lunedì 6 maggio 2013

Motociclette a vapore! (Castle Falkenstein)


Ogni tanto, svolgo attività di volontario/ guida turistica alla Centrale Idrodinamica di Trieste. L'impianto attivo dal 1890 in sostanza pompava acqua sotto pressione per azionare montacarichi dei magazzini e gru idrauliche, sul numero del centinaio verso i primi anni del 900.

operai nella centrale, sala caldaie del modello Cornovaglia
L'aspetto interessante dello stabilimento, era il suo doppio funzionamento; se da un lato infatti era l'energia idraulica che azionava le macchine nel porto, dall'altro le motopompe nella sala macchine, deputate all'invio dell'acqua nell'ampio sistema di tubature, erano a loro volta azionate da una serie di caldaie, che pompavano vapore sotto pressione. Vapore, che a sua volta tramite un'interno sistema di tubature tornava acqua, pronta per essere riscaldata dai muscoli guizzanti di operai spala-carbone. 
Energia a vapore, al servizio dell'energia idraulica. 
Pressapoco. 
Vedo un paio d'ingegneri ansiosi di picchiarmi, andiamo avanti...


Ad ogni modo, è chiaro come la traduzione italiana sia un caso di pubblicità ingannevole; idrodinamica tace completamente l'accezione del vapore, che invece viene resa assai bene nell'originale inglese, in cui viene aggiunta la specificazione steam-powered. Steam=vapore. Ai britannici, basta aggiungere questa piccola particella Steam, e inevitabilmente diventa tutto a vapore.
E' facile, è rapido, è suggestivo.

In questo senso, mentre per esercizio (e diletto) ogni tanto traduco pezzetti di Castle Falkenstein, in particolare dell'espansione steampunk Steam Age, non posso fare a meno d'incappare in queste continue difficoltà di traduzione, dove ai rapidi, pragmatici termini inglesi, corrispondono traduzioni letterali ampollose e ripetitive, che alla lunga nauseano.

In questo caso, la rivista Popular Inventions si è addentrata nella recente moda dei Monocicli a vapore, o come li chiamano i ragazzacci, Vaporcicli! (Steam Unicycle!)

Non posso fare a meno d'immaginare un versione steampunk in bombetta, sigaro e marsina stracciata de Il Selvaggio con Brando: elementi novecenteschi traslati in chiave grottesca nell'ottocento vittoriano.
Oh yeah! Vaneggiamenti a parte, motocicli, biciclette potenziate a vapore e Monoruote non sono una novità nel panorama steampunk. Al di là dell'orrido Steam Boy, dove salva il protagonista in un lungo inseguimento, una Penny Farthing Bicycle compare nella serie a episodi del Kickstarter World of Steam mentre in ambito italiano giova ricordare l'opera in miniatura di Stefano Marchetti, la Modern Monobike 1896.
Dunque non certo un elemento fondante, ma piuttosto ricorrente, e con un certo peso nei molti meme a tema. 

Ma vediamo d'analizzare più da vicino le portentose virtù di queste motociclette che ormai sciamano a Londra peggio che mosche fastidiose. Ah, i bei tempi dei cavalli e dell'aristocrazia terriera! ^__^

mercoledì 1 maggio 2013

Folgorato come Lovecraft sulla strada di R'lyeh



Nell'approcciare i testi di Lovecraft è davvero, davvero difficile allontanare la maledizione della coppia Gianni Pilo&Sebiastiano Fusco. Sulla cui sapienza nel campo non posso certo dubitare, e tuttavia confesso che dopo anni che leggo Howard, Lovecraft, Tolkien e in tempi più recenti Clark Ashton Smith, trovare in ogni singola prefazione la loro firma, la loro caratteristica impronta, cominciava a stancarmi.
Per anni infatti gli unici brandelli di biografia che continuavo a trovare sulla vita di Lovecraft erano affidati alla loro penna; in trite biografie che per quanto inizialmente interessanti tendevano a una certa ripetitività.

