giovedì 28 dicembre 2017

"Vlad Ţepeş – La leggendaria vita di Dracula": un'antologia cotta al sangue


“Qui inizia una invero crudele, terrorizzante storia su un uomo selvaggio e assetato di sangue chiamato Principe Dracula. Come richiese di impalare i suoi nemici e bruciarli e bollire le loro teste in una pentola e spellarle e tagliarle a fette come verdure. Ordinò anche di arrostire i bambini davanti alle loro madri e ordinò di farli mangiare alle madri stesse. E molte altre orribili cose sono scritte in questo trattato e sulla terra dove governò...” 

Frontespizio di un pamphlet di Norimberga, 1499.

1462: un Principe Valacco e il suo piccolo esercito fronteggiano solitari la formidabile macchina militare dell'Impero Ottomano.
Ma questo principe, Vlad Tepes, non è un uomo normale: i turchi invano inseguono il miraggio di uno scontro aperto, scontrandosi invece con le tenebre di una psychological warfare ante litteram.
Imboscate, attacchi notturni, pozzi avvelenati e villaggi bruciati. E infine l'arma del terrore: oltre 20000 turchi impalati su aguzzi pali di legno.
Vlad Tepes è morto. “Vlad l'Impalatore” è divenuto immortale.
Questa è (sono) la (le) sue storie.

Vlad Ţepeş – La leggendaria vita di Dracula” è un'antologia di racconti pubblicata dalla Associazione Ailus incentrata sulla figura storica e fantastica di Vlad Tepes III.
Il libro presenta una selezione di racconti di molteplici autori italiani, con un'introduzione sul vampiro a cura di Luca Leone e due divagazioni in coda, sul Dracula a fumetti, di Giovanni Luisi e al cinema, di Michele Tetro. I racconti seguono un'immaginaria vita di Dracula, dall'infanzia, con il primo racconto di Forlani, quando Vlad è ancora uno sbarbato dodicenne, fino all'età adulta e allo scontro con gli ottomani. 
I racconti pertanto commentato ed elaborano un immaginario percorso biografico.

Non appena ho sentito menzionare per la prima volta l'antologia l'ho trovata immediatamente un'idea interessante, in particolare nella concezione di una narrazione corale, a più voci, tuttavia riunite nella singola immagine del Vlad Impalatore.
Dopo aver concluso la lettura ieri sera, mi risultavano evidenti due concetti fondamentali.
In primo luogo, ci si può aspettare un'antologia su Dracula, con tutto ciò che concerne il succhiasangue di Bram Stoker. Non è questo il caso, perchè l'antologia si presenta come una riproduzione storica mescolata con il fantasy, dove il vampiro tradizionalmente inteso è assente dalla scena. Paradossalmente i tre saggi in apertura e coda all'antologia sono molto più “vampireschi” dell'intera raccolta. Vi sono racconti su Vlad Tepes che preferiscono umanizzarlo nell'immagine di un leader sofferente, ma deciso a tutto; altri ancora che preferiscono trasformalo in un macellaio di turchi, un serial killer medievale; altri ancora che pongono Vlad Tepes contro mostri e invenzioni horrorifiche degne di un Sword&Sorcery. In tutti i casi tuttavia protagonista è Vlad Tepes, non Vlad l'Impalatore o Vlad Dracula. Niente canini, da queste parti.
In secondo luogo, la scelta d'incentrare i diversi racconti sulla vita di Vlad inevitabilmente cancella ogni ipotesi di traslare la storia nei secoli, fino al presente. Quando ho sentito per la prima volta dell'antologia, immaginavo che avrei letto la storia di Dracula come essere immortale: dalle vittorie contro i turchi, alla rinascita come vampiro, alle sue vicissitudini tra Rinascimento ed Età moderna, con un'ovvia sosta di passaggio nella Londra del 1890. L'antologia invece rimane circoscritta alla lotta contro i turchi e a Vlad Tepes come personaggio storicamente credibile. Come detto, abbondano gli elementi fantasy e horror, addirittura weird in certuni casi: tuttavia i racconti rimangono sullo sfondo della Transilvania della seconda metà del '400.
Il risultato complessivo causa un certo affaticamento al lettore, specie dopo i primi cinque racconti: non di sole impalature e scontri con gli ottomani vive il lettore, ma anche di trame complesse e personaggi tridimensionali. Tuttavia l'antologia è molto più originale dei tanti (troppi) lavori di fiction sui vampiri prodotti negli ultimi due decenni: il setting è ancora “fresco” e c'è molto da impalale.
Un'occasione invece persa la mancanza di continuità tra le diverse storie: sono collocate in ordine cronologico, dalla nascita di Vlad Tepes alla vecchiaia, ma senza che si sviluppi un percorso unitario. Ogni scrittore ha proposto il suo Vlad, il suo guerriero della notte.
Sarebbe stato bello assicurarsi un filo rosso continuativo nell'antologia, invece di spezzettarla in più storie diverse. Dall'altro, è sempre possibile considerare i diversi racconti come le diverse leggende sullo stesso personaggio, lasciando al lettore la scelta su quale sia la più veritiera.

