Nell'approcciare i testi di Lovecraft è
davvero, davvero difficile allontanare la maledizione della coppia
Gianni Pilo&Sebiastiano Fusco. Sulla cui sapienza nel campo non
posso certo dubitare, e tuttavia confesso che dopo anni che leggo
Howard, Lovecraft, Tolkien e in tempi più recenti Clark Ashton
Smith, trovare in ogni singola prefazione la loro firma, la loro
caratteristica impronta, cominciava a stancarmi.
Per anni infatti gli unici brandelli di
biografia che continuavo a trovare sulla vita di Lovecraft erano affidati alla loro penna; in trite biografie che per quanto inizialmente interessanti tendevano a una certa ripetitività.
In tempi recenti la situazione non è
andata migliorando; il fatto che prefazioni e considerazioni sul
testo vengano ora svolte d'autori totalmente estranei all'ottica
lovecraftiana- come un maestro di Thriller quale Altieri! - o
affidate alla lente distorcente e ai vaneggiamenti dei Wu Minghia...
Se possibile la situazione è dunque scivolata in un mare di fango
ancor più vischioso.
In ogni caso, Lovecraft.
Mi ha sempre incuriosito la vita del
Solitario di Providence, ma nella prefazione di ogni testo ho sempre
sbattuto i denti sull'interpretazioni, sulle biografie interessanti,
ma ridotte di Pilo; mentre nelle più recenti ristampe, le stramberie intellettualoidi di letterati palesemente non all'altezza- meticci idrofobi per usare le parole del buon Hp- mi hanno sempre tenuto
lontano.
In questo senso, la biografia di Houellebecq su Lovecraft, Contro il mondo contro la vita, non risolve la situazione; è un palliativo,
un sorso di calmante che fornisce un sollievo alla curiosità che mi
assaliva, senza tuttavia risolverla completamente.
Cos'ancora più
grave, Houellebecq è molto chiaro nello spiegare come analizzi
Lovecraft con l'ottica deformante del suo cinismo, in altre parole
con il rispetto e l'adorazione di un fan che possa finalmente esigere
un autografo dal suo idolo.
Houellebecq quando scrive non eccede
certo in sobrietà, quindi per meglio comprendere il tono della
biografia, ho estrapolato alcuni spezzoni dove trapela il doppio
stile; houellebecquiano e al contempo lovecraftiano. Due in uno; e
possano arridervi i cuccioli di Shub Niggurath!
Houellebecq inizia con una serie di
considerazioni di massima sulla realtà.
A parte questo, l'indifferenza di Lovecraft nei confronti della realtà è totale. È raro trovare un altro autore – anche tra quelli più radicati nella letteratura dell'immaginario - che abbia fatto così poche concessioni alla realtà.
In Lovecraft, analizza, la componente
soprannaturale non è "specchio distorcente della realtà",
metafora, similitudine; è piuttosto lei stessa la realtà. Non ci si
limita a vedere il mondo "reale" attraverso gli occhiali
del fantastico; piuttosto con risolutezza sovrumana si giunge a
ignorarlo- completamente. Il mondo che ci circonda è noioso, infido
e orribile: almeno nei romanzi, almeno nelle poesie,
allontaniamocene.
Se si ama la vita, non si legge. Né d'altronde, si va al cinema. Checchè se ne dica, l'accesso all'universo artistico è riservato quasi esclusivamente a chi ne abbia un po' le palle piene. Lovecraft, dal canto suo, ne aveva parecchio le palle piene. Nel 1908, a diciott'anni, rimane vittima di quello che è stato definito un “collasso nervoso” e sprofonda in un letargo che durerà una decina d'anni. All'età in cui i suoi ex compagni di classe voltano impazientemente le spalle all'infanzia per tuffarsi nella vita come in un'avventura meravigliosa e inedita. Lovecraft, si chiude in casa, parla soltanto con la madre, di giorno rifiuta di alzarsi dal letto, di notte si trascina per casa in vestaglia.
E non scrive.
In altre parole, alla realtà Lovecraft
alza un irridente dito medio.
Dopo un'incipit sui generis,
Houellebecq parte a descrivere i gironi concentrici in cui appare
strutturata l'opera lovecraftiana, indagando sia le lettere che la
produzione di racconti e tentativi di romanzi; svolgendo al contempo
con ampio uso di citazioni un'approfondita analisi della scrittura
del solitario nerd di Providence.
