Domenica
sera sono tornato, felice e un po' stressato, dal Lucca Comics, dopo
un giorno di viaggio (giovedì), due giorni di fiera (venerdì e
sabato), un viaggio di ritorno (domenica).
I reportage,
specie per le Convention e le Fiere, funzionano se scritti sull'onda
del sentimento, immediatamente: quando ancora l'argomento interessa e
c'è abbondanza di reduci dall'evento ansiosi di leggere qualcosa che
li consoli dalla depressione mestruale post Lucca Comics.
Tuttavia, mi
trovo un po' al bivio, perchè al momento non so bene cosa pensare di
questo Lucca Comics 2016. Di solito si tende a uscire da queste Fiere
così “muscolari” per quantità (di persone) e qualità (della
robba) con un sentimento chiaro e preciso, di solito un entusiasmo
incondizionato, o una cocente delusione. Purtroppo, nel mio caso,
non riesco a rappezzare insieme i diversi sentimenti sulla Fiera: è
la prima volta in cui mi viene da scrivere che vi sono state parti
interessanti, parti orribili e parti noiose. Insomma, mi manca la
sensazione di un'esperienza complessiva.
Come domando a chi faccio da
guida turistica “non so se rendo l'idea, ecco”
Crash Bandicoot! |
E' la prima volta, ad esempio, che mi capita di trovarmi in una folla di nerd e cosplay e di sentirmi ben poco a casa. Negli anni passati, il 2012, o il 2013, ad esempio, girare per la Fiera mi dava un'immediata sensazione di familiarità.
Quante
persone con i miei stessi interessi! Quanti nerd/giocatori/sognatori,
proprio come me!
Ecco, una
sensazione assai consolante di non essere il solo era una delle
attrattive subliminali maggiori per il Lucca Comics e ritengo che lo
sia tutt'ora per molti visitatori, anche se faticherebbero ad
ammetterlo. Stavolta, invece, sono passato dal “noi”, al “voi”,
dall'esclamazione “quanti nerd come me”, alla più semplice
constatazione “ma guarda quanti nerd”.
Una delle cose che trovo
in assoluto più pesanti è ad esempio il carattere monomaniacale di
questa “folla” che pure avevo dichiarato di amare.
L'appassionato, perchè usare il termine nerd mi pare volgare, si
interessa solo di quell'argomento, solo di quel dato ambito, solo di
quel dato film/fumetto/videogioco/Ip. E ne parla: sul treno, nei
padiglioni, sulle panchine, agli stand, sulle mura ecc ecc E non sa
parlare d'altro: è, per l'appunto, monomaniacale. Durante gli anni
passati quest'ossessione continua mi divertiva, quest'anno mi è
venuta repentinamente a noia. Non pretendo che diventiamo
rinascimentali esperti in ogni campo dello scibile, ma rinchiudersi
nel proprio campetto, che sia Tex Willer o i supereroi della Marvel,
lo trovo malsano.
A questo
andrebbe soggiunto che i nerd a me congeniali stiano mutando
rapidamente e che spesso gli argomenti di conversazione stiano
diventando altro: non capisco e probabilmente non voglio capire gli
appassionati di serie tv, così come coloro che giocano quel
videogioco e guardano quel film solo perchè glielo ha ordinato il
loro guru-youtuber-maximo.
L'evoluzione
del nerd: un argomento che andrebbe sviscerato, dalla pelle del
pregiudizio altrui, al sangue della passione per qualcosa, al cuore
ideologico (molto di più di quanto all'apolitico nerd piaccia
pensare).
A impedire
un giudizio netto c'è poi la constatazione che dappertutto durante
il viaggio avvertivo echi delle precedenti visite al Lucca Comics e
mi sembrava che mi si offrisse l'occasione di riallacciare alcuni
nodi lasciati sciolti dal salto per motivi di studio del 2015. Senza
voler suonare melodrammatico, mi sarebbe piaciuto dare un taglio a
questo pellegrinaggio annuale del Lucca Comics, con un'ultima
trionfale visita e poi basta.
I primi cosplay incontrati sulle mura! (Lorexvero) Mi sono dimenticato di controllare il codice a barre sulla nuca ;-) |
Grazie al
nuovo sistema dei biglietti online, venerdì Lucca Comics era
deserta, camminare in scioltezza con lo spazio per fermarsi, scattare
foto, chiacchierare con i responsabili era notevole. Mi era già
capitato in tempi più tranquilli per Lucca, in quel 2012 in cui
ancora i cosplay e i visitatori erano entro livelli di guardia. Ho
fatto la tradizionale passeggiata sulle mura: come nel 2012 ho
incontrato diversi Capitan America, come nel 2012 l'Umbrella
Corporation era lì ad aspettarmi, in uno spiazzo vuoto nel completo
silenzio rotto solo dalle pale di un elicottero e dal ringhiare d'un
paio di zombie. Deja vu spettrali aleggiavano nell'aria. Mi sono
sentito strano: come un attore che ripete un copione che sa ormai a
memoria, che sa bene conoscere all'esasperazione.
