E' pieno di antologie steampunk lì fuori, tra le quali non brilla certo la qualità, che per altro è piuttosto rara in questo genere. “Steampunk!” a cura della coppia Jeff e Ann VanderMeer è una raccolta che si vuole proporre come base del genere, sia dalla sua nascita che all'attuale seconda ondata in coincidenza col millennio (diciamo fino al 2007/10). L'edizione (solo cartacea) della Elara Edizioni offre più di 400 pagine di bontà steampunk, spaziando tra racconti di ogni genere, dai frammenti di romanzi, alle novelle, alle storie autoconclusive. Un insolito, ma benvenuto apparato saggistico apre e chiude il volume, dando il via a un ottimo incipit con la storia della fantascienza vittoriana ad opera dell'insostituibile Jess Nevins.
Ero un po' indeciso se l'acquisto a Lucca Comics fosse davvero servito, tant'è che nelle poche pagine di apertura VanderMeer dimostra di non capire nulla di steampunk, com'è in effetti prevedibile da una persona che francamente considero sempre di più un abile showman, piuttosto che uno scrittore autentico. Per sedici euro i suoi soldi l'antologia comunque li vale, anche se in coda alla recensione ho scelto di compilare una lista dei racconti da leggere e quali invece saltare senza pensarci troppo, sia perché non centrano nulla con lo steampunk, sia perché francamente scritti male. Torneremo invece sullo Steampunk nella definizione di Jess Nevins in un altro articolo, anche se al momento non resisto a lasciarvi comunque con questo passaggio:
Ma gran parte della seconda generazione steampunk non è vero steampunk, ha ben poco se non nulla di “punk”. Le idee politiche della posizione “punk” sono in gran parte scomparse dalla seconda generazione steampunk, che in maggioranza potrebbe essere descritta più precisamente come “steam sci fi” o, seguendo John Clute, “gaslight romance” (“romance” con lampioni a gas). Gli autori delle Edisonate avrebbero odiato la prima generazione steampunk, ma avrebbero approvato la seconda generazione steampunk, con le sue macchine a vapore usate contro i nativi americani nel Western, e macchine da guerra a vapore usate al servizio dell'esercito britannico alla conquista di Marte.“Benedizione”, di Michael Moorcock, è un estratto del romanzo I Signori dell'Aria; nello specifico, il capitolo dedicato all'attacco a Hiroshima dalla confederazione di aeronavi europee e americane per sganciare “l'ordigno”, ovvero niente meno che una bomba atomica. I ribelli di Moorcock controbattono con aerei a reazione che facilmente battono i pesanti e goffi dirigibili nemici.
Che dire? Per chi conosce il romanzo, è piacevole leggerne in italiano un frammento. Per chi non conosce la trama de I Signori dell'Aria, risulterà un incipit tanto misterioso quanto noioso: una scena di battaglia descritta senza scendere troppo nel dettaglio.
“La macchina di Lord Kelvin” è un altro estratto, stavolta dall'omonimo romanzo di James Blaylock. Una cometa minaccia di distruggere la Terra, regalando all'umanità dell'800 l'identico fato dei dinosauri: lo scienziato Langdon St. Ives è convinto di poter dare “una spintarella” alla vecchia palla spingendola fuori pericolo, mentre all'opposto il malvagio Ignacio Narbondo è convinto di poterla spostare quel tot per rendere l'impatto con la cometa un'apocalittica certezza. Il romanzo è una gara d'ingegno verniano tra i due personaggi, ciascuno aiutato da un gruppo di colleghi scienziati (nel primo caso) e bombaroli nichilisti (nel secondo). Narbondo vuole ricattare l'Accademia Reale delle Scienze, affermando, sulla base della teoria della terra cava, di poter spostare l'asse terrestre scatenando una serie di eruzioni vulcaniche. All'opposto St. Ives vuole spostare sì la Terra, ma allontanandola decisamente dalla minaccia! In tutto questo Lord Kelvin afferma di stare costruendo una macchina che annullerà i poli magnetici della Terra, eliminando ogni rischio di attrarre la cometa. St. Ives, ovviamente, vuole sabotare la macchina per dimostrare che la sua teoria salverà la Terra da Narbondo (e la cometa), non quella di Kelvin...