Al momento di concludere questa recensione l'Associazione Ailus ha chiuso, riformandosi come un collettivo di scrittori autoprodotti. In precedenza il libro era disponibile solo via mail sul sito della casa editrice. Immagino che sarà nuovamente ordinabile una volta superato questo periodo di transizione. Per la lettura e le citazioni del testo uso infatti una review copy che mi era stata gentilmente inviata a fine novembre, in formato pdf.



L'antologia si apre con un breve saggio introduttivo di Luca Leone, “Ombre e sangue nella terra di Vlad”, dove la storia di Dracula viene analizzata con un piglio squisitamente letterario.

Il primo racconto, “Uno Studente di Târgoviște”, di Alessandro Forlani, segue un giovane Vlad ancora dodicenne nel suo primo incontro con il soprannaturale.
La ricostruzione storica viene svolta in maniera impeccabile, con la mescolanza di folklore dall'Est Europa e influenze latine proprie di un feudo della seconda metà del XV secolo.
Il precettore Erotocrito è un uomo di scienza, contrapposto alla saggezza barbara dei sottoposti di Vlad. L'Ordine del Drago non si compone di soli cavalieri, ma anche di maghi ed esperti di magia occulta: lo scopo ultimo è difendere la Valacchia.

‒ Madalin, ‒ gli confermò Grigore, ‒ come me e la tua druzhina è stato un cavaliere del drago, lo stesso ordine di tuo padre. Abbiamo intrapreso strade diverse: io mi sono votato a Cristo, il Drăculeşti ha perseguito il potere; lui invece era convinto che il demonio e l’eresia si potessero combattere con i loro stessi strumenti, ma non era un apostata dell’Inferno: ci legava la fratellanza d’armi, e avrebbe offerto la sua stessa vita per proteggerti, principino... anzi, credo proprio che l’abbia fatto. ‒
Vlad ripose il telo sul cadavere straziato:
‒ Da che cosa mi ha salvato? ‒
‒ Il tuo racconto mi fa pensare a un’Empusa: sono araldi delle tenebre già temute dagli antichi. Quando Cristo venne fra gli uomini, resuscitò e, sceso agli inferi, spartì i redenti dai maledetti, quelle creature non esitarono a schierarsi con Lucifero. ‒
‒ Vuole uccidermi? Tornerà? ‒
Dovette ammettere che quel volto lo aveva... fatto innamorare, e sperò che il monaco non lo intuisse.

Forlani ha successo nell'esprimere abilmente la fascinazione del giovane Vlad con l'occulto e il demone dell'Empusa, nel contempo senza tacere la sua volontà di fare del bene e di comportarsi da principe degno della sua casata. Questa contraddizione resta latente nello sviluppo della storia, che si evolve come una caccia al mostro, destinata a degenerare nelle forme di una lotta dell'ambiente stesso, la Valacchia pagana, contro la fragile scorza della civiltà cristiana.

Eugen e Ionel lo afferrarono solleciti e lui, tirato a forza, protestò e scalciò furioso. Risuonarono tinnii metallici e sinistri sibili, e i due stramazzarono trafitti: quadrelle nere di penne di corvo e d’osso ne trapassavano la giugulare. La foresta tremò di sfida:
È il nostro voivoda. Siete morti.
‒ Sprona, Michail! ‒
Orde orrende non umane emersero barcollando dal bosco: nere legioni di lupi e verri, gufi, istrici e caprioli camminavano su due zampe e impugnavano alabarde, armature scudi ed elmi trafugati dai sepolcri e logorati dai millenni. Sgranocchiavano cadaveri. Obbedivano a corni, cornamuse e tamburi fabbricati con teschi e ossa e pelli umane rabberciate, attorniavano stendardi ch’erano lacere lenzuola funebri. Freddi algidi nosferat, su morti,destrieri emaciati si trascinavano innanzi i ranghi di quelle bande dei cimiteri:
Al bambino spetta il regno delle tenebre e della luce. Gli si inchinarono. Sarà il signore: gli obbediranno i defunti e i vivi.
Grigore e l’istruttore cavalcarono più veloci, tallonati dalle mute dei mostruosi fantaccini. Vlad, in groppa al cavallo del monaco, vacillò terrorizzato... e tuttavia inorgoglito della fedeltà che quegli spettri gli protestavano. Il vecchio monaco si fece largo fra i fitti ranghi di quegli orrori, spaccando teste e calpestando i mostri sotto gli zoccoli del cavallo; saldo sulle staffe, Michail galoppava con le briglie in bocca e mulinava la sua scure.