Rispetto a
quanto ricordavo due anni prima, era tutto molto più piccolo: la
Japan Town un paio di stand dispersi in quell'assurda galleria della
morte ai lati del parco, gli stand del padiglione Games ormai
infestati dai videogiochi. C'era inoltre la confusione delle forze
dell'ordine: polizia penitenziaria dallo sguardo arcigno, polizia
locale con gli stand per le “dimostrazioni” (cos'è la legge, un
gioco?) e a un tratto un cosplay corazzato di kevlar e mitraglietta
che non sono ancora sicuro fosse davvero un cosplay. La linea di
confine tra finzione e realtà, da sempre caratteristica di luoghi
del genere, era labile, diciamo pure confusa. Ho senti nel treno
regionale la miglior battuta al riguardo:
Il prossimo anno, ragazzi, ci vestiamo da cosplay di controllore Trenitalia!
A Pisa le
scosse si sono sentite con una certa chiarezza, diciamo pure che il
letto ha fatto più di un sobbalzo. Domenica, l'atroce notizia: i
treni da Roma, compreso il mio intercity per Trieste, bloccati,
annullati, rinviati a data da destinarsi. E' iniziata
un'interminabile epopea di regionali, frecce rosse contrattate con i
bigliettai, cambi e coincidenze perdute. Faticaccia! Non ce l'avrei
mai fatta senza il mio collega di viaggio, Umberto, che se mi sta
leggendo sa quanto gli sono debitore, per aver sbrogliato un sistema
trasporti caduto nell'isteria.
E anche qui,
domenica, all'annunciato disastro, il solito deja vu: la sensazione,
che non provavo da anni, di fuga impellente, di apocalittico senso di
distruzione che avevo provato a Londra nel 2011, quando ero stato
preso nelle rivolte popolari e negli incendi che erano seguiti. Si
trattava, sia nel 2011, che ora, di rischi risibili: ridicolo il
pensiero che si corresse qualche rischio. Tuttavia l'ansia e il timor
panico hanno fatto il loro sporco lavoro sia adesso che allora,
spingendomi da un treno all'altro, con la sensazione di allontanarmi
dall'epicentro di un pericolo. Stupido da parte mia farmi prendere
dall'ansia, sia pure mascherandola con un minimo di self control:
anche qui avrei potuto rimediare al 2011 e invece sono ricaduto
nell'identico meccanismo psicologico. Cosa che ci penso e ci
ripenso, mi cruccia assai. Se non altro leggere di Ernst Junger
“sismografo della tecnica” in circostanze simili è sempre
calmante: alcuni diari, come alcuni romanzi, sono vere ancore di
salvataggio, mondi autosufficienti rinchiusi tra due copertine.
Ho sempre
usato Pisa come stazione intermedia, satellite del pianeta madre del
Lucca Comics. Anche ad anni di distanza rimane una bella città,
molto tranquilla e compita in sé stessa; sebbene non abbia
risciacquato i panni nell'Arno come da programma il nucleo medievale
è un autentico gioiellino. Purtroppo, sembra essersi involgarita,
come una dama che sa d'invecchiare: le strade principali sono una
confusa bolgia di barboni, venditori ambulanti, chioschi e ristoranti
alla pari della peggior Venezia. Il gran numero di studentesse in
giro fanno l'effetto dei fiori nel letame; anche la pulizia stradale
sembra essere scomparsa, così come in effetti gran parte degli abitanti
pisani che ho intravisto solo alla mattina. Non voglio
esagerare, ma nelle ore di punta e nelle strade principali viene da
chiedersi se si è a un mercato coperto a Istanbul. Ovviamente non
sono un pisano, non posso pertanto giudicare da solo quattro giorni
di pernottamento, sarebbe arrogante.
La ricordavo meglio
amministrata, ecco.
Un consiglio che posso dare, se dovete ogni giorno compiere la trasferta al Lucca Comics da una sede vicina, è di partire tardi. Sembra bizzarro, ma è vero che (quasi) tutti i visitatori si concentrano nei regionali delle 8 e delle 9. Se partite alle 10 troverete posti a sedere, spazio per muoversi e una stazione gestibile, persino al sabato. Un consiglio da tenere a mente, specie se indossate cosplay di costruzione delicata.
Sui cosplay:
se avessimo davvero degli studiosi di cultura pop, ci direbbero che è
in atto una chiara transizione. Al nocciolo, il cosplay tradizionale
consiste nell'imitare un personaggio immaginario, qualsiasi il
medium. Privilegiati, almeno per il Lucca Comics, anime e
videogiochi.
