Città Vecchia è un sobborgo anni '60, una sterminata distesa di cemento, delinquenza e droga partorita dal boom economico e abortita nei decenni successivi. Perla, una ragazzina sveglia nata nel posto sbagliato al momento sbagliato, gestisce una peculiare famiglia di tossici e ubriaconi, dal padre Zappa al fratello Taglierino. Il suo unico segreto è l'apparizione, una volta all'anno, del Cubo, un impossibile poliedro alieno invisibile a tutti... tranne che al suo migliore amico, Tao, un barbone ex '68 decisamente sciroccato.
La vita di Perla, dall'adolescenza del 1999, alla vita alle superiori, all'abbandono alla droga a vent'anni è scandita dalle regolari apparizioni del Cubo: all'interno, Perla vi comincia a scorgere due figure, di cui l'ultima, umana, in fuga da un'altra, chiaramente mostruosa.
A 28 anni, 2013, il Cubo non scompare, ma raggiunge la sua destinazione definitiva: l'artefatto di origini aliene letteralmente esplode nella borgata. Dalle ceneri cosmiche della strana apparizione fuoriescono i due esseri intravisti all'interno: si tratta di “Giallo”, guerriero alieno corpulento e iracondo e “D”, Gatto dei Portali, un umano joker viaggiatore del tempo.
Novella Alice nel Paese strafatto di Oz, Perla è condotta da Gatto a scoprire un mondo di lotte cosmiche e conflitti fantascientifici, dove ogni cosa va ricondotta a un'unica primitiva antitesi: Ordine contro Caos, Legge contro Libertà.
Il romanzo di Massimo Spiga inizia con una bella atmosfera anni '90, nel degrado di Città Vecchia: i toni, i modi di dire, gli oggetti rimandano all'ultimo decennio, da Tekken sulla Play ai dialetti che ricordo di allora: bamba, fesso, roba. Dalla spaccatura di fine secolo, il romanzo poi procede a scansioni temporali, fino al clou dell'esplosione del Cubo che scatena la storia vera e propria.
Perla è una protagonista convincente, che sa badare a sé stessa e appare sufficientemente risoluta senza degenerare nell'ennesimo Mary Sue: prende le sue decisioni, sbaglia (e non poco) e si comporta come un adolescente di quell'età. Viene ricordata meno nel romanzo perchè ogni altro personaggio “umano” è una macchietta, mentre sia Gatto che Giallo sono concentrati di puro carisma. Nota di merito per Taglierino, il ragazzino spacciatore che diventa Agente Spada della polizia, un personaggio fin troppo realistico per non sentirsi a disagio.
Giallo è un bruto, un alieno di foggia umanoide, muscoloso e violento: un bodybuilder che racchiude gli elementi peggiori della polizia, dell'esercito e dei reazionari più disgustosi. Come egli stesso si definisce, è un “guerriero” che è passato alla fazione dei conservatori dopo aver constatato quanto ritiene, a suo giudizio, una lotta inutile.
Il Gatto dei Portali è invece un difensore della libertà che balza da una dimensione all'altra con la strafottenza di un felino che si arrampichi sui mobili di casa. La sua eterna lotta nel nome della libertà contro il fascismo di Giallo l'ha portato a vedere ogni cosa con estremo cinismo: il suo primo contatto con Perla è infatti puro utilitarismo. Gatto, o meglio, “D” è il guerrigliero che continua a combattere nonostante tutto, anche quando il nemico gli coalizza contro l'intero universo. In realtà, al di là della patina partigiana, è il caro vecchio trope del supereroe/cavaliere che, di contro ai mille ostacoli, agisce per il bene. A questo primo elemento, Spiga aggiunge però l'anarchia e l'amore per l'arte che lo rendono simile ai supereroi di Grant Morrison, un concentrato dadaista che proprio grazie alla sua follia elude le forze totalitarie che gli danno la caccia.
Volendo, si può vedere D come il fulcro del romanzo, con Perla, gli abitanti di Città Vecchia e lo stesso antagonista, Giallo, con lo scopo di svilupparne il carattere e l'atteggiamento. Certamente è unico: non è roba di tutti i giorni leggere di un alieno distrutto leggendo gli abusi verbali e aggettivali del Finnegans Wake di Joyce!
Tra i tre protagonisti, il barbone Tao svolge simbolicamente il ruolo di tramite: tra la dimensione cosmica e fantascientifica ai limiti del magico di Giallo e D e la realtà fin troppo terrena di Perla, l'ex sessantottino strafatto apre un “ponte”, che sia con il suo interminabile tecno-babble, che attraverso gli stupefacenti, che con un misto delle due cose (ovviamente!):
– L'ho visto l'anno scorso, solo per un istante! – disse lui.
