martedì 1 settembre 2015

Il piccolo mondo provinciale della Rowling: rileggendo Harry Potter e il calice di fuoco


Lo scorso agosto mi sono divertito a rileggere nel tempo libero la saga di Harry Potter. L'anno passato avevo recensito il primo volume, La pietra filosofale; quest'anno ho scelto di saltare fino al volume da molti considerato il migliore: Harry Potter e il calice di fuoco.

Possiamo levarci fin d'ora alcuni sassolini dalla scarpa ammettendo che sì, la Rowling come scrittrice in alcune cose è indubbiamente brava.
Innanzitutto, Il calice di fuoco è strutturato fin dall'inizio con un'outline progettata con accuratezza.
L'azione si sussegue senza sosta, collegando i paragrafi con uno scoppio di fuochi d'artificio di novità, sorprese e battute umoristiche. E' davvero raro incontrare una pagina che si avverta superflua rispetto alla trama, o di tentennare di fronte a un dialogo chiaramente inutile.
Tranne che nell'ultimo capitolo finale, quando la Rowling sente l'insopprimibile istinto di dover “tirare le fila”, di rado ci si annoia.
Secondariamente, pochi recensori hanno mai osservato il grande senso dell'umorismo, abilmente mimetizzato in sottofondo. 
Ron Weasley, in particolare, funziona come una macchietta comica alla Stanlio&Ollio, o se preferite come Watson con Sherlock Holmes.
Se c'è bisogno di mostrare il cervello fino di Harry, la Rowling utilizzerà sempre Ron.
Se c'è bisogno di mostrare un comportamento adolescenziale e immaturo, la Rowling utilizzerà sempre Ron.
Se c'è bisogno di mostrare il razzismo nel mondo dei maghi (es. gli elfi domestici), la Rowling utilizzerà sempre Ron.
Se c'è bisogno che qualcuno faccia qualcosa di buffo, o di disastroso (le due cose spesso coincidono), quello sarà Ron.
Manca davvero che Harry a un certo punto s'infili in bocca la pipa e declami “Magicamente elementare, mio caro Ron”, perchè il paragone con Arthur Conan Doyle si completi.
A questo proposito, è interessante notare che, come Sherlock è un asociale che non comprende il mondo quotidiano (ruolo a cui assolve Watson, con il suo atteggiamento terra-terra) allo stesso modo Harry Potter deve sempre riferirsi a Ron per comprendere il mondo dei maghi, a lui estraneo.
Il mondo “normale” di Ron è invece un mondo multiforme e cangiante per Harry, che ancora dopo tre libri si meraviglia per le bizzarrie dei normali maghi. In questo, Ron svolge il ruolo dell'uomo comune che guida il “genio” a disagio con le cose di ogni giorno. O se preferite, Harry è l'aristocratico inglese che non sa inserirsi nel mondo borghese, mentre Ron è il fedele servitore che sa ordinare cibo&birra alla locanda e chiamare la carrozza. Questo è il genere di paragone che viene solitamente evocato nella relazione tra Frodo e Sam; con i dovuti distinguo funziona bene anche passando dal mondo di Tolkien al mondo della Rowling. Comune anglofilia...
Di sfuggita, possiamo anche notare che Neville Paciock funziona in questo punto della saga come pura caricatura di Ron: errori e goffezza che sono presenti nel primo, appaiono moltiplicati nel secondo. Va da sé che l'unico scopo di queste scene è far progredire il vero eroe, cioè Harry.
Bisogna tuttavia ammettere che la trama è strutturata davvero bene. Ogni nodo narrativo, e ogni colpo di scena lo si passa al pettine nel convulso finale, e c'è una buona alternanza tra scene umoristiche e scene d'azione. Certo, nulla di straordinario, il peggiore Jeffery Deaver saprebbe offrirvi un finale a sorpresa dieci volte più complesso.
Resta però, che nell'attenuante dei libri precedenti, e dell'etichetta di “letteratura per l'infanzia” (1), la sceneggiatura architettata dalla Rowling è notevole.
L'evento della Coppa del Mondo, ad esempio, prevede una sequela di eventi l'uno più incredibile dell'altro: la tensione cresce già all'arrivo del primo gufo a casa Vernon, per svilupparsi a casa Weasley, per “scoppiare” nell'imprevisto assalto dei Mangiamorte, a cui fa seguito il confuso inseguimento nel bosco.
Il torneo Tremaghi, dal suo canto, determina l'intero andamento del romanzo: vi sono picchi di tensione nei capitoli dedicati alle tre prove, e una cauta costruzione dell'ansia e della paura di Harry Potter nei capitoli d'intermezzo. A questo proposito, le magie della Rowling sono un utile asso nella manica: non avendo mai descritto il principio di funzionamento della magia, può inventarsi le più strambe corbellerie, e usarle per riempire quei piccoli paragrafi di collegamento altrimenti noiosi.
A tutti gli effetti, il romanzo ha un andamento sinusoide, che serpeggia su e giù a seconda che Harry sia in pericolo o meno.

