Lo
scorso agosto mi sono divertito a rileggere nel tempo libero la saga
di Harry Potter. L'anno passato avevo recensito il primo volume, La
pietra filosofale; quest'anno ho scelto di saltare fino al volume da
molti considerato il migliore: Harry Potter e il calice di fuoco.
Possiamo
levarci fin d'ora alcuni sassolini dalla scarpa ammettendo che sì,
la Rowling come scrittrice in alcune cose è indubbiamente brava.
Innanzitutto,
Il calice di fuoco è strutturato fin dall'inizio con un'outline
progettata con accuratezza.
L'azione
si sussegue senza sosta, collegando i paragrafi con uno scoppio di
fuochi d'artificio di novità, sorprese e battute umoristiche. E'
davvero raro incontrare una pagina che si avverta superflua rispetto
alla trama, o di tentennare di fronte a un dialogo chiaramente
inutile.
Tranne
che nell'ultimo capitolo finale, quando la Rowling sente
l'insopprimibile istinto di dover “tirare le fila”, di rado ci si
annoia.
Secondariamente,
pochi recensori hanno mai osservato il grande senso dell'umorismo,
abilmente mimetizzato in sottofondo.
Ron Weasley, in particolare,
funziona come una macchietta comica alla Stanlio&Ollio, o se
preferite come Watson con Sherlock Holmes.
Se
c'è bisogno di mostrare il cervello fino di Harry, la Rowling
utilizzerà sempre Ron.
Se
c'è bisogno di mostrare un comportamento adolescenziale e immaturo,
la Rowling utilizzerà sempre Ron.
Se
c'è bisogno di mostrare il razzismo nel mondo dei maghi (es. gli
elfi domestici), la Rowling utilizzerà sempre Ron.
Se
c'è bisogno che qualcuno faccia qualcosa di buffo, o di disastroso
(le due cose spesso coincidono), quello sarà Ron.
Manca
davvero che Harry a un certo punto s'infili in bocca la pipa e
declami “Magicamente elementare, mio caro Ron”, perchè il
paragone con Arthur Conan Doyle si completi.
A
questo proposito, è interessante notare che, come Sherlock è un
asociale che non comprende il mondo quotidiano (ruolo a cui assolve
Watson, con il suo atteggiamento terra-terra) allo stesso modo Harry
Potter deve sempre riferirsi a Ron per comprendere il mondo dei
maghi, a lui estraneo.
Il
mondo “normale” di Ron è invece un mondo multiforme e cangiante
per Harry, che ancora dopo tre libri si meraviglia per le bizzarrie
dei normali maghi. In questo, Ron svolge il ruolo dell'uomo comune
che guida il “genio” a disagio con le cose di ogni giorno. O se
preferite, Harry è l'aristocratico inglese che non sa inserirsi nel
mondo borghese, mentre Ron è il fedele servitore che sa ordinare
cibo&birra alla locanda e chiamare la carrozza. Questo è il
genere di paragone che viene solitamente evocato nella relazione tra
Frodo e Sam; con i dovuti distinguo funziona bene anche passando dal
mondo di Tolkien al mondo della Rowling. Comune anglofilia...
Di
sfuggita, possiamo anche notare che Neville Paciock funziona in questo
punto della saga come pura caricatura di Ron: errori e goffezza che
sono presenti nel primo, appaiono moltiplicati nel secondo. Va da sé
che l'unico scopo di queste scene è far progredire il vero eroe,
cioè Harry.
Bisogna
tuttavia ammettere che la trama è strutturata davvero bene. Ogni
nodo narrativo, e ogni colpo di scena lo si passa al pettine nel
convulso finale, e c'è una buona alternanza tra scene umoristiche e
scene d'azione. Certo, nulla di straordinario, il peggiore Jeffery
Deaver saprebbe offrirvi un finale a sorpresa dieci volte più
complesso.
