lunedì 12 febbraio 2018

Ectoplasm, di Clive Barker: surrealismo e body horror


“L'uomo illustrato” di Ray Bradbury è un'antologia di racconti che presenta come voce narrante un uomo completamente tatuato, capace all'occorrenza di animare i propri disegni col fine di raccontare una storia. I singoli racconti corrispondono ai diversi tatuaggi dell'uomo, che “illustra” così la raccolta. 
La serie dei Libri di Sangue, di Clive Barker, esibisce una versione horror di quest'artificio di Bradbury: nel primo racconto dell'antologia, Infernalia, la storia è letteralmente narrata sulla pelle del protagonista, dando così vita alla sigla introduttiva della serie, “Siamo tutti libri di sangue/in qualunque punto ci aprano/siamo rossi”.

In occasione dell'uscita a marzo del seguito di Hellraiser e della contemporanea uscita adesso a febbraio di Hellraiser: Judgement, ho pensato d'iniziare una rilettura dei Libri di Sangue di Barker, da concludersi tra tre settimane o giù di lì in coincidenza con la versione italiana della Independent Legions. La serie dei Libri di Sangue si compone di sei antologie di racconti con le quali Barker esordì nella seconda metà degli anni '80. Si tratta di un corpus unico di storie, che per quanto diverse, appaiono firmate dall'identica sensibilità splatterpunk, controcorrente e fortemente ironica. Si trattava già di un successo lusinghiero che Barker riuscisse a pubblicare e guadagnare negli anni dove più dominava nell'horror il formato del romanzo lungo di King, ma lascia a distanza di decenni stupefatti constatare quante e quali idee Barker avesse inserito in così poche pagine. Come lettore e blogger, devo ammettere che preferirei un ritorno di un formato del genere, adatto all'ebook, piuttosto della fase kinghiana della seconda metà degli anni '90, quando Barker vergava imponenti colossi indigeribili come “Galilee” e “Il Canyon delle ombre”. Costituiscono per un fan opere imperdibili e ancora un volta dalle idee originali, ma rimane innegabile una terribile dispersività di scene e personaggi nel mare magnum di capitoli su capitoli di eventi quotidiani.
Avevo già in precedenza recensito il primo libro, Infernalia, e anche se non sopporto lo stile con il quale scrivevo all'epoca, rimango d'accordo col giudizio: una buona raccolta e un buon esordio. Col senno di poi rivaluterei quel gioiellino di potenza visiva strafottente che è l'ultimo racconto, “In collina, le città”, oltre all'incipit alla Bradbury, “Il libro di sangue”, per l'appunto.
In Italia Clive Barker è famigerato per la discontinuità delle traduzioni e i prezzi su Ebay lievitano a numeri da capogiro. Il mio consiglio è come sempre di rovistare nei mercati dell'usato “reali”, dove il venditore, specie se anziano, si limita a considerare i romanzi di Barker come tascabili di scarso, se non nullo valore. Il disprezzo per il genere horror gioca a vantaggio del lettore, perchè automaticamente deprezza il valore del testo. Le edizioni più diffuse sono quelle Sonzogno, risalenti alla ristampa del '2000, ma trovate anche numerose e valide scans online, Scribd compreso.
Infernalia ed Ectoplasm sono in seguito stati ristampati e sono ancora disponibili dalla Castelvecchi editore, con gli arbitrari titoli “Le stelle della morte” e “La sfida dell'inferno”.
Il recupero e il successo delle uscite inedite della Independent Legions mi lascia tuttavia fiducioso che Barker possa finalmente venire recuperato. Nel frattempo, è doveroso supportare ogni sforzo italiano in questa direzione.


Paura

Una piccola storie sulle non tanto piccole crudeltà universitarie. Stephen Grace è uno studente di lingue a cui succede per caso di conoscere uno studente fuori corso di filosofia, Quaid.
Un giovane morboso e bizzarro, Quaid si considera uno studioso della paura, di cui afferma di conoscere ogni singolo segreto: scopo della sua vita è scoprire la paura altrui, quanto definisce “ciò che c'è nella nostra psiche di più intimo”. Quaid è un individuo instabile, la cui concezione di filosofia ruota attorno a concetti e sistemi teorici che reputa proibiti, addirittura nelle sue parole “dovremmo sentirci bistrattati dall'argomento che vorremmo trattare”. Stephen viene lentamente sedotto dall'oratoria e dalla convinzione di Quaid; questi a sua volta si atteggia a “messia”, a guru dalla sapienza dogmatica e indecifrabile. La frustrazione maggiore per Quaid è il disprezzo di una sua compagna di corso, Cheryl, che afferma di non avere paura di nulla. L'eterno ottimismo della donna suscita nel “guru” un piano tutt'altro che legale e filosofico per farla impaurire...

