La settimana scorsa
l'Istat ha rilasciato il suo rapporto sul 2016, “Produzione e
lettura di libri in Italia”, dove analizza acquisti e abitudini
di lettura del popolo italiano.
I siti di news hanno sintetizzato le
notizie e dal web il dibattito è passato ai “commentatori”,
ovvero siti indipendenti, blog e social. Ovviamente, si sono
spalancate le cateratte del cielo.
Tutto colpa degli
analfabeti funzionali!
Noi lettori forti siamo
una minoranza!
In compenso guardano Il
Grande Fratello!
La lettura è sacra! Io
conservo ancora il primo libro che mi hanno regalato!
Tutto colpa della
pirateria!
Ma perchè leggono gli
ebook! E' così bello leggere su carta!
C'mon.
Quando andavo alle scuole
elementari, a fine anni '90, sentivo gli stessi, piagnucolosi lamenti
dalle maestre. Quando andavo alle scuole medie e consumavo una media
di due romanzi alla settimana, i giornali impazzivano sulla
scomparsa della lettura, la chiusura delle librerie e la minaccia dei
videogiochi. Alle superiori, sul web e sui giornali non ne parliamo:
diluvio d'analfabetismo, apocalisse letteraria, la scomparsa del
romanzo come forma d'intrattenimento.
All'università, in area
umanistica, ogni studente(ssa) è convinta d'essere un guerriero in
trincea, pronto a combattere per il diritto di leggere quanti più
libri possibili.
We get it.
Capisco come ci si debba
sentire, a scorrere quei dati. A sapere di essere una minoranza
dentro un'altra minoranza, una specie protetta. Un panda umanista. E'
deprimente, lo capisco.
Tuttavia i nudi e crudi
numeri non mentono: sono percentuali drammatiche, ma nulla di
eccezionale. E' il semplice, annoso proseguo di un trend in corso
dagli ultimi vent'anni.
Nel 2000 i lettori erano
il 38,6% della popolazione.
Nel 2010 il 46,8%.
Nel 2016 sono scesi al
40,5%.
No big deal.
Non si è riusciti a
superare la forbice di metà della popolazione, ma dall'altro non si
è nemmeno regrediti a percentuali medievali. E' una situazione
stagnante, ma non è nemmeno quella devastazione atomica descritta
dai giornali. Una guerra di trincea, piuttosto. Condotta da generali
editoriali altrettanto idioti, altrettanto miopi nello scatenare
l'ennesimo attacco di massa. Con tanti piccoli Cadorna pronti a
pubblicare sulla base dei “mi piace” su Facebook e delle
visualizzazioni su Youtube, non deve sorprendere che i lettori
abbiano disertato con interi plotoni.
Vi sono innumerevoli
ragioni che spiegano il perchè del calo di lettori e nessuna di
queste ha nulla, nulla a che fare con l'imbecillità o meno delle
persone.
Il primo punto è
doloroso, ma necessario: i libri sono un cattivo investimento.
I libri hanno importanza
nella misura in cui sono letture interessanti. Il libro va comprato
per quello che contiene, ma non ha un valore intrinseco perchè
“libro”. Non mi fraintendete, il mio posto è in biblioteca, in
archivio, in rigatteria, in libreria: mi piacciono i libri, specie cartacei, ma alla fine sono un mezzo per un fine, ovvero importa cosa
contengono, non cosa sono.
In sé, comprare e
possedere libri non è un valore.
Mi prenderò come esempio per
evitare di colpevolizzare il lettore: a novembre mi sono permesso di
comprare quattro romanzi che desideravo leggere da un anno; due opere
di Sapkowski, “Jerusalem” di Moore e “La Belle Sauvage” di
Pullman. Ho scelto di comprarli in libreria, perchè quando compro
cartaceo cerco di privilegiare i negozi indipendenti, anche se sono i
primi a escludere i clienti.
