Qualche giorno fa da una condivisione sui social di Fra
Moretta ho letto una recensione inglese piuttosto aguzza dell'ultima
antologia collettiva di George RR Martin, “The Book of Swords”. L'autore criticava come molti dei fantasy attuali siano
disinteressati all'azione e preferiscano inserire elementi
contemporanei su cui discutere dentro setting fantastici.
E' una critica che ho preso a
cuore, perchè la riconosco come autentica; con gli
autori stranieri ormai lo scrittore sembra francamente disinteressato
a quanto scrive: non vuole tanto narrare, quanto argomentare. Questo
è più che legittimo quando svolto con intelligenza, ma nello spazio
della storia breve e dentro una cassa di risonanza che tende ad
avvalorare sempre le stesse idee, sfocia rapidamente nello
stereotipo.
Come alternativa agli scrittori di punta, il recensore della Castalia
House menzionava una serie di autori che nel campo della
Sword&Sorcery sembravano promettenti, prima di venire eclissati
vent'anni fa dallo juggernaut low fantasy di George RR Martin.
Tra questi, ha catturato
la mia attenzione il nome di Richard Scott Bakker, che ho ricordato
decenni fa doveva essere tradotto dalla Gargoyle con il primo volume
della sua saga, “In principio furono le tenebre”. Sulla pagina wiki era linkato tra le fonti un suo saggio del 2006, “The
Skeptical Fantasist: In Defense of an Oxymoron”, sulla rivista
“Eliotrope”.
L'ho letto e ne sono
rimasto assolutamente affascinato.
Più di un decennio fa il
giovane autore analizzava come la società tenda a dividere e
attirare gli scrittori in due campi differenti: da un lato, coloro che vogliono scrivere qualcosa di originale vengono
coscritti a forza tra i “letterati” del “mainstream” e delle
alte sfere; di chi legge “roba intelligente”; dall'altro tutti
gli altri si risolvono a scrivere spazzatura di genere senza in alcun
modo questionare il lettore, ma mirando soltanto alla soddisfazione
di un buon pasto cartaceo.
Quello che al contrario
servirebbe, è una classe di scrittori “originali” che scrivano
per la massa cercando di sfidarne le aspettative. Ma per fare questo
dovrebbero abbandonare le torri d'avorio delle università americane,
che costringono in un recinto dorato proprio quegli scrittori che
potrebbero ridare dignità alla scrittura di genere (in questo caso
il fantasy).
The Vanquished Cavalier, di Davies Kevin |
Un secondo punto,
altrettanto interessante, sostiene come il fantasy sia un genere
fondamentale per l'essere umano, perchè risponde a una sua
aspettativa congenita dall'alba dell'evoluzione.
Secondo Bakker, l'uomo è
un animale sociale: il suo successo in natura deriva proprio dal
saper comprendere l'altro e scambiarci informazioni. Tuttavia, questo
genere di ragionamento viene dall'uomo primitivo applicato anche alla
natura, dove vige invece la legge scientifica: le nuvole, i
terremoti, i vulcani vengono antropomorfizzati, trattati
dall'analfabeta nelle scienze come entità “vive”, una sorta di
super uomini. Deriva da questa mentalità l'ambivalenza tra il
rispetto comico verso “Madre Terra” e dall'altro i deliri
dominionisti dei fondamentalisti cristiani di avere potere sulla
Natura, di doverla “sottomettere”, così come tutti i suoi
animali, ecc ecc.
Al nocciolo, la narrazione
fantasy risponde alla necessità dell'uomo di avere una spiegazione
antropomorfa, pre-scientifica della natura; quando è presente
l'elemento soprannaturale, questo è ben accetto perchè risponde a
quest'esigenza primordiale di spiegare “umanizzando”.
