La rilettura dei “Libri
di Sangue” di Barker procede con lo stesso ritmo forsennato di un
cuore tachicardico: meno d'una settimana per completare il terzo
volume, intitolato nell'edizione Sonzogno, “Sudario”.
L'aggettivo
“lovecraftiano” sottintende un'adesione alle idee e
all'immaginario di HP Lovecraft.
Mi sembra implicito nel
termine: lovecraftiano, di Lovecraft, appartenente allo scrittore.
Il
problema sta nella delimitazione di cosa si dovrebbe considerare
“lovecraftiano” e cosa invece costituisce patrimonio comune
dell'horror.
Ad esempio un racconto dove il protagonista viene
assalito dai topi, non è un racconto lovecraftiano, nonostante la
gemellanza con “I ratti nei muri”. Cifra distintiva di quella
storia non erano solo i topi, ma la discendenza genealogica, la
maledizione genetica perpetuata di generazione in generazione, la
discesa nella follia... troviamo ovunque storie horror con ratti
assassini, non sono certo un elemento lovecraftiano.
Allo stesso
modo, i portali extra dimensionali sono esistiti dagli albori della
letteratura popolare, dalle dime novels, dal pulp, dalla
fantascienza dozzinale. Il concept “entità aliena proveniente da
un'altra dimensione” non è certo propriamente lovecraftiana.
Tuttavia, se quell'esistenza aliena con il suo stesso esistere pone
in negazione la Terra e tutto ciò che definiamo “realtà”, o in
altre parole, se quell'entità smentisce lo stesso concetto di
“esistere”, come il costrutto verbale associato a questo termine,
come la stessa possibilità di formulare un pensiero... forse ci
stiamo avvicinando a qualcosa che si potrebbe definire lovecraftiano,
nel senso che sprigiona un autentico terrore esistenziale.
Clive Barker, uomo
acculturato, avrà senza dubbio letto HP Lovecraft; è tuttavia
dubbio che gli si sia mai ispirato. La filosofia di fondo delle sue
opere, tanto fantasy quanto horror, non sono lovecraftiane. I
cenobiti vengono spesso definiti lovecraftiani e nelle opere ispirate
all'autore, all'aggettivo del primo si affianca il secondo: “The
Void” sarebbe lovecraftiano e barkeriano.
Un errore di
analisi piuttosto grave, anche se sono il primo a farlo, si veda ad
esempio la mia recensione di Infernalia del 2014. I cenobiti, sì,
provengono da un'altra dimensione. Innegabile. Tuttavia rimangono
differenti alla realtà che li circonda; meri esecutori
dell'inconscia volontà di sofferenza dello sventurato che ha aperto
la scatola. I cenobiti non sottintendono inoltre alcuna visione del
mondo lovecraftiana: non tendono a un'apocalisse, non sono agenti di
un caos inconsapevole, sono minacce individuali, come tali ristrette
alla psiche del protagonista. Qualsiasi sia il racconto di Barker, il
cosmicismo proprio di Lovecraft è sempre assente. Il regista di
Hellraiser ha poco a che fare con le mostruosità aliene e con il
weird del Solitario di Providence. Siamo su tutt'altro livello,
tutt'altro piano dimensionale. Come ho già scritto altre volte,
Barker è un autore profondamente romantico. E' un autore impegnato
nella rivisitazione delle mitologie e dei classici del gotico,
affiancando in tal senso negli stessi anni (1990) un autore fantasy
quale Neil Gaiman. Mentre Lovecraft discende di periodo in periodo
nei barocchismi della mente, in lunghe e affascinanti confessioni su
carta, Clive Barker è un autore visivo. Tratteggia panorami,
descrive stupefazioni, inneggia alla potenza immaginativa di
affreschi, di quadri, di disegni, di graffiti. C'è un elemento della
filosofia estetica in Barker, anche nei suoi goffi tentativi
accademici di difendere l'immaginazione e il potere dell'arte.