Resta
però, che nell'attenuante dei libri precedenti, e dell'etichetta di
“letteratura per l'infanzia” (1),
la sceneggiatura architettata dalla Rowling è notevole.
L'evento
della Coppa del Mondo, ad esempio, prevede una sequela di eventi
l'uno più incredibile dell'altro: la tensione cresce già all'arrivo
del primo gufo a casa Vernon, per svilupparsi a casa Weasley, per
“scoppiare” nell'imprevisto assalto dei Mangiamorte, a cui fa
seguito il confuso inseguimento nel bosco.
Il
torneo Tremaghi, dal suo canto, determina l'intero andamento del
romanzo: vi sono picchi di tensione nei capitoli dedicati alle tre
prove, e una cauta costruzione dell'ansia e della paura di Harry
Potter nei capitoli d'intermezzo. A questo proposito, le magie della
Rowling sono un utile asso nella manica: non avendo mai descritto il
principio di funzionamento della magia, può inventarsi le più
strambe corbellerie, e usarle per riempire quei piccoli paragrafi di
collegamento altrimenti noiosi.
A
tutti gli effetti, il romanzo ha un andamento sinusoide, che
serpeggia su e giù a seconda che Harry sia in pericolo o meno.
In origine la copertina italiana del 1998 per Harry Potter e la pietra filosofale non aveva né gli occhiali, né la saetta! Si cercò di rimediare all'(o)errore in tutta fretta... |
Umorismo nel fantasy c'è sempre stato, che fosse
nella forma della satira, della battuta a parentesi dell'azione
dell'eroe, o come gioco linguistico che produce un effetto
straniante. La complessità della trama impallidisce al confronto con
la media che è attualmente richiesta da un buon thriller americano.
Lo
stile è terribile.
La Rowling scrive con semplicità, attraverso
periodi brevi e netti. Di questo, gliene diamo atto. Tuttavia,
accumula talmente tanti avverbi e talmente tanti puntini di
sospensione che qualunque effetto positivo avesse raggiunto, viene
immediatamente annullato.
I
critici letterari che la considerano un modello per le future
generazioni di scrittori mentono sapendo di mentire, o com'è
probabile, non hanno mai letto un manuale di scrittura in vita loro.
L'idea
che la Rowling venga nel lontano futuro inserita nei libri di testo e
insegnata alla pari delle sorelle Bronte o del grande Dickens, è una
scusa sufficiente per spararsi in testa.
Philip
Pullman ha uno stile decente.
Terry
Pratchett ha (aveva) uno magnifico stile.
Siete
liberi di odiare Tolkien quanto volete, ma il suo imitare gli antichi
testi gli conferivano uno stile alto oggettivamente impeccabile.
Se
anche potete sorvolare sugli avverbi in -mente, i puntini di
sospensione nei dialoghi sono strazianti. Non si può, davvero.
Nessuno di noi, nel parlare, si blocca ogni due secondi incespicando
sulle lettere. Dai, cazzo. Sembra di leggere i dialoghi di H.P.
Lovecraft, con l'eccezione che almeno H.P. li restringeva a
rantolanti confessioni a fin di pagina.
Metafore
e similitudini sono rare. Quando compaiono, sono talmente banali che
ce ne dimentichiamo immediatamente. Si può difendere questa povertà
di linguaggio affermando che il punto di vista è bello fermo su
Harry Potter. Ragazzo semplice, senza ambizioni poetiche.
Ma
l'obiezione non funziona sotto tantissimi aspetti.
In
primis, il Pov (2)
non è fisso su Harry, ma si abbandona spesso al narratore
onnisciente.
In
secondo luogo, si possono trarre metafore interessanti anche da un
materiale di partenza apparentemente “povero”.
E
infine, lo stile non è affatto scarno: a descrizioni banali, si
affiancano termini e nomi chiaramente afferenti all'inglese “antico”.