E i libri costano. C'è
stato un periodo verso il 2011/12 dove i libri avevano prezzi
talmente salati da far concorrenza alle patatine delle feste di
compleanno. Oggigiorno è facile comprare online, a Trieste c'è una
vasta scelta di negozi - anche se non così vasta come descrivono,
In Der Tat docet – e spesso è possibile ricavare uno sconto dal
10 al 30 per cento. La situazione è migliorata, ma i libri
continuano a essere beni voluttuari estremamente, maledettamente
costosi. Certo, sono prezzi relativi al ceto sociale e al genere a
cui si è appassionati. I libri di filosofia settoriale ad esempio
costano un occhio della testa (oltre che diversi neuroni). Una cosa
che ho notato negli ultimi anni è la progressiva scomparsa dei
tascabili e dei paperback: sempre più ci si limita alla prima
edizione a venti e più euro con sovracoperta e copertina rigida. Si
ritorna al tema iniziale: un vero lettore è interessato a quanto lo
scrittore racconta, non alla qualità della carta su cui è stampato.
Quando posso compro l'ebook, non perchè tecnofilo, ma semplicemente
perchè i 4,99 proposti solitamente sono preferibili ai 25 euro in
negozio. E tornando all'argomento, solo quei quattro libri mi sono
costati troppo. Ci stavo riflettendo a posteriori e sono giunto alla
conclusione che avrei dovuto ancora una volta trattenermi e
risparmiare. I libri sono un cattivo investimento. Ovviamente non
dobbiamo ragionare con criteri utilitaristici, ma nell'ottica di un
clima economico atroce, comprare libri è stupido. E' da
irresponsabili. E' illogico. E non sarò certo io a prendermela con
la gente perchè non spende abbastanza in libri. By the way,
volevo recensire l'ultimo romanzo di Evangelisti, “Eymerich
Risorge”, ma sapete qual'è il prezzo dell'ebook? 9,99. Fuck
that.
Bisognerebbe saper
contestualizzare i prodotti di una cultura e ammettere che nulla è
eterno e tutto può cambiare.
Il mondo procede, i secoli passano e la
cultura avanza inesorabile, nelle sue inesauste metamorfosi.
La forma
romanzo nasce verso la seconda metà del '700 come conseguenza della
nuova struttura economica capitalista, trova la sua coronazione
nell'ottocento e la sua maturità nel novecento.
E' una
schematizzazione e non sono un laureato in lettere, ma trovo che sia
condivisibile.
Perchè dunque definire il romanzo come una forma di
letteratura antica e venerabile, quand'è solo un prodotto degli
ultimi tre secoli?
Cos'ha di tanto speciale il romanzo d'assicurare
la sua sopravvivenza nel futuro?
E' un prodotto di circostanze
culturali, sociali ed economiche collocabili in un preciso momento
storico, non ha questa presunta portata universalista che si continua
ad attribuirgli.
Perchè dovrebbe sopravvivere al ventunesimo secolo?
Non sa adattarsi, non sa evolversi, è una forma morta.
Si definisce
ad esempio la poesia un genere “morto” perchè nessuno la vende
in negozio, come se il valore di una cosa fosse legata alla sua
presenza sugli scaffali. Nella realtà tuttavia la poesia continua a
essere pensata, scritta e recitata da quanto... secoli? Millenni?
Da
quanto tempo è in circolazione la poesia?
E al confronto da quanto
tempo è in circolazione il romanzo?
Tre secoli, forse. Troppo poco
per definirlo immortale.
Può semplicemente essere
che in futuro la gente smetta di leggere romanzi, così come ha
smesso di apprezzare altre forme di composizione scritta oggigiorno
studiate solo dai filologi.
Non è questione di
quando, ma di come: prima o poi cambierà la struttura economica e il
romanzo apparirà in tutta la sua obsolescenza.
Terza e ultima ragione: i
lettori non fanno un favore a sé stessi auto definendosi lettori.
Leggere è qualcosa che
una persona impara quand'è un bambino, non una virtù scesa dal
cielo.
Tutti leggono, pena l'esclusione funzionale dalla vita civile.
I blog letterari e le pagine dedicate ai libri sembrano aver creato
una malsana raffigurazione del lettore come persona debole e
psicologicamente instabile. Guardate le vignette che condividono, le
foto che si scambiano: non vi è mai il tentativo di mostrarsi come
persone intelligenti, forti, critiche verso il mondo. Si alimenta
piuttosto un ideale di fuga dalla realtà, di chiusura introspettiva,
di snobismo passivo-aggressivo: sono un lettore e mi considero una
persona speciale speciale, un genio sensibile e romantico.
