martedì 3 luglio 2018

New Camelot, di Lorenzo Davia: quando il fantasy diventa urban


New Camelot è il perfetto modello di una città, non il modello di una città perfetta. 
Scriveva così, riferendosi all'immane megalopoli, il sociologo Lewis Mumford, descrivendo bene la natura selvaggia, caotica e multi culturale di New Camelot. 
La città dei mulini satanici di William Blake, dove masse di umili lavoratori lavorano sotto la sferza delle oligarchie industriali, così come la città delle mille possibilità, dove all'angolo di ogni via potrebbe aspettare in agguato tanto il successo quanto il coltello di un teppista qualunque. 
New Camelot, New Camelot, città che non dorme mai: luogo di travolgenti successi e altrettanto travolgenti cadute, città dalle avveniristiche tecnologie e dalle ataviche magie. 
Le proprie case distrutte, i propri ambienti inquinati e sfigurati da una selvaggia industrializzazione: tutte le razze fantastiche si sono qui riunite, alla disperata ricerca di un lavoro, di una possibilità, di una vendetta. 
Gli elfi dominano gli ultimi livelli, nella qualità di dirigenti aziendali, di broker, di impiegati corporativi: una collocazione naturale per una razza di sociopatici opportunisti. 
Scendendo ai livelli inferiori, un melting pot di razze e creature fantastiche gareggia a farsi strada, a diventare qualcuno, ognuno con un sogno da realizzare. Centauri della polizia presidiano le strade, teste di cuoio orchesche rompono le teste di manifestanti goblin, nani meccanici aggiustano auto volanti e dovunque, dai bassifondi ai grattacieli corporativi, la razza umana supera tutti nel coraggio e nella stoltezza. Ma ognuno, in qualche modo, è convinto di avere una possibilità...
Perchè New Camelot è una città magica. Letteralmente. 

Dopo diverse (sanguinolente) avventure nei racconti precedenti, pubblicati dalla Delos, Fata Mysella torna protagonista con questo nuovo romanzo di Lorenzo Davia, catapultata nello scenario urbano di una città fantasy nell'aspetto, ma americana nel cuore. Mysella è una Fata tanto adorabile, quanto psicologicamente instabile, dal passato militare nella Guerra Civile delle Fate e nella Grande Guerra Commerciale tra le società del Multiverso. 
Sempre più fredda, sempre più acida, Mysella è alla ricerca di Fata Laihia, smarrito amore, ultimo legame “umano” per una Fata sempre più estraniata dal mondo. Dalle ultime tracce Laihia aveva cercato fortuna nella Grande Mela... che come la fiaba di Biancaneve insegna, è spesso avvelenata. 
Un altro reduce di guerra, Frank Dosadi, dovette accettare di diventare un vampiro per salvare il suo plotone e da quel momento in poi ha dovuto convivere con la sua maledizione di succhiasangue, attraversando una turbolenta carriera nella NCPD (New Camelot Police Department). 
Cacciato per i suoi metodi poco ortodossi, è ora un investigatore privato alcolizzato, dipendente da qualunque cosa possa allontanare il suo bisogno di sangue umano.  Il caso su cui sta indagando, un apparente suicidio del marito dell'elfa Lady Meranin, della casta Merel, sembra legato all'attività della Compagnia per lo Sfruttamento dei Reami Magici (CSRM) e alla stessa Fata Mysella...


Il romanzo di Lorenzo Davia è paragonabile a una corsa sull'ottovolante, un cocktail narrativo di generi tanto potente, quanto straniante: ultimato, si scende dal romanzo con le gambe che tremano e la testa che scoppia per le tante fermate narrative compresse dentro una velocissima corsa di appena 132 pagine. 
Una divertente – a tratti confusa - miscellanea di generi, dove a ogni fermata corrisponde una diversa stazione narrativa, un diverso “tono”: dalle atmosfere proprie di una giungla urbana con la Fata Mysella, ai toni classicamente noir di Dosadi quando incontra la femme fatale Meranin, allo spaccato da buddy movie quando Mysella e Dosadi collaborano, alle (tante) scene action che alternano lo sparatutto nella prima persona alla fantascienza cyberpunk...