In tempi recenti la situazione non è andata migliorando; il fatto che prefazioni e considerazioni sul testo vengano ora svolte d'autori totalmente estranei all'ottica lovecraftiana- come un maestro di Thriller quale Altieri! - o affidate alla lente distorcente e ai vaneggiamenti dei Wu Minghia... Se possibile la situazione è dunque scivolata in un mare di fango ancor più vischioso.

In ogni caso, Lovecraft.
Mi ha sempre incuriosito la vita del Solitario di Providence, ma nella prefazione di ogni testo ho sempre sbattuto i denti sull'interpretazioni, sulle biografie interessanti, ma ridotte di Pilo; mentre nelle più recenti ristampe, le stramberie intellettualoidi di letterati palesemente non all'altezza- meticci idrofobi per usare le parole del buon Hp- mi hanno sempre tenuto lontano.

In questo senso, la biografia di Houellebecq su Lovecraft, Contro il mondo contro la vita, non risolve la situazione; è un palliativo, un sorso di calmante che fornisce un sollievo alla curiosità che mi assaliva, senza tuttavia risolverla completamente. 

Cos'ancora più grave, Houellebecq è molto chiaro nello spiegare come analizzi Lovecraft con l'ottica deformante del suo cinismo, in altre parole con il rispetto e l'adorazione di un fan che possa finalmente esigere un autografo dal suo idolo.

Houellebecq quando scrive non eccede certo in sobrietà, quindi per meglio comprendere il tono della biografia, ho estrapolato alcuni spezzoni dove trapela il doppio stile; houellebecquiano e al contempo lovecraftiano. Due in uno; e possano arridervi i cuccioli di Shub Niggurath!

venerdì 19 aprile 2013

Romanticismo Antiviral(e)


Nei circoli romantici d'inizio ottocento già circolava la macabra idea che ostentare una malattia fosse cool.
O per usare la terminologia dell'epoca, che fosse squisitamente romantico.
Se i malaticci contadini destavano ben poco interesse, grande attenzione veniva riservata ai rampolli della nobiltà, quando incontravano quel morbo all'epoca indebellabile che era la tubercolosi.

Il colorito pallido, le profonde occhiaie, la tosse persistente diventavano presto stigmate che quel dato artista, quel dato intellettuale aveva intrapreso un percorso nuovo, salvifico; attraverso un "lento morire" poteva ascendere a una maggiore consapevolezza, un vivere "autentico" che permetteva rivelazioni che nella banale vita d'ogni giorno non avrebbe mai potuto raggiungere.

Intendiamoci; mai e poi mai i romantici dell'epoca ricercavano la tubercolosi! Sebbene fosse alla moda truccarsi per ottenere un aspetto emaciato, traslucido persino; al punto che Napoleone stesso rimproverò alla moglie, agghindata per una festa, "d'assomigliare a un cadavere".

In campo artistico questo filone vede un nutrito numero di libri, che culminano in quel capolavoro (?) che è 
La montagna incantata, dove il protagonista tubercolotico intraprende un percorso spirituale che corrisponde passo dopo passo alle varie fasi della malattia.
Recentemente è rispuntato il tema in Antiviral, opera cinematografica un po' horror, un po' distopia, del figlioccio di Cronenberg, Brandon.

sabato 13 aprile 2013

Bioshock Infinite, impressioni a caldo


Quello che conta in un'opera, che sia un romanzo, un fumetto, un discorso o nel nostro caso un videogioco  sono incipit e finale. Sarebbe errato affermare che quanto "sta in mezzo" è ininfluente,
ma non si può negare che molte opere mediocri vengono ravvivate e passano alla storia per un finale geniale, che capovolge in un mindfuck che nessuno mai si sarebbe immaginato un prodotto nell'insieme gradevole, ma con alcune pecche.