James Blaylock costruisce una storia tanto intelligente quanto steampunk per tanti motivi: in primis, si tratta di un'ambientazione finalmente vittoriana nelle descrizioni e nella mentalità. Un mondo sporco, meccanico, scientifico: St. Ives non si abbandona mai allo sconforto, non si deprime mai, mantiene un'assoluta, incorruttibile fede nella scienza. L'eventualità del ricatto e della distruzione della Terra a opera di Narbondo non sono che stimoli per il suo vero obiettivo, la ricerca e la sperimentazione scientifica. I personaggi sono positivisti, nonostante l'assurdità delle situazioni e della trama: anche i cattivi sono pienamente fiduciosi nella loro capacità di servirsi della natura, di padroneggiarla e di sfruttarla per i loro scopi. Non ci sono personaggi diversi dagli scienziati: tutti i protagonisti, in un modo o nell'altro, sono accademici, aspiranti tali, o entusiasti aiutanti. In questo davvero Blaylock è del vecchio filone steampunk al cento per cento. A sottolineare come si tratti però di -steam, ma anche di -punk, Blaylock chiarisce come si tratti della scienza ottocentesca: pertanto una concorrenza spietata e senza scrupoli, senza collaborazione, per vedere chi ha la teoria/macchina/tecnologia migliore. La Terra in questo, l'intero pianeta, non è che un gigantesco esperimento scientifico.
Vi sono poi tanti piccole trovate, come le tavolette liofilizzate per il caffè:
- Non l'ho assaggiato – disse St. Ives, sollevando la tazza. Scrutò nelle profondità del liquido scuro e gli vennero in mente all'istante l'acqua sudicia di una pozza di marea dov'era caduto al buio risalendo dal molo, la notte prima. Non aveva bisogno di assaggiare quella mistura, l'odore era sufficiente. - Niente tavolette?-
- Ne ho portate diverse per ogni qualità, signore. Non ha senso andare all'estero senza. Si pensa che l'arte di preparare il caffè abbia attraversato le poche miglia fra la costa della Normandia e le Isole Britanniche, signore, ma tutti sappiamo che non è così.-
Frugò nelle tasche del cappotto e trovò una scatoletta di pillole simili a confetti. - Jamaican Blue, signore? -
- Come vuoi tu, - disse St. Ives.
Hasbro ne gettò una nella tazza sollevata, e in un istante la stanza si riempì di uno stupefacente e rotondo aroma di vero caffè, davanti al quale lo strano odore chimico del pallido facsmile nel resto delle tazze batté in ritirata.
- Mio Dio! - mormorò Kraken. - Che altro hai lì dentro? -
- Un tollerabile Weiner Melange, signore, e un Mocha Java che mi sentirei di suggerire. C'è anche un espresso, ma non è stato ancora provato. -
- Allora sono con voi! - esclamò Kraken con entusiasmo, e allungò la mano verso la pillolina. - Si possono fare soldi con queste cosette, - disse, lasciandone cadere una nella tazza piena e guardando il risultato sconcertato. - Milioni di sterline. -
Purtroppo, davvero Blaylock non sa scrivere: è tutto barocco, lento, statico, pieno di dettagli inutili, verboso, avverbi(oso), aggettivato all'eccesso, ingozzato con ogni genere di metafora tirata per i capelli nell'ennesima subordinata che allarga la frase da due righe a metà pagina.
Non a caso, quando si tratta di scrivere dei dialoghi, Blaylock se la cava benissimo e, come detto, mostra davvero bene la mentalità e l'humor dei suoi personaggi. La sottile ironia che dispiega per tutto il testo è assai piacevole. Anche le descrizioni sono buone, adeguatamente contorte.
In originale inglese, l'ho trovato illeggibile alla massima potenza: in italiano, passabile... ma con riserva.
“Il sorriso generoso”, di Ian R. Macleod. Un fantasy medievale con protagonista un bambino figlio di una decadente casata nobiliare. Si tratta di un regno industriale, con cavalli a vapore, miniere e qualche aggeggio steampunk. Il tono fiabesco e i toni crudi sono una combo sempre efficace, ma rimane una storia confusa, troppo incline alla narrazione, senza assolutamente nulla di vittoriano: potremmo definirla low fantasy, fiaba dark, dark fantasy, persino horror! Serve qualcosa di più che chiamare un cavallo “a vapore” per renderlo un automa credibile: così com'è, una storia sconnessa con un paio di scene bene riuscite.
