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venerdì 11 novembre 2016

Harry Potter e la maledizione delle tasse da pagare


Harry Potter, invecchiato, è ora capo dell'Ufficio Applicazione Legge sulla Magia, del Ministero. In altre parole ha fatto carriera nello stato, ha seguito un percorso burocratico: va a merito delle istituzioni inglesi come questa scelta non sembri ne arrivismo, ne carrierismo statale. Ron Weasley ha sposato Hermione, Ginny ha sposato Harry. Il figlio di Harry, Albus, è al primo anno della scuola di Hogwarts. Sul treno, ancora una volta che non suoni ridicolo è una prova della bontà dei treni inglesi, del binario 9.45 incontra un fragile ragazzo con cui stringe subito amicizia, Scorpius. Maliziosi che non siete altro, non è un riferimento al nostro Skorpio, ma il nome del figlio di Draco Malfoy, ora redento dal suo passato oscuro. Le cose si mettono difficili già dalle prime pagine; al momento dello Smistamento, il Cappello Parlante designa per Albus la casa di Serpeverde. Harry è incredulo, suo figlio pure: l'amicizia nata con Scorpius attenua il trauma di una scelta che sembra decisamente sbagliata. E' la prima incrinatura di una crisi tra padre e figlio. Albus, si scopre, non è affatto bravo a volare sulla scopa, non s'impegna a lezione e coltiva un cinismo decadente. Il vincitore di Voldemort e il suo inetto figlio sono peraltro perseguitati dallo spettro della morte di Cedric Diggory, al Torneo Tre Maghi. Uno splendido giovane, morto innocentemente per consentire alla risurrezione del Signore Oscuro nel quarto numero della saga. La consapevolezza, il peso di quella morte è tale da schiacciare Albus e a spingerlo, assieme al fedele Scorpius, a viaggiare indietro nel tempo. L'obiettivo è usare una GiraTempo, sabotare il Torneo e salvare Cedric... tutto allora si aggiusterà. Diventeranno eroi come il padre e i suoi amici, verrà rimesso a Grifondoro e riuscirà a dare una svolta a una vita altrimenti inconcludente. 
Ovviamente, come sanno i miei lettori appassionati di Ritorno al Futuro, non si dovrebbe mai pasticciare con il passato, nemmeno con le più buone intenzioni. I corsi e ricorsi nel tempo di Albus e Scorpius causano un disastro dopo l'altro, svelando nel frattempo un'oscura congiura che minaccia di vanificare quanto è stato raggiunto con gli oltre sette libri della Rowling.

Per poter recensire Harry Potter e la maledizione dell'erede occorre prima di tutto liberarsi da certe bugie suscitate ad arte dal marketing. Non è, ad esempio, un seguito dei romanzi della Rowling. Non è l'ottavo libro della saga e non è neppure un romanzo. E' la messa su carta della sceneggiatura teatrale per l'omonimo spettacolo di un anno fa al Palace Theatre. In altre parole, è un'operazione di riciclo: è una storia che circola già da un bel po' in Inghilterra, su cui la Rowling non ha versato una goccia d'inchiostro e il cui reale autore è Jack Thorne. Questo malinteso costituisce sia il maggior difetto che la miglior difesa per l'opera in questione.

martedì 1 settembre 2015

Il piccolo mondo provinciale della Rowling: rileggendo Harry Potter e il calice di fuoco


Lo scorso agosto mi sono divertito a rileggere nel tempo libero la saga di Harry Potter. L'anno passato avevo recensito il primo volume, La pietra filosofale; quest'anno ho scelto di saltare fino al volume da molti considerato il migliore: Harry Potter e il calice di fuoco.

