono alti e bassi, ma la
qualità media rimane ancorata alle prime due raccolte, “Il guardiano degli innocenti” e “La spada del destino”.
Considerate in tanti e quali casi Geralt nei romanzi cede il passo a
un altro protagonista e comprenderete che rifiutare la raccolta con
l'unica motivazione che “non c'è Geralddd!!11” è del tutto
irrazionale.
Sarà interessante osservare se e quali pubblicazioni
seguiranno a Sapkowski. In questi anni si è lentamente formato un
nutrito gruppo di lettori di Sapkowski e la Polonia si è associata, per merito dei videogiochi, a un certo tipo di Fantasy.
Perchè allora non proseguire?
Sono abbastanza sicuro che con una
buona campagna pubblicitaria, qualche intervista e un intervallo di
tempo non eccessivo, sarebbe possibile avere buone vendite anche
dalla trilogia hussita di Sapkowksi e superato il quale, tradurre
qualche altro autore fantasy polacco.
Stando anche alla Wiki inglese
la scena fantasy è piuttosto ricca e da quel che ho letto grimdark
come non mai, facilmente collegabile alle atmosfere pessimiste dello
strigo; sono sicuro che complici i bassi costi dei diritti di autori
dell'Est, che non sono certo i giganti americani, sarebbe possibile
leggere qualcosa di molto, molto interessante. Vedremo. Io la
trilogia hussita, da semplice lettore, la comprerei a scatola chiusa.
Sapkowski da giovincello. |
A un anno di
distanza dall'ultima lettura di Sapkowski, avevo dimenticato quanto
l'autore polacco fosse rapido e diretto. Ognuno di questi racconti
non presenta mai muri di testo, divagazioni o trame secondarie: si va
subito al dunque, without bullshit. A volte ci si può
annoiare con alcuni dialoghi, che suonano forzati e risultano
superflui alla narrazione; tuttavia lo sforzo di mantenere ogni
storia tesa e sul chi vive è altamente apprezzabile.
Nell'ultima opera di Philip Pullman, ad esempio, Malcom Poltstead spesso non
combina nulla, si limita a cincischiare in giro. Dobbiamo così
sorbirci descrizioni di cibarie, viaggi in fiume e incontri alla
locanda: eventi che non hanno nessun legame con la storia vera e
propria. I racconti invece dell'antologia “La strada senza ritorno”
non perdono tempo a cazzeggiare, limitando il bagaglio di descrizioni
e azioni “comuni” all'indispensabile.
L'aggettivo migliore con
cui definire Sapkowski è “diretto”. Si parte, si combatte, si scopa, ci si
tradisce, ma raramente si resta “narrativamente” fermi in un dato
punto della storia.
La sorpresa
maggiore per i lettori di vecchia data di Sapkowksi sarà leggerne i
racconti horror: sono molteplici e per certi versi sono anche
migliori della sua produzione fantasy. Sapkowksi riesce a invocare
alcune immagini davvero “creepy”, coerenti con il gotico
tradizionale, ma nell'insieme disturbanti. Ampio spazio è dato agli
animali, ai gatti in particolare, contrapposti alla violenza della
vita urbana. Le storie horror della raccolta sono tuttavia
scollegate, composte da brevi paragrafi che dovrebbero ricamare una
storia tuttavia spesso elusiva per il lettore, che resta confuso.
Eguale difetto appartiene ai racconti fantasy, che mescolano troppi
nomi in troppe poche pagine. E' difficile raccapezzarsi, con creature
come i bobolak o i vran di cui non riceviamo una descrizione. Mi è
capitato in quasi tutti i racconti di perdere comprimari e dettagli
fondamentali per il finale durante la lettura. Tuttavia Sapkowski
contraccambia questi difetti con un ammirevole ritmo, come
sottolineato è “diretto”: a causa senza dubbio della natura
giornalistica di queste storie, tutte più o meno pubblicate in
origine sui magazines polacchi e come tali dal numero di
pagine limitato.