“Un Sole nell'Attico”, di Mary Gentle. Al momento di scrivere questa recensione avevo totalmente dimenticato questo racconto, il che già dovrebbe significare qualcosa: è una storiella vaga, anemica, intorno all'ennesima utopica società matriarcale. Ho letto il primo libro di Ash di Mary Gentle e trovo che sia un'autrice straordinaria, criminalmente sottovalutata: non è purtroppo però il caso di questo racconto.
“Arriva il Dio Pagliaccio”, di Jay Lake. Un racconto “urbano”, in un mondo steampunk dove la bio ingegneria è di casa: quello che succederebbe se prendessimo Frankenstein (il dottore, non il mostro) e lo rendessimo uno scienziato dell'establishment. All'inventore protagonista viene commissionato un gigantesco pagliaccio con il compito di tutore dell'ordine: il mondo, vagamente rinascimentale nella società e nelle classi, è diviso in gilde in machiavellica competizione. Jay Lake scrive bene e intesse le sue avventure con un tono feroce, macabro e “sporco”: alcuni dialoghi, poi, esprimono idee filosofiche interessanti senza farle sembrare “estranee” alla narrazione.
Ferrante scosse il capo per liberarlo dai feromoni di Jack. – No, non di tutte le loro stirpi. Solo di quei due idioti, che agiscono in autonomia per qualche motivo. Perché mai qualcuno vorrebbe avere un pagliaccio morale? I pagliacci sono esenti da moralità; è questo che fa di loro dei pagliacci. –
– Un pagliaccio morale sarebbe il contrario di un prete peccatore, – disse Jack. Con un dito delicato sfiorò il bordo del bicchiere di assenzio, un irregolare esemplare a forma di bolla fatto a mano, che sembrava prodotto dalle labbra di un soffiatore di vetro ubriaco. - O forse un angelo caduto, se ci fosse concessa una visione tanto magnifica. –
“L'ultimo duello dell'uomo locomotiva della prateria e il cavaliere oscuro: un romanzo d'avventura” è, come avverte il titolo, un racconto di Joe R. Lansdale semplicemente esagerato.
La storia è... da dove iniziare? Il viaggiatore de La Macchina del Tempo di Wells, dopo diverse peripezie nel passato e nel futuro è diventato un vampiro (?) che ha soggiogato i Morlock dell'omonimo romanzo vittoriano (?) e li domina come Sauron con gli orchi. In un mondo dove le diverse linee temporali si sono confuse e automobili anni '50 sfrecciano accanto a dinosauri preistorici, un gruppo di intrepidi eroi si propone di uccidere il “Cavaliere Oscuro”, con l'ausilio di un uomo locomotiva, nella pratica un gigantesco robottone alimentato a vapore.
Solo a leggere la trama mi sentivo male, ma non conoscendo Lansdale sono andato avanti e sorpresa delle sorprese, è uno dei migliori racconti dell'antologia. Lo stile di scrittura è secco, duro, perverso (non si contano le scene oltraggiose, tra il demenziale e l'horror) e il lettore è trascinato, che lo voglia o meno, a leggere fino alla fine. L'aspetto tecnologico dell'uomo locomotiva è descritto bene, con tanto di “scontro tra titani”. Lansdale è un teppista, che maneggia il suo racconto con zero delicatezza, aprendo storie che non hanno conclusione, introducendo personaggi che hanno il solo scopo di prendere in giro il lettore e in generale combinando quello che vuole.
Ne hanno anche tratto un bel fumetto, della Dark Horse |
“Il club di giardinaggio di Selene” è il classico racconto senza né pregi, né difetti (il che, in un certo senso, è un difetto...): una moglie annoiata di un gentiluomo vorrebbe creare un giardino sulla Luna, sparando semi e terra con un gigantesco cannone. Mentre Lansdale il cannone se lo arrotola, l'autrice, Molly Brown, non si spinge oltre lo “sciocco”, confezionando dei dialoghi divertenti e un paio di scene davvero azzeccate. Se vi piacciono le commedie della BBC, vi piacerà anche il Club di giardinaggio. Vi lascio con una delle scene migliori, a inizio racconto:
Avrebbe dovuto essere ebbra di felicità, se non fosse stato per una cosa: J. T. Maston si era dato al giardinaggio.
Trovò il marito chino su un obice nell'angolo lontano del loro terreno. – Pensavo che sarebbe un buon punto per le azalee – disse, indicando un pezzo di terra ripulita fra la fontana e la grotta artificiale.