Quindi
non si può nemmeno dire che è un inglese semplice! Al contrario, è
povero nella narrazione di ogni giorno, ma è “imbellito” da nomi
e occasionali termini puramente anglosassoni. Quest'apparente
contraddizione va spiegata con l'anglofilia della Rowling, che non
vuole (non riesce, probabilmente) a scrivere decentemente, ma vuole
comunque inserire termini che siano assolutamente anglosassoni. Un
po' come se uno scrittore italiano mescolasse nomi e parole del
toscano letterario all'italiano moderno. L'englishness
nazionalista della Rowling è stata comprovata più volte, si veda
tra i tanti esempi la milionaria donazione contro l'indipendentismo
della coraggiosa Scozia.
Non
credo sia necessario infierire su quant'è penoso tutto ciò.
Se
non altro, la Rowling ci risparmia la polemica luddista. Non ho
trovato invettive contro la tecnologia, se facciamo eccezione per una
velenosissima lettera di Harry a Sirius:
Caro Sirius,
Grazie per la tua ultima lettera, quell'uccello era enorme, quasi non passava dalla finestra.
Le cose qui vanno come al solito. La dieta di Dudley non procede troppo bene: ieri la zia lo ha sorpreso mentre si portava di nascosto le ciambelle in camera. Gli hanno detto che gli leveranno la paghetta se continua così, e lui si è arrabbiato sul serio, e ha buttato la PlayStation giù dalla finestra.
E' una specie di computer con cui puoi fare dei giochi. Una cosa piuttosto stupida, perchè adesso non ha nemmeno Mega Mutilation Tre per distrarsi.
La
prima edizione di Harry Potter e il calice di fuoco risale al 1997,
dunque questa è la venerabile Playstation 1. Non ho idea però di
quale gioco si faccia gioco (ahah!) la Rowling in questo passaggio.
Sembrerebbe un picchiaduro ultraviolento.
Mega Mutilation 3/ Mortal
Kombat 3 (1995), forse?
Va
sempre di moda criticare Tolkien per aver inserito nella Compagnia
dell'Anello il personaggio di Tom Bombadil. E sono d'accordo: se con
numerose riletture sono giunto a comprendere e apprezzare le canzoni
e le poesie di Tolkien, il buon Tom resta per me un'aggiunta del
tutto inutile alle disavventure di Frodo. E' fastidioso, è
superfluo, è infantile rispetto all'umore tenebroso dei capitoli
precedenti. Eppure, persino questa stranezza di Tolkien apparirebbe
un capolavoro di realismo, se messo a confronto con le bizzarrie
gratuite che la Rowling dissemina qua e là.
Non
hanno mai rilevanza per la trama principale, ma fatto ancor più
grave, non vengono nemmeno notate dal lettore. A volerci riflettere
su, sono spesso nomi appiccati su aggettivi senza vero senso logico.
Un
esempio su tutti:
Le carrozze avanzarono pesantemente attraverso i cancelli, fiancheggiati da statue di cinghiali alati, e su per il ripido viale, oscillando pericolosamente in quella che stava diventando in fretta una tempesta.
Il
lettore, in questa porzione della storia, è catturato
dall'immedesimazione con il personaggio principale, Harry Potter: di
conseguenza immagina le carrozze e immagina la tempesta.
Ma
quanto, sfido, nessuno ha mai provato a immaginare, è una lunga fila
di maiali con le ali scolpiti nel marmo dell'ingresso!
Lo
ripeto, magari l'immagine vi entra in testa: la più grande scuola di
magia del mondo, forte di secoli di storia&gloria, accoglie i
suoi studenti con... Maiali. Maiali con le ali.
Ha
senso? Dovrebbe far ridere? No, certo che no. E' una nota di colore
inserita dalla Rowling senza vero costrutto, per mostrare che è una
scuola magica.
In
cambio, la scrittrice anglosassone sembra incapace di considerare gli
esseri umani al di fuori della Gran Bretagna come buoni cittadini.
