lunedì 29 gennaio 2018

"Ipnagogica", di Christian Sartirana: tra weird e horror sonnambulo


In seguito al boom della narrativa horror tra gli anni '70 e '80 e al successivo crash negli anni '90, gli anni '2000 hanno registrato un alternarsi periodico di mode, tutte più o meno intense e tutte più o meno positive nella ripresa e la rielaborazione di tradizionali figure dell'orrore.

“Twilight” ha concesso quella popolarità alla figura del vampiro tale da garantire vendite e spazio anche a libri e film di nicchia, altrimenti impossibili da piazzare sul mercato.
“The Walking Dead” ha garantito quel rilancio dello zombie che a fine anni '90 si riteneva impossibile, mummificato nell'imprevedibile successo della trilogia romeriana a inizio anni '80.
Nonostante i fan dell'horror amino sempre lamentarsi di quanto male vadano le cose, è un buon periodo per l'horror. C'è stata meno di una pausa dagli anni '2000 e siano i non-morti o i dracula dai canini appuntiti, è sempre un periodo rosso. Produzioni alte e basse, erudite e caciarone, saggistica e youtuber... al di fuori dell'Italia l'horror vive felice.
La domanda ovviamente che ci si continua a porre, dal successo della serie della Meyer in poi, è la seguente: cosa succederà “dopo”?
Quale sarà la nuova fissazione – architettata a tavolino o meno – dei mercati librai e delle sale cinematografiche?

C'è un equivoco di fondo, in tutto ciò: la convinzione che il mercato sia un luogo “organico”, dalle invisibili correnti scollegate dalle intenzioni di produttori, case editrici e focus groups.
Lo scrittore, il regista e il critico s'illudono così di poter “prevedere” quale sarà la nuova mania, esattamente come un esperto di surf è in grado di sentire l'onda in arrivo. Lo scrittore, alla pari di un sismografo, divinizza le scosse narrative in arrivo, elabora qualche idea vincente mescolata a uno stile accattivante e mirabile dictu, ecco pronto un bestseller.
Se davvero questo fosse possibile, uno scrittore fantasy avrebbe potuto prevedere a fine anni '90 “Harry Potter” e scrivere in fretta un libro di formazione con protagonista un bambino occhialuto che frequenta una scuola di magia. Take that, Rowling!
Questa ovviamente è una visione del mondo superstiziosa e bizzarra.
Trend e mode vengono creati a tavolino dagli anni '50, mentre il successo o meno di una corrente dipende totalmente dal caso. E' piuttosto difficile rintracciare nel successo di un'opera caratteristiche che “risuonano” nella mentalità dell'epoca. Il libro, il film e la serie riflette il periodo in cui viene scritto, ma non è la sola componente e non è certo quella determinante. C'è poco di Harry Potter che rifletta lo zeitgeist di fine anni '90 e inizio '2000. Quanto si può davvero fare è cercare di scrivere bene, scrivere per i lettori e scrivere quello che si ama. Gli unici casi dove seriamente un soggetto rischia di venire snobbato solo in virtù di essere “quel” soggetto sono le fasi discendenti di una moda, quando il pubblico è stanco di quell'ambientazione, quel personaggio, quella creatura. E' stato il caso sfortunato dell'altrimenti ottimo La ragazza che sapeva troppo, tanto nel romanzo quanto nel film.

Ritornando all'horror, è dal 2010 che continuo a leggere come la nuova mania saranno i fantasmi.
Avrebbe senso: difficile immaginare una creatura della tradizione horror altrettanto versatile nei generi, dalla fan fiction e la spazzatura rosa, all'horror splatter a base di ectoplasmi che esplodono e possessioni a base di demoni e spiriti. Gli zombie puzzano sempre di più, i vampiri sono rifiniti nel dimenticatoio: largo ai fantasmi. La tradizione delle protagoniste femminili nel genere gotico nell'ottocento si presta bene ai tempi odierni e la chiave del successo della Meyer aveva consistito proprio nel riutilizzare i più retrogradi aspetti delle storie gotiche.
Se scrivo tutto ciò nel 2018, appare evidente come nessun fantasma è giunto a dominare copertine di libri e schermi delle televisioni. Se c'è stato un passaggio, è avvenuto verso l'immaginario lovecraftiano, anche se stento a definirlo “mainstream”, se consideriamo come non abbiamo ancora nessun film di successo tratto da Lovecraft e nessuna produzione AAA nel campo dei videogiochi. Inoltre Lovecraft continua a essere scambiato con (una) delle sue creature, cioè Cthulhu; una condanna familiare a chiunque voglia reclamizzare Mary Shelley, da secoli dimenticata a favore della sua creatura, cioè Frankenstein.