Un rampante Sapkowski nel 1990. "The cat is on the table". |
“La strada
da cui non c'è ritorno” (1988) è un bel racconto fantasy, nella tradizione di Sapkowski: compaiono rispettivamente
Visenna, madre druido dell'eroe e Korin, un ladro che diverrà padre
di Geralt nei fumetti polacchi degli anni '90. La storia tuttavia, al
di là dell'ambientazione in comune, non presenta altri collegamenti
con Geralt, che era appena comparso nel primo racconto pubblicato
dell'autore, “Lo Strigo” (1986, rivista “La Fantastyka”).
Si tratta di
un'avventura con tutti gli elementi che ormai conosciamo: maghi,
popolani in rivolta contro il “mostro”, bande di briganti,
tradimenti e colpi di scena, riflessioni sulla scomparsa della magia
a favore della scienza, con i consueti toni malinconici propri della
saga.
Al di fuori
dell'elemento linguistico dei nomi e delle nuove razze che non
verranno poi riprese successivamente, alcune frasi sono mal
costruite:
Vide sei cavalieri con indosso gambesoni rivestiti di placchette di ferro, giachi, elmi di cuoio con nasali d'acciaio che correvano come una retta di metallo tra gli enormi occhi rosso rubino che occupavano metà del viso.
A una prima
lettura, quel “che” sembra riferito ai sei cavalieri. E' come
sempre apprezzabile l'uso di una terminologia corretta, i
“gambesoni”. Gli occhi rossi svelano la creatura come un “vran”.
Uno scambio
di battute verso il finale introduce il motivetto dei riferimenti al
contemporaneo all'interno del fantasy, che è poi rimasta come
marchio di fabbrica della serie, nei dialoghi e nei nomi:
«Ascolta» disse Visenna dopo un po'.«Secondo te, come andranno le cose in futuro? E' davvero possibile che la gente smetta di avere bisogno di noi? Almeno nelle questioni più semplici, per quanto riguarda la medicina? In questo campo si nota un lieve progresso, prendiamo per esempio questa fitoterapia, mai si può immaginare che un giorno avranno la meglio, che so, sulla crup? Sulla febbre puerperale? Sul tetano?»
«Twiik. Twiiit.»
«Che razza di risposta. Teoricamente è anche possibile che il nostro cavallo si unisca alla conversazione. E dica qualcosa d'intelligente. E che ne pensi del cancro? Avranno la meglio anche sul cancro? Senza magia?»
«Trrk!»
«Lo credo anch'io.»
“I
Musicanti” (1990) è il primo racconto horror: una storia di gatti,
esperimenti psichici e toni decisamente lovecraftiani: Sapkowski cita
il King di “Pet Sematary”, ma il concetto delle Fosse e il finale
apocalittico sembrano derivare dal migliore Nyarlathotep.
Il prologo
dell'autore offre una testimonianza di prima mano molto più
agghiacciante dell'intera antologia messa assieme:
Ma non furono affatto gli animali di King a darmi lo spunto per scrivere I Musicanti. Dovete sapere che io adoro i gatti, amo in maniera addirittura maniacale queste creature. E quando la sera, fuori dalla finestra, echeggiava il grido di un gatto torturato accompagnato da un: «Acchiappalo, Rambo!» lanciato dal vicino, uno stomatologo, o dai falsetti divertiti dei deliziosi piccini della vicina, una docente dell'università di Lodz, ero invaso... No, non da rabbia, non da furia scatenata, non da sete di vendetta. Ero invaso dalla consapevolezza ripugnante, vergognosa della mia impotenza. In seguito venni a sapere che la vicina del quinto piano, un'insegnante in pensione alla quale gli accoppiamenti rumorosi dei gatti impedivano di seguire con l'adeguata concentrazione gli eroi di Dinasty, sfamava le bestiole gettando loro carne macinata accuratamente mescolata... con vetro sminuzzato.