In origine la copertina italiana del 1998 per Harry Potter e la pietra filosofale non aveva né gli occhiali, né la saetta!
Si cercò di rimediare all'(o)errore in tutta fretta...

Questi sono elementi positivi, ma non erano nulla di speciale all'epoca, né lo sono adesso. 
Umorismo nel fantasy c'è sempre stato, che fosse nella forma della satira, della battuta a parentesi dell'azione dell'eroe, o come gioco linguistico che produce un effetto straniante. La complessità della trama impallidisce al confronto con la media che è attualmente richiesta da un buon thriller americano.
Lo stile è terribile. 
La Rowling scrive con semplicità, attraverso periodi brevi e netti. Di questo, gliene diamo atto. Tuttavia, accumula talmente tanti avverbi e talmente tanti puntini di sospensione che qualunque effetto positivo avesse raggiunto, viene immediatamente annullato.
I critici letterari che la considerano un modello per le future generazioni di scrittori mentono sapendo di mentire, o com'è probabile, non hanno mai letto un manuale di scrittura in vita loro.
L'idea che la Rowling venga nel lontano futuro inserita nei libri di testo e insegnata alla pari delle sorelle Bronte o del grande Dickens, è una scusa sufficiente per spararsi in testa.
Philip Pullman ha uno stile decente.
Terry Pratchett ha (aveva) uno magnifico stile.
Siete liberi di odiare Tolkien quanto volete, ma il suo imitare gli antichi testi gli conferivano uno stile alto oggettivamente impeccabile.
Se anche potete sorvolare sugli avverbi in -mente, i puntini di sospensione nei dialoghi sono strazianti. Non si può, davvero. Nessuno di noi, nel parlare, si blocca ogni due secondi incespicando sulle lettere. Dai, cazzo. Sembra di leggere i dialoghi di H.P. Lovecraft, con l'eccezione che almeno H.P. li restringeva a rantolanti confessioni a fin di pagina.
Metafore e similitudini sono rare. Quando compaiono, sono talmente banali che ce ne dimentichiamo immediatamente. Si può difendere questa povertà di linguaggio affermando che il punto di vista è bello fermo su Harry Potter. Ragazzo semplice, senza ambizioni poetiche.
Ma l'obiezione non funziona sotto tantissimi aspetti.
In primis, il Pov (2) non è fisso su Harry, ma si abbandona spesso al narratore onnisciente.
In secondo luogo, si possono trarre metafore interessanti anche da un materiale di partenza apparentemente “povero”.
E infine, lo stile non è affatto scarno: a descrizioni banali, si affiancano termini e nomi chiaramente afferenti all'ingleseantico”.
Quindi non si può nemmeno dire che è un inglese semplice! Al contrario, è povero nella narrazione di ogni giorno, ma è “imbellito” da nomi e occasionali termini puramente anglosassoni. Quest'apparente contraddizione va spiegata con l'anglofilia della Rowling, che non vuole (non riesce, probabilmente) a scrivere decentemente, ma vuole comunque inserire termini che siano assolutamente anglosassoni. Un po' come se uno scrittore italiano mescolasse nomi e parole del toscano letterario all'italiano moderno. L'englishness nazionalista della Rowling è stata comprovata più volte, si veda tra i tanti esempi la milionaria donazione contro l'indipendentismo della coraggiosa Scozia.
Non credo sia necessario infierire su quant'è penoso tutto ciò.

Se non altro, la Rowling ci risparmia la polemica luddista. Non ho trovato invettive contro la tecnologia, se facciamo eccezione per una velenosissima lettera di Harry a Sirius:
Caro Sirius,
Grazie per la tua ultima lettera, quell'uccello era enorme, quasi non passava dalla finestra.
Le cose qui vanno come al solito. La dieta di Dudley non procede troppo bene: ieri la zia lo ha sorpreso mentre si portava di nascosto le ciambelle in camera. Gli hanno detto che gli leveranno la paghetta se continua così, e lui si è arrabbiato sul serio, e ha buttato la PlayStation giù dalla finestra.
E' una specie di computer con cui puoi fare dei giochi. Una cosa piuttosto stupida, perchè adesso non ha nemmeno Mega Mutilation Tre per distrarsi.