Lei si mise direttamente nel campo visivo del marito. – Allora? –
– Allora cosa? –
Lei fece una piroetta, sollevando una mano indicando il cappello. – Che cosa ne pensi? –
– Di cosa? –
Lei smise di piroettare. – Non importa. –
Il marito sollevò le spalle e riportò la sua attenzione al cannone. – Sta indietro. –
Evangelina si coprì le orecchie quando il cannone sparò, scaricando una nube di semi.
“Settantadue lettere” di Ted Chiang è un buon racconto che ruota attorno all'idea del Golem. Come da tradizione di Chiang, personaggi, dialoghi e ambientazione sono incolori, un ammasso di lettere che non suscita alcuna immagine vivida. I dialoghi sulle “implicazioni delle sue invenzioni”, lodati come “profondi”, sono in realtà saggistica spicciola: il tono è quello di un accademico che blatera. Con una tradizione così ricca come quella del Golem, Chiang non elabora nulla: né l'origine semita del Golem, né le derivazioni cinematografiche, o surrealiste, o di Gustav Meyrink... non c'è nulla della magnifica estetica che ci si deve aspettare con uno spunto del genere.
Ovviamente ai fan della fantascienza hard piacerà tantissimo...
Cowperthwait è un eccentrico scienziato che, novello Frankenstein, ha creato una salamandra gigante, di aspetto umano: una creatura dall'insaziabile appetito sessuale, che ricorda una sirena ritardata. Cowperthwait prova verso questa creatura un sincero affetto, tant'è che l'ha chiamata “Vittoria”, in onore della sovrana. La Regina, intanto, è misteriosamente scomparsa: la giovane (siamo nel 1838, qualche anno prima della salita al trono), è fuggita di casa, stufa delle continue lezioni cui la sottopongono i precettori. Il Primo Ministro Melbourne, per non scatenare il panico, tiene la notizia segreta a tutti, perfino alla Corte: con una misura disperata, si sostituisce la Regina con “Vittoria”. Vista anche una somiglianza di corpo e di viso e con la scusa di un brutto periodo dovuto alle mestruazioni, la pagliacciata può funzionare. Ansioso di riavere la sua figlia/animale domestico/creazione scientifica, Cowperthwait parte con una corsa contro il tempo per ritrovare la vera Regina nei torbidi bassifondi di Londra...
Come James Blaylock, anche Paul Di Filippo è un autore che, illeggibile in originale, diventa invece una lettura interessante quando tradotto in italiano. Il racconto – più una novella, viste le dimensioni – è una trama con un inizio, una fine, diversi colpi di scena e delle belle descrizioni. Sì, Di Filippo scrive maluccio, con descrizioni ancora più lunghe e ancora più barocche di Blaylock; come tuttavia nel caso del “collega fondatore” quest'elemento trasmette bene la bellezza delle invenzioni di Cowperthwait.
Sotto il pennino, alla fine del suo lungo braccio di aste, c'era un carrello inclinato. Il carrello scorreva su un complesso sistema di binari dentati montato in cima alla scrivania, e avanzava spinto da una manovella sulla sinistra. Un rotolo di carta spuntava da ganasce di ghisa all'inizio del carrello. La carta, scendendo sul ripiano di scrittura, veniva ripresa da un rullo alla fine del carrello. Anche questo rullo era attivato dalla manovella, in sincronia con il movimento del carrello attraverso la scrivania.
Fra le gambe della grande scrivania era fissata una giara di vetro da molti litri piena d'inchiostro, posata a terra. Dalla cima del tappo della gira usciva un tubo di gomma che viaggiava verso l'alto nella struttura di rame e da lì al pennino. Una pompa attivata con i piedi spingeva l'inchiostro dalla bottiglia fino al sistema a una velocità appropriata.
Assiso al centro di questo complesso meccanismo di scrittura c'era il geniale ed eccentrico motore che lo dirigeva.
Cosmo Cowperthwait.
Paul Di Filippo, come Lansdale e Blaylock è un teppista della letteratura: ad eccezione dell'inventore, non c'è personaggio che si salvi: il popolino è ributtante, una massa di poveri e mutilati senza speranze, ansiosi di approfittarsi del prossimo, la nobiltà maniaci sessuali fissati con Vittoria (la salamandra), i dialoghi crudelissimi:
Lo spazzino non stava in sé dalla gioia per la mancia. – Grazie, capo, grazie! Mangio elegante stasera! –
Cowperthwait e McGroaty proseguirono. L'inventore sembrava toccato dall'incidente, e alla fine commentò.
