Sabato scorso sono riuscito a fare un salto (sull'autobus e di gioia) per visitare Fumetti per Gioco 2016. Per chi non è di Trieste, si tratta di una fiera di appassionati, organizzata dal 2009, dedicata in primis ai fumetti e in secundis a tutto quello che li accompagna, ovvero l'inesorabile seguito di giochi da tavolo, di miniature, di carte, per non citare il mondo dello spettacolo per i nerd, ovvero cosplay e youtubers.
C'ero stato per l'ultima volta nel 2013, quando la Fiera era ancora alle Torri, nel “cerchio” di bancarelle intorno al secondo piano e in un paio di stanze buie affittate ad hoc. Che dire... tentativo apprezzato. Non oso immaginare quale incubo burocratico sia gestire con pochi, se non inesistenti fondi, un'attività del genere: diciamo che non vorrei essere nei panni (nelle tasche?) degli organizzatori. All'epoca era piacevole vedere qualche cosplay e dare un'occhiata “tanto per” agli stand dei fumetti.
Se v'interessa, ho già pubblicato un reportage “formale” su Trieste All News; quelli che seguono sono invece appunti alla buona, riflessioni a caldo post manifestazione.
Uberfranz, Foto di Roberto Srelz |
Nella nuova edizione, al Palasport di Chiarbola, Fumetti per Gioco ha raggiunto la statura che ci si aspetta da una fiera di fumetti degna del suo nome: nel suo piccolo, ritroviamo ogni singolo elemento dei “grandi” festival.
L'area Giappone, come nei festival americani, o nella Japan Town di Lucca Comics? Check!
L'area retrogaming, con possibilità di testing e un'ampia panoplia di reliquie? Check!
Tornei di carte? Tornei di giochi da tavolo? Tornei di wargaming? Sessioni di pittura? Check!
Cosplay? Sfilate di cosplay? Cosplay -meta (Tergestea simbolo della fiera triestina, in questo caso)? Check!
Stand di grossi negozi del fumetto? Check!
Stand di piccoli negozi del fumetto? Check!
Stand di autoprodotti? Check!
Ospiti ufficiali, che siano disegnatori, scrittori di case editrici o prodotti via Facebook (Luigi BIGIO Cecchi, di “Drizzit”)? Check! Check! Check!
Insomma, ho avuto la sensazione di vedere riprodotta in scala ogni componente di una “grande fiera”, come quando visitate in Danimarca e luoghi simili i modellini delle grandi capitali del mondo in miniatura, con la torre Eiffel che vi arriva al ginocchio e la Statua della Libertà alla cintola.
Miniature. Foto di Roberto Srelz. |
Sono riuscito a seguire solo a metà la presentazione della nuova fatica dell'Accademia del Fumetto, Uberfranz, di Riosa, Cavallari e Vergerio. Dentro una Trieste alternativa, un po' come la New York dello Spider Man di Raimi, l'Uomo Cinghiale minaccia il quieto vivere dei triestini, rubando loro i prosciutti, e usando i suoi fidi scagnozzi suini per comminare ogni genere di malefatta. Spetterà a Uberfranz, il nostro asburgico Francesco Giuseppe mascherato, gettare in gattabuia la minaccia a tutti i carnivori della città. Il prologo può far ridere, ma vorrei concentrare l'attenzione su quanto sia un fumetto in realtà “cupo” e “serio” nella sua comicità: tutte le pagine iniziali, con l'uccisione del cinghiale dall'auto in corsa e con il crescere del Tarzan “suino” sono sceneggiate con attenzione, frapponendo vignette molto “cariche” emotivamente, pur nell'assurdo. Le ultime pagine, dominate da un lungo scontro che si “splasha” su più pagine, alla maniera americana, sono anche disegnate senza humor, con la serietà che ci si aspetta da un fumetto che rispetta i suoi lettori. Sia la scena del tram, che lo scontro in Piazza Unità, tremano dall'urto dei due “supereroi”, con un tratto cinetico molto lontano dalla caricatura e dalla satira.