Gli stranieri, quand'anche europei, sono cattivi, pericolosi,
inaffidabili, vacui, pieni di strane usanze che a Harry Potter
appariranno invariabilmente minacciose.
La
questione della nazionalità non è così banale come potrebbe
sembrare. Il Ministero della Magia non è, come ricordavo, un
organismo internazionale, ma è limitato all'Inghilterra. Ogni
nazione, a quanto sembra, ha il “suo” ministero e la sua
legislazione. Lo si comprende dalla Coppa del Mondo, quando l'Irlanda
fronteggia la Bulgaria. Perchè parlare di maghi irlandesi e maghi
bulgari?
Le
antiche confraternite, i maghi dell'occulto dell'età vittoriana
erano se non altro cosmopoliti... ma neppure quest'apertura mentale è
permessa nel mondo di Harry Potter.
Durante
la Coppa del Mondo, la barriera linguistica tra inglesi e bulgari è
presentata come un muro invalicabile, un abisso profondissimo per
quelli che sono, ricordiamocelo, potenti stregoni.
« Le presento Harry Potter » disse ad alta voce al ministro della Magia bulgaro che indossava magnifiche vesti di velluto nero orlate d'oro, e pareva non capire una parola. « Harry Potter... oh avanti, ne avrà sentito parlare... il ragazzo che è sopravvissuto a Lei-sa-chi... lo sa chi è... »Il mago bulgaro all'improvviso notò la cicatrice di Harry e cominciò a blaterare ad alta voce, tutto agitato, indicandola.
« Lo sapevo che ce l'avremmo fatta » disse stancamente Caramell a Harry. « Non sono granché nelle lingue, ho bisogno di Barty Crouch per questo genere di cose. Ah, vedo che la sua elfa domestica gli sta tenendo il posto... buona idea, questi Bulgari continuano a infiltrarsi... ah, ecco Lucius! »
Vi
lascio gustare per qualche secondo quell'infiltrarsi, verbo che
lascia immaginare una Bulgaria che assomiglia a una Repubblichina
sovietica...
Davvero
non capisco perché con una gamma di magie così grande e ampia, i
maghi non sono in grado di tradurre istantaneamente un linguaggio, o
quantomeno comprenderlo. Considerando quanti prodigi puoi fare con la
bacchetta, una rozza traduzione dal bulgaro all'inglese non mi sembra
così difficile. Un semplice Google traduttore avrebbe già risolto
ogni incomprensione...
E'
un problema endemico all'high fantasy, o nello specifico al mondo di
Harry Potter. La magia non viene mai usata con coerenza, o logica: ci
si limita a sfruttarla per stupire e divertire il lettore, senza
affannarsi a darsi delle regole, o una base nell'occulto “reale”.
Durante l'intera saga, la Rowling sembra quasi sfruttare la magia a
intermittenza: a volte c'è, a volte non c'è.
E'
un po' come se qualcuno bersagliasse regolarmente la Rowling con
l'incantesimo Oblivio,
e la scrittrice si dimenticasse in continuazione che c'è magia nel
suo mondo, e questa magia comporta conseguenze che deve tener conto,
se ha in rispetto la coerenza del suo worldbuilding.
Dalla
Bulgaria, il passaggio all'Albania è alquanto semplice.
In
quale altro luogo poteva nascondersi il terribile Voldemort? Nei
balcani, che domande.
La
Rowling allinea una serie di coincidenze poco credibili: per motivi
che non si capiscono il fantasma di Voldemort sarebbe fuggito dalle
nazioni civilizzate in Albania, e lì sempre per strani motivi
avrebbe incontrato Berta Jonkins, in vacanza. Il motivo della
località geografica non è difficile da capire per chiunque mastichi
il racconto gotico inglese.
Dalla Spagna, all'Italia, ai paesi slavi:
nell'ottocento sono terre avventurose e cupe, dove l'eroe inglese si
batte con le armi della scienza contro la plebe superstiziosa. Come
Voldemort si rifugia in Albania, così Dracula si rifugia nella
Transilvania.