Lovecraft nutriva un altrettanto maniacale attenzione all'arte e le
accuse di vaghezza e incomprensibilità ai suoi racconti vengono
contraddette dalla cura che dimostra nella descrizione anatomica e
architettonica (in effetti Lovecraft alcune volte descrive gli
edifici con l'empatia di un essere umano e gli esseri umani con
l'empatia di un edificio).
Lasciando da parte
Hellraiser e prendendo in considerazione i “Libri di Sangue”,
Clive Barker adopera inoltre una vasta gamma di citazioni bibliche e
religiose, oltre che un apparato demonologico, cabalistico e
angeologico che sebbene mai preso sul serio sarebbe impensabile per
HP Lovecraft.
Figlio di celluloide
La storia di un evaso dal
carcere, Barberio, che si rifugia in un vecchio cinema abbandonato e
muore alcune ore dopo per un pallottola nella gamba. A sua insaputa,
Barberio nutriva da tempo un tumore, che esce dal suo corpo e si
fonde con lo schermo del cinema. Si tratta di una sorta di alieno, un
bau bau che si nutre delle emozioni degli spettatori ed è in grado
di attirarli mutando la propria forma nelle sembianze dei divi dei film.
E', per l'appunto, un “Figlio di celluloide”.
Gli autori degli anni '70
e '80, tanto nella narrativa (Stephen King) quanto al cinema
(Spielberg), hanno sempre nutrito una malsana affezione per gli anni
'50, rivissuti nell'idealizzazione propria della cultura americana
dell'immediato secondo dopoguerra.
Gli autori horror pagano
sempre, a modo loro, un omaggio al cinema bianco&nero e alla
filmologia della Hammer, che nel bene e nel male, li aveva introdotti
al genere.
Clive Barker, con “Figlio di celluloide”, omaggia e
nel contempo dissacra: se l'affetto verso la cinematografia di quegli
anni trapela dalle pagine, nel contempo lo svolgimento della storia e
la stessa natura del “mostro” impediscono di abbandonarsi alle
lacrime “del bel tempo che fu”.
Come altre storie di
questa raccolta, “Figlio di celluloide” soffre di continue
intermissioni dell'autore, nelle forme di giudizi ironici,
digressioni e continui “raccontati”. La storia in sé funziona,
ma l'idea alla base viene sfruttata solo a metà, anche se conserva
alcune scene d'impressionante impatto, specie quando il tumore/alieno
assume le forme degli attori, da John Wayne a Marilyn Monroe.
Ovviamente, come con il “Canyon delle Ombre”, “Figlio di
celluloide” è una fortissima critica all'industria
cinematografica, un tema quanto mai attuale: la popolarità, i divi,
i producers alla Weinstein sono, letteralmente in questo caso, tumori
della società.
Testacruda Rex
Zelo è un pacifico
villaggio a sud est di Londra, una meta prediletta di turisti e
uomini di città ansiosi di trasferirsi nella calma della natura. Gli
abitanti, chiamati zeloti, sono campagnoli di origine celtica
abituati al passaggio di ogni genere d'invasione, dai romani, ai
normanni, agli odierni “nuovi barbari (…) armati di buone maniere
e denaro contante”.
La calma del paesino va
incontro a una dura prova quando uno dei contadini svelle una lapide
preistorica, liberando così una creatura umanoide che vi era stata
sepolta e maledetta. Una creatura pagana, simboleggiante la morte e
il principio maschile, dall'aspetto di un troll e voracemente
affamata di carne umana. Si dia inizio al bodycount...
“Testacruda Rex” è
una storia con due anime contrapposte, che raramente al di fuori
dell'universo di Barker riuscirebbero a coesistere: da un lato uno
slasher che si stenta a definire “storia”, tanto le diverse scene
di uccisioni sono scollegate tra loro; dall'altro sulle stesse scene
di uccisioni Barker ricama una ragnatela di simbolismi, di mitologie,
di giochi e riferimenti ironici.
Testacruda, ad esempio, è
chiaramente un mostro pagano, abituato a regnare sugli umani e a
pasteggiare con bambini cristiani nel folto della foresta. Tuttavia
la soluzione per sconfiggerlo, che si annuncia “nascosta” nella
chiesa, è una venere preistorica, dunque un altro oggetto pagano,
simbolo di quel principio femminile verso il quale Testacruda è
l'esatta antitesi (a sua volta Barker ironeggia sull'intera faccenda,
senza prendersi sul serio).