Oggettivamente i lettori
forti – compresi coloro che amano i blog letterari – sono anche
persone determinate, capaci di immedesimarsi nell'altro e
comprenderne le ragioni. Lettori capaci di smontare un testo, di
saperlo analizzare e di applicare questi principi ad altri campi.
Ci sarebbero tutti gli
elementi a favore di un'immagine “forte” del lettore: capace di
compiere importanti scelte in situazioni di rischio, di saper mediare
verso posizioni e ideologie opposte, di sapersi esprimere e parlare
con la ricchezza intellettiva e linguistica propria di un lettore
assiduo.
E invece no, continuiamo a
perpetuare lo stereotipo del lettore svagato e fuori da mondo.
Il problema più grave è
in ultima analisi dovuto ai libri e ai libri soltanto, non ai
lettori.
Oggigiorno un romanzo deve
concorrere contemporaneamente con serie tv dalla qualità ormai
cinematografica, con videogiochi la cui trama e le cui meccaniche
sofisticate non hanno nulla da invidiare ai capolavori della
letteratura, con film e documentari mai così accessibili e numerosi.
Senza osservare la rivitalizzata attenzione dei musei, dei teatri,
delle attività interattive, degli hobby al momento più “in”.
Cinque anni fa avrei
scritto che un videogioco ha la stessa profondità di un romanzo e
che un videogiocatore non dovrebbe vergognarsi di leggere poco o
nulla. E' un'argomentazione che nasceva dal mio entusiasmo verso
alcuni giochi di ruolo e avventure interattive: i primi due Dragon
Age, soprattutto il bistrattato secondo capitolo; Mass Effect e The
Witcher; gli isometrici vecchia scuola come Arcanum (la bibbia dello
Steamfantasy...). Ne ero rimasto abbagliato, come un coniglio davanti
ai fari in autostrada. Senza dubbio i dialoghi e la caratterizzazione
psicologica del secondo Mass Effect, ad esempio, dimostrano la
possibilità di un gioco altrettanto profondo di tanti mattoni
letterari pubblicati d'anno in anno.
Non di meno devo ammettere
che il consumo ossessivo di prodotti solo audiovisivi e/o
interattivi, produce devastanti conseguenze sulle proprie capacità
di scrivere e leggere. In altre parole non si può sostituire la
lettura con altro e relativamente alle capacità di concentrazione,
di scrittura e di sintesi, la lettura come attività solitaria e
“classica” resta fondamentale.
Ciò non toglie che tra un
lettore appassionato di Volo e un giocatore di ruolo preferisca
quest'ultimo: tuttavia vi sono elementi propri solo dei libri, che si
perdono con facilità. Chiunque avrà bene presente la fatica di
ritornare sui libri di testo dopo una lunga pausa di qualche mese.
Si
riattivano diverse capacità altrimenti ignorate.
Quando non c'è alcun
obbligo alla lettura, il libro deve catturare l'attenzione del
lettore, contenderlo alla massa di prodotti e attività alternative.
Fin dalla prima pagina, il lettore deve restare incollato, paragrafo
dopo paragrafo, alla storia. Le prime pagine obbligatoriamente devono
immergere il lettore nel mondo del romanzo, farlo identificare con il
protagonista, fargli desiderare di continuare senza sosta. Il lettore
non deve avere altra scelta che proseguire con il libro, fino alla
fine.
Qualunque altra attività,
dai compiti di casa alle ore di sonno, deve passare in secondo piano
a favore del romanzo, che deve “possedere” il lettore senza
concedergli pause. Proprio perchè consapevole della vasta gamma di
alternative che lo minacciano, il romanzo deve usare ogni trucco a
sua disposizione per catturare l'attenzione del suo compratore.
Quando domando alle
persone un libro che gli ha fatto fare “le ore piccole” non sanno
rispondermi. Mi fissano, perplessi. Sanno restare svegli per seguire
dieci e più ore di serie tv, per una maratona di film, per
completare un livello a difficoltà hard. Con i romanzi invece
non scatta mai questa scintilla: si tratta di leggere quel romanzo
perchè scritto da quello scrittore, da quel politico, da quella
personalità. Senza trascurare foto e hashtag, condivisione su
Goodreads e citazione su Twitter. Leggere il libro è considerata
un'esperienza, (quasi) un'attività sportiva. Ho letto quel tot di
libri in quel tot di giorni; ho fatto quel tot di addominali e ho
perso quel tot di chili.