Il racconto successivo, “L’Impero Sublime”, di Donato Altomare, propone una possibile soluzione alla vittoria di Vlad contro gli ottomani, attraverso l'invenzione di un'arma soprannaturale – armature di cavalieri non di questo mondo, la cui celata, se sollevata, scatena letteralmente l'inferno:

Vlad annuì. Si sentiva un dio. Forte, feroce, imbattibile.
‒ I turchi sono migliaia. Non potrò sconfiggerli da solo. ‒
‒ Non siete solo, mio signore. ‒ Bogdan batté le mani. Nel buio della caverna si udì un suono metallico.
Vlad si girò.
E vide emergere una schiera di armati. Le armature erano identiche alla sua, solo i colori invertiti. Nero cuoio e borchie rosso sangue.
‒ Sono cento. Sono fortissimi, ma a differenza di voi possono essere uccisi. ‒
Si fermarono davanti a lui come in attesa di ordini.
‒ Perché mio padre non gli ha usati? ‒
‒ Non ne aveva bisogno. Mi ha dato esplicito ordine che fossero dati a voi, Vlad, o a vostro fratello Radu. ‒
‒ Già, noi eravamo i vigliacchi. ‒
‒ Eravate troppo giovani, null’altro. Vostro padre vi amava e voleva proteggervi. ‒
‒ Cosa c’è dietro quelle visiere? ‒
‒ Nessuno lo sa. Si dice che sia meglio non saperlo, perché questi cavalieri sono emissari della morte. ‒

E' un'invenzione originale, che rimane impressa: l'immagine fantasmagorica di centinaia di silenziose armature che sollevano le visiere e colpiscono i nemici con ondate di oscurità.
La storia è strutturata con diverse scene che seguono Vlad nella sua cattura e successiva liberazione dai turchi, fino alla sua prima battaglia contro il nemico.
Purtroppo alcune delle invenzioni stilistiche risultano involontariamente comiche, dal “NO” pronunciato nei dialoghi come in un (cattivo) fumetto, alla bizzarra struttura a versi propria delle prime pagine, con lo scopo di aumentare il dramma dell'evento:

Tremava... tremava... non solo.
Cominciò a supplicare quando vide
che stavano seppellendo vivo suo fratello.
Per sé supplicava, non per lui.
Il pensiero di essere rinchiuso vivo in una bara
lo faceva quasi impazzire.
Tremava e piangeva e si gettava ai piedi dei suoi aguzzini
e chiedeva pietà baciandoli.

Abbondano egualmente le espressioni astratte e come tali senza presa sul lettore, dal “bellissimo” all'“immanenza impressionante”, all'“orrore inenarrabile”.

Il racconto di Cristiano Fighera, “Un Sole Rosso Sangue”, propone l'immagine di un Vlad ormai impegnato nello sforzo bellico contro il colosso ottomano, dove ogni mezzo è lecito.
Stefan Sileanu, un inviato di Giovanni Hunyadi, il Cavaliere Bianco, arriva per domandare motivo del ritardo di “Dracul”, impegnato con il suo esercito di tagliagole e mercenari presso un oscuro villaggio della Valacchia.