In Bioshock Infinite se incipit- e ancor più finale- vanno a collocarsi nell'olimpo dei videogiochi, tuttavia il grosso che c'è in mezzo spesso si rivela altalenante accostando, a una direzione artistica che non ha eguali in nessun altro media, una giocabilità spesso semplificata e leggera, in cui manca mouse alla mano la sensazione di "giocare".

Questo non è voler sminuire il titolo, tanté che su Ludomedia non ho esitato a votare il gioco con un 9.5 che non avevo mai dato, eccezion fatta per quell'opera pantagruelica che era il primo Witcher, rpg ancora una volta dalle meccaniche che spesso ai giocatori impazienti sembrano "datate", ma che rivela un finale in cui la sensazione di crescita di personaggio (e del giocatore!) resta davvero insuperata. Tutto ha una fine, affermava Neo, ma aggiungerei: pochi sanno ben orchestrarla.

Sarebbe una fatica inutile tentare di recensire il titolo; mi limiterò fatta questa breve premessa a elencare alcuni elementi che mi hanno colpito e che costituiscono, a mio giudizio, l'anima del titolo.
  • Partiamo con quanto Ken Levine sa meglio fare, ovvero "le scenette". Le scenette non sono né cutscene né tanto meno porzioni fondamentali di trama&gameplay; tuttavia aggiungono quel "qualcosa" che davvero ti fornisce l'impressione di calarti in un altro mondo, un altro universo con le sue regole... E i suoi pericoli.

    Ecco una coppia americana seguace di Padre Comstock che discute sugli ultimi attentati della Vox populi; ecco due bambini che giocano a schizzarsi con l'acqua di un idrante rotto; ecco una fanciulla che ti offre un biglietto per un'estrazione a sorte, col tuo avatar che scioccamente subito accetta...

    Columbia diventa con Levine un "Teatro vivente" che a ogni sguardo, 
    ogni occhiata svela carattere (e cattiveria) dei suoi abitanti.
    Spesso, infatti, la funzione delle scenette è un asciutto Show don't tell di natura morale,
    dove vediamo i soprusi del potere consumarsi sulle carni degli innocenti.
    Nel capitolo dove il protagonista Dewitt scende nelle viscere industriali della città,
    Levine offre i migliori esempi di questo "teatro morale" con lancinanti scene dal sapore Dickensiano.

    Anche se in effetti le condizioni lavorative Americane erano
    un filino peggiori di quelle inglesi...

mercoledì 10 aprile 2013

Qualche pensierino banale sulla Thatcher


Quando si dice il Caso!
Studiavo ieri per un esame di letteratura inglese il periodo dai primi anni Cinquanta del novecento ai tardi anni novanta, quando giunge la notizia; lady Thatcher, dopo un lungo ritiro dovuto all'Alzheimer che la perseguitava, è infine schiattata. L'ovvio rigurgito di moralismo e laudi nei confronti della lady di ferro che hanno riversato giornali e media, è giunto talmente a disgustarmi che ho deciso di rompere la mia regola di non scrivere articoli al volo, e piuttosto sono passato a una rapida veloce offensiva.

Trovo l'azione della Thatcher mostruosa sotto molti punti di vista, sia nell'autentico macello sociale che investì piccola borghesia e proletariato, sia nell'idea falsamente diffusa che sia un autentico positivo modello di liberalismo in grado di risanare l'economia.

<< Ahh, se ci fosse lei ora, a risolvere la crisi! >>
<< Ma ha fatto del bene, ha risanato l'Inghilterra! >>
<< Un modello per ogni donna, un autentico modello! >>

Potrei ribattere punto per punto molte delle (false) affermazioni che lodano la Thatcher, ma preferisco elencare svariati punti dal libro di letteratura inglese che sto studiando, che nell'impostazione manualistica è nell'insieme piuttosto oggettivo, senza sfociare né tanto nella lode, né tanto nel vituperio.