Purtroppo tutto ciò non
impedisce a Barker di scivolare dentro tanti errori da principiante,
dallo stile di scrittura piuttosto rozzo, facile al turpiloquio
sgraziato, alle intermissioni del narratore onnisciente e i continui
cambi di protagonista e prospettiva. Se siete appassionati di vhs,
horror anni '80 e adattamenti improbabili, recuperate il film di
culto che spinse un disperato Barker a darsi alla carriera
cinematografica proprio per evitare futuri scempi del genere.
Confessioni di un sudario
(di pornografo)
Ronnie Glass è un
contabile piccolo piccolo, che ha sempre desiderato trascorrere una
vita tranquilla e rispettabile. Nel tentativo di arrotondare il suo
magro salario, accetta di svolgere delle pratiche burocratiche per
degli “amici”, che si svelano essere malavitosi e trafficanti di
materiale pornografico. Quando Ronnie scopre che sta conteggiando i
guadagni d'un giro illegale si rifiuta di continuare, viene
minacciato, pestato e infine denunciato alle autorità come l'unico
responsabile e pubblicizzato sui giornali come il “pornografo”.
L'uomo si vendica uccidendo due dei tre mafiosi che l'avevano
incastrato, prima di venire catturato, torturato e ucciso. Al momento
dell'autopsia, tuttavia, l'ancora infuriato Ronnie “anima” il
sudario e come un moderno fantasma si dirige verso i suoi uccisori...
Solitamente le
rivisitazioni dei classici di Barker non sono tra i suoi lavori
migliori, perchè ostacolati dalla struttura originaria, che si può
rovesciare e sovvertire, ma con un preciso limite di fondo. Se scrivi
di Dracula, devi scrivere di un vampiro dalla Transilvania. E'
implicito nel tema. Il rovescio della medaglia è l'apprezzamento di
tanti lettori, che si ritrovano altrimenti spaesati dal surrealismo e
dalle descrizioni schizoidi di tanta produzione barkeriana.
Rivisitare vecchi
stereotipi conforta il lettore.
“Sudario” compie
un'operazione simile, ma alla rovescia. Invece di presentare lo
stereotipo e rovesciarlo da cima a fondo, presenta una situazione
originale e la rovescia fino a farla ridiventare un vecchissimo
cliché. Ronnie al momento della morte rimane cosciente e la sua
anima fuoriesce in cerca di vendetta dal suo corpo materiale,
fondendosi con il sudario della sala delle autopsie. La mente di
Ronnie anima il sudario, che diventa il suo “corpo”: può dargli
forma, consistenza, addirittura con sforzo (sovr)umano modellarlo
nelle fattezze di un volto con occhi, bocca... un volto umano, anche
se dal bianco pallore proprio di un lenzuolo.
Riuscite a riconoscere lo
stereotipo... è il fantasma! Il cliché più vecchio, più
tradizionale, il primo fantasma che tutti da bambino impariamo a
camuffare: un lenzuolo (il sudario) sul corpo, con due fori a mo' di
occhi e le braccia che agitano i lembi per spaventare il fratello o
la povera nonna o l'animale domestico, ecc ecc
Come con “Testacruda
Rex” lo stile di scrittura risulta altalenante e lo stesso
svolgimento della storia andava accorciato, specie nel confronto
finale con il boss mafioso.
Clive Barker nel 1986 |
Capri espiatori
Quattro turisti su una
barca a vela, destinazione: sole e divertimento. La realtà cruda di
un viaggio in mare senza meta e senza preparazione: tensione, litigi,
incidenti, chiglia intrappolata sullo scoglio di un'isoletta
dimenticata dagli dei, nient'altro che sassi e spazzatura. La
situazione sembrerebbe già fosca, tra la radio rotta e una nebbia
persistente, quando i protagonisti scoprono la locazione: quella non
è un'isola ma un cimitero...
Storiella sulla falsariga
di tanta produzione di Stephen King.