L'antologia tuttavia che vi presento oggi, “Ipnagogica”, della Acheron Books, rappresenta un tentativo efficace di recuperare le atmosfere e gli stilemi gotici, senza tuttavia rinunciare a inquietare il lettore. L'autore, Christian Sartirana, adopera elementi tradizionali del genere quali fantasmi e case infestate, trasponendoli dentro ambientazioni contemporanee. Persino quando il racconto sembra muoversi dentro atmosfere degne di un body horror, come nella prima storia, “Manina”, Sartirana opta per un finale surreale, che preferisce un simbolismo altrettanto orrorifico d'una doccia di sangue. Non conosco Ramsey Campbell a sufficienza d'azzardare un paragone, ma trovo che molti racconti di questa antologia si avvicinino al suo stile: atmosfere artefatte e irrespirabili, dialoghi colloquiali, ma discontinui e non ultimo una certa ricercatezza stilistica. Senza dubbio alcune delle storie chiariscono un'evidente influenza: “Le Facce Bianche”, ad esempio.

Il riutilizzo del gotico e la generale atmosfera spettrale della raccolta si presta ad alcune critiche.
Tre racconti su cinque esordiscono con una narrazione esterna e una digressione biografico-temporale del protagonista che si poteva largamente evitare: è scritta bene, avvince, ma partire in medias res sarebbe stato preferibile. Il retroterra gotico dei cinque racconti suscita inoltre frasi e giri di parole astratti e tranquillamente purgabili dal testo: riferimenti a oscure sensazioni di “sgradevole”, a qualcosa di “sbagliato”, a odori e rumori “innominabili”. Ad esempio nel caso di Danny “Manina”, si continua a sottolineare come ci sia qualcosa di sbagliato in lui, ma già la deformità del protagonista e la sua psiche torturata sono una scusa sufficiente; non c'è bisogno d'indulgere nella vaghezza di un male indecifrabile, quando è già stato “mostrato” abbondantemente.

Lo stile di scrittura di Christian Sartirana è stato cesellato e modellato fino a raggiungere una levigatezza maniacale. Le frasi scorrono senza difficoltà, tanto chiare quanto precise. I dialoghi sono sufficientemente spezzati e colloquiali da risultare realistici, mentre le descrizioni e le scene sono calibrate alla perfezione per raggiungere il massimo effetto sul lettore. Il riferimento al gotico non deve ingannare il lettore sul carattere terrorizzante delle storie: c'è sufficiente nitroglicerina horror da far saltare anche il più coriaceo lettore.

Seance”, dal fumetto online “False Positive”
L'antologia esordisce con il botto: il racconto “La Manina” costruisce con attenzione e cura meticolosa una storia horror che parte come un thriller psicologico, degenera nel body horror e nell'insospettabile finale culmina con un simbolismo che riporta all'argomento centrale.

Danny “Manina” è un uomo la cui mano sinistra, deforme, gli causa un tale odio e rabbia che preferisce tenerla avvolta nelle fasce come un moncherino, senza dargli la minima attenzione. 
Il giovane uomo ha maturato nel tempo una vera e propria ossessione feticistica verso la “Manina”, facilitata a sua volta dalle continue vessazioni dai colleghi di lavoro nell'agenzia del padre.
La psiche sempre più instabile, avvolto nella solitudine, Danny comincia a coltivare fantasie di auto-mutilazione...

La partenza, come da tradizione di tanti racconti di quest'antologia, è lenta, introdotta dall'asettica voce narrante di un protagonista vicino a Danny. Le descrizioni e i retroscena dell'infanzia e dell'adolescenza di Danny si sovrappongono a parentesi in corsivo dove Sartirana propone le “chiacchiere” dell'azienda dove lavora. Il contrasto tra la vita del protagonista e i gossip di lavoro, che ricordano le chiacchiere di paese dei Malavoglia, trasmettono con efficacia la discesa nella follia di Danny, nel contempo alleggerendo quello che è un incipit troppo “raccontato”.

A metà del racconto, la “svolta” verso il body horror introduce un elemento soprannaturale che trasforma radicalmente il tono: la prospettiva passa direttamente sulla spalla di “Danny”, di cui seguiamo ansiosi disavventure sempre più cronemberghiane, fino a un finale dove il punto di vista passa al padre, con un'ultima, agghiacciante scena rivelatrice.

