Ho iniziato a dedicare uno
o più articoli all'E3 di Los Angeles dai tempi del 2012, oramai sei
anni fa, e devo ammettere che mai i videogiochi presentati si sono
rivelati all'altezza dello straordinario hype nutrito da giocatori e
giornalisti.
Esiste un mito dell'E3, un
mito della kermesse los angelina come luogo di continue meraviglie;
dall'altro e lo ammetto con amarezza, esiste la realtà di una fiera
basata sull'industria videoludica, dalla quale non ci si può
aspettare anteprime e prodotti qualitativi di anno in anno, di mese
in mese.
I videogiochi richiedono
tempo per essere progettati e costruiti; un dato che molti giocatori
preferiscono ignorare e del quale ce se ne accorge solamente seguendo
passo per passo il processo produttivo, nella forma ad esempio di un
finanziamento via Kickstarter.
Ci sono così tanti
ostacoli, così tanti costi, così tante ingerenze, così tante
esigenze; produttive, tecniche, pubblicitarie, politiche, sociali,
umane...
Quindi, sì, questo E3
2018 è stato un E3 più interessante di tanti altri, certo più
ricco di annunci e anteprime, ma è continuata a mancare quella
sorpresa, quell'assoluta meraviglia, quella IP inaspettata che tutti
continuano a rincorrere: io, dal mio canto, mi sono messo il cuore in
pace e a partire dai prossimi anni se mi capiterà di guardare
qualcosa dell'E3, bene, contentissimo, altrimenti lascerò perdere,
senza aspettare trepidante lo streaming delle diverse
conferenze.
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Mike Pondsmith, barman extraordinaire. Irraggiungibili livelli di coolness. |