Dracul lo portò davanti alla chiesa. I balestrieri e i soldati erano ancora lì e stavano finendo di accendere i falò. La piazza risplendeva di luci, ma il calore iniziava a farsi soffocante.
‒ Vedete questa magnifica chiesa fortificata? Mi dicono che ha quasi duecento anni, ‒ disse. ‒ In questo momento, tutti gli abitanti di questo villaggio sono chiusi lì, spaventati dalle razzie degli ottomani. Transitando da queste parti li abbiamo trovati così, e anche davanti ai nostri inviti si sono rifiutati di uscire. Quindi, ho pensato che tanto valeva approfittarne. ‒ Mentre parlava, Dracul continuava ad avanzare. Raggiunse le mura, apparentemente indifferente a eventuali minacce dall'interno, e ne toccò la superficie con la mano libera, quasi accarezzandola. ‒ Avevamo con noi una vecchia malata di peste, rapita da un villaggio poco lontano. Ho fatto in modo che gli abitanti l’accogliessero, sperando che ne rimanessero contagiati; ma qualcuno ha riconosciuto i sintomi, e la donna è stata isolata. Ci hanno anche avvertiti della malattia, pensando che non ne fossimo al corrente. ‒ Il principe rise. Stefan, confuso, non riusciva a capire dove volesse andare a parare.
‒ A quel punto ho deciso di essere chiaro con loro: io esigo che mi vengano consegnati quanto prima venti contagiati, tutti uomini forti e giovani. E non appena li avrò... ‒ Dracul indicò un piccolo carro scoperto fermo poco distante. Al suo interno, Stefan vide numerose divise di soldati ottomani, ammucchiate alla rinfusa. ‒ Allora li manderò a confondersi tra le schiere di Maometto II, in modo che diffondano la malattia tra i soldati. È un modo elegante per far combattere la peste dalla nostra parte, non trovate? ‒

La storia si sviluppa alla pari di un racconto dell'orrore, dove Vlad viene presentato come un uomo tanto crudele quanto versato nelle arti occulte a cui si contrappone un altrettanto crudele minaccia dal folklore locale. Tra questi due mostri Stefan svolge il ruolo del soldato comune intrappolato suo malgrado in una storia più grande di lui: il racconto efficacemente capovolge le posizioni di forza nel finale, dove Vlad si rivela ancora una volta l'assoluto padrone fisico e mentale della situazione.
Il racconto si dilunga eccessivamente e si poteva scorciarlo di diverse pagine, ma nell'insieme è una storia che funziona.


“Imparare a dire di no e a mettere dei paletti nelle proprie relazioni” (cit)
Davide Mana propone ne “Il Duello” una storia con due diversi piani temporali: Vlad Tepes alla ricerca di un lago nella magica foresta di Hoja e Vlad nel momento di un duello fondamentale per il dominio della Valacchia. I due piani ovviamente si incrociano e intersecano nel finale, dove la scoperta presso il lago si rivela fondamentale nel duello del titolo.

La storia viene sviluppata con una catena d'immagini, particolarmente efficace nella descrizione dello scontro, di cui riproduce degnamente la frenesia e la tensione.
L'effetto è (quasi) cinematografico:

Il giovane spinge con la spalla contro lo scudo, sbilanciando l’avversario, mentre con la propria lama impegna quella dell’altro, la spinge da parte, ruota sul tallone, grida... e improvvisamente appare uno squarcio dall’angolo dell’occhio destro al mento. Il sangue inzuppa i folti baffi di Vladislav. Vlad ne sente l’odore, mescolato al sudore, alla polvere, all’olio dell’armatura.
I due uomini si separano, si girano attorno.

La narrativa di Mana, per quello che ho letto e cioè Buran, La Forma delle Cose a Venire, Eroi dei Due Mondi, Asteria alla Corte di Minosse, Gli Anni del Tuono e Un Fil di Fumo soffre di una prosa talmente esile da risultare inconsistente: agli scambi di battute dei dialoghi non segue mai un'adeguata descrizione dell'ambiente e dei personaggi, ridotti a teste parlanti che galleggiano nel vuoto. “Il Duello” contiene invece alcune buone descrizioni, tra cui senza dubbio si può citare la seguente, alla Hieronymus Bosch:

Poi la vide anche lui, una strana processione che si apriva la strada attraverso il sottobosco, con passi ondulanti e ritmici. Nani deformi, ingobbiti e dal volto sfigurato da piaghe e pustole purulente. Vestiti di stracci, i piedi nudi che pestavano nel fondo fangoso, avanzavano fra le felci e i rovi. Quello che apriva la strada... Vlad non avrebbe saputo dire se si trattasse di un maschio o una femmina, o se invero simili distinzioni avessero un significato... reggeva una lanterna spenta che penzolava in cima a un bastone. Lo seguiva una sagoma gobba ed emaciata, che indossava un paiolo come elmo e lo reggeva con una mano simile a un artiglio, la pelle bianca macchiata di bruno, le unghie lunghe e spezzate. Il terzo, la cui testa era nascosta da un sacco chiazzato di muffa, reggeva un crocefisso sul quale era stato inchiodato un grosso rospo. Dietro di loro, in fila come paperi, e come paperi ondeggianti e malferme, venivano altre creature dalle fattezze grottesche, avvolte in cenci sbiaditi. Volti simili a pesci, a serpi, a strani uccelli dal becco lungo e sottile.