In particolare, il focus è
sull'influsso e la creazione di un'autentica mitologia, più che una
semplice produzione letteraria.
In Lovecraft c'è qualcosa di non esattemente letterario. Per convincersene basta considerare il fatto che una quindicina di scrittori (tra i quali possiamo citare Frank Belknap Long, Robert Bloch, Lin Carter, Fred Chappel, August Derleth, Donald Wandrei...) ha consacrato tutta o una parte della propria opera a sviluppare e arricchire i miti creati da HPL. E tutto questo non furtivamente, alla chetichella, bensì in maniera assolutamente dichiarata. La filiazione è addirittura sistematicamente rinforzata dall'uso delle stesse parole, che assumono così un valore incantatorio (le colline selvagge a ovest di Arkham, la Miskatonic University, la città di Irem dalle mille colonne... R'lyeh, Sarnath, Dagon, Nyarlathotep... e soprattutto l'innominabile, l'empio Necronomicon, il cui nome può essere pronunciato solo a voce bassa). In un'era che stima l'originalità come valore supremo nelle arti, questo fenomeno ha qualcosa di sbalorditivo. In effetti, come sottolinea opportunamente Francis Lacassin, dopo Omero e le canzoni di gesta non era più successo niente di simile. Occorre umilmente riconoscere che ci troviamo di fronte a ciò che si usa definire un “mito fondatore”.
In particolare attraverso l'uso della
mitologia, ci si convince di come Lovecraft abbia risolutamente fin
dall'inizio operato una selezione fra i suoi lettori, non cercando un
massimo consenso, ma scrivendo piuttosto per fornire un vero e proprio
immaginario, una fantasia che possa esercitare il suo influsso negli
anni a venire piuttosto che semplicemente per "intrattenere il
lettore".
In questo senso è buffo che i consigli
nel campo della scrittura di Lovecraft si dimostrino sempre rigidi,
puntati alla sobrietà in aggettivi e avverbi e puntando molto sulla
documentazione.
Volendo individuare le tecniche di composizione utilizzate da HPL, potremo altresì esser tentati di cercare indicazioni nelle lettere, nei consigli che Lovecraft indirizza ai suoi giovani corrispondenti. Ma anche qui il risultato è sconcertante e fuorviante. Soprattutto perché Lovecraft non perde mai di vista la personalità dell'interlocutore. Comincia sempre cercando di compenetrarsi nelle intenzioni dell'autore, e successivamente non fa altro che formulare consigli precisi e puntuali scrupolosamente adattati al racconto di cui parla. Per giunta, dà spesso raccomandazioni che è lui per primo a non seguire: arriverà addirittura a consigliare di “non abusare di aggettivi tipo 'mostruoso', 'innominabile', 'indicibile'...” Il che a leggerlo, è assai sorprendente.
Con dispetto della feccia postmoderna
seguace di Judith Butler* e della queer theory, Lovecraft non è gay;
sposa infatti Sonia Greene, dimostrando nelle lettere che scrive in
quei felici anni un affetto che sebbene freddo e/o intellettuale, è
pur sempre affetto. E dopotutto, abbiamo testimonianze che Lovecraft
e Sonia andassero insieme a teatro e ricevimenti, dove alle
testimonianze degli amici scrittori di Lovecraft, i due un minimo si
divertissero.
Certo, il fatto che un conservatore
antisemita come Lovecraft sposi un'ebrea giornalista, ha una sua
malsana ironia...
Come Lovecraft, Sonia Haft Greene apparteneva al movimento degli “amateur journalists”. Molto attivo in America negli anni Venti, questo movimento ha portato a molti scrittori isolati, situati fuori dai circuiti editoriali, la soddisfazione di veder stampata, distribuita e letta la propria produzione letteraria.