Ci sorprende che Tu-Sai-Chi non disponga al suo
servizio una masnada di banditi armati di randelli, o un turpe gruppo
di babbani zingari alleati ai mangiamorte.
Siamo
a questi (tristi) livelli.
Ma
forse il momento di massima xenofobia è fornito dall'incontro delle
due scuole a Hogwarts.
I
commenti che seguono a questo momento di scambio culturale sono
imbarazzanti:
Gli studenti di Beauxbatons si erano sistemati al tavolo di Corvonero e si guardavano intorno imbronciati. Tre di loro si stringevano ancora sciarpe e scialli attorno alla testa.
« Non fa così freddo » esclamò irritata Hermione, che li stava osservando. « Perchè non si sono portati i mantelli? »
Ti
sembrerà incredibile, Hermione, ma in quel bizzarro paese chiamato
Francia non piove ventiquattro ore su ventiquattro.
A
loro volta, l'atteggiamento degli studenti di Durmstrang è quasi
scimmiesco:
Gli studenti di Durmstrang si stavano togliendo le pesanti pellicce e guardavano in su verso il soffitto nero stellato con aria interessata; un paio presero i piatti e le coppe d'oro e li osservarono da vicino, apparentemente impressionati.
Le
due scuole corrispondono a due stereotipi su gambe: Beauxbatons viene
dalla Francia, e ha influssi mediterranei e dell'est (tutta la
questione delle veela,
per sottintendere che hanno il sangue caldo); Durmstrang è
chiaramente un finto paese dell'ex blocco sovietico, con influenze
russe e una storia di corruzione e arti oscure.
In
nessuno dei due casi, arriviamo a sapere qualcos'altro sulle due
scuole. Non c'è alcun approfondimento, o alcuna amicizia stretta tra
gli studenti di nazionalità diverse. In seguito alla seconda prova
Harry conquista il rispetto di Fleur Delacour, ma senza che ciò
permetta nessun dialogo tra i due. Non sappiamo dove le scuole si
trovano geograficamente, quali sono le loro usanze, le loro
abitudini, le loro tradizioni... Questa era un'occasione d'oro per
far luce sulle differenze tra le varie nazioni di maghi, per giungere
a sapere com'è globalmente organizzata la comunità dei maghi. Dal
punto di vista strettamente narrativo, era facile immaginare una
serie di libri ambientata a Durmstrang o a Beauxbatons. (3)
Ovviamente,
ciò è impossibile per la Rowling. Per l'intero libro, le due scuole
sono il nemico. Harry tratta i suoi avversari come alieni klingon da
tener lontani con una pertica. Lo scambio di parole con Fleur si
limita a qualche bacio e una frase di circostanza. Non sappiamo nulla
del rapporto tra Hermione e Krum; quest'ultimo per lo più si esprime
con la gamma di emozioni di un cerebroleso.
D'altronde,
uno scambio di chiacchiere con Ron alla vigilia della Coppa del Mondo
aveva già chiarito la situazione:
« Chi credi che siano? » Chiese « Non sono di Hogwarts, vero? »« Mi sa che vengono da una scuola straniera » disse Ron « So che ce ne sono altre, ma non ho mai conosciuto nessuno che ne frequenti una. Bill aveva un amico di penna di una scuola in Brasile... è stato tanti anni fa... e voleva fare un viaggio-scambio, ma mamma e papà non potevano permetterselo. Quando gli ha fatto sapere che non poteva andare, il suo amico di penna si è offeso molto e gli ha mandato un cappello stregato. Gli ha accartocciato le orecchie. »
Gli
unici veri umani nel mondo dei maghi sono gli inglesi. Gli altri sono
al più sub-umani, macchiette stereotipate.