E' un'incredibile
distorsione di cosa dovrebbe essere la lettura, una deviazione
mortale. Una persona dovrebbe comprare un libro e volersi fermare lì,
alla cassa, a leggerlo nell'esatto momento in cui riceve lo
scontrino. Il romanzo è invece diventato questo malsano feticcio
tanto più prezioso quanto più permette un prestigio sociale tra i
gruppi di lettori.
Libri proibiti, di Alexander Mark Rossi |
Un rilancio serio della
lettura in Italia potrebbe realizzarsi solo e soltanto con un
rilancio di romanzi dediti in primo luogo a tenere il lettore
incollato alle pagine.
Vi sono opere di scrittori
italiani intelligenti e originali, così come antologie di racconti e
novelle che divertono e fanno riflettere. Scrittori che raggiungono
picchi di eruzione, così come crepacci di psicologie talmente
profonde da far impallidire una legione di psicanalisti.
Tuttavia non mi è mai
capitato un singolo romanzo dove il lettore sia spinto a continuare
la lettura. Completamente assente è quell'insieme di colpi di scena,
di azione e di volgari trucchi che rendono la lettura impossibile da
mollare. Lo scrittore italiano chiaramente non è interessato ai suoi
lettori, se non come spettatori della sua morale: il romanzo può
essere originale, ma non insegue il suo pubblico. Non è snob, quanto
autistico. L'altro non sembra esistere nella mente dell'autore: è
solo una marionetta, un palcoscenico pronto a scatenare fragorosi
applausi.
Stephen King avrà tanti
difetti, come ho analizzato lo scorso autunno, ma quantomeno sa come
intrattenere il suo pubblico. Matthew Reilly è uno scrittore
talmente pulp da risultare caricaturale, ma letteralmente i suoi
romanzi sono impossibili da mettere giù. E si potrebbe scrivere lo
stesso per tanti autori anglo-americani; non conosco il mercato
francese e tedesco, ma sospetto che la situazione non sia molto
diversa. Una volta scoperto un romanzo impossibile da lasciare, è
naturale passare al successivo nella serie, a sequestrare la sua
intera bibliografia. E' come una dipendenza, nel volerne di più,
sempre di più. L'unico autore di questo calibro in Italia era Alan
D. Altieri, almeno nei suoi primi thriller: dopo averne letto un paio
in biblioteca, corsi ad acquistarne gli altri in libreria. Mi aveva
catturato come un vero Pokémon Master. Purtroppo anche nel caso di
Altieri la trilogia di “Magdeburg” segnalava un compiaciuto
passaggio a un predominio della parola sulla storia, annacquando la
potenza dei lavori precedenti.
Preoccuparsi in primo
luogo di come intrattenere il lettore non deve significare per forza
una storia banale o uno stile sciatto. Si può costruire sulle
fondamenta di una storia avvincente. E' anche ininfluente che la
storia sia perfetta o meno: accumulate pure quanti buchi di
sceneggiatura volete, il vero obiettivo è incuriosire il lettore a
continuare.
Con queste premesse
diventerà immediatamente chiaro il controsenso di voler progettare
vaste iniziative nelle scuole o incentivi all'acquisto dei libri: se
il romanzo per primo fallisce nel suo intento, a cosa serve lo
sconto, la propaganda negli istituti scolastici, lo spot televisivo?
Considerate il seguente ipotetico esempio: solo il 40,5% della popolazione acquista automobili.
Cosa
fare per aumentare le vendite, a fronte di un parco macchine dove
ogni vettura perde olio, consuma troppa benzina e ha le gomme bucate?
Ma è ovvio, no: facciamo uno spot televisivo per vendere quell'auto
scadente, chiamando “idioti” chi non compra un prodotto difettoso
in partenza.
Questo è il ragionamento
che vedo applicato ai romanzi e se provate a paragonarlo ad altri
beni di consumo vi risulterà immediatamente chiara l'assurdità
della situazione.
