Ho iniziato a dedicare uno
o più articoli all'E3 di Los Angeles dai tempi del 2012, oramai sei
anni fa, e devo ammettere che mai i videogiochi presentati si sono
rivelati all'altezza dello straordinario hype nutrito da giocatori e
giornalisti.
Esiste un mito dell'E3, un
mito della kermesse los angelina come luogo di continue meraviglie;
dall'altro e lo ammetto con amarezza, esiste la realtà di una fiera
basata sull'industria videoludica, dalla quale non ci si può
aspettare anteprime e prodotti qualitativi di anno in anno, di mese
in mese.
I videogiochi richiedono
tempo per essere progettati e costruiti; un dato che molti giocatori
preferiscono ignorare e del quale ce se ne accorge solamente seguendo
passo per passo il processo produttivo, nella forma ad esempio di un
finanziamento via Kickstarter.
Ci sono così tanti
ostacoli, così tanti costi, così tante ingerenze, così tante
esigenze; produttive, tecniche, pubblicitarie, politiche, sociali,
umane...
Quindi, sì, questo E3
2018 è stato un E3 più interessante di tanti altri, certo più
ricco di annunci e anteprime, ma è continuata a mancare quella
sorpresa, quell'assoluta meraviglia, quella IP inaspettata che tutti
continuano a rincorrere: io, dal mio canto, mi sono messo il cuore in
pace e a partire dai prossimi anni se mi capiterà di guardare
qualcosa dell'E3, bene, contentissimo, altrimenti lascerò perdere,
senza aspettare trepidante lo streaming delle diverse
conferenze.
Mike Pondsmith, barman extraordinaire. Irraggiungibili livelli di coolness. |
Alla fine ho deciso di
analizzare sul blog il trailer di “Cyberpunk 2077” e lasciar
stare tutto il resto, nonostante vi siano menzioni e giochi
interessanti, nell'ormai oceano vorace di Multiplayer, Battle Royale
e generalmente giochi dove la componente “storia” è ormai
completamente scomparsa. Sono il primo a speculare sul nulla, ma
alcuni trailer e annunci, specie dalla Bethesda e da Ubisoft erano
talmente esili, talmente brevi da lasciare senza parole. Sì, ok, un
nuovo Elder Scrolls, una nuova IP, ma di cui non sapremo
assolutamente nulla per i prossimi due anni; senza considerare la
fumosissima (altro che Steam!) inconsistenza di Beyond Good and Evil
2.
“I'm building Disneyland in a dark future” (Mike Pondsmith)
Partiamo dunque con i pesi
massimi, con Cyberpunk 2077, dei mitici CD Projekt Red.
E' stato tra i primi
trailer che abbia analizzato, nel lontano 2013, cinque anni addietro.
All'epoca scrivevo come nel 2016 il gioco sarebbe uscito e
addirittura immaginavo di giocarlo con il laptop al momento in uso,
ormai un catorcio fumante che funziona solo per pura caparbietà
elettronica. Ingenuità di generazioni precedenti, di console
dimenticate.
Il secondo trailer non
poteva che essere questo, ovvero un ribaltamento totale e assoluto di
quanto visto nel 2013, un completo rovesciamento: una metropoli
soleggiata, un protagonista maschile, una realtà civile e non
militare, una sequenza ipercinetica di una città che vive e respira,
un organismo vivente nutrito d'hyperspazio e innesti cibernetici, di
assoluta modernità e anacronistiche tradizioni.
Lo sfoggio di
worldbuilding, nell'accumulo di pochi minuti di scene di vita e
combattimento, richiederebbe diversi articoli, se non un vero e
proprio saggio, per esplicitare tutti i particolari, gli
ammiccamenti, le re-invenzioni, le sottigliezze mimetizzate nel corpo
action del titolo.
Meglio di ogni cosa andare a pigliarsi il gioco di
ruolo cartaceo, Cyberpunk 2020, rigorosamente nell'ed. italiana con
le splendide donne guerriere di Paolo Parente e confrontare
fotogramma per fotogramma, comparando inquadrature e illustrazioni.