Quest'atteggiamento
sinceramente provinciale viene confermato dall'analisi dei nomi e dei
personaggi. I nomi dei maghi oscuri, da Lucius a Malfoy, derivano
dalla radice normanna della lingua inglese. Voldemort deriva da vol
de mort,
un'espressione francese per indicare chi ruba cadaveri dai cimiteri.
Verso la fine del Calice di fuoco, Voldemort fa proprio questo:
dissotterra le ossa di suo padre, e le usa per un'oscura
resurrezione. In pratica, le mangia. Voldemort il ghoul...
E'
altrettanto provinciale l'ossessione verso la famiglia di Harry.
Batman,
rimasto orfano, cresce col solo maggiordomo Alfred, e a giudicare dai
suoi successi come vigilantes mascherato, cresce bene.
Ma
Harry non è americano, è britannico. Pertanto, la tradizione impone
che viva con i suoi parenti più prossimi. Anno dopo anno, Harry
viene obbligato a vivere con i Dursley, per l'unico motivo che sono i
suoi ultimi parenti. Non c'è nulla di positivo, nei Dursley. Ma
proprio nulla. Picchiano Harry quand'è ancora un bambino, lo
tiranneggiano, lo chiudono nello sgabuzzino.
Se
Voldemort possiede ancora un che' di aristocratico che lo rende
affascinante, i Dursley non hanno una singola qualità positiva. Sono
sadici, egoisti; nel mondo reale nessun folle affiderebbe loro un
orfano. Tuttavia, il mondo della Rowling è provinciale e
conservatore: di conseguenza, Harry deve vivere con i Dursley, perché
sono la sua famiglia.
Per altro, senza voler far polemica, è un po'
triste che i maghi, una volta considerati spiriti liberi per
eccellenza, diano tanta importanza a dei legami famigliari...
A
voler continuare, una posizione conservatrice spiegherebbe anche il
triste ruolo di Hermione Granger. Nei primi due libri si trascina
come terzo incomodo tra Harry e Ron, nel terzo viene lentamente
accettata e solo nel quarto finalmente s'integra nel gruppo.
La
caratterizzazione della brillante studentessa accumula sulla
poveretta uno stereotipo dietro l'altro, utile ancora una volta per
rafforzare le azioni di Harry.
Laddove Harry sa quando rispettare la
legge e quando no, Hermione stupidamente si affiderebbe sempre ai
professori.
Laddove c'è un oggetto proibito da maneggiare, è Harry
a decidere se tenerselo o meno (la mappa del Malandrino) ignorando i
“femminili” rimbrotti di protesta di Hermione.
Letteralmente,
Hermione viene “sacrificata” per innalzare Harry.
Non
è nemmeno esagerato osservare che se la Rowling dedica decine di
pagine all'amicizia forte e sincera tra Harry e Ron, non troviamo
equivalenti amicizie nel mondo femminile di Hogwarts.
Hermione
praticamente vive in un semi-isolamento, e le ragazze girano in
“branchi”. Non ricordo nell'intera saga una singola amicizia
femminile di valore, mentre al contrario le amicizie virili abbondano. Al di fuori delle professoresse, alcune ragazze della
squadra di Quidditch di Grifondoro Angelina, Alicia e Kate – si fanno
notare, ma per il resto zero assoluto.
Ciò
non è un problema per due ragioni: il punto di vista è fermo su
Harry Potter, che in effetti essendo un adolescente non presta molta
attenzione alle “ragazze” e alle “loro cose”. La seconda
ragione è che le lettrici della Saga non hanno difficoltà a
immedesimarsi in un protagonista maschile – mentre va fatto notare
che spesso risulta impossibile l'inverso.
Il
problema però resta, anche se dissimulato.
Non
c'è dubbio che la saga di Hogwarts sia una grande saga.
E
non c'è dubbio che Harry Potter meriti un posto nel Valhalla dei
personaggi fantasy.
Ma
non sarà il primo posto, e né il secondo e né il terzo.