Mentre oggigiorno ci si
chiede cosa possiamo “sapere” con i nostri “sensi” e i nostri
“strumenti”, un tempo ci si chiedeva cosa si poteva “raccontare”,
fino a qual punto si poteva sapere sulla base di una mitologia. In
tale contesto, secondo Bakker, il fantasy permetterebbe di soddisfare
questo senso primordiale, sviluppando e tenendo sotto esercizio un
organo ormai atrofizzato. Nel contempo, una lettura del genere
fantasy permetterebbe di evitare di cadere nella vita reale
nell'antropomorfizzazione della natura caratteristica di molti gruppi
religioso-estremisti.
In altre parole il
fantasy, lungi dall'aumentare la credulità della gente, ne
faciliterebbe lo scetticismo: soddisfatta la propria esigenza
“mitologica”, a noi congenita, saremmo a nostra volta immuni a
ideologie altrimenti suadenti.
Ho tradotto tutto il saggio, con le eventuali cautele proprie di una
traduzione amatoriale, per cui buona lettura e buon commento (e
chissà di non vedere Bakker ritradotto...):
The Skeptical Fantasist: In Defense of an Oxymoron
Stavo attraversando il campus non molto tempo fa quando mi è
successo d'incontrare una delle mie ex professoresse. Mi ha salutato
con un sorriso cordiale e si è congratulata per il mio successo
nello scrivere letteratura per bambini. Dopo aver borbottato qualche
parolaccia tra me e me, le ho spiegato che scrivo epic fantasy,
e di tutti i generi, questo era adulto quanto più adulto poteva
essere. L'idea, le ho raccontato, era che nella società attuale,
balcanizzata digitalmente, il genere è l'unico luogo dove davvero si
può scrivere “letteratura”.
Non sembrava convinta. Ma ormai sono stato a diversi festival
letterari e ho avuto una certa impressione di quanto profondo sia il
malinteso. Noi esseri umani abbiamo un cervello da quattro soldi e
viviamo in un mondo talmente grande che regolarmente vediamo stelle
più anziane della nostra stessa specie. Siamo sommersi. E come
risultato, cerchiamo di risparmiare informazioni riclassificando i
nostri termini con giudizi impliciti. Nei circoli letterari, epic
fantasy occupa la stessa casella di “barbona”, “redneck” e
ancor peggio, “corporazione”.
Il che mi porta alla mia domanda: Che cosa se ne fanno gli scettici
del genere fantasy?
Quale sorta di giudizi dovrebbero applicare a quella parola?
Penso che sia sicuro constatare come ogni volta che il “fantasy”
come termine generico compare dentro pubblicazioni quali “The
Skeptical Inquirer”, significhi qualcosa di negativo.
Il fantasy, dopo tutto, è il flagello dello scettico. La credenza
nel fantastico, misurato dal metro della scienza, è il bersaglio di
una critica senza sosta dai campioni dell'educazione alle scienze.
Quindi potresti dire che la mia domanda si risponde da sola, che è
come chiedere ai preti che cosa pensano della pornografia.
Che cosa se ne fanno gli scettici del genere fantasy? Non molto.
Ma per quanto questo possa sembrare ovvio, voglio argomentare il
contrario.
Voglio sostenere che il mondo ha bisogno di più scettici che
scrivano fantasy. Molti di più.
Il Fantasy e il Punto di Vista scientifico
La gente rimane sempre sorpresa quando racconto loro che il genere
fantasy è un prodotto della scienza tanto quanto il genere
fantascientifico. Lo stereotipo di base sembra essere che il fantasy
è più o meno a-scientifico quanto può esserlo un genere
letterario. Le storie di scienza e fantascienza sembrano essere
piuttosto ovvie: man mano che il progresso scientifico produce sempre
più cambiamenti, le persone diventano sempre più consapevoli che il
futuro non ricorderà più il passato. Considerando come gli esseri
umani odino le incertezze almeno quanto la natura aborre gli spazi
vuoti, era solo questione di tempo prima che cominciassero a
costruire storie attraverso il proprio futuro indeterminato, usando
spiegazioni pseudo-scientifiche come metro per scegliere tra diverse
possibilità tra loro in competizione.