Al momento di scrivere questa recensione riflettevo se davvero risulti adatto tradurre l'originale “Dread” con il sostantivo “Paura”. La parola inglese solitamente viene tradotta come terrore, sentimento ben più incisivo della semplice paura. E' una questione d'inflessione, tanto più che la parola terrore contiene in italiano una certa accezione becera, “Terrore! Fuoco! Fiamme!”, assente con il termine paura e con l'originale “Dread”.
La storia viene costruita con materiali solidi e conduce il lettore dall'inizio alla fine senza abbandonarlo un singolo istante. Siamo lontani dal weird, dallo splatterpunk e dal capolavoro spesso attribuito a Barker. Le fondamenta sono il più tradizionale Edgar Allan Poe de “Il pozzo e il pendolo” shakerato con le turbe psicopatiche di Robert Bloch. La storia è un buon avvertimento verso i pericoli dei guru e dei “messia”, ma è scarsamente originale.
L'immagine dello studente di filosofia americano presenta il desolante quadro di un dipartimento universitario tiranneggiato dalla filosofia analitica con tutto quello che ne consegue nella sterilità di pensiero e impegno politico.

"Riceviamo un insegnamento all'acqua di rose. Un po' di Platone qui, un po' di Bentham. Analisi vera e propria, zero. Ovviamente ha tutti i segni distintivi che si rispettino. Assomiglia alla bestia: profuma persino un po' come la bestia per un profano."
"Che bestia?"
"La filosofia. La vera filosofia. È una bestia, Stephen. Non credi?"
"Io non..."
"È feroce. Morde."
Fece un sorriso furbesco.
"Sì. Morde," ripetè.
Oh, come gli faceva piacere. Ancora una volta, per gradire: "Morde."
Stephen annuì. La metafora andava al di là della sua comprensione.
"Io credo che dovremmo sentirci bistrattati dall'argomento che vorremmo trattare." La mutilazione perpetrata dall'educazione era l'argomento sul quale Quaid si stava accalorando. "Dovremmo temere di manipolare le idee di cui dovremmo parlare." "Perché?"
"Perché se fossimo dei filosofi, con la F maiuscola, non staremmo qui a scambiarci convenevoli accademici. Non parleremmo di semantica. Non useremmo giochi di parole per nascondere i fatti concreti."

La sfida dell'inferno

Una sonnolenta domenica a Londra, una gara di beneficenza tra veterani della maratona. 
Cameron è un anziano allenatore di uno dei preferiti della gara, Joel Jones. Una competizione tra le tante, ma stranamente per Cameron carica di oscuri presagi: qualcosa, nell'atmosfera e nei corridori in attesa, sembra fuori posto, alieno. Cameron è poco consapevole che quell'innocua gara è in realtà una scommessa tra Paradiso e Inferno e come uno dei corridori sia letteralmente un demone camuffato...

Un'altra storia che accelera e decelera come i suoi stessi protagonisti. La sfida dell'inferno è ovviamente una sfida nella tradizione fantasy: ogni tot di anni le due potenze divine si sfidano per il futuro dell'umanità, ciascuna con i propri inconsapevoli eletti.
Il racconti segue il copione di tante (troppe) storie di Barker. La struttura narrativa, l'impalcatura che sorregge descrizioni e scene, risale alla fiaba tradizionale. Lo scrittore tuttavia sceglie di procedere con uno stile tutt'altro che fiabesco, attraverso lo sfoggio di descrizioni estremamente grafiche e dialoghi tutt'altro che morbidi e classici.
Si consideri la seguente descrizione dello svelamento di uno dei demoni davanti all'attonito Cameron:

"Mostraglielo," disse Burgess con fare magnanimo.
La faccia di Voight tremò, la pelle sembrò raggrinzire, le labbra si accartocciarono scoprendo i denti che a loro volta si sciolsero in una sostanza lattiginosa che si riversava in un esofago che si stava già trasformando in una colonna d'argento sfavillante. Il volto non era più umano, non assomigliava neanche più lontanamente a un mammifero. Era diventato un ventaglio di coltelli le cui lame brillavano alla luce della candela attraverso la porta. Quell'immagine non durò che un attimo, poi iniziò di nuovo a mutare, i coltelli si fusero, si fecero più scuri, spuntarono dei peli, apparvero degli occhi che si gonfiarono come palloni. Dalla nuova testa spuntarono delle antenne. Dal torbidume della trasfigurazione furono espulse delle mandibole e la testa di un'ape, enorme e perfettamente intricata, ora era posata sul collo di Voight.