Una prima
avvisaglia dell'evoluzione del cosplay era già stata data negli anni
scorsi, quando dall'indossare un costume si era passati a imitare il
comportamento e la voce del proprio modello.
Quest'anno
decisamente numerosi, accanto ai cosplay “tradizionali”, erano i
cosplay “internettiani”: cioè, gente che vestiva meme e battute
prese dalla Rete, allo scopo di generare un effetto comico. Insomma,
la versione del Lucca Comics dell'agente Neo che passa nel mondo
reale. Possiamo individuare il progenitore di questa linea evolutiva
nel cartello “Free Hugs” che dall'uno visto nel 2012 era ormai
qui nel 2016 onnipresente. E' un bell'esempio di satira delle
relazioni sociali su Internet: nessuno si aspetta seriamente di farsi
abbracciare o voler abbracciare una persona con un cartello simile.
Sarebbe una situazione sgradevole, goffa, esattamente quanto il
cartello stesso. Infatti l'ho visto succedere solo quando il meme era
ancora giovane nel 2012. Se avessi abbracciato un cosplay con un
cartello simile sarei probabilmente stato arrestato dalla polizia
locale; si tratta di un falso messaggio. Allo stesso modo c'erano
cosplay di Harambe, di tormentoni delle pagine facebook, di 9gag e
così via. La loro derivazione dalla Rete (o meglio, dai social che
che ormai la monopolizzano) spiega come, nel mondo reale, non
funzionino: possono generare ammirazione o divertimento solo se
fotografati e postati sui social. Sono simboli che si possono
“leggere” solo con l'ausilio di Facebook o Twitter; visti da vivo
sono “muti”, al più li si può leggere come con alcune lingue
straniere, comprendendone le lettere senza il significato.
Sarà da
monitorare se questo cosplay 2.0 si evolverà in qualcos'altro di
ancora più oscuro o si rivelerà una linea evolutiva sterile.
Si rivela in
queste occasioni, ancora una volta, la superiorità del cosplay
steampunk: è scorretto definirlo un'imitazione di qualcosa, perchè
lo steampunker essenzialmente si crea un proprio stile, si veste come
richiede una corrente di pensiero. Non ha senso discutere su quanto
sia bene riuscito un cosplay steampunk, semplicemente perchè non c'è
un modello di riferimento. Quando si scrive sui cosplay steampunk li
si dovrebbe trattare con il metro e il lessico che si usano per i
punk, i metal e i diversi gruppi giovanili. Con la sostanziale
differenza che lo steampunk è l'unico movimento di questo genere a
essere intra generazionale, infatti non è raro vedere cosplay
decisamente anziani.
Uno scorcio del raduno di Steampunk Italia |
Un bel
cosplay con i due becchi dell'aquila asburgica...
Al
Padiglione Giglio ho chiacchierato con la responsabile della casa
editrice Elara. Nell'occasione ho recuperato diverso materiale
interessante, tra cui il libro dei gatti di Lovecraft, l'antologia steampunk di Vandermeer e Agnes, donna di spada, di Howard. Tutto
materiale che disperatamente cercavo di ordinare in libreria, ma
senza successo. Ho cercato di convincere la responsabile di convertirsi
agli ebook, ma sembra che i guadagni sarebbero talmente irrisori,
rispetto alla carta, da mandarli in perdita. Sono rimasto perplesso,
ma sembrava genuinamente preoccupata dagli enormi costi dell'editing
delle edizioni italiane. Certo, un restyling del sito madre non
sarebbe una cattiva idea, pur restando dentro l'ambito cartaceo.
Ottimi libri, seppur molto costosi.
Il
responsabile per la casa editrice Cerchio invece, relativo a
Lovecraft, era convinto di conoscermi, ma ahimè, la sua
faccia non mi diceva nulla. Non so se in realtà ci conosciamo da
vicino per Facebook o per il blog. Nel caso, se mi stai leggendo,
sono il cliente che si lamentava dei prezzi su Ebay e che indossava
un impermeabile sdrucito su una camicia verde alla Mao.
Sicuramente
recensirò Il libro dei gatti, perchè ricco di annotazioni gustose
per gli appassionati del Solitario di Providence.