Il racconto
ha gravi problemi di raccordo, perchè composto da tanti brevi
paragrafi difficili da rappezzare dentro una storia comune: se è
tutto chiaro per Sapkowski, lo è meno per il lettore. Confesso che
non ho capito alcuni passaggi, ma ho apprezzato il nemico, un'entità
apocalittica chiamata il “Pustoloso”, che ricorda un Demone
Maggiore di Nurgle, per chi è familiare con Warhammer Fantasy e 40k.
La
descrizione delle visioni sperimentate dai protagonisti sono
eccellenti, senza esagerare:
Attraverso un velo iridescente e tremolante, Dieter Wipfler vide la guglia appuntita e slanciata di una delle chiese avvolta da lingue infuocate. Vide impalcature di legno e corpi mutilati che penzolavano.
Das ist unmoglich!
Vide un piccolo uomo nero che agitava un crocifisso e gridava...
Das ist unmoglich! Ich traume!
Locus terribilis!
L'enorme camion avanzava lentamente, schiacciando con le ruote la ghiaia, imprimendo nei tratti argillosi le tracce dentate dei copertoni. Sulla fiancata azzurra del grosso rimorchio vide una scritta in grandi caratteri di un bianco cadaverico:
KUHN TEXTILTRANSPORTE GMBH
E, sotto, il nome della città:
BREMEN
“Tandaradei!”
(1992) è un breve racconto a metà tra l'horror e il fantasy.
Potremmo farlo rientrare nel peculiare genere del folk horror. Come
ammette lo stesso Sapkowski, fu ispirato dalla storia “You Are My
Sunshine” di Tanith Lee.
Una giovane
ventiseienne che si sente sempre più sola e lontana dai suoi
coetanei sceglie di partecipare a una vacanza estiva nell'equivalente
polacco di un campeggio (sono in bungalow). Qui tuttavia fatica a
socializzare, è preda della depressione e si sorprende sempre di più
a girovagare nei boschi, dove “qualcosa” la fa sentire a casa, o
meglio in alcuni suoi sogni, in un'altra epoca, ai tempi dei
trovatori medievali.
Racconto che
inizia con il setting degno di uno slasher americano, “Tandaradei!”
è in realtà una storia erudita e raffinata, dove la protagonista è
consumata da quella che sembra una depressione, ma si rivela in
realtà qualcosa di più oscuro e terribile. Quelli che in
Inghilterra o in Italia definiremmo miti celtici, che in Sapkowski
sono “miti pagani”, giocano un ruolo fondamentale. Ma la storia
non sarebbe così bella senza le continue citazioni dalla letteratura
e dalla poesia tedesca. Sapkowski ricama la trama di un incantesimo
che si sviluppa a poco a poco sulla base di un horror contemporaneo,
trasformandolo in una storia (quasi) fiabesca.
Segnalo solo
nelle prime pagine una delle frasi forse più rigide e innaturali che
mi siano mai capitate in un ambito, quale delle scopate e delle
avventure amorose, in cui Sapkowski di solito è piuttosto rilassato:
Monika Szreder non si sentiva disdegnata. Aveva ventisei anni e già due esperienze erotiche serie alle spalle. Il carattere e lo svolgimento di entrambe facevano sì che non ne desiderasse una terza.
E tuttavia...
Andiamo,
Sapkowski, nessuno ragiona in questo modo. Non sono un esperto nella
mente di una giovane studentessa depressa, ma dubito che consideri i
precedenti affari romantici col termine clinico di “esperienza
erotica”. Cioè, insomma, è una frase poetica quanto una
martellata...
A tratti
lento, a tratti trascinato, con i suoi difetti, “Tandaradei!” è
tuttavia una fantasia allucinata su carta, davvero un bel racconto.
