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sabato 16 giugno 2018

Cyberpunk 2077, dalla Polonia con furore: un'analisi filologica, tra Moebius e Mike Pondsmith


Ho iniziato a dedicare uno o più articoli all'E3 di Los Angeles dai tempi del 2012, oramai sei anni fa, e devo ammettere che mai i videogiochi presentati si sono rivelati all'altezza dello straordinario hype nutrito da giocatori e giornalisti.
Esiste un mito dell'E3, un mito della kermesse los angelina come luogo di continue meraviglie; dall'altro e lo ammetto con amarezza, esiste la realtà di una fiera basata sull'industria videoludica, dalla quale non ci si può aspettare anteprime e prodotti qualitativi di anno in anno, di mese in mese.
I videogiochi richiedono tempo per essere progettati e costruiti; un dato che molti giocatori preferiscono ignorare e del quale ce se ne accorge solamente seguendo passo per passo il processo produttivo, nella forma ad esempio di un finanziamento via Kickstarter.
Ci sono così tanti ostacoli, così tanti costi, così tante ingerenze, così tante esigenze; produttive, tecniche, pubblicitarie, politiche, sociali, umane...
Quindi, sì, questo E3 2018 è stato un E3 più interessante di tanti altri, certo più ricco di annunci e anteprime, ma è continuata a mancare quella sorpresa, quell'assoluta meraviglia, quella IP inaspettata che tutti continuano a rincorrere: io, dal mio canto, mi sono messo il cuore in pace e a partire dai prossimi anni se mi capiterà di guardare qualcosa dell'E3, bene, contentissimo, altrimenti lascerò perdere, senza aspettare trepidante lo streaming delle diverse conferenze.

Mike Pondsmith, barman extraordinaire. Irraggiungibili livelli di coolness.