E' impressionante come siano riusciti a fondere così armoniosamente
l'estetica cyberpunk 2020 alle influenze del nuovo millennio,
conservando la giappofilia di quegli anni (bacchette&ciotola di
ramen, katane, una generale influenza da Tokyo, yakuza, ninja e così
via...), senza tuttavia renderla predominante, anzi mescolandola a un
multiculturalismo sporco e proprio degli ultimi decenni, dalle
influenze indiane, (pilota del taxi, turbanti sikh) ai feticci propri
di Blade Runner, con le auto volanti e ovviamente l'unico elemento
invecchiato bene dagli anni '80, ovvero le modifiche cibernetiche,
qui portate un passo oltre nell'incantevole scena della giovane che
si fa le ciglia.
Cyberpunk 2077 pertanto riesce a innovarsi, ma nel
contempo si mantiene all'interno del filone, anzi, si rinnova proprio
nella fedeltà a quel genere, a quell'estetica, a quell'urlo punk...
Trauma Team, il pronto soccorso di Cyberpunk 2077 |
Tralasciando come le
influenze da Cyberpunk 2020 fossero già evidenti nel trailer del
2013, mi domando chi diamine preferisca un'estetica fantascientifica
cyberpunk propria degli ultimi vent'anni, dove ci si rifiuta
categoricamente di avere una qualsiasi personalità, limitando il
-cyber ad aggeggi tecnologici volutamente senza decorazioni, minimali
e nello stile della Apple: tanto funzionali quanto invisibili,
bianchicci e grigi, senza traccia di sporco, di usura, di presenza
umana.
Cosa rimane, della fantascienza cyberpunk degli ultimi decenni, con riferimento ai film e alla tv: opere inconsistenti,
geniali nella trama, ma senza carattere, senza personalità, senza
direzione artistica. Una reciproca masturbazione di idee e “What
if” compiaciuto e intelligente, interrotto nella sua oscenità
informe da quell'autentica orgia visiva, quell'amplesso artistico che
è stato l'ultimo Blade Runner 2049. Con un salto di trent'anni dal capolavoro di Villeneuve,
benvenuti nel mondo di Cyberpunk 2077, nuovo filone finalmente
improntato a qualcosa di più della semplice disquisizione
scientifica, dell'arguta trama incastro propria dei film di Nolan,
dove il sentimento scompare a favore dello spocchioso riconoscimento
della propria intelligenza.
Sentimento, finalmente;
romanticismo, in Blade Runner; meraviglia e disperazione -punk; in
Cyberpunk 2077. E' tempo di spostarsi in questi territori emotivi e
lasciare nel loro brodo cognitivo la spaventosa inconsistenza di
questi ultimi anni.
Quando scrivevo nel 2013
non conoscevo e non era altrettanto vivo Youtube, così come Reddit e
i diversi canali dedicati ad analizzare trailer e uscite uno
screenshot dopo l'altro. Mi limiterò pertanto a segnalare alcuni
elementi a mio parere ancora ignorati dagli appassionati e dalla
critica.
La fedeltà a Cyberpunk
2020 è tale che esiste ancora l'URSS, come nel gioco di ruolo,
risalente agli ultimi anni Ottanta. Lo si scopre solo fermando il
trailer e individuando la falce e martello su uno degli impianti di
un malvivente, nella sparatoria a metà trailer. Nel gioco gli
impianti soviet costavano poco, erano solidi e affidabili, anche se
piuttosto indietro nel livello tecnologico.
Hajime Sorayama è un
illustratore giapponese nell'insieme sopravvalutato, la cui “arte”
consiste nel saper disegnare pin up nello stile degli anni
cinquanta, reinventate come sinuosi robot: androidi lucidi e
perfetti, dove la cromatura della pelle/carrozzeria “nuda”
riflette bene l'edonismo del 1980. Lo apprezzo personalmente, anche
se è un genere di arte che comprendo ripetitiva, non lontana dalle
marionette sessuali di Manara, per altro attenta a non essere mai
provocatoria.