“Nel
cratere della bomba” (1993) è un oggetto ambiguo, una sorta di
racconto politico e/o fantascientifico. Siamo in una Polonia alternativa
degli anni Novanta, contesa tra nazionalisti Lituani, fascisti
Polacchi ultra-cattolici e freikorps Tedeschi. Nel mezzo, la
tranquilla vita di un bambino, Jarek, dall'intelligenza fuori dal
normale per colpa di “Cernobyl”, il cui padre rimpiange la rossa
bandiera e la vita sotto i Soviet. Jarek decide di andare a scuola
nonostante i combattimenti, ma finisce nel bel mezzo di uno scontro
campale e... rotola in un cratere.
Dalla
sinossi potrebbe sembrare un racconto moralistico, o drammatico, ma
in realtà si tratta di una storia comica, dall'andamento picaresco:
si passa d'assurdità in assurdità, con tanto humor nero.
Mi sono
sentito in colpa, perchè Sapkowski descrive una lunga serie di
atrocità, ma diamine, non facevo altro che ridacchiare. Bersaglio
prescelto sono i Lituani, dalla nazionalità “inventata”, ma allo
stesso modo Sapkowksi critica i continui cambi di nome di piazze e
strade, per cercare di accontentare il gruppo nazionale al potere.
Una volta il nostro bel parco, come mi raccontava il mio defunto nonno, era intitolato al maresciallo Pilsudski. Poi, durante la guerra mondiale, il nome fu cambiato in Horst Wessel. Dopo la guerra ne divennero patroni gli eroi di Stalingrado e lo rimasero a lungo, fino a quando il maresciallo Pilsudski non tornò nelle grazie delle autorità e il suo busto nel parco. In seguito, intorno al 1993, iniziò l'Era dei Rapidi Cambiamenti. Il maresciallo Pilsudski cominciò a evocare brutte associazioni: aveva i baffi e faceva colpi di stato, soprattutto a maggio, e non erano tempi in cui nei parchi si potessero tollerare i busti di tipi baffuti a cui piaceva alzare la mano armata sul potere legittimo, a prescindere dalle conseguenze e dalla stagione dell'anno. Dunque il parco fu chiamato Parco dell'Aquila Bianca, ma allora le altre nazionalità, numerosissime a Suwalki, protestarono calorosamente. E con successo. Così il parco fu chiamato Giardino dello Spirito Santo, ma dopo uno sciopero di tre giorni delle banche si decise di cambiargli nome.
Fu proposto Parco di Grunwald, ma protestarono i tedeschi. Fu proposto Parco Adam Mickiewicz, ma i lituani protestarono contro l'ortografia e contro l'iscrizione POETA POLACCO sullo schizzo del monumento. Fu proposto Parco dell'Amicizia, ma protestarono tutti. Alla fine il parco fu ribattezzato Jan III Sobieski e tale è rimasto, probabilmente perché la percentuale di turchi a Suwalski è minima e la loro lobby non ha nessun potere di persuasione. Il proprietario del ristorante Istanbul Kebab, Mustada Baskar Yusuf Oglu, poteva anche scioperare finché non fosse schiattato.
“Pomeriggio
dorato” (1997) si riallaccia all'amore per i gatti dichiarato da
Sapkowski ne “I Musicanti”: si tratta infatti di una
rielaborazione di Alice nel Paese delle Meraviglie dal punto di vista
del Gatto del Cheshire. Compaiono Alice stessa, Lewis Carroll, Il
Cappellaio Matto, Radetzky, ecc ecc. L'immedesimazione nel gatto
protagonista, specie nelle prime pagine, è resa bene: tuttavia si
tratta pur sempre di Alice, ovvero di una storia già vista e rivista
attraverso mille lenti diverse. Sapkowski offre una robusta dose di
umorismo condito da una critica verso Freud e le interpretazioni
psicanalitiche. Tuttavia le descrizioni rientrano nel canone di Alice
e non c'è nulla, davvero nulla che sorprenda il lettore.
Lo stile di
scrittura è tra i migliori nell'antologia, con costrutti verbali,
figure retoriche e mescolanze erudite degne di un giocoliere della
parola. Per citare Sapkowski stesso, “mi sono visto rivolgere
rimproveri e frecciate per aver farcito abbondantemente il testo di
Pomeriggio dorato con frasi in non meno di cinque lingue
straniere, comprese quelle morte.”