Possiamo levarci fin d'ora alcuni sassolini dalla scarpa ammettendo che sì, la Rowling come scrittrice in alcune cose è indubbiamente brava.
Innanzitutto, Il calice di fuoco è strutturato fin dall'inizio con un'outline progettata con accuratezza.
L'azione si sussegue senza sosta, collegando i paragrafi con uno scoppio di fuochi d'artificio di novità, sorprese e battute umoristiche. E' davvero raro incontrare una pagina che si avverta superflua rispetto alla trama, o di tentennare di fronte a un dialogo chiaramente inutile.
Tranne che nell'ultimo capitolo finale, quando la Rowling sente l'insopprimibile istinto di dover “tirare le fila”, di rado ci si annoia.
Secondariamente, pochi recensori hanno mai osservato il grande senso dell'umorismo, abilmente mimetizzato in sottofondo. 
Ron Weasley, in particolare, funziona come una macchietta comica alla Stanlio&Ollio, o se preferite come Watson con Sherlock Holmes.
Se c'è bisogno di mostrare il cervello fino di Harry, la Rowling utilizzerà sempre Ron.
Se c'è bisogno di mostrare un comportamento adolescenziale e immaturo, la Rowling utilizzerà sempre Ron.
Se c'è bisogno di mostrare il razzismo nel mondo dei maghi (es. gli elfi domestici), la Rowling utilizzerà sempre Ron.
Se c'è bisogno che qualcuno faccia qualcosa di buffo, o di disastroso (le due cose spesso coincidono), quello sarà Ron.
Manca davvero che Harry a un certo punto s'infili in bocca la pipa e declami “Magicamente elementare, mio caro Ron”, perchè il paragone con Arthur Conan Doyle si completi.
A questo proposito, è interessante notare che, come Sherlock è un asociale che non comprende il mondo quotidiano (ruolo a cui assolve Watson, con il suo atteggiamento terra-terra) allo stesso modo Harry Potter deve sempre riferirsi a Ron per comprendere il mondo dei maghi, a lui estraneo.
Il mondo “normale” di Ron è invece un mondo multiforme e cangiante per Harry, che ancora dopo tre libri si meraviglia per le bizzarrie dei normali maghi. In questo, Ron svolge il ruolo dell'uomo comune che guida il “genio” a disagio con le cose di ogni giorno. O se preferite, Harry è l'aristocratico inglese che non sa inserirsi nel mondo borghese, mentre Ron è il fedele servitore che sa ordinare cibo&birra alla locanda e chiamare la carrozza. Questo è il genere di paragone che viene solitamente evocato nella relazione tra Frodo e Sam; con i dovuti distinguo funziona bene anche passando dal mondo di Tolkien al mondo della Rowling. Comune anglofilia...
Di sfuggita, possiamo anche notare che Neville Paciock funziona in questo punto della saga come pura caricatura di Ron: errori e goffezza che sono presenti nel primo, appaiono moltiplicati nel secondo. Va da sé che l'unico scopo di queste scene è far progredire il vero eroe, cioè Harry.
Bisogna tuttavia ammettere che la trama è strutturata davvero bene. Ogni nodo narrativo, e ogni colpo di scena lo si passa al pettine nel convulso finale, e c'è una buona alternanza tra scene umoristiche e scene d'azione. Certo, nulla di straordinario, il peggiore Jeffery Deaver saprebbe offrirvi un finale a sorpresa dieci volte più complesso.
Resta però, che nell'attenuante dei libri precedenti, e dell'etichetta di “letteratura per l'infanzia” (1), la sceneggiatura architettata dalla Rowling è notevole.
L'evento della Coppa del Mondo, ad esempio, prevede una sequela di eventi l'uno più incredibile dell'altro: la tensione cresce già all'arrivo del primo gufo a casa Vernon, per svilupparsi a casa Weasley, per “scoppiare” nell'imprevisto assalto dei Mangiamorte, a cui fa seguito il confuso inseguimento nel bosco.
Il torneo Tremaghi, dal suo canto, determina l'intero andamento del romanzo: vi sono picchi di tensione nei capitoli dedicati alle tre prove, e una cauta costruzione dell'ansia e della paura di Harry Potter nei capitoli d'intermezzo. A questo proposito, le magie della Rowling sono un utile asso nella manica: non avendo mai descritto il principio di funzionamento della magia, può inventarsi le più strambe corbellerie, e usarle per riempire quei piccoli paragrafi di collegamento altrimenti noiosi.
A tutti gli effetti, il romanzo ha un andamento sinusoide, che serpeggia su e giù a seconda che Harry sia in pericolo o meno.