Come ho scritto altre volte, Clive Barker è il Mr. Hide di Neil Gaiman, il gemello malvagio.

Jacqueline Ess: le sue ultime volontà

Jacqueline è una giovane donna da tempo sposata, scialba e infelice. Le sue giornate trascorrono dentro un limbo di grigia mediocrità, fino a quando decide di tagliarsi le vene. Salvata suo malgrado, Jacqueline scopre di poter manipolare la carne umana con il pensiero. Ha acquisito un'orrifica capacità di trasformazione con la sola forza della mente. Dopo aver accidentalmente trasformato e ucciso lo psichiatra della casa di cura, Jacqueline fugge alla ricerca di una risposta a cosa le sta succedendo...

La versione inglese presenta numerose ristampe dove questo racconto sostituisce il titolo originale, “Ectoplasm”, tanto risulta importante nella produzione di Barker. 
Mentre “Paura” è sopravvalutato, “Jacqueline” è un autentico capolavoro: una narrazione junghiana di Eros e Thanatos dove finalmente scompaiono le rivisitazioni, i riferimenti e gli agganci alla precedente narrativa horror. L'assoluta originalità di “Jacqueline” ci regala finalmente un libro di sangue senza trasfusioni e senza emorragie: un'opera perfettamente completa in sé stessa, barkeriana all'ennesimo livello.

La mia maldestra sinossi non dovrebbe ingannare il lettore sul contenuto della storia. Siate d'accordo o meno, non importa: questa è una storia d'amore. Un profondo romanticismo permea la narrazione di questa donna sperduta dentro un vagabondaggio senza meta, dove l'acquisito potere innesca un percorso di liberazione e trasformazione della propria identità. Mi verrebbe da scrivere di emancipazione, ma si tratta di un iter talmente assurdo, talmente surreale che la semplice metafora superpotere= emancipazione femminile funziona fino a un certo punto.
Sotto il profilo dello stile di scrittura ci sarebbe tanto da criticare, a partire dall'uso esagerato di un raccontato che balza di personaggio in personaggio, per di più alternando l'uso della prima persona.
Un'obbligatoria citazione spetta alla scena di trasformazione dello psichiatra, a ragione entrata negli annali dell'horror:

Semplicemente, così come lo aveva formulato, quel pensiero assurdo cominciò a prendere forma. Purtroppo, contrariamente a quanto spesso accade nelle fiabe, la sua carne non sopportò la magia. Jackie desiderò che il suo petto villoso generasse due seni e infatti cominciò a gonfiarsi in modo molto attraente, finché la pelle si lacerò e lo sterno andò in pezzi. La pelvi, sollecitata al limite di rottura, si spaccò al centro. Sbilanciato, crollò sulla scrivania e da quella posizione la guardò, la faccia gialla per lo choc. Si leccò ripetutamente le labbra, per trovare un po' di umidità con cui parlare. La bocca era secca: le sue parole morivano sul nascere. Era da sotto le gambe che proveniva tutto quel rumore. Gli spruzzi di sangue; il tonfo delle viscere sul tappeto. Jackie urlò di fronte all'assurda mostruosità che aveva creato e si ritirò in un angolo della stanza, dove vomitò nel vaso del ficus.
Mio Dio, pensò, questo non può essere omicidio. Non l'ho nemmeno sfiorato.

La pelle dei padri

Una persona sfortunata, Davidson. Un uomo d'affari, a suo agio nella giungla urbana, con l'auto in panne nel mezzo del deserto dell'Arizona. Dal nulla, la melodia sincopata di un flauto: alla ricerca di un aiuto, s'imbatte nell'allucinante processione d'una serie di creature, l'una più bizzarra dell'altra:

Le creature che chiudevano la processione, quelle di grado inferiore, i tirapiedi, erano dei mostri il cui aspetto non era paragonabile neanche agli incubi più pazzeschi.
Uno era alto forse cinque, sei metri. La pelle, che pendeva dai muscoli formando delle pieghe, era una guaina di aghi, la testa un cono di denti sporgenti, infissi in gengive scarlatte. Un altro era munito di tre ali e dimenava la coda triforcuta nella polvere, con l'entusiasmo di un rettile. Un terzo e un quarto erano uniti in uno sposalizio di mostruosità, il cui risultato era più ributtante della somma delle singole parti. In lunghezza e in larghezza questa simbiosi infernale era congiunta in un matrimonio di penetrazioni, gli arti conficcati e protesi nella carne del partner. Nonostante le lingue fossero attorcigliate insieme, riusciva a emettere un suono cacofonico.