La prima edizione di Harry Potter e il calice di fuoco risale al 1997, dunque questa è la venerabile Playstation 1. Non ho idea però di quale gioco si faccia gioco (ahah!) la Rowling in questo passaggio. Sembrerebbe un picchiaduro ultraviolento. 
Mega Mutilation 3/ Mortal Kombat 3 (1995), forse?

Va sempre di moda criticare Tolkien per aver inserito nella Compagnia dell'Anello il personaggio di Tom Bombadil. E sono d'accordo: se con numerose riletture sono giunto a comprendere e apprezzare le canzoni e le poesie di Tolkien, il buon Tom resta per me un'aggiunta del tutto inutile alle disavventure di Frodo. E' fastidioso, è superfluo, è infantile rispetto all'umore tenebroso dei capitoli precedenti. Eppure, persino questa stranezza di Tolkien apparirebbe un capolavoro di realismo, se messo a confronto con le bizzarrie gratuite che la Rowling dissemina qua e là.
Non hanno mai rilevanza per la trama principale, ma fatto ancor più grave, non vengono nemmeno notate dal lettore. A volerci riflettere su, sono spesso nomi appiccati su aggettivi senza vero senso logico.
Un esempio su tutti:
Le carrozze avanzarono pesantemente attraverso i cancelli, fiancheggiati da statue di cinghiali alati, e su per il ripido viale, oscillando pericolosamente in quella che stava diventando in fretta una tempesta.

Il lettore, in questa porzione della storia, è catturato dall'immedesimazione con il personaggio principale, Harry Potter: di conseguenza immagina le carrozze e immagina la tempesta.
Ma quanto, sfido, nessuno ha mai provato a immaginare, è una lunga fila di maiali con le ali scolpiti nel marmo dell'ingresso!
Lo ripeto, magari l'immagine vi entra in testa: la più grande scuola di magia del mondo, forte di secoli di storia&gloria, accoglie i suoi studenti con... Maiali. Maiali con le ali.
Ha senso? Dovrebbe far ridere? No, certo che no. E' una nota di colore inserita dalla Rowling senza vero costrutto, per mostrare che è una scuola magica.

In cambio, la scrittrice anglosassone sembra incapace di considerare gli esseri umani al di fuori della Gran Bretagna come buoni cittadini. Gli stranieri, quand'anche europei, sono cattivi, pericolosi, inaffidabili, vacui, pieni di strane usanze che a Harry Potter appariranno invariabilmente minacciose.
La questione della nazionalità non è così banale come potrebbe sembrare. Il Ministero della Magia non è, come ricordavo, un organismo internazionale, ma è limitato all'Inghilterra. Ogni nazione, a quanto sembra, ha il “suo” ministero e la sua legislazione. Lo si comprende dalla Coppa del Mondo, quando l'Irlanda fronteggia la Bulgaria. Perchè parlare di maghi irlandesi e maghi bulgari?
Le antiche confraternite, i maghi dell'occulto dell'età vittoriana erano se non altro cosmopoliti... ma neppure quest'apertura mentale è permessa nel mondo di Harry Potter.
Durante la Coppa del Mondo, la barriera linguistica tra inglesi e bulgari è presentata come un muro invalicabile, un abisso profondissimo per quelli che sono, ricordiamocelo, potenti stregoni.
« Le presento Harry Potter » disse ad alta voce al ministro della Magia bulgaro che indossava magnifiche vesti di velluto nero orlate d'oro, e pareva non capire una parola.   « Harry Potter... oh avanti, ne avrà sentito parlare... il ragazzo che è sopravvissuto a Lei-sa-chi... lo sa chi è... »Il mago bulgaro all'improvviso notò la cicatrice di Harry e cominciò a blaterare ad alta voce, tutto agitato, indicandola.
« Lo sapevo che ce l'avremmo fatta » disse stancamente Caramell a Harry. « Non sono granché nelle lingue, ho bisogno di Barty Crouch per questo genere di cose. Ah, vedo che la sua elfa domestica gli sta tenendo il posto... buona idea, questi Bulgari continuano a infiltrarsi... ah, ecco Lucius! »