Ovviamente, questa è una grossolana semplificazione. Come fenomeno
culturale, tutta la storia della scienza e della fantascienza è
destinata a essere molto più complicata - se non proprio impossibile
da raccontare. Ma, considerando i limiti dei nostri cervelli da
quattro soldi, penso che sia corretto dire che questo riassunto
catturi qualcosa dell'essenza di questa relazione.
E riguardo il legame tra fantasy e fantascienza?
Qui il collegamento è meno ovvio, ma altrettanto diretto in ogni sua
parte. Man mano che che il progresso scientifico produce sempre più
cambiamento, le persone diventano sempre più consapevoli che la loro
presente conoscenza non ricorderà più la loro passata conoscenza.
Dove la fantascienza, uno potrebbe dire, costruisce una pseudo
conoscenza del futuro, allo stesso modo il fantasy ricostruisce una
pseudo conoscenza del passato. I due generi possono essere visti come
le due facce della stessa moneta scientificamente mediata, come
tentativi di usare la narrativa per compensare un sempre più isolato
“presente cognitivo”. I mondi descritti nel genere fantasy
tipicamente operano sulla base di principi da lungo tempo screditati
dalla nostra attuale conoscenza scientifica. In termini di struttura
base, molto poco separa “Il Signore degli Anelli” da mondi pre
scientifici come l'Israele della Bibbia, l'India vedica e la Grecia
di Omero.
Quindi, cos'è che attrae nel fantasy?
La cultura contemporanea è certamente immersa in diverse
rappresentazioni del fantastico.
Scrittori fantasy come Robert Jordan, Terry Goodkind, e George RR
Martin sono regolarmente sulla lista dei bestseller. I guadagni di
Peter Jackson in seguito al recente adattamento cinematografico del
“Signore degli Anelli” hanno superato il PIL di molte piccole
nazioni. JK Rowling è forse la prima scrittrice nella storia a
diventare una billionaria, grazie alla popolarità di Harry Potter.
Cosa c'è di attraente riguardo al mondo della magia? Perchè, a
parte per una morbosa curiosità intellettuale, qualcuno dovrebbe
appassionarsi ad antiche, auto-celebrative, illusioni?
Perchè tutto questo feticismo di massa per adorare credenze morte da
un pezzo?
L'imperativo antropomorfo
Contrariamente alle apparenze, gli esseri umani non sono portati a
credere alle cose volenti o nolenti. Tutti pensano che i propri
impegni cognitivi siano “obbligatori”, in qualche modo.
Prima
dell'istituzionalizzazione della ricerca scientifica, tuttavia, le
uniche reali restrizioni alle nostre ipotesi teoriche erano sociali e
psicologiche. Senza gli appropriati meccanismi sociali per mettere
alla prova le nostre ipotesi contro “condizioni di verità” che è
per dire, senza la scienza, i modi con cui facevamo ipotesi teoriche
erano effettivamente separati dalla realtà del mondo naturale.
Questo non è per dire che i nostri antenati potevano semplicemente
inventarsi le cose - anzi, i limiti su quali ipotesi potessero essere
o potessero non essere fatte erano molto più impegnative di quelle
ritrovate nella scienza di oggigiorno. Volevo semplicemente dire che
quelle ipotesi teoriche erano alla base legate a “condizioni
assertive”, che è per dire, quello che gli altri lasciavano
ipotizzare e che queste condizioni erano a loro volta condizionate
da stranezze storiche, richieste organizzative e sociali e le
vicissitudini egoiste della psicologia umana.
Per i nostri antenati, il mondo naturale era molto più una storia
che una restrizione cognitiva.
Una cosa straordinaria è come nonostante le imponenti differenze
storiche e geografiche che distinguevano le diverse culture, tutte
sembravano portate a fare gli stessi errori teorici.