Pasqua di Sangue” segue le avventure di un Vlad alle prese con lotte di potere interne alla Transilvania, nel momento di una precaria tregua con gli ottomani.
Il racconto, frutto del duplice sforzo di Andrea Gualchierotti e Lorenzo Camerini, soffre di uno stile di scrittura antiquo e ampolloso, ma nell'insieme continua nel tracciato delle 4 storie precedenti: la corruzione di Vlad è in questo caso assicurata dal contatto con Azadeh, una donna orientale dagli strani poteri.
Forse il personaggio più interessante (e divertente...) è il veneziano Diodati, capitano dei mercenari al servizio di Vlad:

Vlad dovette riconoscerlo: per quanto arrogante e indisponente, il veneziano aveva condotto i suoi uomini in maniera impeccabile. Che fosse per l’astio secolare che divideva gli abitanti della Serenissima e i Turchi, o per una qualche altra ragione, il capitano di ventura aveva cacciato i predoni ottomani come un lupo bramoso di carne. In neanche due mesi gran parte delle bande che infestavano la regione erano state sterminate e più di un capo imprigionato in attesa di riscatto. Tutto questo però non era bastato affinché l’italiano si guadagnasse la simpatia del principe, che lo accolse con distaccata cortesia.
‒ Devo esprimervi il mio elogio, Diodati: i vostri uomini hanno ben meritato anche nello scontro di questa notte. ‒
Il veneziano esibì nuovamente il suo sorriso affettato. ‒ Bontà vostra eccellenza, che ci avete concesso l’onore di servirvi con la nostra spada. Spillare sangue turco al vostro fianco è un piacere, aumentato dalla possibilità per i miei commilitoni di guadagnarsi un soldo onesto. ‒
Vlad colse subito l’ironia di quella frase: come tutti i mercenari, gli armigeri di Diodati depredavano senza nessuno scrupolo i loro avversari, a loro volta predoni. Il voivoda però non dimenticava che il bottino di questi ultimi era in realtà costituito dagli averi strappati ai contadini e ai mercanti della Valacchia che era lì per proteggere. L’ennesimo paradosso che il suo regno malsicuro non poteva evitare.

Assieme a un altro racconto più avanti nell'antologia, “L’Attacco Notturno” è un buon esempio della varietà delle storie presenti: non siamo più nel campo del racconto storico con elementi fantasy, o dell'horror, ma nel fantasy epico. Il titolo deriva dal disperato tentativo di Vlad di attaccare l'accampamento nemico per eliminare Mehmet il Conquistatore e disperdere ai quattro venti l'orda ottomana. Vlad è ancora una volta un mostro che ha dato tutto, anima compresa, per difendere la Valacchia e che si ritrova a fronteggiare una minaccia negromantica, degna di uno Sword&Sorcery:

– Esattamente. Kara Timurhan bin Heyreddin, dopo il sultano l’uomo più temuto di tutto l’Impero, capo di una scuola segreta di maghi e occultisti che perfino gli imam non nominano se non sottovoce. Anche i cronisti dei re cristiani non ne parlano per convenienza, ma Costantinopoli sarebbe ancora in mano ai bizantini se non fosse stato per i sortilegi di quell’uomo e per le cose terrificanti che fu in grado di richiamare sul campo di battaglia dieci anni or sono.–
Tra le ombre che si allungavano, i suoi occhi dilatati brillavano come giaietto.

Purtroppo lo stile di scrittura di Adriano Monti Buzzetti risulta eccezionalmente contorto, come dimostrano già le prime pagine:

Poi con uno scatto ferino la ragazza fu di nuovo in piedi, la fronte imperlata di sudore ghiaccio, le grigie pupille iniettate di paura. Già udiva le frasche smosse rudemente dietro di lei, le voci gutturali arrochite dall’ira farsi sempre più vicine. –Sürtük!– sembrò urlarle contro una quercia a non più di 20 stangeni dal punto in cui si trovava, ma la giovane sapeva bene che l’offesa più comune indirizzata al genere femminile non giungeva dall’albero indifferente.