L'appartenenza agli “amateur journalists” sarà l'unica attività sociale di Lovecraft; da essa deriveranno tutti i suoi amici, e anche sua moglie. Quando Sonia Haft Greene lo incontra per la prima volta, ha trentott'anni, sette più di lui. Divorziata, ha una figlia di diciassette anni. Abita a New York e si guadagna da vivere come commessa in un negozio di abbigliamento. Pare che si innamori di lui immediatamente. Lui, invece, mantiene un atteggiamento riservato. La verità è che Lovecraft non ha alcuna esperienza in fatto di donne. È lei a dover fare il primo passo, e anche i successivi. Lo invita a cena, va a trovarlo a Providence. Infine, in una cittadina del Rhode Island chiamata Magnolia, prende l'iniziativa e lo bacia. Lovecraft arrossisce, poi sbianca. Quindi, visto che Sonia lo prende garbatamente in giro, è costretto a spiegarle che è la prima volta che qualcuno lo bacia da quando era bambino. Questo avviene nel 1922, e Lovecraft ha trentadue anni. Lui e Sonia si sposeranno due anni dopo. Col passare dei mesi, Lovecraft sembra gradualmente sbloccarsi. Sonia Greene è una donna piena di garbo e di fascino; nonché, ed è opinione comune, straordinariamente bella. E l'inconcepibile finisce per accadere: il “vecchio gentiluomo” si innamora.
Non può nell'argomento mancare un rant
contro Freud...
Con tali premesse, il fatto che Lovecraft non provasse la minima simpatia per Freud, il grande psicologo dell'era capitalista, non è certo sorprendente. (...) Freud, infatti, si permette di parlare di sogni, e addirittura ne fa il fulcro della propria disciplina. Ma quella dei sogni è una materia che Lovecraft conosce bene, tanto da considerarla una specie di riserva personale. (...) in realtà, a parte gli insulti, non riteneva di avere molto altro da dire sulla psicanalisi, anche perchè era convinto che fosse una moda che presto si sarebbe sgonfiata da sola. Tuttavia trovò il tempo di inquadrarne l'essenziale riassumendo la teoria freudiana con queste due parole: “simbolismo puerile”. Si potrebbero scrivere centinaia di pagine sull'argomento, ma sarebbe difficile trovare una formula più indovinata.
Le difficoltà economiche a cui
Lovecraft andrà incontro dipendono sia dal fato piuttosto avverso,
che da una più che decisa propensione a tacere sul denaro, arrivando
ai casi in cui non sollecitava pagamenti che gli sarebbero stati
dovuti, perchè non "degno comportamento da gentleman".
Avversione nei confronti del denaro che
giunge al suo apice quando in difficoltà finanziarie cerca lavoro al
di fuori del suo ristretto ambito da scrittore, incontrando la frase ahimè ancora diffusa " solo con esperienza".
Frustrante.
In tutta la sua opera non si trova infatti la minima allusione a due realtà cui in genere, in letteratura come altrove, si accorda un'enorme importanza: il sesso e il denaro. Lovecraft le ignora; scrive come se queste cose non esistessero. Al punto che, quando in un racconto compare un personaggio femminile (il che accade solo due volte in tutto), si prova una strana sensazione di stravaganza, come se l'autore si fosse messo in testa di punto in bianco di descrivere un giapponese.
La conclusione, gli ultimi cenni
biografici erano già stati accennati nel mio conservatore articolo
su san Valentino; concludo coll'accostamento che Houellebecq opera
fra Kant e Lovecraft.
Entrambi solitari, entrambi immortali.
Così come Kant vuole porre le fondamenta di una morale valida “non solo per l'uomo ma per tutte le creature in grado di ragionare”, Lovecraft vuole creare un fantastico capace di terrorizzare ogni creatura dotata di ragione. D'altronde Kant e Lovecraft hanno altri punti in comune; oltre la magrezza e l'amore per i dolciumi, va infatti segnalato il sospetto, più volte formulato nei loro confronti, che non fossero del tutto umani. Comunque sia, il “solitario di Königsberg” e il “recluso di Providence” sono accomunati dalla volontà eroica e paradossale di trascendere l'umanità.* Filosofa che pure trovo interessante, sebbene soggetta come Derrida a spiacevoli semplificazioni ideologiche...
Immortale u.u |
2 commenti:
Bell'articolo, diffondo!
P.s. "questo movimento ha portato a molti scrittori isolati, situati fuori dai circuiti editoriali, la soddisfazione di veder stampata, distribuita e letta la propria produzione letteraria"
mi ricorda qualcuno... torneranno i bei tempi? ;-)
Si spera, si spera XD
Sperando di avere, a differenza di Lovecraft, successo da vivi ^__^
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