Tuttavia, grazie alla presenza su diversi supplementi
di Cyberpunk 2020, Sorayama è divenuto un “simbolo” di quel
mondo, con speciale riferimento alla moda e al mondo della musica,
presente con Pondsmith nelle diverse carriere del gioco, come la
rockstar (!).
Il trailer presenta una
delle pin up di Sorayama che discende da un auto su una passerella di
alta moda, una trasposizione in toto delle illustrazioni di quel
decennio.
Dal mondo (corrotto) delle
stelle, al sudicio (onesto) del white trash di periferia: il
seguente fotogramma è stato criticato come lontano dal cyberpunk, ma
cattura invece perfettamente l'adattamento alla modernità dei CD
Projekt Red.
Nell'ambientazione
originale il “punk” era il ragazzo ribelle alle autorità, ma
generalmente inserito in un'ambientazione ricca. Qui invece compare
raffigurato un redneck aggiornato alla modernità, strenuo
rappresentante di una classe lavoratrice distrutta da entrambi le
parti politiche in causa, eppure ancora viva e disposta a combattere.
Cosa c'è di più punk di
un grasso redneck che difende la sua ragazza incinta di origini
mulatte con un gigantesco shotgun tecnologicamente avanzato, sullo
sfondo di una catapecchia con antenna satellitare e pannelli solari,
accanto a diversi autoveicoli tanto trasandati quanto rozzamente
modificati con le ultime novità disponibili.
Una vita di merda, ma con
un alto livello tecnologico. In altre parole, Cyberpunk.
I detrattori di questo
genere amano ripetere fino alla nausea come sia un futuro dove non si
viaggia nelle stelle, dimenticando invece come in tante storie e
giochi esistono basi sulla Luna e Marte, con la sola differenza di
essere tecnologicamente realistiche e lontane da un'utopia
libertaria.
Una sezione del trailer
mostra un volo sub orbitale, ma non è chiaro se ci saranno basi
sulla Luna o si tratti di un volo a velocità supersonica tra le
diverse metropoli dell'ambientazione. Le hostess vestono un'uniforme
identica alle inservienti del Quinto Elemento di Luc Besson, del quale
abbiamo anche una citazione nelle auto volanti e nei taxi.
Tra le tante analisi, vi rimando all'ottima comparazione di Neon Dystopia, che contrappone le illustrazioni originali alle diverse scene del gioco, con riferimento ad esempio alla riunione dell'Arasaka Corporation.
CD Projekt Red aveva anche
a disposizione una demo, non giocabile, presentata esclusivamente ai
giornalisti presenti; una prassi piuttosto diffusa, specie dalla
Rockstar Games.
Tra le novità in termini
di gameplay, ha riscosso un certo clamore l'annuncio della prima
persona.
Ora, a questo proposito,
come al riguardo di ogni dettaglio del gameplay, è necessaria una
doverosa premessa: noi non sappiamo minimamente come sarà “Cyberpunk
2077”. Sappiamo dell'esistenza di una demo, che tuttavia è stata
appositamente costruita per impressionare e stupire i giornalisti; si
tratta di una presentazione, creata ad hoc per lustrare gli occhi
degli spettatori. E per altro noi giocatori abbiamo solo a
disposizione il nuovo trailer, certo con grafica in game, ma
senza effettivo gameplay. Possiamo solo avanzare ipotesi, illazioni,
bene consapevoli di poterci sbagliare.
Io non mi aspetto da
Cyberpunk 2077 un “Witcher 4”, una semplice trasposizione dal
fantasy alla fantascienza. I CD Projekt Red hanno sempre ricercato la
pura eccellenza nel campo dell'RPG single player, hanno sempre
cercato di alzare l'asticella della grafica, del gameplay e
sopratutto dei sentimenti, di una storia a tutto tondo, capace di
rivaleggiare con i migliori classici della letteratura.