Ho dovuto rileggere un paio di volte il paragrafo, perchè tra “l'offesa più comune indirizzata al genere femminile” e “l'albero indifferente” c'è di che restare perplessi.
Al di là dei troppi avverbi, leggere di soldati turchi che disquisiscono come intellettuali nel mezzo di un combattimento è innaturale, anche se coerente con l'epica fantasy della storia:

– Chi sei, servo? Come osi rivolgerti in questo modo a noi, difensori della vera fede dell’Islam, in quelle terre che il magnifico Conquistatore Mehmet II... che Allah lo protegga sempre... ha reso sue vassalle? –

I Figli delle Tenebre” è un racconto nello stile di un dungeon crawler: Vlad, ostaggio nelle carceri di Visegrad, riceve da Mattia Corvino il compito di debellare un'antica minaccia nelle fogne, legata alla Regina dei Ratti.

Infine giunse in fondo. Il suo inferno aveva l’aspetto di una gigantesca stanza apparentemente senza soffitto, illuminata da liquami fluorescenti che trasudavano dalle pareti e stretta nella morsa soffocante di vapori venefici esalati dal sottosuolo. I piedi del fuggitivo sprofondavano in un liquame scuro fatto di acqua ed escrementi di topo; i suoi occhi si sforzavano di vedere attraverso il velo di nebbia verde. Dietro di lui, instancabili, si avvicinavano gli inseguitori. Allora avanzò ancora, non sapendo che altro fare, convinto che il suo viaggio sarebbe terminato solo al centro di quella stanza. E lì infatti, lei lo stava attendendo.
Grande. Obesa, con la pancia gonfia, ripiena di una discendenza malata. Ricoperta di pustole, eppure viva, potente. Moribonda e gioiosa; la vita e la morte riunite in una sola creatura celata dal fumo velenoso degli inferi. Una Grande Madre oscura, grottesca. La Signora di tutte le pestilenze.
La Regina dei Ratti.

La storia di Giuseppe Recchia contiene alcune buone descrizioni, con un ritmo e dei colpi di scena apprezzabili. Peccato dover sottolineare gli eccessi di aggettivi e i paragoni banali:

Il pugnale da lancio saettò nell’ampia caverna e si andò a piantare nell’enorme pappagorgia della Madre come una lama rovente che affondi nel burro.

Balsa – La Figlia del Drago” è un'altra dimostrazione della varietà di tipologie dell'antologia: si tratta di una storia fiabesca, quasi per ragazzi, incastonata dentro una ricerca storica che si allontana dalle terre nebbiose della Valacchia per scendere nel calore mediterraneo dell'Italia cinquecentesca.
Esito a scriverlo, ma in questo caso si può quasi affermare che Vlad è “buono”.

Monica Serra tende a dilungare la narrazione, con alcuni passaggi a mio parere superflui: ad esempio c'è un'intera scena di contrattazione per un viaggio a Ragusa superflua alla storia. Uno dei comprimari dialoga per abbassare il prezzo del viaggio con un mercante turco e al di là della tensione con l'ex nemico musulmano è un paragrafo totalmente scollegato dal resto.



Caccia Selvaggia”, di Mariateresa Botta, è un racconto piccolo, ma crudele.
Vlad, stavolta prigioniero di Mattia Corvino a Buda, passa il suo tempo a ubriacarsi e fumare oppio; sotto sotto, sa di farlo non perchè annoiato, ma perchè consapevole di doversi istupidire, di dover addormentare la bestia in lui dormiente.
La storia contiene alcuni scambi di dialogo piuttosto spassosi e nella prima parte, prima di diventare una storia horror, mantiene influenze degne di un dramma psicologico:

Vlad assentì. ‘Perché no. C’è ancora tempo per i brutti sogni.’
Si alzò stiracchiandosi. ‒ Che cosa aspettiamo? ‒
Il re balzò in piedi e lo avvolse con un enorme braccio. ‒ Ben detto, amico mio. ‒ Sulla sua faccia barbuta si aprì un sorriso a tutta bocca. ‒ Sai che cosa ti dico? Dopo ce ne andremo al bordello e regaleremo la testa dell’orso alla puttana più bella! ‒
‒ Orsi e puttane. Che altro si può chiedere alla vita? ‒
‒La corona di Valacchia, amico mio! Ma per quella c’è tempo. ‒

A volte il lessico scivola senza volerlo nel contemporaneo, nell'immagine ad esempio dei contadini che “intasano” le strade e vengono fermati ai “posti di blocco”.
Manca solo che gli si faccia pagare il bollo dell'auto...

Tutta la provincia è squassata dalla guerra civile, le strade sono intasate da migliaia di contadini in fuga da un punto all’altro del regno, e i posti di blocco messi dagli ottomani esigono pedaggi altissimi che nessuno è in grado di pagare.