In origine la copertina italiana del 1998 per Harry Potter e la pietra filosofale non aveva né gli occhiali, né la saetta!
Si cercò di rimediare all'(o)errore in tutta fretta...

lunedì 1 settembre 2014

Togliere le zanne al mostro: rileggendo Harry Potter e la pietra filosofale


Capolavoro e prodotto di successo sono due concetti completamente differenti e col tempo ho imparato sempre più a distinguere nettamente tra queste due diverse attribuzioni.
Il prodotto di successo, almeno per quanto riguarda il mio metro di giudizio, è un film/libro/videogioco di buon spessore, spesso caratterizzato da un paio d'idee vincenti, una scrittura passabile e un passaparola inatteso. Il prodotto di successo, come intuisce l'etichetta, è tale perché detto brutalmente vende tanto, tantissimo. Sfracella ogni classifica e si pianta saldamente lì per mesi. In altre parole, un prodotto è tanto più di successo quanto più macina denaro. Seguiranno poi altri fenomeni tipici del genere, dai giornalisti/saggisti/professori che salgono sul carro della celebrità alle fanfiction, un'ottima prova della vitalità di un fenomeno, di un autore.
Il prodotto di successo segue dunque questo processo, dal successo immediato, alla conquista di un nucleo sempre più ampio di lettori alla transmedialità, il passaggio di un libro al film, al fumetto, al videogioco, al boardgame. Il prodotto diventa così capillare, pervasivo.

Ma è un capolavoro? Dipende.

La moda attuale, o meglio la confusione attuale! Vuole trasformare ogni prodotto di successo, per quanto minore, in un fenomeno di massa, un capolavoro indimenticabile di generazione in generazione. A volte il giochetto di marketing funziona, a volte fallisce miseramente. 
I Pokemon all'inizio del 2000 erano chiaramente un prodotto nipponico pianificato a tavolino, che tuttavia ha fatto presa. Non ultimo, perché come molti prodotti orientali s'accontentava del Kawaii senza andar in cerca del moralismo disneyano. 
Gli Hunger Games, dai libri (mediocri) ai film stanno invece facendo il buco nell'acqua: i fan sono praticamente scomparsi, i lettori sono passati ad altro. Nonostante l'asfissiante tempesta pubblicitaria, il prodotto di successo non è diventato capolavoro, né lo è mai stato. Erano buoni romanzi, nient'altro. 
Difficile giudicare poi Twilight, su cui è stato lanciato troppo odio per dei romanzi inconsistenti, ma sostanzialmente nemmeno troppo brutti. Là il passaggio di media in media, il successo, è sembrato durare per tre anni, prima di finire nel cestino della dimenticanza. Un successo così così.