Se fosse necessaria una semplificazione, sarebbe possibile definire New Camelot come un thriller dentro un'ambientazione fantasy, a sua volta distorta e “punkizzata” attraverso una dose di realismo, sesso e violenza. Se siete tra coloro che considerano la particella -punk in riferimento ai diversi sottogeneri della fantascienza, dal cyberpunk, allo steampunk, all'atompunk, si può invece definire scherzosamente il romanzo come PunkPunk, nella misura in cui agisce da contenitore di tutti i sottogeneri appena elencati e altri ancora. In alternativa, è possibile giudicare New Camelot come un Urban Fantasy, nella misura in cui la città è viva e presente, interloquendo e agendo sui personaggi che la percorrono (e distruggono...) in lungo e largo. 

I due protagonisti, Mysella e Frank, appaiono entrambi reduci da un passato militare, che li ha lasciati segnati, a loro modo: Mysella nell'animo, Frank nella maledizione dei vampiri. 
Non si potrebbe tuttavia immaginare personaggi più radicalmente diversi nell'azione e nel pensiero: Frank è un uomo riflessivo, dal tirannico autocontrollo, che agisce grazie alle amicizie e ai favori che coltiva per i diversi livelli di New Camelot; al contrario, Mysella è un pericolo ambulante, un'estranea che deve farsi strada nei bassifondi cittadini, tra sparatorie e risse da bar. 
Nonostante innegabilmente Mysella sia il personaggio a cui Davia dedica maggiore attenzione, il carattere bipolare della Fata rende difficile qualsiasi attaccamento, mentre Frank con i suoi cliché da detective e la sua “missione” di redimersi dall'essere vampiro risulta più interessante.  

La natura inclassificabile dell'ambientazione tende a generare paragoni ludici o cinematografici, rispettivamente nei confronti del gioco di ruolo (e videogioco isometrico) “Shadowrun” e recentemente con il film “Bright” del regista David Ayer. 
Le divisioni razziali e le atmosfere poliziottesche ricordano vagamente il film di Will Smith, ma sono qui declinate nell'eclettismo di un intero bestiario fantasy, mescolato senza distinzioni, in tal senso afferente maggiormente all'anarchia selvaggia di Shadowrun, coadiuvata da una vasta gamma di veicoli, artefatti magici e tecnologie decisamente lontane dalle atmosfere moderne di “Bright”. 
Un altro riferimento raramente menzionato nell'ambito dell'urban fantasy è “Cast a Deadly Spell” (1991), sconosciuta produzione dell'HBO, del regista Martin Campbell. 
E' il 1948 e a Los Angeles la magia è ormai di uso comune, accanto ai telefoni, le auto e le tecnologie “umane”: il detective H. P. Lovecraft (Fred Ward) deve investigare il furto di un testo di magia nera, il misterioso Necronomicon. Elementi lovecraftiani si mescolano al fantasy tradizionale, stavolta rappresentato dal folklore di vampiri, lupi mannari, troll e via dicendo... 
Se “Bright” e “Shadowrun” rappresentano gli elementi fantascientifici di New Camelot, “Cast a Deadly Spell” ne recupera gli elementi pulp, scanzonati e irriverenti. 

Il romanzo appare infatti vestito con un tessuto fantasy tradizionale, sul quale Davia ricama una trama di citazioni e riferimenti: un'ininterrotta sequela di ammiccamenti, di strizzate d'occhio, di citazioni disinvolte. 
Si tratta di un gioco citazionista palese, dove persino il non addetto ai lavori riconosce al volo i (tanti) riferimenti: si va dalla “Gandalf Avenue”, all'“Elrond Building”, all'“ascensore Bilbo”, a “Shannara Street”, senza trascurare i riferimenti invece al mondo reale filtrati dal folklore fantasy, ad esempio nella forma dell'“emodone” assunto da Frank Dosadi per tenere sotto controllo la sua dipendenza, che cita il metadone distribuito nei centri di recupero per i tossicodipendenti. Sarebbe stato preferibile una maggiore sofisticatezza nella toponomastica fantasy di New Camelot, che sembra arrestarsi al livello di un riferimento gratuito, sminuendo così la serietà dell'ambientazione.