Mentre
“Pomeriggio dorato” è un retelling di Alice, “I Fatti
di Mischief Creek” è una riproposizione dei fatti di Salem. Nel
1633, una posse guidata da un Reverendo puritano, un
constable, un carpentiere specializzato in palchi per le
impiccagioni e un pellerossa convertito al cristianesimo inseguono
una donna in fuga nell'entroterra americano. A giudizio del
Reverendo, che ha vissuto i fatti di Salem, è una pericolosa strega.
Quando sembrano a un passo dalla cattura, il trapper indiano perde le
tracce e nel tentativo di ritrovarle il gruppetto scopre un villaggio
nascosto nella foresta, dove le donne sembrano comandare sugli
uomini, un gruppo di olandesi e svedesi all'apparenza rimbecilliti.
Il racconto è tra i più longevi della raccolta, ma si presenta
nell'insieme prevedibile: il villaggio “magico”, il ruolo di
“cacciatore di streghe” del Reverendo, il rovesciamento di ruoli
dell'elité femminile a capo dell'insediamento... E' una storia senza
guizzi di sorta, ma leggibile: l'incipit sembra anticipare un clima
western, ma in realtà è un horror notevole, con un'esplosione di
violenza e gore nel finale raccomandabile.
Piuttosto
interessante la nota storica di Sapkowski nell'introduzione:
Il record appartiene tuttavia a Quedlinburg: vi furono bruciate centotrentatré donne... in un solo giorno. Nella città slesiana di Nytosa – in modo davvero rinascimentale, secondo lo spirito dell'epoca, lo spirito del progresso, come si confaceva al secolo nato dalla rivoluzione industriale – la corporazione dei fumisti costruì su richiesta dei frati domenicani un forno speciale per bruciare le streghe. Il progresso! Sprofondano nell'oblio l'aratro a chiodo, l'arcolaio, la macina a mano e il mucchio di fascine innalzato alla bell'e meglio in mezzo alla piazza del mercato, e al loro posto compaiono l'aratro moderno, il telaio, il mulino ad acqua e il forno per le streghe. Nel prototipo di Nysa furono bruciate appena poche centinaia di donne, è vero, ma in realtà esso costituì un precursore che non andò dimenticato, ma si sviluppò in milioni di esemplari appena tre secoli dopo. Nella stessa regione. Ad Auschwitz-Birkenau.
“Spanienkreuz” (2006) è un altro racconto nel filone storico, ma con un elemento fantasy:
un breve componimento redatto per un album spagnolo dedicato a
commemorare Guernica. Ambientata nella Seconda Guerra Mondiale, è
una short story sui generis, redenta dal twist finale.
Ultimo
racconto a completare l'antologia, “Maladie” (1992) forma un
trittico ideale con “Pomeriggio dorato” e “I Fatti di Mischief
Creek”, perchè completa un nuovo retelling.
Sapkowki colpisce stavolta il mito arturiano, attraverso le vicende
di Moroldo, che si intrecciano nella Cornovaglia medievale alle
leggende di Tristano e Isotta.
Non
sono molto ferrato sulle saghe di re Artù, specie nei riferimenti
dello scrittore polacco alla “Morte D'Arthur”, di Thomas Malory.
Al lavoro iniziale sulle fonti, Sapkowski affianca il paragone
ingombrante delle “Nebbie di Avalon”, della Marion Zimmer
Bradley: nel suo, “Maladie” vorrebbe essere una citazione e un
omaggio a entrambe le saghe, sia l'originale tardomedievale, che la
rielaborazione nel 1960 dell'autrice statunitense.
Il tono generale è
malinconico, ma i personaggi sono immersi nella realtà terrena del
periodo alla stessa maniera dei personaggi dello Witcher: in tal
senso, “Maladie”, completa perfettamente il ciclo aperto con “La
strada da cui non c'è ritorno”.
Nessun commento:
Posta un commento