Una collezione di cattiverie” mette in scena una giovane madre e la sua amica, vittime entrambe dello stalkeraggio e degli incantesimi di una misteriosa donna.
Il punto di vista della protagonista causa qualche confusione nelle prime pagine, dove non è chiaro chi sia chi e quale sia l'identità della protagonista. Il racconto inoltre raggiunge il suo culmine di ansia e tensione a metà della storia, con un finale indubbiamente efficace, ma privo di mordente.

“E lei non si è più fatta viva?”
“No, per fortuna. Non l’ho neanche più incrociata nel palazzo. Poi mi sono ammalata. Anche quella è stata un’esperienza assurda. Il medico che è venuto a visitarmi, ah, tra l’altro un pezzo di figo che te lo raccomando, sembrava più stranito di me, e per un attimo mi ha fatto spaventare. Diceva che accusavo gli stessi sintomi di una malattia rarissima, debellata più di due secoli fa.”
“E alla fine?”
“Niente. Influenza di stagione, però pesantissima. Me ne sono stata a letto a inghiottire pillole che non mi facevano niente. Dopo una settimana ero sempre uguale. Figurati che alla fine ho chiamato mia madre e sono andata a stare qualche giorno da lei. E sai quanta voglia ho di vedere i miei, cioè zero… Ma ti giuro che il mattino dopo, quando mi sono svegliata nella mia vecchia cameretta con Ricky Martin che mi guardava dal poster di fronte al letto, stavo già meglio… e dopo un altro giorno ero perfettamente in salute.” “Incredibile! Praticamente sei guarita appena ti sei allontanata da casa…”
“Esatto. Più che altro appena mi sono allontanata da Anna. E dal palazzo dove vive. Infatti ho deciso di trasferirmi definitivamente da mia madre, finché non troverò un altro appartamento.”

E' un interessante cortocircuito mentale il fatto che dopo aver letto questo passaggio fossi fermamente convinto che il nemico, “Anna”, fosse una vampira. I sintomi dell'influenza, il sentirsi debilitati – come dopo essersi stati sottoposti a un prelievo di sangue – la scomparsa della malattia una volta allontanatasi dalla casa dove risiede Anna/dal castello di Dracula... ero convinto d'aver trovato riferimenti ovvi dello scrittore quantomeno a “Carmilla”. La storia invece, senza far spoiler, si mantiene in ambito stregonesco e soprannaturale e ne guadagna in originalità.
Nell'insieme un racconto molto garbato e molto intimo, nello stile di alcuni film horror anglosassoni degli anni '60 e '70.

Trovo che l'ossessione del critico lovecraftiano S. T. Joshi verso il simbolismo nel weird sia eccessivo: non ogni invenzione fantastica e non ogni “stranezza” deve mascherare uno scopo, una parabola morale o possedere una rigorosa logica interna. Tuttavia il racconto one-shotLa Porta” introduce un elemento weird dato da un quadro con caratteristiche soprannaturali, che non si risolve nel finale, né svela alcunché. Siamo consapevoli che avverrà qualcosa di altamente sgradevole al nostro protagonista, un antiquario e robivecchi, ma non riceviamo la soddisfazione di sapere cosa, o come, o quantomeno di poter sbirciare nella “porta” del titolo. La storia viene ovviamente condotta con l'usuale maestria e attenzione che connota l'intera antologia, ma s'interrompe proprio quando più ci si aspettava un proseguo.

Le Facce Bianche” è stato svalutato dalla rivista Horror Magazine, ma in realtà costituisce la storia più efficace dell'antologia dopo la “Manina”: mentre il corpus principale dei racconti rivitalizza topos appartenenti al genere gotico, “Le Facce Bianche” sperimenta un horror urbano alla Ramsey Campbell. Il contatto del protagonista con il soprannaturale avviene casualmente, attraverso il medium di un volantino nel bus e tra suggestioni di horror tattile (il mutare della faccia del protagonista) e un'atmosfera desolata e silenziosa, dov'è assente il contatto umano.

Secondo la psicologia, cambiare casa è tra le esperienze più suscettibili di trauma dopo la morte del coniuge. Nel caso de “La Memoria della Polvere” la metafora del soprannaturale motiva la storia di un matrimonio che cade a pezzi e accumula polvere (letteralmente...) in seguito all'acquisto di una nuova residenza nella campagna spettrale del Piemonte.

Il racconto è stato definito una “ghost story”, ma a conti fatti funziona al suo meglio quando il protagonista scivola nell'ambientazione alternativa di un tempo passato e decadente; più che di fantasmi, si dovrebbe parlare di “luoghifantasma.

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