Una processione dallo scopo ignoto, che gli dedica la stessa attenzione di un uomo verso un insetto. Barker chiaramente si riferisce a Hieronymus Bosch nella caratterizzazione delle creature, ma stavolta non vi sono riferimenti all'inferno: sono queste creature surreali da un'altra dimensione, forse alieni, forse qualcos'altro ancora, non è lecito sapere. 

Il paese di campagna più vicino, “Welcome”, ovviamente reagisce alla processione nello stereotipo del migliore redneck: sparare prima di chiedere, ammesso che si voglia davvero parlare. Ma in realtà lo scopo delle creature è tutt'altro, bene lontano dall'aggressione...

“La pelle dei padri” è il racconto migliore dopo “Jacqueline”: idee e stile assolutamente originali, lontani da qualunque cosa sia stata prodotta in precedenza. Le minuziose descrizioni di sbudellamenti e violenze sono certo “horror” per i meno avvezzi al genere, ma la storia ricorda il surrealismo e il non sense della migliore tradizione avanguardista. Un weird scatenato, autocompiaciuto e autoreferenziale, ma pur sempre scatenato e irresistibile. In questo contesto non deve meravigliare come i protagonisti umani siano abbozzi, niente più che macchiette senza un ruolo reale.
L'attacco di massa dei redneck contro i mostri verrà inoltre ripresa nell'altrettanto assurdo film di Barker degli anni '90, ovvero “Cabal” (Nightbreed).

Nuovi omicidi in Rue Morgue

Lewis, un anziano pittore, visita Parigi su richiesta di una sua vecchia fiamma, Katherine: un suo amico dimenticato da tempo, Philippe, è in carcere con l'accusa di omicidio.
Lewis è un lontanissimo nipote del Dupin investigatore prodigio dei racconti di Edgar Allan Poe. La storia teorizza che i racconti della Rue Morgue siano ispirati a fatti reali, ovvero all'incontro tra Poe e Dupin. Lewis è affascinato dalla sua eredità genealogica e letteraria e aveva a suo tempo tramesso questa passione all'amico Philippe, che risedeva proprio nella Rue Morgue luogo dei delitti. Tuttavia, a giudicare dal cambio di eventi, Philippe si è lasciato trasportare dai suoi stessi miti letterari e ora è accusato di omicidio...

La storia più debole dell'intera raccolta e a tutti gli effetti un'esemplificazione di quanto patetica sia la narrativa di Barker quando limita la propria immaginazione alla sterile rivisitazione dei classici. “Nuovi omicidi” leggete nel titolo e potete indovinare chi sia il mandante: una scimmia, come nell'originale di Poe, con l'importante variazione del sesso dell'animale, stavolta femmina. Allevata, cresciuta ed educata come se fosse un essere umano, con le conseguenze del caso.
Se gli stereotipi non vi bastano, Barker riesce persino a descrivere i francesi secondo il cliché nazionalista. Acculturati, effeminati, sgradevoli:

"E quale motivo avrebbe avuto per farlo, secondo lei?"
Corrugò le labbra, girò gli occhi e si batté il petto. "Le coeur humain," disse, come se disperasse della ragione negli affari di cuore. "Le coeur humain, quel mystère, n'est-ce pas?" ed esalandogli in faccia un fiato ulceroso, indicò la porta aperta.
"Merci, Monsieur Fox. Comprendo la sua confusione, oui? Ma lei sta perdendo il suo tempo. Un crimine è sempre un crimine. È reale, non come i suoi quadri."
Vide la sorpresa dipinta sul volto di lui.
"Oh, non sono così incivile da non conoscere la sua reputazione, Monsieur Fox. Ma mi domando e dico, il suo genio è di dare corpo alle sue fantasie come meglio può, oui? Il mio, è quello di ricercare la verità."
Lewis ne aveva piene le tasche delle frasi fatte di quel verme.
"Verità?" ribatté seccato. "Lei non saprebbe riconoscere la verità neanche se ci sbattesse il ghigno."

Il finale stranamente ottimista e il ritmo sostenuto della storia non le impediscono di essere il punto più basso della raccolta, dopo gemme innovative come “Jacqueline” e “La pelle dei padri”.


2 commenti:

Marco Grande Arbitro ha detto...

Il body horror è l'horror che mi ha inquietato di più. Anche qui leggo cose che mi fanno venire la pelle d'oca XD

Coscienza ha detto...

@Marco Grande Arbitro

Alcuni passaggi di Barker sono piuttosto intensi, anche per chi è avvezzo al genere :-)