– Qui abbiamo appena visto un esempio della teoria che i miglioramenti materiali calano dall'alto verso il basso, Nails. Grazie ai frutti della società Cowperthwait-Brunel, io mi posso permettere di donare a quelli più sfortunati. L'onda solleva tutte le navi. –
– Ho sentito di quella roba lì dell'alto che va in basso, come al passero che gli arrivano tutti i semi non digeriti nella merda di un cavallo. –
– Un'analogia rozza e imprecisa, Nails. In ogni caso, un giorno, grazie alla scienza, le strade di Londra saranno ripulite di ogni rifiuto organico, e quei poveri monelli, se esisteranno ancora saranno mantenuti da uno stato ricco e magnanimo. –
Una gradita sorpresa, questo “La Volpe e il Leone”, di Stefano Carducci. Si tratta di un vecchio racconto steampunk ambientato in un'ucronia dove il mondo è conteso tra il Regno d'Inghilterra, con le americhe, e la Repubblica di Venezia, nel Mediterraneo e in India. L'intuizione di scavare nel '500 un canale di Suez garantisce alla Repubblica i commerci con l'Oriente e un vasto impero coloniale in Asia e in Africa. Il protagonista, l'orientalista Niccolò Vernier, è un luddista che disprezza la rivoluzione industriale:
Era invece visceralmente avverso ai mezzi meccanici alimentati con motori a petrolio che stavano soppiantando i più economici mezzi che si muovevano con l'energia messa a disposizione dalla natura, i venti, o gli animali. A Niccolò non sembrava esserci alcuna ragione economica per quei cambiamenti, al contrario, erano mezzi talmente costosi che non si capiva quale fosse la ragione per la quale tutti stessero impazzendo per macchinari tremendamente rumorosi, e puzzolenti.
Salirono nella cabina sferragliante che li portò al terzo livello della tribuna.
– Avremmo fatto prima a piedi – disse sbuffando Niccolò, uscendo.
Lo stile è terribile come ci si può aspettare da una vecchia produzione dello stivale, completamente narrato con abbondante uso di digressioni e avverbi, senza dimenticare quella patina di “vecchio” da sempre caratteristica della sci fi italiana (che a sua volta ne influenza le ristampe, Urania docet). Tuttavia, Carducci è un cinico, che non ha paura di stravolgere la storia e dare una terribile lezione al “romantico” Niccolò Vernier. Decisamente promosso.
“Abrace il Camminatore” è un racconto post apocalittico di Dario Tonani, molto ben scritto, scorrevole, a tratti poetico. Ma non è steampunk, neanche per sbaglio.
La qualità continua a scendere con “Luce Riflessa”, di Rachel E. Pollack. Un diario (e già iniziamo male...), con protagonista un'operaia responsabile della lavorazione del cuoio. La partenza era buona, l'ambiente sporco e malsano bene descritto, ma per tutto il resto non c'è una storia, un obiettivo, una protagonista, un antagonista, anche solo “qualcosa” che succeda. Semplicemente incompiuto.
“Verbale dell'ultima riunione”, di Stepan Chapman: un titolo tanto noioso quant'è invece avvincente il racconto, una perla di fine volume.
In un lontano futuro, la monarchia degli Zar regna su una Russia arretrata e medievale, rimasta alla tecnologia a vapore. Lo Zar è virtualmente immune a ogni attentato o rivoluzione grazie alla nanotecnologia sviluppata dai cinesi e da loro acquistata a caro prezzo: nanotecnologie in forma di insetto, sasso, oggetti inerti e animati sorvegliano un popolo russo in conflitto continuo con gli unni (alias i tedeschi) al confine orientale. Ma nonostante tutto, l'anarchico Bakunin ha un asso nella manica...
Chapman rende molto bene la povertà di questa Russia dove il futuro “non è equamente distribuito”:
In Cina, potevano costruire meccanismi intelligenti grandi come cinque molecole. In Russia, quando un trattore si rompeva, il contadino chiamava il prete per benedire il motore con l'acqua santa.
In Russia, le donne venivano usate come rilevatrici di mine antiuomo. Il primo ministro britannico aveva offerto allo zar un intero carico di metal-detector. – No, grazie, – il capo di gabinetto dello zar aveva risposto. – Abbiamo già un sistema che funziona. Mandiamo sui campi squadre di vedove di guerra in eccesso. Le vedove che esplodono danno la loro vita per la Madre Russia. E come beneficio collaterale, la scarsità di cibo viene alleviata. –
La storia ingloba anche elementi mitologici del folklore slavo, così come tecnologia fantascientifica, lasciata però sempre sullo sfondo. Il concerto delle voci dei diversi protagonisti s'intreccia per un finale maestoso e assolutamente non-consolatorio: una bella occasione per l'unico racconto dell'antologia che si stacchi dalle stantie atmosfere anglosassoni.