Rimarrei francamente
deluso da quanto i fanboy invece desiderano e pretendono, ovvero un
semplice “Geralt nello spazio”, un banale, banalissimo Blade
Runner da “giocare”.
Quando metterò mano al
gioco, nel duemilamai, desidero restare stupefatto, letteralmente
abbagliato come un coniglio davanti alle luci di un camion
nell'autostrada, incantato da qualcosa che non mi sarei mai
immaginato. In altre parole, non desidero un gioco da sogno, ma
qualcosa che non mi sarei neppure sognato. Sorprendimi, CD Projekt
Red.
Si discute pertanto di una
prima persona, ma inviterei a ipotizzare una prima persona
radicalmente diversa da quanto siamo abituati: un'immersione radicale
e manifesta, qualcosa di autenticamente innovativo.
Credo sia evidente a tutti
i giocatori come le prime persone cambino totalmente a seconda del
gioco, della percezione e delle azioni possibili: c'è una notevole
differenza tra la prima persona di Skyrim, di Bioshock, di Deus Ex,
di Call of Duty... al di là delle dimensioni delle armi, che negli
autentici sparatutto occludono la visuale, manca un paragone
fondamentale: Dishonored. Se occorre ricercare un paragone,
Dishonored mi sembra un esempio perfetto di una combinazione tra
poteri e armi da fuoco paragonabili al progetto dei CD Projekt Red.
Gli sviluppatori hanno ripetuto più volte alle orecchie sorde dei
fan come il videogioco avrà una componente di arrampicata,
verticale, tanto con i veicoli quanto a piedi, molto forte, coerente
d'altronde con il carattere metropolitano e noir del gioco. Una città
costruita su molteplici livelli, stratificatosi nel tempo,
cementificata sulla base di profonde diseguaglianze.
Secondariamente,
accanto alla dimensione della verticalità, va affiancato un elemento
di “chiusura”: corridoi, locali underground, strade
trafficate, quartieri claustrofobici, tane e rifugi, hotel e
ospedali. La terza persona in ambienti del genere pone singolari
problemi alla telecamera, oltre a “rompere” l'immersione molto
più che negli spazi sconfinati e “naturali” di The Witcher.
Mi
sembra una questione francamente più “tecnica”, che ideologica:
così com'è costruito, un videogioco cyberpunk in terza persona
incontrerebbe forti problemi, nella misura in cui gli ambienti chiusi
superano 100 a uno i larghi spazi.
Se volete giocare con una
telecamera che rimbalza sul soffitto, accomodatevi.
La questione, che resta
incerta, non voglio dire che non si risolverà in una delusione anche
per il sottoscritto, della prima persona, viene affrontata in un
dialogo di Mike Pondsmith, designer del gioco di ruolo cartaceo, con
Angry Joe. Si tratta dell'ennesima riconferma di una prima persona
decisamente lontana da quanto ci si aspetta (3:08). La traduzione è
a braccio, anche perchè si tratta di una conversazione, non un
comunicato stampa.
Quando ho visto per la prima volta la demo, c'è una scena che forse spiega meglio di altre il perchè della prima persona. Ho camminato vicino a un auto e ho sentito un tizio parlare della sua ragazza, proprio vicino a me e cosa succederebbe se sentissi invece qualcuno dire “Oh l'ho ucciso!” e voglio sapere cos'è successo, voglio fermarmi e vedere cosa sta succedendo. Il punto è che si tratta di un ambiente estremamente urbano, dove avvengono cose sotto i tuoi occhi tutto il tempo, mentre invece se sei in terza persona e stai guidando questo manichino in giro, non hai quella stessa sensazione di essere in quel luogo, prendendo informazioni, guardando per opportunità, quel genere di cose che se ci sei dentro ti colpisce, quando invece sei fuori o sopra, sono solamente informazioni tattiche...
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di una persona che ammiri spesso porta a rivalutarla negativamente e
a separare per l'ennesima volta opera e autore, politica e cultura.