Vi lascio gustare per qualche secondo quell'infiltrarsi, verbo che lascia immaginare una Bulgaria che assomiglia a una Repubblichina sovietica...
Davvero non capisco perché con una gamma di magie così grande e ampia, i maghi non sono in grado di tradurre istantaneamente un linguaggio, o quantomeno comprenderlo. Considerando quanti prodigi puoi fare con la bacchetta, una rozza traduzione dal bulgaro all'inglese non mi sembra così difficile. Un semplice Google traduttore avrebbe già risolto ogni incomprensione...
E' un problema endemico all'high fantasy, o nello specifico al mondo di Harry Potter. La magia non viene mai usata con coerenza, o logica: ci si limita a sfruttarla per stupire e divertire il lettore, senza affannarsi a darsi delle regole, o una base nell'occulto “reale”. Durante l'intera saga, la Rowling sembra quasi sfruttare la magia a intermittenza: a volte c'è, a volte non c'è.
E' un po' come se qualcuno bersagliasse regolarmente la Rowling con l'incantesimo Oblivio, e la scrittrice si dimenticasse in continuazione che c'è magia nel suo mondo, e questa magia comporta conseguenze che deve tener conto, se ha in rispetto la coerenza del suo worldbuilding.


Dalla Bulgaria, il passaggio all'Albania è alquanto semplice.
In quale altro luogo poteva nascondersi il terribile Voldemort? Nei balcani, che domande.
La Rowling allinea una serie di coincidenze poco credibili: per motivi che non si capiscono il fantasma di Voldemort sarebbe fuggito dalle nazioni civilizzate in Albania, e lì sempre per strani motivi avrebbe incontrato Berta Jonkins, in vacanza. Il motivo della località geografica non è difficile da capire per chiunque mastichi il racconto gotico inglese
Dalla Spagna, all'Italia, ai paesi slavi: nell'ottocento sono terre avventurose e cupe, dove l'eroe inglese si batte con le armi della scienza contro la plebe superstiziosa. Come Voldemort si rifugia in Albania, così Dracula si rifugia nella Transilvania. 
Ci sorprende che Tu-Sai-Chi non disponga al suo servizio una masnada di banditi armati di randelli, o un turpe gruppo di babbani zingari alleati ai mangiamorte.
Siamo a questi (tristi) livelli.

Ma forse il momento di massima xenofobia è fornito dall'incontro delle due scuole a Hogwarts.
I commenti che seguono a questo momento di scambio culturale sono imbarazzanti:
Gli studenti di Beauxbatons si erano sistemati al tavolo di Corvonero e si guardavano intorno imbronciati. Tre di loro si stringevano ancora sciarpe e scialli attorno alla testa.
« Non fa così freddo » esclamò irritata Hermione, che li stava osservando. « Perchè non si sono portati i mantelli? »

Ti sembrerà incredibile, Hermione, ma in quel bizzarro paese chiamato Francia non piove ventiquattro ore su ventiquattro.
A loro volta, l'atteggiamento degli studenti di Durmstrang è quasi scimmiesco:
Gli studenti di Durmstrang si stavano togliendo le pesanti pellicce e guardavano in su verso il soffitto nero stellato con aria interessata; un paio presero i piatti e le coppe d'oro e li osservarono da vicino, apparentemente impressionati.

Le due scuole corrispondono a due stereotipi su gambe: Beauxbatons viene dalla Francia, e ha influssi mediterranei e dell'est (tutta la questione delle veela, per sottintendere che hanno il sangue caldo); Durmstrang è chiaramente un finto paese dell'ex blocco sovietico, con influenze russe e una storia di corruzione e arti oscure.
In nessuno dei due casi, arriviamo a sapere qualcos'altro sulle due scuole. Non c'è alcun approfondimento, o alcuna amicizia stretta tra gli studenti di nazionalità diverse. In seguito alla seconda prova Harry conquista il rispetto di Fleur Delacour, ma senza che ciò permetta nessun dialogo tra i due. Non sappiamo dove le scuole si trovano geograficamente, quali sono le loro usanze, le loro abitudini, le loro tradizioni... Questa era un'occasione d'oro per far luce sulle differenze tra le varie nazioni di maghi, per giungere a sapere com'è globalmente organizzata la comunità dei maghi. Dal punto di vista strettamente narrativo, era facile immaginare una serie di libri ambientata a Durmstrang o a Beauxbatons. (3)
Ovviamente, ciò è impossibile per la Rowling. Per l'intero libro, le due scuole sono il nemico. Harry tratta i suoi avversari come alieni klingon da tener lontani con una pertica. Lo scambio di parole con Fleur si limita a qualche bacio e una frase di circostanza. Non sappiamo nulla del rapporto tra Hermione e Krum; quest'ultimo per lo più si esprime con la gamma di emozioni di un cerebroleso.
D'altronde, uno scambio di chiacchiere con Ron alla vigilia della Coppa del Mondo aveva già chiarito la situazione:
« Chi credi che siano? » Chiese « Non sono di Hogwarts, vero? »« Mi sa che vengono da una scuola straniera » disse Ron « So che ce ne sono altre, ma non ho mai conosciuto nessuno che ne frequenti una. Bill aveva un amico di penna di una scuola in Brasile... è stato tanti anni fa... e voleva fare un viaggio-scambio, ma mamma e papà non potevano permetterselo. Quando gli ha fatto sapere che non poteva andare, il suo amico di penna si è offeso molto e gli ha mandato un cappello stregato. Gli ha accartocciato le orecchie. »