Certamente vi sono
elementi culturali che si sovrappongono all'oggettivo problema di
fondo: il divario ad esempio tra le diverse regioni appare
agghiacciante e come sempre deriva dalla diversa dominazione pre
risorgimentale: il disinteresse dei Borboni e dello Stato Pontificio
nei confronti dell'educazione e delle infrastrutture statali si
riflette tutt'ora, mentre non tanto i Savoia, quanto l'Impero
Austriaco dimostra nelle ex regioni la forte spinta acculturatrice
maturata sotto Giuseppe II nell'ultimo quarto del Settecento e
Francesco Giuseppe con le riforme liberali dal 1867.
L'educazione si
ripaga, anche a distanza di secoli.
La prova di quanto sia
capovolto il discorso sulla lettura è dimostrato più di tutti dal
post su Facebook di Loredana Lipperini, la quale scrive che “si
legge se si è curiosi, non per essere migliori di altri. Se si è
curiosi, si vogliono scoprire parole combinate in modo nuovo (…) A
forza di essere disincantati e annoiati, leggeremo sempre meno, e
andremo anche meno in palestra e forse guarderemo anche meno serie
televisive. E fatela, questa campagna per la promozione della
curiosità, forza”.
Il problema non è la
curiosità o meno di leggere un libro; il problema è quanto siano
mortalmente noiosi i libri in circolazione. Non serve assolutamente a
nulla essere curiosi verso il mondo dei libri, quando lo stesso è
disinteressato a intrattenerti come lettore e vuole solo avere un
puppet a cui somministrare la propria morale spicciola.
9 commenti:
Grazie per la bella riflessione, assolutamente non superficiale né banale. Vorrei aggiungere qualcosa ma... cosa?
@Stefano Casteveltri
Grazie a te! Non mi aspettavo che l'articolo avrebbe fatto successo...
Condivido molte osservazioni del tuo articolo, dall'eccesso di intellettualismo verboso di molti scrittori italiani alla evidente "concorrenza" che la lettura subisce in un'epoca come la nostra dove le fiction multimediali sono più massicciamente e facilmente fruibili rispetto al passato.
Credo però che esista anche un problema culturale che non può essere attribuito solo ai Borboni e ai papa re. É un problema di fondo che parte dalla scuola, dove la lettura obbligatoria di un mattone micidiale come "I promessi sposi" non aiuta molto a famigliarizzare con la lettura come "piacere" ma piuttosto la fa sembrare una cosa pesante e noiosa. E poi c'è un'entroterra nazionalpopolare basato sul divertimento spicciolo più che su quello impegnativo, sul passatempo semplice anziché su quello complesso, sul pettegolezzo più che sul dialogo intorno ad argomenti seri. Quest'ultimo fa parte del dna nazionale temo, e il ventennio mussoliniano e il trentennio mediasettiano hanno contribuito parecchio a creare una subcultura che trasforma la notizia scandalistica e il fatto di cronaca nera in "informazione" anziché gossip...
La lettura manca del sostrato culturale necessario per diffondersi maggiormente.
@Ariano Geta
Benvenuto sul blog!
E' vero che le serie tv e i film sono più facilmente accessibili e fruibili rispetto al passato, tuttavia occorre considerare come siano anche migliorati in qualità. Io non ne sono un grande fan, ma è vero che molti di quelli che un tempo sarebbero stati scrittori a tempo pieno ora sono sceneggiatori. Nello stesso campo inoltre il romanzo e la narrativa ha continuato ad evolversi, mentre non si è verificato nulla del genere in Italia.
Nel campo ad esempio del fantasy e della fantascienza quando scorro le classifiche delle prossime uscite anglo-americane mi scorre sempre un brivido alla quantità di trame e idee che vengono presentante; quando invece leggo le prossime uscite italiane... con l'eccezione degli autopubblicati e di alcune case editrici è meglio lasciar perdere.
Il riferimento al papa re era una frecciatina al fronte neo borbonico che ormai d'anni rimprovera ogni problema a un immaginario passato mai esistito, molto comodamente auto-assolvendo ogni responsabilità individuale... :-D
E' vero comunque che c'è quella percentuale di lettori che non leggono nemmeno un libro all'anno e lì credo che il problema sia culturale, come osservava anche su Facebook Mauro Longo.