Uberfranz rappresenta anche un perfetto esempio dei limiti e dei vantaggi di un fumetto locale: è qualcosa che può essere compreso solo da chi vive a Trieste e ne conosce il perdurante (e a tratti stomachevole) nostalgismo: non a caso, chi è anche interessato al fumetto proviene o dall'Austria, o dagli ex territori dell'impero. Ho provato a spiegarlo a un non-triestino, a esplicitarne i presupposti: non capiva, non si divertiva, lo trovava “inquietante”. Il confine – necessario, intendiamoci – è anche dato dall'uso del dialetto, che non si limita ai dialoghi e ai nomi dei personaggi (Wunder Sissi, il maggiordomo Jothar), ma investe anche la “tragica” voce narrante: significativamente, l'unico a parlare un italiano corretto è il “cattivo”...
Com'è giusto per pubblicazioni del genere, in beneficenza e fulminee, Uberfranz non sarà in vendita nei normali negozi, ma solo in speciali occasioni. Aspettiamo fiduciosi il seguito, sperando che Wunder Sissi prenda più dal personaggio storico che da Wonder Woman.
Se dobbiamo evidenziare delle note dolenti in Fumetti per Gioco, ho trovato che mancassero le indicazioni necessarie: al di là della scelta di collocare la biglietteria nella graticola fuori al freddo, anziché nella segreteria (il che spiegherebbe il terribile malumore del cassiere...), ho trovato che mancasse un'uniforme per gli addetti ai lavori. Non basta infatti una targhetta, serve in occasioni del genere una vera e propria casacca a colori brillanti, una targa grande e colorata, un cappello, una maglietta, qualcosa che risalti. So, per esperienza, che cose del genere sono avversate dagli stessi addetti ai lavori, ma senza scivolare nell'uomo sandwich, ho trovato che chi controllava il biglietto all'ingresso fosse indistinguibile dai visitatori, complice anche lo sfondo nero per i cartellini.
Sulla stessa linea, lacunose e un po' raffazzonate le indicazioni all'interno di Fumetti per Gioco: nulla di grave, ma il cartello che puntava allo spogliatoio era pennarello su una lastra di plastica e mancavano le frecce che puntassero verso i diversi locali. Totalmente al buio la zona posteggio da cui si accedeva al Palasport, col rischio per i pedoni di un brusco incontro con una quattro ruote. Non era neanche troppo chiaro che ci fosse una seconda sala, oltre al salone principale: solo guardando la mappa – davvero ben fatta – si poteva capire di poter accedere al “Dungeon”, dal cui cartello sembrava più una zona di roleplaying dal vivo.
Sempre nell'ambito delle correzioni fastidiose, avrei gradito più sedie davanti al palco (quant'erano? Dieci, quindici?) e una maggiore concentrazione di stand al centro del salone: l'area Giappone, almeno al sabato, non riusciva ad occupare visivamente tutto, risultando spoglia. Anche quel paio di tavoli che c'erano, con le miniature e gli scenari, sembravano buttati lì.
Un Due Facce al femminile, foto di Roberto Srelz (dettaglio) |
Un'altra idea peregrina: perchè, considerando quanto sia difficile valorizzare un fumetto autoprodotto, scegliere di spezzettarsi in tanti, minuscoli, banchetti? Non sarebbe il caso di unire le diverse realtà – fumetti triestini, fumetti dell'Accademia del Fumetto, Fulgoris Umbra, lo speciale della Fiera, Uberfranz – non solo a livello di area, ma anche di associazione super partes?
Al di là di questi angoli da limare, puntigliosità di un poliedro già ben formato, Trieste Fumetti per Gioco 2016 si conferma come una manifestazione interessante, sicuramente da tenere d'occhio nel 2017, assolutamente da non disprezzare se confrontata con le sue “sorelle maggiori”.
2 commenti:
Sei stato molto chiaro... Anche Fumetti per Gioco soffre delle solite problematiche delle fiere. Però vedo pi genuinità rispetto ad altri eventi (vedi Romics)
Sai che non conosco il Romics? Se ci sei stato, com'è?
Ne ho sentito parlare, ma non sono riuscito a farmi un'idea chiara.
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