Gli unici veri umani nel mondo dei maghi sono gli inglesi. Gli altri sono al più sub-umani, macchiette stereotipate.
Quest'atteggiamento sinceramente provinciale viene confermato dall'analisi dei nomi e dei personaggi. I nomi dei maghi oscuri, da Lucius a Malfoy, derivano dalla radice normanna della lingua inglese. Voldemort deriva da vol de mort, un'espressione francese per indicare chi ruba cadaveri dai cimiteri. Verso la fine del Calice di fuoco, Voldemort fa proprio questo: dissotterra le ossa di suo padre, e le usa per un'oscura resurrezione. In pratica, le mangia. Voldemort il ghoul...

E' altrettanto provinciale l'ossessione verso la famiglia di Harry.
Batman, rimasto orfano, cresce col solo maggiordomo Alfred, e a giudicare dai suoi successi come vigilantes mascherato, cresce bene.
Ma Harry non è americano, è britannico. Pertanto, la tradizione impone che viva con i suoi parenti più prossimi. Anno dopo anno, Harry viene obbligato a vivere con i Dursley, per l'unico motivo che sono i suoi ultimi parenti. Non c'è nulla di positivo, nei Dursley. Ma proprio nulla. Picchiano Harry quand'è ancora un bambino, lo tiranneggiano, lo chiudono nello sgabuzzino.
Se Voldemort possiede ancora un che' di aristocratico che lo rende affascinante, i Dursley non hanno una singola qualità positiva. Sono sadici, egoisti; nel mondo reale nessun folle affiderebbe loro un orfano. Tuttavia, il mondo della Rowling è provinciale e conservatore: di conseguenza, Harry deve vivere con i Dursley, perché sono la sua famiglia. 
Per altro, senza voler far polemica, è un po' triste che i maghi, una volta considerati spiriti liberi per eccellenza, diano tanta importanza a dei legami famigliari...

A voler continuare, una posizione conservatrice spiegherebbe anche il triste ruolo di Hermione Granger. Nei primi due libri si trascina come terzo incomodo tra Harry e Ron, nel terzo viene lentamente accettata e solo nel quarto finalmente s'integra nel gruppo. 
La caratterizzazione della brillante studentessa accumula sulla poveretta uno stereotipo dietro l'altro, utile ancora una volta per rafforzare le azioni di Harry. 
Laddove Harry sa quando rispettare la legge e quando no, Hermione stupidamente si affiderebbe sempre ai professori. 
Laddove c'è un oggetto proibito da maneggiare, è Harry a decidere se tenerselo o meno (la mappa del Malandrino) ignorando i “femminili” rimbrotti di protesta di Hermione. 
Letteralmente, Hermione viene “sacrificata” per innalzare Harry.
Non è nemmeno esagerato osservare che se la Rowling dedica decine di pagine all'amicizia forte e sincera tra Harry e Ron, non troviamo equivalenti amicizie nel mondo femminile di Hogwarts.
Hermione praticamente vive in un semi-isolamento, e le ragazze girano in “branchi”. Non ricordo nell'intera saga una singola amicizia femminile di valore, mentre al contrario le amicizie virili  abbondano. Al di fuori delle professoresse, alcune ragazze della squadra di Quidditch di Grifondoro Angelina, Alicia e Kate – si fanno notare, ma per il resto zero assoluto.
Ciò non è un problema per due ragioni: il punto di vista è fermo su Harry Potter, che in effetti essendo un adolescente non presta molta attenzione alle “ragazze” e alle “loro cose”. La seconda ragione è che le lettrici della Saga non hanno difficoltà a immedesimarsi in un protagonista maschile – mentre va fatto notare che spesso risulta impossibile l'inverso.
Il problema però resta, anche se dissimulato.