Prima di partire con il rant trovo interessante ricordare che nell'insieme il progresso inteso come studio scientifico e avanzare di scoperte e invenzioni che non siano troviamo-nuovi-modi-per-sfruttare-i-consumatori subisca una prima battuta d'arresto proprio con la massiccia campagna di privatizzazione di Thatcher e Reagan (che nel secondo caso impietosamente soffoca la povera Nasa), quando si aprono le porte di Università e scuole a Loghi e Multinazionali, rottamando al contempo quant'era la gloria dell'industria manufatturiera e industriale inglese, che verrà come nel resto dell'Occidente progressivamente traslocata nello sfintere della Terra (aka terzo Mondo).

lunedì 1 aprile 2013

Cuore dell'Impero (Bryan Talbot)


Cuore dell'impero è quel genere di fumetto che può venire classificato con difficoltà.
Le più vecchie recensioni si calano con sicurezza nell'etichetta di fantascienza, nella wikipedia più recente viene classificata come ucronia vittoriana, nostalgico controverso inno all'impero britannico.

Io, dal mio canto, definirei Cuore dell'Impero come un'opera Storica, che richiede al lettore un'attenzione e una conoscenza della storia inglese notevoli, a partire dalle premesse, imperniate sulla reggenza di Cromwell, verso la metà del seicento.
Impaludate le vesti di lord Protettore, iniziò una dittatura precocemente spenta dalla sua morte, che permise l'instaurarsi della dinastia Stuart. L'abolizione della dittatura cromwelliana coincise con un esodo di massa di puritani e oppositori, che andranno a costituire il nucleo essenziale degli Stati Uniti. E' forse ardito, ma si può dire che senza quella linfa vitale e messianica dei padri missionari e dei puritani difficilmente il continente americano sarebbe stato colonizzato con tanta rapidità e pragmatica efficienza.

Nell'ucronia di Bryan Talbot succede il contrario: Cromwell riesce a trasmettere il potere ai figli, ed è solo diversi secoli più tardi che una rivoluzione monarchica riporta sul trono i suoi legittimi eredi.
Il danno intanto, è fatto; gli Stati Uniti sono ancora piccole colonie oltreoceano, mentre l'impero britannico si è allargato a occupare Europa e Asia, giungendo a competere come macropotenza solo con una Russia "comunarda" che rimane sullo sfondo e con diversi staterelli frammentati.

Londra, intanto è diventata una metropoli steampunk ipertrofica e gigante, dove una moda neo-vittoriana-elisabettiana-restauratrice si accompagna a braccetto con odii razziali, patriottistimo idiota e sorde proteste di masse di poveri.

Alan Moore- sì di nuovo lui- consiglia Cuore dell'impero definendolo un'opera ancora al passo con i tempi, che anzi li supera, sia nella storia che nell'uso dell'inquadrature, impressione che confermo: sembra di leggere un fumetto all'avanguardia, quasi sperimentale.

I dialoghi affilati come rasoi arredano una complicata struttura a chiocciola di rimandi e flash back, che vengono a costruire un'opera ipertrofica, che propone una storia che non concede al lettore stanchezze o esitazioni. I diversi piani temporali vengono volutamente confusi, incrociati in complicati arabeschi di citazioni e riferimenti alla cultura britannica, al New age, alle religioni orientali. C'è anche un bel po' di brutalità, di sesso (nei fumetti consigliati da Moore è una costante, lol) e qualche tocco splatter.

Di fronte alla merda superoistica che invade gli scaffali librari, ravvivata nei migliori dei casi da qualche esperimento di crossover- ma sempre all'interno dei canoni "facili" di Marvel & DC- l'opera di Bryan Talbot spicca per dinamismo e coraggio.

E' triste che un fumetto degli anni novanta "osi" più dei fumetti odierni, dove se non cacci in gola la pappa pronta al lettore sei automaticamente "fuori". Dove se non tratti strisce umoristiche e/o con il solito Uber Mensch che salva il sacro potere capitalista americano, non ricevi ne fondi, ne lettori.