In particolare, ad antropomorfizzare, a usare concetti psicologici e
sociali per spiegare fenomeni naturali. Per i nostri antenati pre
scientifici, il mondo era letteralmente un'unica grande famiglia,
qualcosa con cui capire e interagire nel linguaggio del desiderio,
dell'affetto e dell'intenzione. Quando c'era una carestia, scuotevano
il loro pugno agli dei, allo stesso modo come lo agitavano verso il
vicino. Usavano la cruda logica dello scambio interpersonale per
“mimare” i loro interventi nell'ambiente: facevano pagamenti
nella forma di sacrifici, erano attenti a seguire il rituale, a
“osservare le loro usanze”. Per la loro mente, il mondo naturale
non solo guardava, ma teneva conto, e quando individui o comunità
fallivano di osservare i propri doveri, li punivano (con terremoti,
pestilenze, eruzioni, ecc ecc NdT).
L'imposizione di categorie sociali e psicologiche sul mondo sembra
essere troppo universale per essere il prodotto di una convergente
evoluzione culturale. Gli esseri umani tendono a razionalizzare in
senso antropomorfo per natura; è il ragionamento scientifico che
richiede duro lavoro. Forse antropomorfizzare è semplicemente un
“resto” evolutivo di qualche tipo, una conseguenza secondaria
della nostra capacità di comprenderci a vicenda. Forse, considerata
l'abilità delle spiegazioni psicologiche di assomigliare a realtà
causali, ha portato inavvertitamente a cruciali successi adattivi.
Forse, considerata l'irrilevanza pratica del contenuto di veridicità di così tante credenze teoriche antropomorfe, la capacità di
credervi è stata selezionata per ragioni di coesione sociale.
Uno
deve solo guardare all'effetto galvanizzante della propaganda in
tempo di guerra per vedere come noi umani abbiamo una decisa tendenza
a radunarci attorno alle illusioni. Non è, generalmente parlando, un
interesse razionale che spedisce i soldati nel pericolo, quanto
piuttosto una condivisa convinzione nelle astrazioni.
Le nostre azioni si basano su quello che crediamo. Quando i margini
di sopravvivenza sono stretti, comunità interdipendenti tra loro
hanno bisogno di tenacia e perfetta coordinazione, il che equivale a
dire, convinzione e ortodossia - richieste che sono comuni al punto
di vista antropomorfo.
In ogni caso, sembra chiaro che gli esseri umani possiedono una
qualche sorta d'innato “imperativo antropomorfo”. Se è così, il
bisogno per questo genere di mondi obsoleti così comuni nel genere
fantasy diventa spiegabile, almeno in parte. La ragione a causa della
quale così tanti si ritrovano attirati al fantasy potrebbe essere la
stessa ragione secondo la quale la scienza sembra andare contro il
buon senso della psicologia popolare: siamo predisposti a guardare al
mondo in termini umani. Dato che siamo predisposti a comprendere il
mondo come una sorta di grande famiglia, forse troviamo un certo
conforto in “mondi famigliari” (proprio nel senso di famiglia/familiare NdT).
Forse abbiamo un bisogno a tornare presso di loro di tanto in tanto.
Io so di averne bisogno.
Conosci il nemico - Letteralmente!
Come si è rivelato, non sono il solo. Milioni di americani sembrano
voler abbracciare visioni del mondo sempre più antropomorfe, e non
solamente come una forma d'intrattenimento.
Il crescente profilo e influenza di credenze religiose letterali
dovrebbe costituire materia di profonda inquietudine, non solo per
gli scettici, ma anche per il mondo nel suo insieme. Le credenze
religiose non sono maligne di per se stesse; al contrario, ci sono
ampie prove che suggeriscono che sono socialmente e psicologicamente
positive. Il problema è l'impegno. Grazie ai capricci dei bias
di conferma e delle interpretazioni indiscriminate, più o meno
qualsiasi credenza può venire razionalizzata per la propria
soddisfazione personale. La tendenza umana è di usare il metro al
contrario, di ragionare all'inverso dalle conclusioni alle premesse.
E' per questo che il ragionamento scientifico richiede che
sospendiamo il nostro impegno alle conclusioni: altrimenti le nostre
mancanza cognitive saranno tali che le renderemo sempre vere. Non
possiamo discutere onestamente credenze che non riteniamo discutibili
– è veramente tanto semplice. E questo trasforma la prospettiva di
raggiungere un consenso razionale tra diverse credenze, che è
difficile anche in ideali circostanze, del tutto impossibile in una
varietà di contesti sociali delicati. Diventa quel genere di caso
del “prendere o lasciare” e proprio in un momento nella storia
umana quando meno ce lo possiamo permettere.