Harry Potter è un capolavoro?
Senza dubbio è un prodotto di successo. Come (credo) tutti, quando avevo undici, dodici anni ho letto tutta la saga, ho visto i film, ho anche collezionato un paio di album di figurine. Nulla di che, mi ci divertivo.
Nello stesso periodo, tuttavia, leggevo Il Signore degli Anelli, le Cronache di Narnia e verso i tredici anni assaporavo per la prima volta Lovecraft. Questo non per sottolineare chissà quale superiorità – verso i tredici anni ero anche fermamente convinto che il miglior Fantasy in assoluto fosse Eragon, di Christopher Paolini e solo per questo avrei dovuto essere preso a badilate in faccia – ma per ribadire che leggevo un po' di tutto quello che sapesse di Fantasy.
Dopo quasi un decennio da quelle letture, ho deciso di rileggere la Rowling, sia per spaziare in territori più moderni, sia perchè in cerca di ispirazione per un racconto urban fantasy.
Mi sono fermato a Harry Potter e la pietra filosofale e non credo andrò avanti. 
Era dai tempi di King che non avevo l'impressione di un autore tanto male invecchiato. La questione non è se la Rowling aderisca o meno a un canone a cui tutti gli scrittori devono aderire. Non m'interessa mimare i cultori del manuale americano di narrativa – quando inserire il colpo di scena, come dosare lo show don't tell ecc ecc Specie il primo romanzo della saga di Harry Potter era destinato a una saga infantile, al massimo adolescenziale. Quando incominciò a infuriare qui in Italia, si parlava di “ritorno della letteratura per l'infanzia”. E' ovvio che se lo si analizza in quel modo, si possono trovare migliaia di difettucci che non sono in realtà tali, dalla voce narrante, ai costanti infodump, al protagonista puntualmente salvato da un deus ex machina. Se volessimo davvero comportarci da stronzi, c'è un abuso grammaticale di puntini di sospensione che parte dal primo capitolo e continua imperterrito per tutto il libro. Metà dei dialoghi (alcuni davvero mediocri) di Harry Potter sono frasi intercalate da diluvi di puntini. 
Vi sfido: aprite una pagina a caso che non sia il finale e contate i puntini. Ne sarete sommersi.

Tuttavia, criticare su quest'aspetto Harry Potter sarebbe un esercizio puerile, per me di poco interesse. 
La moda attuale di smembrare un romanzo e citarne i pezzi che servono per una recensione falso-negativa non ha alcuna logica. Ogni romanzo, per quanto perfetto, se tolto dal suo contesto perde senso. 
E' come se catturassimo una conversazione per strada e ne rimescolassimo parole, frasi e interlocutori. Verrebbe fuori una merda, ma è una merda che stiamo combinando noi, togliendo quell'unità testuale che aveva in origine.
Allo stesso modo, non mi danno fastidio le incongruenze, i colpi di scena posticci, le cose illogiche. 
Mi turbano parecchio perchè c'è un'ideologia dietro che trovo spaventosa; un disprezzo verso il Babbano e verso la tecnologia che è tanto assolutizzante quanto stupida. Nel momento in cui scopri di essere mago, i progressi di oltre duemila anni di storia vengono annullati e ridicolizzati. Al contempo, i maghi mantengono un assoluto regime di apartheid verso gli “umani”, nonostante le innumerevoli, geniali possibilità che potrebbe aprire una fusione tra tecnologia babbana e magia umana. 
Nel delirante worldbuilding della Rowling, inoltre, i maghi sono apolitici e vivono felici dentro una sorta di stato liberale, con una pubblica opinione vivace, ma sostanzialmente tenuta a freno dalla scusante di un nemico esterno, Tu-Sai-Chi. 
Un appassionato di Harry Potter a questo punto mi darebbe del ritardato e probabilmente avrebbe ragione: sto cercando sottotesti e rigore da un romanzo per bambini. Esagero probabilmente. Nemmeno questa chiave di analisi, per quanto divertente sarebbe utile. Sul piano della trama, ad esempio, si potrebbe continuare a lungo; Harry Potter è un protagonista che non ha letteralmente nulla all'inizio, ma che già superate le prime cinquanta pagine ottiene praticamente tutto, dai soldi della Gringott alla fama di una superstar. La Rowling supera perfino gli handicap fisici (occhiali, goffezza, corporatura dinoccolata) trasformandolo nell'atleta per eccellenza del Quidditch. 
Il personaggio è letteralmente rovinato perchè parte con un monte (del Fato?) di problemi e termina già a metà libro con tutto, dai gadget del mantello dell'invisibilità, ai soldi, alla vittoria sportiva. Ciononostante, è un romanzo per bambini e questi deus ex machina funzionano, perché tengono sempre alto il ritmo.