Ma diamo un'occhiata ai personaggi.

giovedì 21 marzo 2013

Diecimila visite ^_^



Un'elfa steampulpfantasy di Wolsung in regalo! (treno non incluso)
Alla fine anche questo piccolo blog ha raggiunto questo dubbio primato numerico, e non potevo non profittarne per fare il punto sull'attuale situazione.

Considerando che nell'insieme non ho mai rincorso meme o facili facili articoletti di cinquanta parole, né infarcito gli articoli d'immagini e infine che non tengo sciocche rubriche in stile televisivo che fin troppo facilmente contagiano la stessa bloggosfera, ebbene! Mi ritengo soddisfatto
Scherzavo con un amico, alcuni giorni fa: le statistiche stanno ai blogger come il porno alle persone normali. C'è soddisfazione, nel constatate che c'è gente che ti legge, gente che torna a leggerti, che addirittura in casi di sempre più raro coraggio, decide di commentare.
Ed è bizzarro, in un certo senso, che sia ancora qui con questo piccolo blogghino mentre altre realtà ben più promettenti sono dall'anno in cui ho creato il blog (2011) rapidamente collassate, e/o scomparse.

Chi devo ringraziare?
Naturalmente voi, lettori! Le statistiche sull'intero periodo (fine 2011- inizio 2013) indicano come principale chiave di ricerca "zenoraptor" ( meno male!), dama del lago (why?) e svariate chiavi tutte più o meno inquietanti, delle quali resta la mia preferita "Sindaco di Sorso vaffanculo!", in cui viene spontaneo immaginare la scena :-D

Al di fuori di Facebook e Google, la stragrande maggioranza delle visite provengono dai lurker che seguono i miei commenti su Baionette Librarie, a cui levo il mio cappello coloniale in segno di rispetto.

Ovviamente ringrazio Forlani, fra i primi a commentare in un gennaio 2012 in cui meditavo d'eliminare il blog. Quando si dice il caso! Arcamalion, scomparso, spero felicemente nel mondo del lavoro, fra i primi a inserire quest'umile blogghino in una blog roll. Daniele Tredici, che si è sciroppato le avventure di Katherina per un'intera estate, regalando commenti intelligenti e particolareggiati; infine in tempi più recenti Amnell e Inchiostromanzia, infaticabili lettrici.

E adesso?

giovedì 14 marzo 2013

Tombarola di professione (Tomb raider)


Uff! (sospira) Uno strano ibrido, questo Tomb raider
Quando ieri ho terminato l'avventura, ero a metà fra la contentezza e l'insoddisfazione.
Qualche impressione di getto, alla spicciola.

Il corpo di Lara (cit).

Come già evidenziavo, forse con eccessiva enfasi, nell'anteprima presentata all'E3 2012,
questo nuovo Tomb raider presenta un'attenzione che spesso confina nell'ossessione narrativa per le sensazioni crude e viscerali


Per la prima metà del videogioco, Lara viene sballottata, trasportata dall'onda degli eventi, che imprimono un segno indelebile prima che sul suo corpo, sulla sua mente. 
Quando si giunge ad assaporare il video finale, si prova un'indefinibile sensazione di crescita del personaggio, che matura dopo varie e tormentate peripezie. 
Non un evoluzione forzatamente positiva, anzi: ci sono cicatrici nel suo sguardo e pesanti traumi.
" A survivor is born " non è solo una frase d'esordio pubblicitario, è in modo più sottile, sottopelle, la verità: la personalità che poi Lara esibirà nelle prossime avventure viene forgiato nei crudi eventi di questo prequel decisamente sanguigno. Prendiamo l'estrema confidenza, sicurezza di sé che il personaggio classico di Lara tendeva spesso a esibire: questo tratto comincia ad affiorare negli ultimi capitoli, quando sempre più spesso l'eroina tende a mostrare una spavalderia che spesso sconfina nell'arroganza più pura.