– Mi sono allenato per bene. Penso di poterlo canalizzare, stavolta. Accade in una finestra temporale di pochi secondi. In un preciso momento di un preciso giorno dell'anno. Io sono pronto. Sì, sì. Vedi, la spina dorsale dritta ottimizza l'immersione di Kundalini, la dea serpente dell'illuminazione, e una massiccia quantità di cannabis freschissima può affilare lo spirito come una ghigliottina. La ciclicità del miracolo è chiaramente dedotta da un'interpretazione typhoniana maatiana dell'astrologia, senza dubbio. Quest'anno, penso di poter spalancare le cataratte del cosmo. Focalizzare l'attenzione. Con un'attenzione ben indirizzata e un caricatore pieno d'immaginazione, puoi far saltare una rotula alla realtà. Sì, sì. –
– Povera realtà... – borbottò Perla.
Una delle chiare ispirazioni per il romanzo è ovviamente Matrix. Si parte con gli agenti Smith, vagamente ripresi con l'idea dei “cani umani”, agenti del Giallo. La scena seguente, ad esempio, ricorda la materializzazione di uno degli Agenti nel corpo di un insospettabile abitante:
– Mi servirà un contatto con le autorità di questo settore. E' necessario aggiornarli sulla situazione, – mormorò il Giallo. I quattro non reagirono. Al posto di una replica verbale, Perla la vide comparire in forma di scritte sulle pareti della pilotis.
SI, PADRONE / NOTE BLU IN CASE D'ARDESIA / E' DA CONSIDERARSI COME ESEGUITO, PADRONE / GRANOTURCO EROGENO DI SECONDA MANO
Erano graffiti realizzati in ordinati caratteri maiuscoli, come il fenomeno osservato in precedenza, durante il risveglio del Giallo. Le scritte comparivano sulle mattonelle e sul pavimento, per poi evaporare. Perla rimase sbalordita: non aveva mai visto un uomo o una donna sottotitolata.
Quando le furono davanti, i quattro mutarono d'aspetto. In un battito di ciglia, senza alcun preavviso. Volto liscio come manichini, privo di connotati o capelli. I loro vestiti furono sostituiti da giacche eleganti, cravatte, camicie bianche, in perfetto ordine.
L'idea stessa alla base del romanzo, che mira a mettere in dubbio la realtà a favore di un modello multidimensionale, possiede echi della trilogia delle sorelle Wachowski: tuttavia Paradox vi mescola la psichedelia di Burroughs, così come una robusta dose letteraria e storica, approfittando della natura virtuale del romanzo per viaggiare in mondi fantasy e addirittura nella Parigi del 1940. Le mini storielle di D, raccontate a inizio capitolo sono particolarmente divertenti e conferiscono quel sapore “punk” che permea tutto il romanzo. Ho particolarmente apprezzato, ad esempio, il motivo della scomparsa del continente di Lemuria, che lascio scoprire ai lettori.
E non manca un elemento steampunk, dato dall'armatura senziente del Gatto, l'aleph:
Stringhe di codice, composte da minuscole icone dall'aspetto affilato, aleggiarono nell'aria a pochi metri da D, per poi intrecciarsi in una figura traslucida e antropomorfa. Aveva l'aspetto di un curvo umanoide meccanico, composto di migliaia di componenti d'oro e ottone. Era il genere di macchinari che ci si aspetterebbe in un vecchio orologio, ed emanavano un'antichità millenaria e paradossale. Aveva un volto lungo e scuro, una sorta di moai vittoriano, i cui ingranaggi erano in perpetuo movimento. La sua forma era inafferrabile, evanescente, in costante riassemblamento meccanico. Gli occhi erano fessure da cui filtravano volute di gas scuro. La bocca era coperta da una bandana gialla su cui era disegnato un sorriso stilizzato. Le braccia e le gambe erano sfumate e indistinte, divenivano esse stesse il vapore bruno che gli esalava dal viso. Il suo profilo generale lasciava intendere che fosse soltanto una piccola parte visibile di un più vasto apparato.
Molti autori, dai film, ai videogiochi (emblematico Ken Levine), ai libri tendono a ripercorrere sempre la stessa trama, o a riprendere usandoli in diverso modo gli stesso elementi. Senza dubbio questo è il caso di Paradox, che tirando le somme, è un romanzo in linea con il corpus delle precedenti opere di Massimo Spiga: ritroviamo qui sia la struttura che il sapore di molte scene del romanzo di zombie, Domani. Cronaca del contagio.