Il centauro poliziotto in "Bright". Nonostante gli innegabili difetti del film, sarebbe interessante vedere un seguito.
La natura stratificata di New Camelot, megalopoli costruita su più livelli, permette a Davia di alternare le ambientazioni più strane, tenendole rigorosamente separate: vi sono infatti quattro livelli, edificati man mano sul nucleo medievale e arturiano della “vecchia” Camelot, ciascuno corrispondente a un diverso livello tecnologico, un diverso -punk, se volete. In tal senso il paragone con “Shadowrun” e “Bright” rischia d'ingannare sull'originalità dell'ambientazione. 
Il primo livello, infatti, seppellito nelle profondità di Camelot, conserva, accanto a una rampante criminalità, monasteri, catacombe e decadenti palazzi della nobiltà. Il secondo livello presenta invece le principali industrie della capitale, oltre a una tecnologia basata sul vapore e i musei che ospitano gli scheletri degli ultimi draghi, cacciati fino all'estinzione. Cinema, casinò e spacci di droga dominano il terzo livello, dove si passa dall'età vittoriana agli anni trenta, tra gangster, “pupe” e investigatori strafatti come lo stesso Dosadi. Il quarto livello infine corrisponde alla modernità cyberpunk degli anni ottanta, tra hacker, complotti delle zaibatsu e cyber-ninja. 
E' possibile viaggiare tra i diversi livelli grazie a sottopassaggi in auto, grandi ascensori e persino, laddove i varchi lo consentano, tramite zeppellin.

Un'ambientazione così complessa rischia di sembrare un copia-incolla di fonti diverse, un frankenstein narrativo senza reale coesione tra le diversissime parti: Lorenzo Davia supera questo incomodo grazie alla descrizione di scene di vita quotidiane, che conferiscono quella patina di “reale” fondamentale per immergere il lettore.  

Le strade pullulavano della tipica vita del terzo livello: djinn a bordo di tappeti volanti, elfi oscuri che spacciavano droghe, borseggiatori dalla mano magica e poliziotti che cercavano di acciuffarli, barboni che mendicavano magie, petsitters che portavano al guinzaglio draghetti e cerberi; impiegati che, usciti dal lavoro, si dirigevano verso cinema, ristoranti, locali notturni, teatri e bordelli, luminosi punti fermi attorno ai quali orbitava la folla di creature.

Le diverse storielle raccontate dagli abitanti a Fata Mysella sono altrettanto interessanti, solitamente legate alle trasformazioni della rivoluzione industriale sugli abitanti magici della città. Davia recupera il sarcasmo di Sapkowski, anche se ne smarrisce la raffinatezza: 

– Facevo il fottuto bardo. Dallàn Forgaill. Raccontavo le storie più belle e numerosi venivano ad ascoltarmi. Capivo che erano tanti dal brusio che facevano in sala. Ma quando iniziavo a parlare, non si sentiva volare un mosca. Non un colpo di tosse, non uno sbadiglio.
– Ha perso il lavoro per colpa della televisione?
– Ma non dica puttanate! Nonostante la televisione e la radio, la gente ha sempre apprezzato un buon cantastorie. Sono stati i copyright a fottermi.
– I copyright? – chiese Fata Mysella, questa volta un po' più interessata. Il copyright era un tipo di magia che non aveva mai capito.
– A un certo punto tutte le storie esistenti furono messe sotto copyright da parte di una o di un'altra compagnia. Tutte. E io non potevo più raccontarle. Dovevo pagare i diritti d'autore. Pagare per raccontare le storie che i miei nonni e i nonni dei miei nonni si erano tramandati per generazioni.

Lo stile di scrittura è passabile, fluido e senza interruzioni, leggermente povero di descrizioni: Davia pesta sull'acceleratore fin dall'incipit e il carrozzone narrativo di New Camelot romba in avanti, senza lasciare fiato al lettore. Il veicolo sbanda, in alcuni capitoli sobbalza per un buco nella trama, in altri le scene action distruggono più di un semaforo o un cartello, ma nell'insieme funziona egregiamente, regalando una storia coinvolgente e scatenata. Risultano leggermente eccessive alcune scene di sesso e violenza, anche se contestualizzate e posizionate nei primi capitoli per funzionare da gancio verso il lettore. 

New Camelot” nell'insieme è un cocktail sperimentale che soddisfa lo stomaco, ma brucia il palato: una miscela dagli accostamenti arditi, ma dove la pura quantità controbilancia eventuali difetti. 
Un must per gli avvinazzati del fantasy, sconsigliato agli astemi e ai timidi. 

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