Perchè
ogni potenziale spunto in Harry Potter è sempre annacquato,
rallentato, infognato dalle posizioni della Rowling. Gli angoli
taglienti sono smussati, gli spunti di polemica ridotti al lumicino.
Gli eroi sono buoni per nascita, gli antagonisti cattivi perchè sì.
Alla
fine la Rowling è quella stessa persona che milita nell'Associazione
per i Pesi e le Misure Inglesi; una società che si batte per il
mantenimento delle tradizionali unità di misura britanniche,
comprese le più bizzarre, come la pinta. Il sistema metrico viene
dall'associazione considerato un assalto ai valori inglesi. Il
satanico metro francese!
Forse
aspettarsi apertura mentale e comprensione da una scrittrice che
venera arcaiche unità di misura come il “piede” e il “pollice”
è davvero chiedere troppo...
Fonti:
Harry Potter e il calice di fuoco
Togliere le zanne al mostro: rileggendo Harry Potter e la pietra filosofale
Le
immagini sono prese dal sito dell'artista Serena Riglietti.
Sulle
amicizie femminili, Harry Potter's girl trouble, di Christine
Schoefer.
Sull'associazione
per i Pesi e le Misure Inglesi, Quidditch quaintness, di Richard
Adams.
Sull'anglofilia,
si veda la recensione di Hitchens, contenuta in “Arguably”.
(1)
Non osate chiedermi per quale misterioso motivo la letteratura per
l'infanzia debba sempre venir considerata inferiore alla letteratura
per adulti, e sempre per quale motivo le vengano pertanto perdonati
molti degli oggettivi difetti che normalmente rimproveriamo a un
romanzo mainstream.
Preferirei
di gran lunga se si discutesse di letteratura intelligente e di
letteratura non intelligente, anziché distinguere tra “stupidi”
libri per bambini e “violenti” libri per adulti.
Probabilmente
c'è una banale trasposizione di significato, che si realizza nella
mente della gente: essendo libri per bambini, letti da bambini non ne
possiamo parlar male, perchè equivalerebbe a parlar male dei bambini
stessi.
Vi
sembra nonsense? Anche a me. Ma è una protesta cui assisto di
frequente:
“Non puoi parlar male di quel libro, è solo un libro
per bambini, perché te la prendi tanto, sei malvagio...”
(2)
Pov = Point of View, Punto di Vista.
(3)
D'altronde, quando si vocifera di possibili seguiti alla saga di
Harry Potter, immediatamente i fan insorgono. Per poco la Rowling non
viene assediata nel suo castello da folle armate di forconi e bibbie
potteriane. Questo è il paradosso dei fan, che li rende tanto
odiosi: non ti vogliono ammirare, ti vogliono possedere, e pretendono
di guidare ogni tua mossa. Io ammiro ancora George rr Martin. Proprio
per questo, cerco di non chiamarlo mai ciccione, perché è un'offesa
verso una persona con evidenti problemi di peso fin da quand'era
bambino (si vedano alcune sue vecchie foto)
Ma
questo vale per i suoi fan? Riuscite a trovarmi un fan delle
Cronache del ghiaccio e del fuoco che non faccia battutine al
riguardo?
3 commenti:
"Gli unici veri umani nel mondo dei maghi sono gli inglesi. Gli altri sono al più sub-umani, macchiette stereotipate."
Sì, ma le maghette francesi della scuola di Beauxbatons (Clémence Poésy)... eh. ;-)
Eh, ma vedi: nel film lo stereotipo è anche peggiore, nel libro erano sia maghi che magh(ette) debosciate,nella versione cinematografica la scuola è solo femminile...
Ah, Clémence Poésy!
... infatti sono di quelli che per certi aspetti (Clémence a parte :-D ) preferisce la versione cinematografica... e credo che di qui in avanti sarà cosa che accadrà sempre più spesso nel rapporto letteratura cinema; un fenomeno che forse non ha precedenti.
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