La seconda parte del racconto, nel passaggio dall'horror psicologico all'horror soprannaturale è resa particolarmente bene, con toni allucinati e una crudeltà assente nel resto dell'antologia.

Se questa antologia fosse una serie tv, il racconto “Vlad Țepeș, ultimo atto” costituirebbe un efficace spin off. Difficile descrivere il racconto di Max Gobbo senza far peccato di spoiler: la storia è interamente costruita sul capovolgimento finale e lo stesso stile di scrittura è legato alla personalità di Vlad. 
E' ovviamente ampolloso ai limiti dell'illeggibile, ma ha un suo senso nell'economia del racconto:

Guardo l’orizzonte incendiato dal sole morente, sognante mondo intarsiato di riflessi cremisi: ciò che vedo mi piace e mi rende fiero dell’opera mia e di me stesso. Intuisco fugaci rimembranze nel cielo di piombo fuso, frammiste a nubi cineree che, provenendo da settentrione, vengono trascinate come galee fantastiche dal vento impetuoso.

Se “L'Attacco Notturno” è Sword&Sorcery, “La Bestia”, di Enzo Conti, è a tutti gli effetti un fantasy, azzarderei a definirlo quasi alla D&d.
La guerra di Vlad contro gli ottomani è in difficoltà a causa della presenza di un negromante tra le fila nemiche: con il suo esercito allo sbando e solo il supporto di una principessa dall'Armenia, “Yeva” Vlad non ha altra scelta che tentare un colpo di mano, assassinando il praticante delle arti oscure. L'uccisione del generale e/o del mago sembra essere una costante di questa raccolta.

Vlad, all'occorrenza, evoca un “raluka”, un drago in miniatura.
La descrizione della bestia, l'uso della stessa come cavalcatura, la presenza di Yeva come spalla rendono il racconto intercambiabile con un fantasy classico.

Veniva dall’alto, proprio sulla loro verticale. Yeva alzò la testa a guardare. Nella nebbia grigia, sopra di loro, nell’orizzonte di un altro universo si stava delineando un’ombra che ingrandiva a vista d’occhio, buia, e orribile. Sforzando la vista Yeva distinse ali enormi e membranose, un collo possente e slanciato, poi corna, creste, biancore di teschi, splendore di scaglie, fauci spalancate che divoravano il cielo e occhi di fiamme inestinguibili. Atterrò sulla neve, a pochi passi da loro, con un frastuono assordante di strida e di ali. Ergeva una testa atroce, coronata di corna e di spine. Si guardò intorno con aria cattiva, poi vide la pozza nella neve colma del sangue di Yeva e si accostò. Fiutò il sangue, infilò la lingua nella neve e lappò avidamente. Quando ebbe finito si acquattò sulle zampe ritraendo le ali contro i fianchi. Yeva era rimasta paralizzata a fissare quella bestia sovrannaturale, ma Vlad le fece cenno di seguirlo e di accostarsi al mostro. ‒ Con questa cavalcatura raggiungeremo Calarasi e caleremo sulla torre del negromante senza che nessuno possa scorgerci. Neppure lui. ‒
Con un balzo prodigioso montò in groppa al raluka, quindi tese una mano a Yeva e l’aiutò a montare davanti a lui, la cinse con il suo braccio possente tenendola stretta contro il petto, e ordinò al raluka di partire. La bestia si rizzò in piedi, distese le ali e spiccò il volo.
In un attimo la tormenta li ingoiò.

Penultimo racconto dell'antologia, “Mai Scommettere la Testa con Vlad” è un'opera a dir poco bizzarra. Il protagonista, di nome Leonida (!?) e professione giornalista, è a Istanbul quando viene colpito da un'allucinazione: trasportato nel gennaio del 1477 deve aiutare un decapitato Vlad a ritrovare la sua testa, riattaccarla e permette la sua vendetta contro i turchi. 
Leonida, tornato poi alla realtà nel letto di un ospedale di Istanbul, scopre d'essere diventato un vampiro...

Non so davvero da dove partire con questo racconto. La storia, di Alberto Henriet, scrittore italiano residente in Nuova Zelanda, mantiene un impianto ricco e sontuoso, decadente all'ennesimo livello.
Purtroppo tutta la storia è ridicola, carica di un umorismo involontario.
Leonida è... well, un nome già di per sé buffo. La missione di riattaccare la testa di Vlad sembra uscita da un film della Asylum, mentre i personaggi principali e i comprimari compaiono ed escono in maniera del tutto arbitraria, senza legami con la storia.
Ad esempio, a ¾ del racconto compare un “Signore Oscuro”. Così, dal nulla, senza preavviso.