Volevo ritrarre il ben più fotogenico Sapkowski, ma niente da fare, era solo ospite lo scorso anno... |
Per il
resto, lascia sempre esausti quanto grande sia ormai diventato il
Lucca Comics: per vederli bene e a fondo, alcuni padiglioni
richiederebbero un pomeriggio intero. Lasciamo nel suo angolino il
padiglione Games, che è ormai semplicemente mostruoso; vogliamo però
discutere del Padiglione Napoleone? E' talmente grande che hanno
inglobato all'interno perfino la statua al centro della piazza:
almeno cinque file di lunghezza e tre di larghezza, da perdersi. Ho
anche apprezzato la scelta, coraggiosa, di monitorare il numero di
persone nei padiglioni più ambiti, cercando di controllare il
flusso. Niente di che, ma permette di camminare senza spintonarsi e
senza creare calche a imbuto, con l'addetto ai controlli travolto al
centro. Senza dubbio resta una Fiera a cui non porterei dei bambini e
a cui non porterei degli ansiosi, specie il sabato pomeriggio.
Ammettiamo
tuttavia che sono stati fatti grandi passi in avanti.
Intrepidi aviatori per il nuovo Battlefield |
E questo
considerando quanto “cazzone” siano le nostre visite: ci
limitiamo a fotografare i cosplay, a visitare i padiglioni e a
spendere (troppo). Mi piacerebbe, per una volta, partecipare a
qualche attività, sia la prova di qualche gioco da tavolo, che la
rincorsa di un autografo, che una sessione di Vilegis. Senza contare
i padiglioni per la prova dei nuovi videogiochi, che richiederebbero
un capitolo a sé.
O i padiglioni dedicati ai cinquant'anni di Lucca.
O le mostre inaugurate per l'occasione.
O il patrimonio
storico-artistico della città.
Ormai voler vedere tutto è davvero
impossibile, a meno di risiedere a Lucca tutti e cinque i giorni
della Fiera. Una sovrabbondanza di offerte meritevole, sebbene a
tratti stancante, sembra si voglia davvero accontentare tutti.
Cosa dire,
dunque? E' stato un buon Lucca Comics, bene organizzato e bene
gestito, con un'offerta variegata. Vi erano molti più fumetti di
quanto francamente mi aspettassi e molti meno cosplay rispetto agli
anni passati, per lo meno al venerdì e al sabato mattina. Lucca
Comics rimane pur sempre il Lucca Comics: come Gran Burrone, un luogo
di ritrovi e amici.
A livello
del tutto personale, e ribadisco personale, sono troppo stanco per
pensare seriamente di tornare nel 2017: penso proprio sarà il mio
ultimo Lucca Comics, per gli anni a venire.
5 commenti:
"Stavolta, invece, sono passato dal “noi”, al “voi”, dall'esclamazione “quanti nerd come me”, alla più semplice constatazione “ma guarda quanti nerd” (...) A livello del tutto personale, e ribadisco personale, sono troppo stanco per pensare seriamente di tornare nel 2017: penso proprio sarà il mio ultimo Lucca Comics, per gli anni a venire."
Ti capisco. Fu il mio stesso sentimento... qualche anno or sono ;-)
@Alessandro Forlani
Consolante! Vale anche il passaggio dal "ma quanta roba interessante" al meno entusiasta "c'è altro?".
Il passaggio dal "noi" al voi" penso sia inevitabile. Nel mio caso è avvenuto per due volte: nella seconda metà degli anni Novanta (quando smisi momentaneamente* di leggere fumetti) e più di recente nel 2011, quando ho detto addio definitivamente alla fiera, per sempre. Per chi ha interessi compositi e che si sviluppano in vari campi ritengo sia impossibile mantenere un interesse costante verso qualcosa: immagino serva proprio quella caratteristica "monomaniacalità" di cui parli all'inizio e che, personalmente, non ho mai posseduto (anzi, a dire il vero, mi angoscia proprio).
*momentaneamente = dieci anni
@AndreaP
Momentaneamente per modo di dire! :D
Concordo sugli interessi compositi. E' lo stesso meccanismo per cui trovo difficile gestire un blog "specialistico" senza bloccarmi dopo due/tre articoli.
Sono ancora interessato a tutte le cose del comics e del games, solo non posso interessarmi solo a quello e quello soltanto: sempre più mi capita di trovare ispirazioni di genere, horror e fantasy, più nel mainstream che nelle relative pubblicazioni. Immagino sia capitato anche a te: ti accorgi che ti interessa di più leggere un testo di saggistica che un romanzo appena uscito, mentre il tuo io di diversi anni prima avrebbe inorridito alla sola idea di leggere un testo accademico "per piacere personale".
Non posso che essere d'accordo, dato che da moltissimo tempo non leggo narrativa, soprattutto "di genere". Il mio io giovane pensava che avrebbe letto sempre fantasy e fantascienza divertendosi, mentre adesso sto facendo tutt'altro, affrontando testi di cui dieci o quindici anni fa nemmeno conoscevo l'esistenza. Non solo non seguo più la narrativa di genere, ma nemmeno mi interessa farlo. Non cambiare mai, dal mio limitato punto di vista tutto personale, significa restare sempre nello stesso luogo e non crescere.
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