“Estratto dal terzo e ultimo volume di Tribù della costa del Pacifico” è, come avverte il titolo volutamente accademico, uno spin off dal bel romanzo di Neal Stephenson, L'Era del Diamante. Si tratta di un'ambientazione a metà strada tra lo steampunk e il cyberpunk, o meglio -post entrambe: in un futuro indefinito, il progresso delle nanotecnologie ha stabilizzato il nostro mondo, che è spaccato in piccole enclavi, ognuno con il suo stile di vita diversissimo dagli altri. Una di queste “cerchie” riprende i valori, lo stile di vita e l'aspetto dell'Impero Inglese: sono i NeoVittoriani, da sempre alleati dei Nipponesi (cioè, l'etica dei samurai applicata al cyberpunk, un altro classico).
I nemici, sia in questa storiella che nell'Era del Diamante, sono gli stessi di un romanzo vittoriano: gruppi di anarchici, di socialisti, di dissidenti che solitamente vogliono armare con le ultime nanotecnologie militari il “popolo”. Lo spin off in questione ricrea infatti uno scenario alla Rorke's Drift, con il nostro gruppo di esploratori/professori che con armi create con una stampante 3D devono affrontare delle orde di selvaggi urlanti... Non eccezionale, ma divertente.
Seguono due saggi di chiusura sulle influenze steampunk nella cultura popolare, ad opera di Rick Klaw e Bill Baker. Una lista nello stile di wikipedia, con qualche aggiunta di valore: Space 1889, Le avventure di Luther Arkwright, La città dei bambini perduti.
In ordine dal migliore al peggiore, i racconti veramente steampunk della raccolta:
Vittoria, di Paul Di Filippo
La macchina di Lord Kelvin, di James P. Blaylock
Benedizione, di Michael Moorcock
L'ultimo duello dell'uomo locomotiva della prateria e il cavaliere oscuro: un romanzo d'avventura, di Joe R. Lansdale
La Volpe e il Leone, di Stefano Carducci
Verbale dell'ultima riunione, di Stepan Chapman
Arriva il Dio Pagliaccio, di Jay Lake
Estratto dal terzo e ultimo volume di Tribù della costa del Pacifico, di Neal Stephenson
Fonti:
Sito Casa Editrice Elara (un po' malmesso...)
4 commenti:
Le spiegazioni di Jess Nevins sono le uniche cose buone per davvero dell'antologia. Erano state la base di partenza minima per il mio primo articolo sullo steampunk nel 2011, in cui citavo Nevins: http://www.steamfantasy.it/blog/2011/05/30/breve-introduzione-allo-steampunk/
Dopo sono andato molto oltre nell'analisi e approfondimento, con gli articoli successivi.
Concordo su VanderMeer che successivamente, con quello pseudo manuale di scrittura uscito qualche anno fa, si conferma anche leccaculo (con tanto di amichetti presenti nel manuale a dire idiozie senza senso, cose che non essendo scemo avrebbe dovuto rifiutare di mettere nel suo libro). Tremendo. ^_^
Jess Nevins è bravissimo. Al momento gestisce una newsletter di curiosità storico-pulp; un vero peccato non abbia un sito/pagina facebook/blog vero e proprio.
http://jessnevins.com/blog/?p=739
Con VanderMeer ho la sgradevole impressione che molti dei suoi "manuali" e antologie siano o occasioni per cavalcare il fenomeno pop di successo, oppure nascondano l'assenza di contenuti forti dietro una cura grafica molto curata. Non a caso con il WonderBook tutte le recensioni positive esaltano la bellezza delle illustrazioni e del layout... lecito per carità, ma in quel caso mi compravo una raccolta di artwork e sostenevo direttamente l'artista :-D
http://www.goodreads.com/book/show/15842650-wonderbook
Cmq stando alla responsabile Elara a Lucca, City of Saints and Madmen dovrebbe ormai essere stato tradotto, tempo di pubblicazione qualche mese.
Pur non capendo molto, mi sono segnato un paio di cosette
Segnati, segnati! Puoi ordinare i libri Elara anche in libreria, anche se a volte fanno storie...
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