Il danno prodotto dai "Promessi Sposi" è particolarmente grave, perchè anche quando lo studente diventa poi lettore "forte" in fase adulta, continua a concepire la lettura come una sorta di dovere/ attività fisica da svolgere nonostante tutto. "I Promessi Sposi sono noiosi, ma insomma, è una lettura che bisogna fare in quanto acculturati..."
La tua osservazione sulla cronaca e il gossip colpisce a mio parere nel segno, perchè mi sembra evidente che i romanzi italiani siano spesso giornalismo mascherato da narrativa, a partire dallo stile divulgativo alla pari di un documentario o di un articolo da rivista patinata. La storia diventa solo una scusante per esporre il pensiero dell'autore, ma questo a sua volta non è mai profondo o impegnativo, è semplicemente gossip o buon senso da quattro soldi...
Hai perfettamente ragione, ma proprio su tutto!
Se posso dire una mia esperienza.
Io ormai leggo pochissimo... Leggo tipo un libro ogni quattro mesi, il tempo è sempre meno e la stanchezza è sempre più.
Però non ti nego che in passato ho sempre sentito una certa pressione.
"Si legge sempre di meno, stiamo diventando una massa di ignoranti" - Urlavano le prof. delle medie.
Sembrava davvero che dovevo leggere per non stare nella massa degli ignoranti, ma quasi che dovevo farlo per mandare avanti la cultura.
Oh le professoresse mi facevano sentire un Gesù Cristo in croce della lettura... Che peso inutile che mi davano addosso! La passione della lettura era diventata un peso. Che approcci sbagliati...
@Marco Grande Arbitro
Non puoi dare torto alle tue professoresse per aver cercato d'inculcare la lettura... anche se proporre sempre e soltanto i soliti libri produce risultati bizzarri: proprio qualche giorno fa ero nella biblioteca popolare e ho scoperto che a causa dei consigli di lettura scolastici hanno qualcosa come sei copie de "Il Barone Rampante", essendo la classica lettura consigliata per l'estate. Senza nulla togliere a Italo Calvino...
Tutto ben scritto ma quel
Com'on
è orrido. Per piacere correggilo, nun se po' guarda'...
(Suggerirei: C'mon o Come On)
Uao, incredibile articolo, una riflessione molto ben organizzata che mi ha toccato particolarmente. Si vede che ti impegni per intrattenere il lettore ed evitare che si annoi o che ci siano punti 'morti' durante la lettura, era da tempo che non leggevo un pezzo cosi, ottimo lavoro.
Buonasera, sono madrelingua portoghese ma vivo in Italia da qualche anno, dunque mi scuso in anteanti per i miei errori.
Credo che lo stimolo piu grande che di di possa dare allo interessante del potenziale lettore verso i libri sia la curiosità.
Ad esempio l'Italia ha una bellezza architettonica inegabile, e la curiosità verso questa la creazione delle opere stesse stimolano a cercare una risposta per la seguente domanda: da dove deriva tutto ciò? E quindi nasce la curiosità verso la storia.
Io ad esempio ho iniziato ad interessarmi alle storie della stregoneria italiana perché visitando certi comuni abruzzesi, ho imparato che fa parte della storia Medievale di molti luoghi e che i segni di questo particolare pezzo di storia medievale è presente anche in degli affreschi sacri. Insomma da una piccola scheda spiegazioni che ha stimolato la mia curiosità, ho deciso di acquistare libri sulla storia medievale dei borghi della Majella.
Questo piccolo esempio serve solo per ribadire che senza la fiamma della curiosità è molto difficile stimolare la lettura e peggio ancora l'interpretazione del testo.
La cattiva qualità dei programmi TV è solo parte del problema poiché tante perdone oggi hanno le TV a pagamento che offrono tanti bei documentari, però fondamentalmente le persone vedono il calcio e i programmi spazzatura (che non è sinonimo di leggero). Credo che un altro grave problema sarebbe la tendenza af acquisire un tipo di pensiero passivo, cioe che molti preferiscono delegare il ragionamento a qualcun altro e semplicemente eseguire.
Purtroppo per una serie di cose le persone stanno perdendo la curiosità è di conseguenza il gusto per la lettura.
Mi scuso nuovamente per gli errori ma sto ancora imparando l'italiano.
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