Non rimasero a lungo nel club. A un cenno di Yilmaz, Leonida seguì il suo compagno e antagonista di sangue giù per una tortuosa scala d’acciaio che li condusse in un sotterraneo dominato da una volta in ottone lucente. Il pavimento in pietra era disseminato di teschi umani scarnificati mentre al centro della sala spiccava un trono di quarzo nero sul quale era assiso un Signore Oscuro. Energia azzurra scaturiva da uno strano braciere. Non era possibile vedere in modo distinto colui che sedeva sul trono.
‒ È il Maestro dei Gul della Turchia, ‒ spiegò Yilmaz, a voce alta.

Lo stile di scrittura presenta alcune espressioni bizzarre, ai limiti dell'incomprensibile. Raramente avevo letto qualcosa d'altrettanto contorto della “continuità della sua percezione sensoriale” per semplicemente affermare che Leonida ha socchiuso gli occhi (!).

Un lampo visivo spezzò la continuità della sua percezione sensoriale, come se due lame affilate fossero entrate all’improvviso nei suoi occhi: la sagoma stilizzata e brillante di un drago in argento si materializzò per la durata subliminale di pochi secondi proprio nel centro della ferita insanguinata del sole.

Va da sé, infodump e divagazioni copia-incolla da Wikipedia sono d'obbligo...

Quando osservò da vicino la moschea, nella sua mente presero vita immagini dello scontro duro, crudele e sanguinario tra Vlad e i Turchi che aveva portato alla morte del Signore di Valacchia in battaglia nel 1476. Il presente, in fondo, non era molto dissimile dal passato, ed esisteva davvero un legame tra il XV e il XXI secolo in quello che sembrava un confronto senza fine tra mondo cristiano e mondo mussulmano.

... così come le descrizioni dei vestiti dei personaggi, fino al dettaglio della tonalità del colore.

Il Dj della serata si chiamava Dammit, era Inglese e aveva il volto pallidissimo, gli occhi di un vivo azzurro, e i capelli biondi lunghi. Indossava una giacca nera, una camicia bianca e pantaloni di raso purpureo. Calzava stivali neri lucidi. Sembrava un dandy underground. Il pubblico era costituito in maggioranza da turisti occidentali ma c’erano anche alcuni Turchi.

Non ho letto altro di Alberto Henriet, può essere abbia frainteso il suo stile. Forse il racconto è comico, si propone effettivamente come una storia satirica; in tal senso, complimenti davvero, era da tanto che non ridevo così.

Il racconto “La Città delle Gule” completa infine l'antologia con una storia ambientata a fine anni '70 e inizio anni '80 in Italia, presentata con una mescolanza di lettere, diari, interviste, carte e registrazioni audio. La ricostruzione storica dell'atmosfera del periodo non trascura nessun dettaglio, con una buona resa del periodo e dei suoi protagonisti.
La comicità – Mr Katzone – non è legata alla storia, ma è un elemento dell'ambientazione. 
C'è anche una volontà di riallacciare i fili lasciati aperti nei racconti precedenti; si conclude la biografia di Vlad Tepes e nel contempo ci si riallaccia alla tradizione di Stoker, nella scelta di usare una miscellanea di lettere, interviste, diari, registrazioni audio e annotazioni. Chiaramente si vuole strizzare l'occhio alla prima parte di Dracula, al diario e alle lettere di Jonathan Harker.
Il racconto di Giuseppe Lippi mi ha ricordato molto il terzo romanzo della saga di Kim Newman, Dracula Cha Cha Cha. Anche se ambientato nel 1960, il tono a metà tra il post moderno e l'umoristico e il genere d'Italia raffigurata sono molto simili.

In appendice due saggi: “Il Dracula Storico a Fumetti”, di Giovanni Luisi e “Fotogrammi al Sangue” di Michele Tetro. Nel primo caso si analizza Dracula nel fumetto italiano con abbondanza di articoli e divagazioni dai giornali del secondo dopoguerra. Nel secondo caso, si passa velocemente in rassegna Dracula nei suoi diversi adattamenti cinematografici fino al contemporaneo, senza trascurare l'orrido Dracula di Argento.

I diversi racconti sono corredati da una serie d'illustrazioni di Siriana Crastolla particolarmente gustose, che preannunciano il tema principale di ogni racconto. I corpi e le espressioni sono a tratti un po' rozze, ma nel contesto di Vlad paradossalmente aumentano l'efficacia dell'immagine.
  

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