Viggo Mortensen con la maglietta “No More Blood for Oil” all'alba dell'invasione in Iraq, sul Charlie Rose Show (2002) |
Per lo scettico, è difficile non vedere la sempre maggiore fama di
credenze religiose letterali come una forma di fallimento sociale, e
dei peggiori. A voler fare una lettura cinica, uno potrebbe dire che
molti americani, compreso il Presidente (cioè G. W. Bush: siamo nel
2005/06, NdT), vivono in una versione pre scientifica della Terra di
Mezzo.
Molti rimproverano questo fallimento al sistema educativo e ai numeri
in declino delle facoltà scientifiche.
Nonostante penso che questi siano indubbiamente importanti componenti
di quanto sembra essere un altro teoricamente insolubile fenomeno
sociale, penso che ci sia un altro, ovvio colpevole che è stato
ignorato. Anche se raramente, se mai, c'è alcuna condanna nella
corte della critica sociale, è sempre utile radunare tutti i
sospetti.
Capacità interpretative
Credenze religiose letterali, non ha importanza dove provengano,
hanno tutte un comune impegno a quello che potremmo chiamare monismo
interpretativo, una convinzione che infallibili interpretazioni dei
testi religiosi siano non solo possibili, ma anzi esistano nella
realtà. L'improbabilità di questa convinzione è tale che ben pochi
critici perdono tempo a smantellarla.
Ma è veramente impressionante se ci pensate: i fondamentalisti sono
convinti che loro, tra tutte le fedi e i testi religiosi e le diverse
interpretazioni, siano stati più o meno stati fortunati a incontrare
“quella vera”. Ora, i meccanismi psicologici e sociali che
sottintendono questo evidente eccezionalismo sono troppo numerosi
per scriverne qui. A cosa invece vorrei puntare l'attenzione,
tuttavia, è che molte delle credenze religiose contrarie ai fatti
(come i creazionisti), che causano tanta costernazione nei circoli
scientifici, fuoriescono da quest'ambito.
Il problema dell'alfabetismo scientifico, a tutti gli effetti, viene
preceduto da un problema con l'alfabetismo interpretativo. E questo
non è l'ambito dell'educazione alla scienza.
Più o meno sono tutti d'accordo che l'establishment scientifico ha
bisogno di fare un lavoro migliore nella divulgazione e se il numero
di titoli e il volume di vendite di lavori popolari di saggistica
scientifica sono una qualche indicazione, molti hanno preso questo
messaggio a cuore. Ma nessuno, che io sappia, sta parlando di un
parallelo fallimento dell'establishment letterario. Uno potrebbe
pensare che un'istituzione che si propone a tutti gli effetti di
essere auto-critica considererebbe il problema.
Dopo tutto, chi altri potrebbe avere una responsabilità
istituzionale per l'analfabetismo interpretativo? Dentro le alte
sfere del mondo letterario, il consenso sembra essere che l'industria
della cultura è largamente da biasimare, che negli interessi di
mietere i successi che seguono da una standardizzazione, le
corporazioni dei media abbiano letteralmente addestrato i consumatori
a non avere alcuna interpretazione critica. Considerando come queste
stesse corporazioni hanno una presa di ferro sulle comunicazioni di
massa l'assunto di base sembra essere che più o meno tutto quello
che i letterati possono fare è torcersi le mani ed evitare tutte le
cose commerciali come se fossero la peste. Il sistema, avverte la
storia, lo si può resistere solo “dai margini”.
Nessuno, argomenterebbero, piange sull'analfabetismo interpretativo
più di loro, ma fino a quando il sistema continua a proseguire senza
freni, c'è ben poco che possono fare.