Gruppo più o meno odioso
di giovani protagonisti entra in contatto con una situazione
soprannaturale che si rivela mortale e muoiono tutti, nessuno
escluso. La sola differenza è il livello di splatter e violenza,
così come una sincera inquietudine trasmessa dalle prime pagine,
quando i turisti vagano sull'isola inconsapevoli di trovarsi sui
resti di una gigantesca necropoli.
"Sarebbe un cimitero?" chiese Angela. "Che tipo di cimitero?"
"Morti di guerra," rispose Ray.
"Vuoi dire un cimitero di vichinghi o qualcosa del genere?"
"Prima guerra mondiale, seconda guerra mondiale, soldati di navi da trasporto silurate, marinai portati fin qui dalla Corrente del Golfo. Sembra che ci sia un gioco di correnti per cui i morti vengono abbandonati dalla risacca sulle spiagge delle isole qui intorno.""Abbandonati dalla risacca?" ripetè Angela perplessa.
"Così c'è scritto."
"Ma ormai non succederà più."
"Io credo che di tanto in tanto ci arrivi ancora qualche pescatore sfortunato," rispose Ray.
Il racconto è molto più
coeso delle storie precedenti e la prima persona adottata tiene col
fiato sospeso il lettore, ma gli manca quella scintilla di follia e/o
genialità che contraddistingueva il resto dell'antologia.
Spoglie umane
Gavin è un giovane gigolò
a Londra, che si guadagna da vivere alla giornata.
Raffinato, a suo agio nel
sottobosco criminale della metropoli, Gavin è tuttavia preoccupato
dall'avanzare delle rughe, fin troppo consapevole di non avere altro
da offrire una volta trascorso il fiore della gioventù. Mentre spera
di conquistare il cuore di una ricca ereditiera Gavin viene invitato
da uno dei suoi clienti, un amante dell'archeologia. Tra i suoi
reperti l'uomo conserva una statua dell'era romana, dalla fattezze
facciali stranamente simili al volto di Gavin...
“Spoglie umane” è la
perla dell'antologia, last but not least, il racconto da solo
meritevole dell'antologia. Come con “Sudario”, anche con “Spoglie
umane” Barker introduce un elemento soprannaturale che appare
“diverso” dalla norma a cui siamo abituati, salvo in seguito
ri-trasformarlo nell'ennesimo stereotipo che tutti amiamo: in questo
caso le bambole.
Gavin è chiaramente un
personaggio parzialmente autobiografico, se se considerano i
trascorsi di Barker negli anni '80, quando le vendite dei primi libri
e del lavoro teatrale non riuscivano a supportarlo e si ritrovava
spesso a lavorare nel settore della prostituzione.
La filosofia di fondo
tanto dello Splatterpunk quanto dello stesso Barker predicava inoltre
di scegliere protagonisti e comprimari dai margini della società: un
requisito ancora una volta soddisfatto dalla figura di Gavin. Barker
inoltre non ama i personaggi troppo idealizzati: Gavin è vanitoso, a
tratti violento, con una pericolosa dose di egoismo.
La statua che Gavin scopre
a mollo nella vasca da bagno di un suo cliente è una statua romana
trafugata illegalmente da uno scavo archeologico. La pericolosa
somiglianza tra Gavin e la statua trova una sua altrettanto
pericolosa coincidenza i giorni che seguono, quando Gavin scopre di
avere un doppelganger. Un suo doppio gira per le strade di
Londra, ammazzando e mutilando i suoi clienti. Si tratta della statua
stessa, in realtà una creatura magica che scolpisce il suo corpo di
marmo nelle perfette sembianze di chi ha scelto di “sostituire”:
giorno dopo giorno si modella nelle forme dell'originale umano. E'
inoltre possibile accelerare il processo con bagni di sangue umano.
L'idea della statua
rimanda a bambole e manichini – da sempre un elemento dell'horror –
mentre la sostituzione del sé mediante una “copia” rimanda a un
classico degli anni '50 come L'invasione degli ultracorpi. E
ovviamente c'è qualcosa di Dorian Gray, a partire dal narcisismo di
Gavin.
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