In questo senso, non si può transigere: gli sceneggiatori hanno- per una volta! - compiuto un gran lavoro, nel delineare un personaggio che cresce e muta di capitolo in capitolo. Nelle prime ore dell'avventura, la differenza con l'abilità e agilità di Lara diventa palese: manovriamo una protagonista che soffre e si lamenta, che è "impaurita", che spesso sprofonda in crisi depressive.
La maestria in questo senso della telecamera nello seguire l'agire&soffrire di Lara è ammirevole: la sensazione di "partecipazione" alle vicende della protagonista diventa a tal punto notevole, che le fin troppo numerose cutscene rompono e disturbano, spezzando "l'incanto" di un gameplay narrativo in tal senso sicuramente azzeccato.

In effetti questa Lara "adolescente" è in alcuni punti resa anche troppo bene, per cui non si può sfuggire a un leggero fastidio, quando il tuo personaggio esita ai tuoi comandi, o precipita alla morte perché troppo nervoso, troppo indeciso.

E le lodi agli sceneggiatori non possono tuttavia farmi chiudere un occhio sui bachi nella sceneggiatura: i personaggi di contorno sono archetipi senza reale caratterizzazione, che assolvono a ruoli fiabeschi, passando dalla serpe in seno, all'amica fedele, ma sciocca, al vecchio mentore che svolge il ruolo paterno che Lara perde in giovanissima età. Personaggi manichino, piatti, nei cui confronti manca qualsivoglia sforzo utile: quasi gli sceneggiatori avessero paura d'allontanare l'attenzione dal protagonista principale. 
Da Lara, appunto.

c'è anche un geek! Indovinate che fine fa? ^^
E questo non è tutto: nella trama eccessivamente lineare assenti in toto sono ogni plot twist, ogni minimo colpo di scena. Come deve andare, va: e tanti saluti a possibili sorprese.
Pazienza: resta pur sempre l'evoluzione fenomenale di Lara, che non è certo poco.

martedì 5 marzo 2013

Uno starnuto.


Non sono un grande fan della televisione.

Non intendo demonizzarla, giacché troppi apocalittici ingombrano le discariche di giornali e siti web, lamentando i molteplici pericoli della rete, dei videogiochi, della televisione. 
Non ritengo che spegnendo la televisione si giunga a meravigliose scoperte sulla natura del cosmo, o a improvvisi scoppi di vitalità repressa dal behemot catodico. 
Lo spettatore dal cervello atrofizzato passando dalla televisione a Internet non realizzerà grandi progressi, se le sue attività si limiteranno a interminabili ore di cazzeggio sui social network, 
o a (in) esauste seghe su you porn.

Se non cambiano le modalità di fruizione del medium, dal passivo di cinema&televisione, 
al più attivo ruolo svolto con la rete serve poco rottamare il cubo nero.
In altre parole, senza cambio di mentalità non c'è reale progresso.


Tuttavia, ogni volta che in casa d'altri fisso costretto qualche rozzo programma, 
non posso sfuggire alla totale sensazione d'irrealtà di reality e telegiornali. 
Non sembra reale, quella roba. 
Non c'è alcun nesso fra quanto la giornalista televisiva afferma e quanto conosco. 
C'è una totale dissonanza cognitiva. Il mondo presentato dalla televisione puzza di realtà alternativa.
Ucronia. Matrice spiazzante. E la pulizia dei volti? La perfezione dei movimenti?
Le notizie vengono trasformate, mutate. Bianco diventa nero, nero diventa bianco. 
La natura della trasmissione catodica distorce la natura stessa della realtà. 
O meglio, come ogni medium crea la sua piccola porzione di realtà, al cui interno domina con sovranità assoluta. Well, il 99% delle volte, almeno.