Ovviamente questa storia è una sovra semplificazione. Non è nemmeno
il caso che tutti i letterati ci credano anche nelle versioni più
sofisticate. Ma a tutti gli effetti riproduzioni di questa storiella
fluttuano nei dipartimenti di lettere dell'Università come frammenti
di Rna messaggero, pronti a neutralizzare qualsiasi danno alla legge
del padrone che non solo decide la forma e il contenuto di tutte le
cose letterarie, ma anche certifica l'autorità di coloro con le
appropriate credenziali istituzionali. Ma cosa potrebbe succedere se
questo insieme di spiegazioni non fosse altro che una
razionalizzazione adulatoria, quel genere di cose che noi umani
facciamo per razionalizzare la nostra autorità? Che cosa, invece, se
lontani dall'essere rifugiati dal commercialismo becero, molti
nell'establishment letterario fossero i loro involontari autori?
In una recente intervista televisiva, mi era stato chiesto cosa
pensassi della disparità di quell'anno tra i film che avevano vinto
l'Oscar e i film che avevano fruttato il maggior incasso nelle sale.
La risposta che avevo dato, la risposta che mi aveva spinto a
scrivere quest'articolo, era semplicemente che le persone nelle arti,
come le persone in generale, tendono a formare comunità basate su
comuni interessi e valori. Che è giusto e va bene, ho detto, tranne
per la tendenza che segue per i membri di questa comunità di
comunicare solo tra loro e d'iniziare a definirsi contro altri membri
di altre comunità, solitamente in modo egocentrico. “Loro”
diventano le arroganti elitè, le masse ignoranti, e così via.
Differenze esterne vengono livellate, e in qualche modo, nel corso
delle cose, l'intero punto della comunicazione, che è di parlare
all'altro, di espandere invece che trincerare le proprie prospettive,
sembra venire abbandonato.
Questo è precisamente quanto, voglio argomentare, è successo con
l'establishment letterario.
Il loro argomento contro le corporazioni è smentito dal fatto che
quelle stesse corporazioni non hanno problemi a pubblicare “lavori
difficili” nel mainstream. A tutti gli effetti, la
diversità disponibile ai lettori in questa epoca di vendite via
Internet è qualcosa d'inimmaginabile. Per certi versi, i cosiddetti
“margini” stanno guadagnano piuttosto bene sul mercato.
Quindi, qual è il problema? Come può una nazione sviluppare due
concezioni così radicalmente differenti di come il mondo funziona?
L'isolamento sembra essere la risposta ovvia. Nonostante i cristiani
fondamentalisti sembrano essere più che contenti di condividere la
“lieta novella”, pochi nell'establishment letterario sembrano
disposti a portare la “cattiva novella”, al di fuori della
scienza, poche se non nessuna delle interpretazioni giustificano
qualcosa di più di un impegno condizionale nella direzione opposta.
Perchè? Perchè nessun professore di lettere che si rispetti o
scrittore verrebbe colto sul fatto a bussare alle porte di quei ghetti della narrativa.
Nel mio caso, non mi ci volle molto per comprendere che parlare di
epic fantasy non mi avrebbe vinto il rispetto e l'ammirazione nella
classe di Letteratura Inglese. Il fantasy è roba da incolti. Viene
considerato un genere commerciale, tronfio, senza motivo di analisi
dagli istruiti. Certamente non era quanto ora so che è:
un'opportunità di comunicare al di fuori delle solite cerchie, di
usare la frequenza radio dei comuni interessi per comunicare
differenti valori, differenti prospettive verso gente impegnata nelle
proprie conversazioni chiuse. I fondamentalisti religiosi, senza
sorpresa, hanno un'affinità con i punti di vista antropomorfi. Amano
il fantasy.
I circoli letterari, sto suggerendo, sono catturati in un circolo
vizioso, un circuito sociale disfunzionale dove i loro atteggiamenti
verso diverse forme di cultura popolare hanno l'effetto globale di
dividere i futuri produttori di artefatti culturali in due differenti
campi, quelli con ambizioni letterarie e quelli senza. I primi, pieni
di desiderio di essere “presi sul serio” dagli accademici e dai
recensori dei giornali, scelgono di comunicare argomenti che
interessano in primo luogo lettori che allo stesso modo desiderano
essere presi sul serio. I secondi, che sono principalmente
preoccupati di dare ai lettori solo quello che vogliono, generalmente
evitano le ambiguità che insegnano ai lettori la fondamentale
lezione dell'interpretazione: il sospetto.