Non sono tra coloro che amano queste separazioni, anzi, sono
dell'idea che gli autentici capolavori coincidano con posizioni
politiche e culturali raffinate, mentre dall'altro trovo inguardabili
film e serie tv di cui so l'autore essere una persona che si è
macchiata di gravi crimini, per i quali per altro non ha mai fatto
apologia.
William Gibson purtroppo è un altro di questi casi:
personaggio affascinante, scrittore capace, saggista con alcune idee
interessanti, negli ultimi anni, come tante persone nella vecchiaia,
è diventato un neo liberale pauroso di ogni novità, il centrismo
personificato. Ha sostenuto “Killary” Clinton contro Bernie
Sanders alle elezioni del 2016 e ora passa il suo tempo su Twitter a
lamentarsi di come fantomatici hacker russi attentino alla democrazia
americana. C'è una certa ironia nell'immagine dell'inventore del
cyberpunk sostenitore acceso di un turbo capitalismo denunciato dai
suoi stessi personaggi. Bruce Sterling, al contrario, continua a
scrivere riflessioni tanto affilate quanto acute, proprie di una
persona europea, apolide, in continuo viaggio tra Belgrado e Torino.
Non si è fossilizzato, al contrario dell'americano Gibson. Ora, se solo sapesse
scrivere decentemente...
Mi dispiace Gibson, ma una
delle condizioni base del Cyberpunk non è la pioggia o la notte, a
meno di far equivalere il film di Blade Runner con un intero genere
letterario.
Quale straordinaria miopia
può portare a lamentarsi di un trailer solo per la presenza di un
cielo assolato! Il sole, grande nemico di vampiri, ragazzini goth e
di William Gibson.
La pioggia era un marchio
distintivo dei noir, a sua volta re-interpretato da Blade Runner,
assieme al romanticismo del genere.
Mike Pondsmith risponde a William Gibson (Reddit) |
Quale capolavoro cyberpunk
tutti, anche al di fuori degli specialisti, ricordano con affetto?
Quale film, dopo Blade
Runner, personifica meglio i dilemmi di questo genere?
Ghost in the Shell, è
ovvio. Manga e ancor più anime.
Quale storia della tenente
Motoko Kusanagi tutti ricordano con grande emozione e affetto?
Qual è la più
popolare, la più conosciuta anche tra coloro che disprezzano i cartoni
giapponesi?
Il film di Ghost in the
Shell dell'assoluto genio registico Mamoru Oshii, ovviamente.
Quale scena, in questo
film così famoso, viene solitamente ricordata?
E' ovvio, ancora una
volta: si tratta dell'inseguimento e scontro tra una Motoko con veste
mimetica e un malvivente in fuga negli slums.
E quale tempo atmosferico
domina in quella scena e in una consistente porzione di un film così
cyberpunk, così dannatamente iconico... il sole, ovviamente. Il
cielo più limpido, il sole più cocente.
Mike Pondsmith ha inoltre
rassicurato come vi sarà all'opera un ciclo giorno-notte completo di
albe e tramonti, intervallato da un meteo quanto mai instabile,
comprese le piogge acide.
La necessità di un
cyberpunk con il ciclo giorno/notte è anche legata alla pericolosità
dei quartieri, invasi nelle ore notturne da gang e trafficanti di
strada. On passant, a proposito dell'ambiente, è interessante
osservare fino a quale livello il gergo già presente nell'originale
sia stato applicato alla trasposizione videoludica, con tutti i
soprannomi e i nomignoli associati, mentre dalla demo presentata il
protagonista stesso s'inietta una vasta gamma di droghe e narcotici,
un altro elemento anni '80 solitamente ignorato negli adattamenti
recenti (ne discute Rock Paper Shotgun)
La critica di William
Gibson, innegabilmente ottusa, viene considerata con speciale
reverenza per il suo ruolo di “patriarca” del cyberpunk...
eppure, se si guarda all'aspetto artistico e alla natura “composita”
della metropoli cyberpunk, ci sovviene un altro antecedente,
d'incomparabile spessore: il magnifico fumetto anni '70 “The Long Tomorrow”,
con Jean Giraud, alias Moebius, alle matite e quel folle di Dan O'Bannon alla sceneggiatura.