La saga di Harry Potter dunque può essere criticata singolarmente per un particolare aspetto, ma difficilmente smontata in toto. Le fondamenta fantasy su cui si regge sono al di fuori delle logiche sia di stile che di trama normalmente usate. In altri casi, con altri generi sarebbero criticabili. Nel mondo di Harry Potter tutto questo invece funziona. Ma qui sorge il problema.
Perchè il mondo fantasy della Rowling non è fantasy. 
Se ancora l'arrivo di Hagrid, la scoperta di essere il prescelto e l'arrivo a Diagon Alley hanno ancora la meraviglia che loro compete, presto tutto si affloscia. Il mondo di Harry Potter continua a svelare i suoi aspetti magici, ma questi non hanno nulla, letteralmente nulla di magico. Sono invenzioni descritte con tono piatto e grigio, più simili agli scherzi di un tendone da circo che alla paura/desiderio reverenziale della vera Magia, quella con la M maiuscola. La Rowling è sempre stata lodata per la quantità di dettagli e di invenzioni che sorprendono il lettore a ogni voltar di pagina. Non si osserva mai però che questa quantità non si accompagna mai alla qualità. Il mondo dei maghi è il riflesso consumista del mondo dei Babbani; è letteralmente pieno di roba “interessante” ma che non è magica. Avrei preferito un singolo incantesimo descritto con la cura e il timore dei veri incantesimi alla massa informe di latinorum scopiazzato della Rowling. La Magia della Rowling è la magia Made in China. 
Va bene un po' a tutti, è chiaramente taroccata, non ha pericoli. In effetti l'idea stessa che la magia possa venire insegnata dentro una scuola è controintuitiva. La magia, se è davvero “magica” non può venire insegnata come se fosse la matematica. La magia è tale proprio perché fuori dalle leggi e fuori dalle regole ordinarie. Inserirla nell'ambiente scolastico equivale a svuotarla di fascino, a ingrigirla. 
A privarla, fattore cruciale!, di ogni carica sovversiva e pericolosa.
Il fantasy non-fantasy della Rowling non si limita alla magia, ma imperversa nel bestiario fantastico.
Non appena entra a Hogwarts, Harry Potter incontra non un fantasma, bensì venti!

Poi accadde una cosa che gli fece fare un salto alto un palmo da terra... Dietro di lui, molti ragazzi gridarono.
<< Ma che cosa...? >>.
Si sentì mancare il fiato, e con lui tutti gli altri. Una ventina di fantasmi erano appena entrati nella stanza, attraversando la parete in fondo. Di color bianco perlaceo e leggermente trasparenti, scivolavano per la stanza parlando tra loro e quasi senza guardare gli allievi del primo anno. Sembrava che stessero discutendo. Quello che assomigliava a un monaco piccolo e grasso stava dicendo: << Io dico che bisogna perdonare e dimenticare; dobbiamo dargli un'altra possibilità... >>
<< Mio caro Frate, non abbiamo forse dato a Pix tutte le possibilità che meritava? Non fa che gettare discredito sul nostro nome, e poi lo sai, non è neanche un vero e proprio fantasma... Ehi, dico, che cosa ci fate qui? >>
Un fantasma in calzamaglia e gorgiera aveva d'un tratto notato gli studenti del primo anno.
Nessuno rispose.
<< Nuovi studenti! >> disse il Frate Grasso abbracciando tutti con un sorriso. << In attesa di essere smistati, suppongo >>.
Alcuni annuirono in silenzio.
<< Spero di vedervi tutti a Tassorosso! >> disse il Frate. << Sapete? E' stata la mia casa >>.
<< E ora, sgombrare! >> ordinò una voce aspra. << Sta per cominciare la Cerimonia dello Smistamento >>.
La professoressa McGranitt era tornata. Uno a uno, i fantasmi si dileguarono attraversando la parete di fronte.