Non c'è dubbio che la saga di Hogwarts sia una grande saga.
E non c'è dubbio che Harry Potter meriti un posto nel Valhalla dei personaggi fantasy.
Ma non sarà il primo posto, e né il secondo e né il terzo.
Perchè ogni potenziale spunto in Harry Potter è sempre annacquato, rallentato, infognato dalle posizioni della Rowling. Gli angoli taglienti sono smussati, gli spunti di polemica ridotti al lumicino. Gli eroi sono buoni per nascita, gli antagonisti cattivi perchè sì.
Alla fine la Rowling è quella stessa persona che milita nell'Associazione per i Pesi e le Misure Inglesi; una società che si batte per il mantenimento delle tradizionali unità di misura britanniche, comprese le più bizzarre, come la pinta. Il sistema metrico viene dall'associazione considerato un assalto ai valori inglesi. Il satanico metro francese!
Forse aspettarsi apertura mentale e comprensione da una scrittrice che venera arcaiche unità di misura come il “piede” e il “pollice” è davvero chiedere troppo...

Fonti:
Harry Potter e il calice di fuoco
Togliere le zanne al mostro: rileggendo Harry Potter e la pietra filosofale
Le immagini sono prese dal sito dell'artista Serena Riglietti.
Sulle amicizie femminili, Harry Potter's girl trouble, di Christine Schoefer.
Sull'associazione per i Pesi e le Misure Inglesi, Quidditch quaintness, di Richard Adams.
Sull'anglofilia, si veda la recensione di Hitchens, contenuta in “Arguably”.

(1) Non osate chiedermi per quale misterioso motivo la letteratura per l'infanzia debba sempre venir considerata inferiore alla letteratura per adulti, e sempre per quale motivo le vengano pertanto perdonati molti degli oggettivi difetti che normalmente rimproveriamo a un romanzo mainstream.
Preferirei di gran lunga se si discutesse di letteratura intelligente e di letteratura non intelligente, anziché distinguere tra “stupidi” libri per bambini e “violenti” libri per adulti.
Probabilmente c'è una banale trasposizione di significato, che si realizza nella mente della gente: essendo libri per bambini, letti da bambini non ne possiamo parlar male, perchè equivalerebbe a parlar male dei bambini stessi.
Vi sembra nonsense? Anche a me. Ma è una protesta cui assisto di frequente: 
“Non puoi parlar male di quel libro, è solo un libro per bambini, perché te la prendi tanto, sei malvagio...”

(2) Pov = Point of View, Punto di Vista.

(3) D'altronde, quando si vocifera di possibili seguiti alla saga di Harry Potter, immediatamente i fan insorgono. Per poco la Rowling non viene assediata nel suo castello da folle armate di forconi e bibbie potteriane. Questo è il paradosso dei fan, che li rende tanto odiosi: non ti vogliono ammirare, ti vogliono possedere, e pretendono di guidare ogni tua mossa. Io ammiro ancora George rr Martin. Proprio per questo, cerco di non chiamarlo mai ciccione, perché è un'offesa verso una persona con evidenti problemi di peso fin da quand'era bambino (si vedano alcune sue vecchie foto)
Ma questo vale per i suoi fan? Riuscite a trovarmi un fan delle Cronache del ghiaccio e del fuoco che non faccia battutine al riguardo?

3 commenti:

Alessandro Forlani ha detto...

"Gli unici veri umani nel mondo dei maghi sono gli inglesi. Gli altri sono al più sub-umani, macchiette stereotipate."

Sì, ma le maghette francesi della scuola di Beauxbatons (Clémence Poésy)... eh. ;-)

Coscienza ha detto...

Eh, ma vedi: nel film lo stereotipo è anche peggiore, nel libro erano sia maghi che magh(ette) debosciate,nella versione cinematografica la scuola è solo femminile...

Ah, Clémence Poésy!

Alessandro Forlani ha detto...

... infatti sono di quelli che per certi aspetti (Clémence a parte :-D ) preferisce la versione cinematografica... e credo che di qui in avanti sarà cosa che accadrà sempre più spesso nel rapporto letteratura cinema; un fenomeno che forse non ha precedenti.