La commistione tra tecnologia
pervasiva e povertà, tra i diversi “livelli” delle metropoli, il discorso sui media e i mezzi di comunicazione... sono tutti
elementi in seguito ripresi dal cyberpunk e che qui trovano un
antenato artistico d'immenso spessore.
E mi dispiace Gibson, ma
la città di Moebius è quanto di più solare si possa
immaginare, senza essere meno punk, meno distopica, meno terribile.
2 commenti:
Mi hai fatto venire voglia di scoprire perché il cyberpunk è associato con la pioggia.
L’associazione sembra essere cominciata con Blade Runner. Di solito tutti dicono che hanno messo la pioggia nel film per imitazione dei film noir. Però Ridley Scott ha detto chiaramente che nel film piove “Because you can't make a spinner fly without a crank. That's why it was raining in the shot, to hide the cables.”
Poi ovviamente mi è venuta la curiosità di vedere perché nei film noir c’era la pioggia. Anche perché andando a intuito mi verrebbe da pensare che film noir => film => Hollywood => California => Sole.
Non ho trovato sulla rete una risposta definitiva. Alcuni dicono perché se piove c’è meno gente in giro (quindi come supporto alla narrazione), altri dicono perché con buio e pioggia si possono nascondere meglio la povertà dei teatri di scena (quindi come supporto al portafoglio). O, più semplicemente, perché la pioggia mette tristezza (cosa comunque discutibile).
Poi si dovrebbe anche vedere quanta pioggia ci sia nei film noi. L’Encyclopedia of Film Noir di Mayer&McDonnell non la cita mai. Siamo sicuri che fosse così importante?
Alla fine la pioggia nel cyberpunk mi pare sia qualcosa come il teletrasporto in Star Trek – se lo sono inventato per tagliare sugli effetti speciali (far atterrare un’astronave ogni puntata costava troppo) e la cosa è diventata uno dei simboli della serie.
Sì, concordo che ne possiamo fare benissimo a meno – anche perché un videogioco con un ciclo notte/giorno e un ciclo “climatico” sarà sempre più interessante di un videogioco dove è sempre buio e piove sempre.
@LorenzoD
Se t'interessa l'aspetto produttivo dell'opera di Ridley Scott dovresti cercare il manualetto/saggio "BFI Modern Classics: Blade Runner" di Scott Bukatman, oltre al documentario "Dangerous Days: Making Blade Runner", dove tra interviste e riprese di produzione, si "mostra" la graduale trasformazione della città in una metropoli cyberpunk.
La pioggia tuttavia era già presente nei bozzetti di Syd Mead e non era l'unico elemento atto a nascondere la povertà della produzione; di solito Ridley cita il vapore e lo smog onnipresente, così come le cartacce e la generale atmosfera di sporco, specie nelle vie laterali e negli anditi.
Ecco, in effetti una critica valida al trailer è come la città non sia mai autenticamente sporca, a paragone ad esempio con la magnifica (e lurida) New York degli anni '70. Speriamo ci vadano giù pesante con i danni ambientali e l'inquinamento, anche se già il riferimento alle piogge acide lascia ben sperare...
Ammetto di non sapere tantissimo sul cinema noir, anche se senza pioggia scomparirebbe tanto dell'abbigliamento iconico dell'investigatore di quel genere, tra cappello, trench e bottiglia da alcolizzato... ecc ecc
Chiaro, si tratta di stereotipi, ma nella trasposizione allo cyberpunk lo stile trionfa sempre sulla sostanza, in accordo ai decenni "postmoderni" nei quali nasce il genere ('70-'80-'90).
Un altro riferimento piuttosto forte che è stato notato dai commentatori è con il mondo (i Mega-Blocks!) del Giudice Dredd, mutanti a parte...
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