Andrea e Perla hanno molto in comune: sono protagonisti loro malgrado, scazzati, fatti (letteralmente) e anche se Andrea proviene da un ceto medio-alto e Perla dai bassifondi, condividono la stessa filosofia di vita. Inoltre, in entrambi i romanzi, uno dei turning point è la scena dove i “buoni” si armano per lo scontro finale con i “cattivi”, in entrambi i casi dentro una “tana” trash, con cumuli di armi e droga:
Dopo aver superato una tendina di perline di plastica, entrarono in una stanza stretta e lunga. Rasente alle pareti erano presenti grossi vasi sbiancati dal sole, da cui sorgevano robuste piante di marijuana, una mezza dozzina in tutto. Su una larga credenza era poggiato un drappo di tessuto rosso, annerito dal grasso. Sopra, una pistola e un fucile, più una serie di pezzi di ricambio per armi da fuoco e attrezzi per la manutenzione. Negli spazi sottostanti, protetti da ante di vetro scorrevole, scatole di proiettili. Una stella sbilenca a cinque punte era stata dipinta con una bombola spray su una tenda scarlatta che copriva un'intera parete. Spostato contro il muro perpendicolare, c'era un armadio a muro IKEA sui cui scaffali erano impilati ordinatamente molti libri e manifesti, intervallati da panetti di coca e barattoli pieni di pastiglie colorate, buste di erba e roba.
– Questo è... inusuale, – disse Perla.
Senza esagerare, è interessante un confronto:
Le mura sono cinte da ampie scaffalature cui giacciono in fila una gran quantità di recipienti di vetro e plastica, bottiglie, imbuti, stracci di ogni sorta. Il centro della stanza è dominato da una grande tavolta su cui, oltre a qualche largo recipiente, si trovano beute e fornelli Bunsen, pentole a pressione, tubi di plastica, teglie Pyrex, asciugamani sporchi, secchi, cotone idrofilo, nastro adesivo e una messe di altri strumenti per la chimica fai-da-te. Al suolo, alcune piccole taniche di benzina. Posate in un angolo, quattro bombole di propano le cui valvole metalliche sono ormai divenute blu. C'è un piccolo televisore posato su una credenza. Mi chiedo se questi gangster si mettano a guardare soap opera mentre lavorano alla sintesi della metanfetamina.
Sia Domani verso la fine, che la raccolta Armi Narrative Sperimentali, che Paradox hanno inoltre in comune una mescolanza molto peculiare di Burroughs e Lovecraft: l'esagerazione grammaticale e sintattica del primo viene ripreso coniugato alla visione “cosmica” del secondo, producendo un effetto di “estraniamento” molto potente. Di solito la visione cosmicista di Lovecraft viene o edulcorata, o trasposta in chiave horror (tentacoli, sangue, gore, ecc ecc). Con Paradox, invece, gli dei cthuliani – gli Dei Schiavi, come vengono qui chiamati – sono descritti usando il lessico di Burroughs, cercando piuttosto di mostrarne non tanto l'orrore quanto la grandezza. E per quanto Lovecraft usasse un linguaggio barocco, l'idea di recuperare Burroughs in questa chiave è azzeccata. L'attenzione, di conseguenza, è sul dimostrare la “scala” e l'incommensurabile di questi dei, a confronto con l'infinitamente piccolo e insignificante che è l'essere umano.
Mentre in Domani abbondavano le descrizioni, in Paradox si preferiscono i lunghi monologhi:
– La lunga notte. La Guerra Invisibile. E' stata la nostra, personale Apocalisse. Un grande trionfo per la Macchina. Il nostro avversario si è diffuso in tutto il continuum, spandendosi attraverso le nove dimensioni, fino a fondersi a esso. L'intero universo. Ingoiati nella macchina, stretti negli artigli degli Dei Schiavi. I sognatori, i ribelli, i non conformi... ogni fonte d'instabilità è stata purgata dal continuum, come non fosse mai esistita. –
In entrambi i romanzi, gli dei restano crudeli: magari con una diversa concezione di “bene”, ma pur sempre crudeli per gli standard umani. L'uomo, invece che impazzire o suicidarsi, deve affrontarli e ribellarsi, pur conscio del suo fallimento. Abbiamo questa presa di posizione che applica Marx agli dei lovecraftiani, identificati con la Macchina, una personificazione della Legge:
– Le tue sono... parole, Tao. Tu non puoi... capire. La Macchina... La Macchina ha costruito campi di concentramento per i nostri sogni. –
Ma l'obbligo alla ribellione, in nuce, era già presente con Domani, in una versione più... goliardica.
E' la mia ricompensa. L'esortazione ad ascendere, a lasciarmi alle spalle la natura e il pianeta verde, ogni dolore, colpa, ansia e sofferenza, ed esplorare un differente, superiore piano dell'universo, libero dalla crudele logica della vita e del sangue. La perfetta felicità e perfezione ultima.
Alzo la mano in direzione dei tre soli e della colossale losanga multidimensionale.
Tiro su il dito medio.
Il messaggio, quasi maoista, è chiaro: non importa quanto potente il nemico, non importa se è un intero pantheon di dei lovecraftiani, è sempre giusto ribellarsi.
Fonti:
Paradox, Massimo Spiga (Acheron Edizioni)
Paradox, Massimo Spiga (Amazon)
Sito dell'autore; blog e ebook gratuiti.
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