Il problema non è quello che fanno – stanno chiaramente producendo
qualcosa di valore per milioni di persone – è quello che fanno in
un sistema che abbandona intere fasce della produzione culturale a sé
stesse.
Come la persona che soffre di paranoia alimenta un sospetto che rende
le sue illusioni vere, allo stesso modo l'establishment letterario
deruba la cultura di massa di coloro che vogliono sfidarla, e li
redirige all'indietro, portando alla luce proprio quel genere di
cultura ornamentale, commerciale che così spesso critica. Sfruttando
i meccanismi istituzionali a loro disposizione, fanno incetta di
tutto quello che è di valore, quindi accusano tutti gli altri di
essere poveri. E nessuno è così povero come i fondamentalisti
religiosi, il che non dovrebbe affatto sorprenderci. L'argomento
autorizzato, che sia narrativa Young Adult o sperimentazione
letteraria, semplicemente non interessa alla maggior parte di loro.
Ma come si può incolpare qualcuno di non avere quello che è un
gusto acquisito con l'esperienza? Specialmente coloro che credono nel
cosiddetto “potere trasformativo della letteratura” comunicano
soltanto verso quelli che sono più o meno già “trasformati”.
Quando scrivono su frequenze che solo chi è già avvezzo alla
lettura può ricevere.
Conclusioni
Quindi cosa dovrebbero farsene gli scettici della letteratura
fantasy? Molto, moltissimo in effetti.
Se è il caso che gli esseri umani sono inerentemente portati a
trovare meraviglia, conforto e delizia nelle rappresentazioni di un
mondo antropomorfo, allora forse non è così una cattiva idea che lo
facciano sotto l'ombrello del fantasy. Se gli scrittori di fantasy e
gli sognatori sono inevitabili, allora lasciamo che siano tutti
scettici.
La narrativa fantasy e il genere stesso, rappresenta un'opportunità
di comunicare nel più profondo senso della parola, che è per dire,
di negoziare un terreno comune tra prospettive drammaticamente
differenti. Considerando la mentalità ristretta della narrativa
“alta”, questo è difficile se non impossibile, il che potrebbe
ben voler dire che non è, in nessun senso pratico, “letteratura”
a tutti gli effetti.
C'è bisogno, a ogni livello, di una rivalutazione d'insieme di
lessico e obiettivi all'interno della comunità letteraria.
Nell'ultima rivoluzione auto-critica, quel glorioso disastro del
“giro post moderno”, i letterati si sono in qualche modo convinti
che, nonostante un deprimente curriculum quando si tratta di
elaborare ipotesi teoriche al di fuori delle istituzioni
scientifiche, non si sia sbagliato nulla con le precedente pretese
dei costruttivisti e dei contestualisti di condizionare il nostro
impegno alle ipotesi teoriche scientifiche. Questo non ha alcun
senso, allo stesso modo come non avrebbe senso usare Ted Bundy per
testimoniare contro Maria Theresa. Ha ancora meno senso presupporre
che mantenere qualsiasi posizione filosofica, anche una
apparentemente radicale come il costruttivismo sociale e il post
strutturalismo, significa che tutto il lavoro importante di critica
sia già stato fatto.
Si chieda a qualunque scettico: non si finisce mai di lavorare.
Quando metà della popolazione è inconsapevole di proprio cosa rende
la letteratura possibile, ovvero un pluralismo d'interpretazioni, è
sicuro poter affermare che è stato accumulato sufficiente biasimo. E' tempo di passarlo a qualcun'altro.
2 commenti:
Gran bel saggio e ottimo lavoro di traduzione. =))
D'
@Giuseppe Franco
Grazie mille, fa sempre piacere sapere che questi lavori di traduzione sono risultati utili :-) Richard Scott Bakker è un autore da rivalutare.
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