Un fantasma non è una cosuccia da prendere alla leggera.
E' uno spirito dei morti, una prova tangibile dell'esistenza dell'al di là, oltre che un'agghiacciante incursione del soprannaturale. Un solo fantasma ha dato filo da torcere a generazioni di scrittori e poeti. 
C'è un ricco background alle spalle, ma viene sorvolato senza perdere tempo. Nel mondo della Rowling esistono i fantasmi, così come esistono i goblin, gli elfi e altre creature: tutte magiche, tutte ininfluenti. Quello che sto cercando confusamente di comunicare è che non c'è spessore, in quanto descrive la Rowling. 
Non c'è quell'attimo di sospensione, di sublime che dovrebbe accompagnare il soprannaturale. Cazzo, capisco che il mondo di Potter è magico, ma di fronte a un non-morto io fuggirei via urlando!
Sono fantasmi filmici, bonaccioni per tinteggiare un mondo di cartapesta.



Harry Potter non si muove dentro un fantasy realistico, e questo posso accettarlo. Ma non posso accettare che la “magia” della Rowling sia tanto anonima. Non è nemmeno la magia trash di D&d "Il mio mago casta una palla di fuoco sullo scheletro campione..."
E' proprio senza spessore. Ha regole, ma non le segue. Usa il latino, ma lo parodia oltre ogni decenza. 
A tutti gli effetti l'incantesimo viene descritto come una tecnologia “da usare”. I babbani muovono il culo e afferrano la lattina di Coca-cola, i maghi usano Accio. E' una magia castrata alla radice. Posso comprendere perché Alan Moore sia tanto inferocito da Harry Potter. Per chi davvero ci crede, nella magia e nel “diverso” il mondo della Rowling è grigio e piatto. Non starò a elencare le fonti da cui la Rowling copia spudoratamente, perchè sarei ipocrita e pedante; non le ho lette, non posso fare confronti. 
Ma senza dubbio non si può negare la sciatteria.
La Chiesa ha spesso criticato Harry Potter, avvertendo della pericolosità di scambiare finzione e realtà. Harry Potter, insinuano, è pericoloso perché non introduce alcuna frattura tra realtà e magia. Tutto è magico, per la Rowling, argomentano. Di conseguenza il bambino potrebbe confondersi e pensare che davvero un giorno riceverà una lettera che lo inviti a Hogwarts.
Una critica davvero miope! La saga di Harry Potter è particolare proprio perché non è un Fantasy.
Se tutto è magico, in realtà tutto è ordinario. La magia funziona quando trasmessa a piccole dosi. 
Se frastorni il lettore con vagonate di “magia” a ogni voltar di pagina, l'irrazionale diventerà presto la norma. Si tranquillizzino i pretacci e le psicologhe dell'infanzia: Harry Potter mai potrà essere pericoloso perché mai potrà essere un Fantasy. L'irrazionale, il sovrannaturale, la magia sono argomenti da introdurre pian piano, con rispetto e meraviglia. In Harry Potter sono invece la vernice con cui parlare di qualcos'altro. Sono sbattuti in faccia al lettore, degradati ripetutamente. Servono come metafore per triti moralismi senza però nessuna critica seria dietro. Harry Potter non è fantasy a sufficienza. E' questa, la vera critica.
La Rowling prende il mostro delle fiabe e metodicamente gli cava le zanne, trasformando uno splendido drago in una mucca ruspante. Chi ama Harry Potter, ne ama l'ambientazione scolastica. Gli scherzoni da fiera che vengono definiti magia raramente vengono presi sul serio, persino dai fan.

Per citare Zizek, la moda attuale svuota di significato ogni esperienza. Si vuole dunque guardare film horror senza spaventarsi, assumere alcool senza soffrire la sbornia, drogarsi senza diventare dipendenti, fumare senza rovinarsi i polmoni, mangiare senza ingrassare... ecc ecc

Harry Potter pertanto, è perfetto: è un fantasy senza fantasy, e in ciò sta il suo successo.  

Fonti: 
Scans prese dall'opera di Moore sulla Lega degli straordinari gentlemen: 2009